Quote millesimali: il condomino può citare in giudizio il solo amministratore (Cass. n. 16901/2012)

Redazione 04/10/12
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Svolgimento del processo

L’avv. A. S., con atto di citazione del 1994, conveniva in giudizio davanti al Pretore di Chieti, il Condominio (omissis) di via (omissis) per sentire accogliere le seguenti conclusioni: a) dichiarare che l’attore era titolare della quota di 7,66 millesimi di proprietà nel predetto condominio; b) condannare, conseguentemente, il condominio alla restituzione delle maggiori somme pagate a partire dall’approvazione del regolamento condominiale e relativa tabella millesimale del 31.12.1993; c) condannare il condominio alla restituzione delle maggiori somme pagate a partire dall’approvazione del regolamento condominiale e relativa tabella millesimale.
Si costituiva il Condominio eccependo: la carenza di legittimazione processuale dell’attore per non essere il proprietario dell’unità immobiliare del fabbricato condominiale, l’incompetenza per valore del giudice adito, il difetto di legittimazione passiva dell’amministratore, dovendo la causa essere, eventualmente, promossa nei confronti di tutti i condomini, il mancato pagamento delle somme di cui l’attore chiedeva la restituzione, la prescrizione di ogni avversa pretesa.
Il Giudice di Pace, subentrato al Pretore, in conseguenza della soppressione degli uffici di Pretura, con sentenza n. 468 del 2002, configurando la domanda attrice come richiesta di modificazione della tabella millesimale ha accolto l’eccezione di legittimazione passiva sollevata dal Condominio convenuto e per l’effetto ha rigettato ogni altra richiesta dell’attore.
Proponeva appello l’avv. A. S. che precisava di non aver mai chiesto la modifica delle tabelle millesimali ma, di aver chiesto l’accertamento dei suoi diritti di partecipazione millesimale alle parti comuni dell’edificio in virtù delle tabelle millesimali approvate dall’assemblea. Si costituiva il condominio il quale chiedeva il rigetto dell’appello.
Il Tribunale di Chieti, con sentenza n. 778 del 2005, confermava la sentenza del Giudice di Pace cambiando, tuttavia, motivazione. Il Tribunale osservava: a) che S. non aveva domandato la modifica delle tabelle millesimali, come, invece, aveva ritenuto il Giudice di Pace, ma aveva denunciato l’errore in cui sarebbe incorso l’amministratore, attribuendogli i 9,34 millesimi di proprietà, anziché, i 7,66 millesimi di proprietà che gli sarebbero spettati in base alla tabella millesimale allegata al regolamento. b) Tuttavia, nelle conclusioni rassegnate nell’atto di citazione e successivamente, confermate, definitivamente, all’udienza del 3 ottobre 2002 l’attore non aveva richiesto il mero accertamento dell’errore materiale, ma una ben più ampia domanda avente ad oggetto l’accertamento del fatto che egli fosse titolare di una quota pari a 7,66 millesimi di proprietà e dunque avrebbe chiesto un accertamento di proprietà. c) l’accertamento di proprietà però non andava chiesto al Condominio, ma a tutti i condomini, e sotto questo profilo, andava dichiarata la mancata legittimazione passiva del convenuto. d) in ogni caso, riteneva il Tribunale di Chieti la domanda dell’attore andava rigettata anche nel merito, perché S. nel chiedere l’accertamento della titolarità dei 7,66 millesimi di proprietà sull’edificio, non aveva allegato alcun titolo di proprietà esclusiva sul vano soffitto indicato nell’atto di citazione.
La cassazione della sentenza n. 778 del 2005 del Tribunale di Chieti è stata chiesta da A. S. con ricorso affidato a tre motivi. ll Condominio (omissis) ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1.= A. S. con il primo motivo, lamenta la falsa applicazione di norme processuali: art. 276, 2° comma c.p.c. Avrebbe errato il Tribunale, secondo il ricorrente: a) intanto per non avere accertato, prioritariamente -così come vorrebbe l’art. 276, 2° comma, c.p.c. l’esistenza in capo all’attore della legittimazione ad processum e ad causam; b) comunque, per aver ritenuto l’attore -odierno ricorrente- carente di legittimatio ad processum ed ad causam perché, nonostante il ricorrente non avesse un titolo formale di proprietà, il condominio per facta concludentia lo ha sempre ritenuto a tutti gli effetti condomino; c) nell’aver sostenuto che l’attore avrebbe proposto una più ampia domanda avente ad oggetto l’accertamento del fatto che egli fosse titolare della quota di 7,66 millesimi di proprietà nel predetto condominio. Tale convincimento è frutto, sostiene, ancora, il ricorrente, di un’errata interpretazione delle richieste conclusive dell’atto di citazione introduttivo nelle quali al punto A) l’attore chiedeva “di ritenere e dichiarare il ***************** titolare della quota di 7,66 millesimi di proprietá del condominio”.
Epperò, l’attore chiedeva emettersi una sentenza dichiarativa in relazione ad un’esistente tabella che lo stesso fosse titolare della quota di 7,66 riportata in tabella e non di quella di 9,34 applicata dall’ammininistratore condominiale e, neppure, presente nella tabella.
1.1.= Le censure, singolarmente e nella loro interezza, sono fondate e vanno accolte per le ragioni di cui si dirà.
L’attuale ricorrente aveva affermato di aver posseduto il vano soffitta per più di un ventennio, e dunque di averlo acquistato per usucapione. Pertanto, la Corte avrebbe dovuto accertare, comunque, anche in via incidentale -e non sembra lo abbia fatto- se A. S. fosse proprietario dei vano soffitta, e in mancanza di altro titolo di acquisto, se lo stesso lo avesse acquistato per usucapione. D’altra parte, come pure ha evidenziato lo stesso Tribunale di Chieti, nelle conclusioni rassegnato nell’atto di citazione e, successivamente, confermate definitivamente, all’udienza del 3 ottobre 2002, l’attore (attuale ricorrente) non aveva richiesto il mero accertamento dell’errore materiale, ma una ben più ampia domanda avente ad oggetto l’accertamento del fatto che egli fosse titolare di una quota pari a 7,66 millesimi di proprietà, e dunque, avrebbe chiesto un accertamento di proprietà. Né l’affermazione del condominio, resa nell’atto di costituzione in giudizio, di aver precedentemente rivendicato la proprietà del vano soffitta con una causa promossa davanti al Tribunale di Chieti, probabilmente non ancora conclusasi, poteva sollevare il Giudice del merito ad accertare la proprietà dell’attuale ricorrente in ordine al vano soffitta.
Lo stesso accertamento in ordine alla carenza di legittimatio ad processum e ad causam dell’attore, non poteva che essere subordinato all’accertamento del titolo di proprietà, mentre, invece, sembra che il Tribunale di Chieti abbia escluso la legittimatio ad causam, dando per dimostrato quel che l’attore chiedeva venisse accertato e dichiarato.
2.= Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’errata applicazione dell’art. 102, 2° comma c.p.c. Avrebbe errato il Tribunale, secondo il ricorrente, per non aver considerato che il Condominio e per esso l’amministratore condominiale, non è soggetto estraneo in una causa riguardante parti comuni, ma è parte attiva, così come lo sono tutti i condomini. Ove il Tribunale avesse ritenuto che il Condominio fosse parte attiva nel giudizio di cui si dice, aveva l’obbligo di disporre l’integrazione del contraddittorio, ai sensi e per gli effetti dell’art. 102, 2° comma, c.p.c.
2.1.= Anche questo motivo è fondato e va accolto.
Ai sensi dell’art. 1131 secondo comma cod. civ., la legittimazione passiva dell’amministratore del condominio a resistere in giudizio, esclusiva o concorrente con quella dei condomini, non incontra limiti e sussiste anche in ordine alle azioni di natura reale relative alle parti comuni dell’edificio, promosse contro il condominio da terzi o anche dal singolo condomino; in tal caso, l’amministratore ha il solo obbligo, di mera rilevanza interna e non incidente sui suoi poteri rappresentativi processuali, di riferire all’assemblea, con la conseguenza che la sua presenza in giudizio esclude la necessità del litisconsorzio nei confronti di tutti i condomini.
3.= Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la contraddittoria motivazione su un fatto decisivo prospettato dalle parti. Secondo il ricorrente, l’affermazione del Tribunale secondo la quale “l’attore non ha impugnato le delibere con le quali l’assemblea ha approvato i rendiconti annuali” sarebbe ultronea perché il condominio non avrebbe eccepito tale mancanza di impugnazione nel giudizio di primo grado, ma solo in appello e, pertanto, violando l’art. 345 c.p.c. Sicché, ritiene il ricorrente, il Giudice di appello non avrebbe potuto ritenere che la domanda di restituzione delle somme non fosse accoglibile per non avere il ricorrente impugnato le delibere condominiali.
Sempre secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe errato, anche, per aver ritenuto che nulla sarebbe spettato a S. essendo questo moroso nel pagamento delle quote condominiali, perché: a) il decreto ingiuntivo che sarebbe indicato a fondamento della morosità dello S. non era stato mai azionato b) nessuna azione riconvenzionale era stata proposta dal Condominio e, pertanto, il Giudice di appello non avrebbe potuto ritenere non dovuto il richiesto dall’attore, odierno ricorrente, sulla base di presunti crediti non proposti con riconvenzionale.
3.1.= Tale censura rimane assorbita dall’accoglimento del primo e del secondo motivo e/o, comunque, l’accoglimento del primo e del secondo motivo priva di utilità giuridica l’esame di questo secondo motivo tale che si può prescindere dall’esaminarlo.
In definitiva, va accolto il primo e il secondo motivo dichiarato assorbito il terzo, la sentenza impugnata va cassata per quanto in motivazione e la causa rinviata al Tribunale di Chieti in persona di altro Magistrato, al quale è rimesso, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., il regolamento delle spese anche per il presente giudizio di cassazione

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Chieti in persona di altro magistrato al quale rimette ai sensi dell’art. 385 c.p.c. il regolamento delle spese anche per il presente giudizio di cassazione
Così deciso nella Camera di Consiglio della II Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il 24 maggio 2012.

Redazione