Quando è possibile derogare alla distanza minima tra edifici

Redazione 18/02/14
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(UG) e (AS), proprietari di un fabbricato sito in (OMISSIS), con atto di citazione del giugno 2002, convocavano in giudizio davanti al Tribunale di Torino la (IE) srl e il Condominio di corso (X) ed alcuni condomini ed esponevano che l’edificio costruito dalla societa’ convenuta sul mappale X del foglio X poi costituito in condominio non era stato edificato nel rispetto delle distanze minime imposte dalle legislazione vigente. Chiedevano che i convenuti venissero condannati alla demolizione della porzione di immobile costruita a distanza inferiore di dieci metri dal loro edificio e nei confronti della societa’ convenuta chiedevano anche il risarcimento dei danni.
Si costituivano il Condominio e alcuni condomini, i quali contestavano la domanda degli attori e chiedevano un differimento di udienza al fine di proporre nei confronti della societa’ (IE) srl domanda subordinata di manleva nel caso di accoglimento della domanda proposta degli attori. Il Giudice disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini ritenuti litisconsorti necessari. Alcuni si costituivano e chiedevano un differimento della prima udienza al fine di proporre domanda di manleva nei confronti della societa’ (IE) srl in caso di accoglimento della domanda degli attori, ma non provvedevano nel termine assegnato.
Si costituiva la societa’ (IE) srl, chiedendo il rigetto delle domande proposte nei suoi confronti.
Il Tribunale di Torino, dopo aver dichiarato la contumacia dei condomini che non si sono costituiti con sentenza del 2005, respingeva le domande degli attori, ritenendo che nel caso in esame andava applicata la deroga prevista dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, u.c., trattandosi di disposizioni previste in strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di una determinata zona del territorio, chiarendo che l’adozione avvenuta, nel caso di specie, della trasformazione della zona per sub ambiti fosse paragonabile allo schema d trasformazione tramite piano esecutivo unitario e che la mancata sottoscrizione di uno studio unitario d’ambito da parte degli attori fosse irrilevante essendo sufficiente l’adesione dei proprietari del 75% degli immobili interessati. Condannava gli attori a rifondere le spese giudiziali alle parti in causa, condannava il condominio e i Condomini a rifondere alla societa’ le spese della fase cautelare avendo essi presentato ricorso per sequestro conservativo respinto.
Avverso tale decisione proponevano appello i sigg. (G) e (S), lamentando che il Tribunale aveva ritenuto applicabile al caso in esame la deroga prevista dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, u.c..
Si costituivano il Condominio e gli altri condomini chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado, proponendo appello incidentale per la non corretta interpretazione circa l’applicazione della normativa di cui all’articolo 9 del DM n. 1444 del 1968.
La Corte di Appello di Torino con sentenza n. 789 del 2006, accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, condannava gli appellati a demolire quella parte di fabbricato sito in (X), che era stata costruita a distanza inferiore di 10 metri dalla frontestante parete dell’edificio di proprieta’, dei sigg. (G) e (S). Accoglieva la domanda di manleva proposta nei confronti della societa’ (IE) srl dal Condominio e da alcuni condomini. Condannava gli appellati a rifondere agli appellanti le spese giudiziali di entrambi i giudizi. Dichiarava inammissibile l’appello incidentale.
Secondo la Corte torinese la deroga di cui all’articolo 9 gia’ citato, laddove consente di derogare alle distanze minime tra costruzioni solo nel caso di gruppi di edifici che formano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazione convenzionate con previsioni plano volumetriche, non era estensibile al caso in esame perche’ l’intervento di trasformazione edilizia veniva attuato, non mediante un piano particolareggiato e neppure mediante lottizzazione convenzionata, ma attraverso la previsione di due distinti strumenti urbanistici che per quanto inserito in uno Studio Unitario d’Ambito non era accompagnata da alcuna indicazione idonea a garantire la realizzazione di quel determinato assetto complessivo ed unitario della zona.
La cassazione di questa sentenza e’ stata chiesta dal Condominio di corso (X) e dai condomini: (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
I sigg. (GU) e (SA) hanno resistito con controricorso, illustrato con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza del 13 febbraio 2013.
I condomini: (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
All’udienza del 13 febbraio 2013 questa Corte ha disposto l’integrazione del contraddittorio, entro 180 gironi dalla data odierna, nei confronti: (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
In data 3 giugno 2013, l’avv. (C) ha depositato atto di integrazione del contraddittorio, e l’avv. (EG) ha provveduto a depositare la delibera autorizzativa richiesta. In prossimita’ dell’udienza odierna il Condominio di (X) ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione di legge (articolo 360 c.p.c., n. 3) con riferimento al disposto del Decreto Ministeriale dei Lavori pubblico 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, u.c., in relazione al disposto dell’articolo 7 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale del Comune di Torino. Avrebbe errato la Corte torinese, secondo il ricorrente, nell’aver ritenuto applicabile, al caso in esame, la disciplina di carattere generale stabilita dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, in relazione alle distanze minime tra fabbricati, ed, ad un tempo, nell’avere escluso che la deroga prevista nella seconda parte dell’articolo 9, u.c., fosse riferibile anche al caso in esame al caso in esame, atteso che l’edificio di proprieta’ dei ricorrenti era stato realizzato in attuazione di un Piano Esecutivo Convenzionato, che e’ uno strumento di attuazione del Piano regolatore Comunale del tutto assimilabile o al Piano particolareggiato o alla lottizzazione convenzionata, a sensi degli articoli 32 e 43 della legge urbanistica piemontese del 5 dicembre 1977 n. 56. Intanto, specifica il ricorrente la zona nella quale ricadono le proprieta’ delle parti in causa e’ definita dal PRG del Comune di Torino approvato nel 1995 come zona b) e detta zona e’ qualificata dall’articolo 15 delle Norme di attuazione del Piano Regolatore Generale zone urbane di trasformazione, le parti del territorio per le quali indipendentemente dallo stato di fatto sono previsti interventi di radicale ristrutturazione e di nuovo impianto. A sua volta l’articolo 7 della norme di attuazione del Piano Regolatore generale prevede due possibilita’ di trasformazione alla lettera a) la trasformazione unitaria e alla lettere b) la trasformazione per sub ambiti. La trasformazione per sub ambiti e’ ammessa a condizione che l’amministrazione comunale approvi uno Studio Unitario che riguarda l’intero ambito o piu’ ambiti qualora le schede ne prescrivono la trasformazione unitaria. Ora, avuto riguardo al caso di specie in ottemperanza all’articolo 7 il Comune di Torino, sempre secondo i ricorrenti, aveva approvato lo Studio Unitario d’Ambito (SUA) ed aveva, altresi’, stipulato la Convenzione programma. Dall’esame della SUA il territorio che qui interessa veniva distinto in due ambiti di cui:
l’ambito 1 era relativo a tutte le proprieta’ comprese nell’ambito eccetto la proprieta’ dell’attore; e l’ambito 2, alla sola proprieta’ attorea. Veniva previsto che la trasformazione sarebbe avvenuta attraverso la presentazione di PEC (Piano esecutivo convenzionato), corrispondente ai due ambiti in cui risultava distinto il territorio oggetto di controversia. Sicche’, concludono i ricorrenti, nella fattispecie entrambi gli edifici per i quali e’ causa formavano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsione planivolumetriche cosi’ come stabilito nella seconda parte del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, u.c..
1.1.- La censura non coglie nel segno e non puo’ essere accolta.
La Corte torinese ha correttamente identificato la situazione di fatto sottoposta al suo esame, relativa alla distanza tra l’edificio dei sigg. (G) e (S) e l’edificio realizzato dalla societa’ (IE) srl, ed, ad un tempo ha, correttamente, interpretato ed individuato la norma applicabile alla fattispecie esaminata. Pertanto, la sentenza impugnata non merita alcuna censura.
1.1.a).- Appare opportuno chiarire: A) che gli edifici oggetto della controversia sono collocati nella zona che il Piano Regolatore Generale del Comune di Torino contraddistingue con la lettera b). Detta zona e’ qualificata dall’articolo 15 delle Norme urbanistiche di attuazione del Piano Regolatore Generale del Comune di Torino (NUEA) tra quelle zone definite “zone urbane di trasformazione: le parti del territorio per le quali indipendentemente dallo stato di fatto sono previsti interventi di radicale ristrutturazione urbanistica e di nuovo impianto”. Per tali zone l’articolo 7 del NUEA prevede due possibilita’ di trasformazioni: a) una trasformazione unitaria e una trasformazione per sub ambiti. B) che l’edificio dei sigg. (G) e (S), non formava oggetto del piano di lottizzazione di cui faceva parte l’edifico realizzato dalla societa’ (IE) srl. (l’edificio del condominio), ma formava oggetto dello Studio Unitario d’Ambito (SUA) proposto al Comune di Torino dai danti causa degli attuali ricorrenti, approvato dall’Amministrazione comunale con delibera n. 278797 del 1997 ed era stata stipulata la Convenzione programmata. Il caso in esame, in particolare, integrava gli estremi di un’ipotesi di trasformazione sub ambiti.
1.1.b).- A questa situazione di fatto va riferita – come bene ha chiarito la Corte torinese, la normativa di cui al Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, laddove stabilisce, per quanto qui puo’ interessare, che la distanza minima assoluta tra fabbricati per le zone territoriali omogenee diverse dalla zone A e dalla zona C dovra’ essere quella di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Tuttavia, la stessa norma nell’ultima parte dell’ultimo comma prevede che “sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche”. Pertanto, posto che gli edifici oggetto della controversia, nominalisticamente, e come gia’ si e’ detto, non facevano parte unitariamente di alcun piano particolareggiato, ne’ di alcuna lottizzazione convenzionale, restava acquisito che, sic et simpliciter, la deroga prevista dall’articolo 9, appena citato, non poteva essere estesa al caso in esame. D’altra parte, come ha gia’ avuto modo di evidenziare questa Corte in altra occasione (sent. n. 12424 del 2010): in tema di distanze tra edifici, ove le costruzioni non siano incluse nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione, la disciplina sulle relative distanze non e’ recata dal Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, u.c., che consente ai Comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa statale, bensi’ dal primo comma dello stesso articolo 9, quale disposizione di immediata ed inderogabile efficacia precettiva.
1.1.c).- Un primo ed essenziale esame della questione oggetto della controversia, comportava, dunque, di dover ritenere che la distanza dall’edificio realizzato dalla societa’ (OMISSIS) srl. (l’edificio del condominio), doveva rispettare era quella di ml. 10 dalla parete dell’edificio degli originari attori, cosi’ come previsto in via generale dall’articolo 9 piu’ volte citato.
1.2.- Tuttavia, residuava l’ulteriore verifica e cioe’ se lo Studio Unitario d’Ambito (SUA) e la Convenzione Programma, relativi al territorio comunale cui appartengono entrambi gli edifici oggetto della controversia, potevano essere equiparati per analogia, ad un piano particolareggiato o ad una lottizzazione convenzionata. Sennonche’, l’equiparazione, astrattamente ipotizzabile, non e’ concretamente sostenibile essenzialmente perche’, tenuto conto della normativa di cui all’articolo 32 della Legge urbanistica Piemontese n. 56 del 1977, lo Studio Unitario d’Ambito non e’ uno strumento urbanistico esecutivo al pari della lottizzazione convenzionata o del piano particolareggiato, cui fa riferimento l’ultima parte del Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, u.c., ma e’ un programma da tradurre successivamente in un atto di pianificazione secondaria, ovvero, in uno strumento urbanistico esecutivo. Come bene afferma la Corte di merito, nel caso in esame, lo Studio Unitario d’Ambito non poteva essere assimilato alla lottizzazione convenzionata o ad un piano particolareggiato, anche perche’ la Convenzione programma non individuava neppure gli strumenti idonei a garantire l’attuazione completa dell’auspicata trasformazione della zona, tanto e’ vero che la relazione illustrativa (dello Studio Unitario d’Ambito) specificava che la trasformazione del sub ambito 2 sarebbe avvenuta sempre per mezzo di PEC e di Concessione. E di piu’, ad ulteriore conferma dell’esclusione dell’assimilazione dello Studio Unitario d’Ambito ad un piano particolareggiato o ad una lottizzazione convenzionata, la Corte torinese ha avuto modo di chiarire che le misure idonee ad assicurare l’azione coordinata per garantire la progressiva attuazione degli interventi e la complessiva trasformazione dell’ambito 2, nel caso in esame, non esistevano proprio, perche’ in relazione al sub-. ambito 2, la Convenzione Programma, non poteva che limitarsi a prendere atto che la trasformazione non era prevedibile, ne’ che avvenisse, ne’ quando, perche’ l’area era attualmente occupata da residenza ed attivita’ artigianali.
1.3.- Correttamente, infine, la Corte torinese ha escluso anche che, nel caso in esame, sussistessero le condizioni perche’ il Comune potesse esercitare i poteri che gli venivano attribuiti dall’articolo 46 della Legge Regionale n. 56 del 1977, e, cioe’ intervenire per assicurare la completa trasformazione dell’ambito territoriale di cui si dice, nella sua interezza, e/o del sub-ambito 2. atteso che a monte mancavano gli strumenti urbanistici per l’attuazione dei quali il Comune avrebbe dovuto procedere alla delimitazione dei comparti costituenti unita’ di intervento.
2.- Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione di legge (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4) con riferimento al disposto degli articoli 342 e 346 c.p.c..
Avrebbe errato la Corte torinese, secondo i ricorrenti, nell’aver dichiarato inammissibile l’appello incidentale da essi proposto avverso la sentenza del Tribunale di Torino, laddove disapplicava la norma di cui all’articolo 2 punto 25 della NUEA del Piano regolatore della Citta’, che limitava la prescrizione della distanza minima di mt. 10 all’ipotesi in cui gli edifici si fronteggiavano per uno sviluppo superiore a mt. 12, perche’ formulato, riproponendo gli argomenti gia’ esposti in primo grado e senza un’autonoma critica delle argomentazioni dedotte in contrario dal Tribunale di Torino, atteso che, essendo l’appello un gravame rinnovatorio, puo’ consistere nella riproposizione delle domande formulate in primo grado.
2.1- Il motivo e’ infondato.
Corretta e’ la decisione della Corte di Appello di Torino laddove ha dichiarato inammissibile l’appello incidentale che si limitava a ripetere quanto sostenuto in primo grado trascurando di considerare la motivazione contenuta nella sentenza impugnata atteso che l’articolo 342 cod. proc. civ. al fine di individuare l’oggetto della domanda d’appello e stabilire l’ambito entro il quale deve essere effettuato il riesame della sentenza impugnata u’ impone all’appellante di individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le censure in concreto mosse alla motivazione della sentenza di primo grado, accompagnandole con argomentazioni che confutino e contrastino le ragioni addotte dal primo giudice, cosi’ da incrinarne il fondamento logico – giuridico.
2.1.a).- Come hanno precisato le Sezioni Unite di questa Corte: ai fini della specificita’ dei motivi richiesta dall’articolo 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno dell’appello, possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purche’ cio’ determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (Cass. SSUU. n. 28057 del 25/11/2008 e ribadita da Cass. n. 25218 del 29/11/2011).
3.- Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione di legge articolo 360 c.p.c., n. 3) con riferimento al disposto del Decreto Ministeriale dei Lavori pubblico 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, in relazione al disposto dell’articolo 2 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Regolatore Generale del Comune di Torino. Secondo i ricorrenti, ove fosse accolto il secondo motivo, questa Corte potrebbe decidere direttamente in ordine all’applicazione della normativa di cui all’articolo 2 del Piano Regolatore Generale della citta’ di Torino.
3.1.- Il motivo rimane assorbito dal precedente.
In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti condannati in solido al pagamento delle spese giudiziali del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, a favore degli intimati costituiti, che liquida in euro 3.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge.

Redazione