Pubblico impiego e mansioni superiori di fatto (Cons. Stato, n. 4890/2011)

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Massima

Anche nell’ambito del rapporto di pubblico impiego, lo svolgimento di fatto di mansioni superiori comporta, in favore del pubblico dipendente, il diritto alla corresponsione del trattamento retributivo corrispondente alla mansione di livello superiore effettivamente svolta.

 

1. Premessa

La decisione in esame ribadisce che è vero, infatti, che, a norma dell’art. 56 co. 6 d.l.vo 3.2.1993, nel testo sostituito dall’art. 25 d.lgs. 31.3.1998 n. 80, poi modificato dall’art. 15 d.l.vo 29.10.1998 n. 387 e corrispondente ora all’art. 52 co. 5 d.l.vo 30.3.2001 n. 165, in caso di assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore al di fuori delle ipotesi consentite dalla legge, l’assegnazione è nulla, “ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore”, e ciò senza sbarramenti temporali, in applicazione del principio di retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 (1).

Inoltre, a norma dell’art. 52 co. 3 d.l.vo 165/01, “si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l’attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri dì dette mansioni”.

La giurisprudenza di legittimità ha conseguentemente affermato che “nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato, il conferimento di mansioni dirigenziali a un funzionario è illegittimo, ma, ove tali mansioni vengano di fatto svolte con le caratteristiche richieste dalla legge, ovvero con l’attribuzione in modo prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di tali mansioni, il lavoratore ha comunque diritto al corrispondente trattamento economico (nella specie, la suprema corte ha confermato la sentenza di merito, che aveva rigettato la domanda volta al riconoscimento del proprio diritto a differenze retributive proposta da un funzionario pubblico destinatario dell’incarico di direttore reggente dell’ufficio, in quanto questi avrebbe dovuto provare non solo di aver svolto dette funzioni, ma anche i dati relativi all’impegno, in termini qualitativi e quantitativi, che la mansione superiore aveva in concreto comportato) (2).

 

2. Mansioni superiori e d.lgs. 387/1998

La nozione di “mansione” nel settore del pubblico impiego assume aspetti di peculiarità e non si identifica nel mero collegamento materiale di taluni compiti espletati dal dipendente a quelli di una diversa o superiore qualifica, ma presuppone il concorso di qualità professionali e di livello culturale da vagliarsi preventivamente in base ai giudizi idoneativi previsti dalle norme di settore, i quali soli garantiscono l’effettiva corrispondenza della professionalità richiesta – cui corrisponde un determinato livello di trattamento economico – agli scopi che l’Amministrazione intende perseguire avvalendosi di una determinata prestazione lavorativa

L’irrilevanza delle mansioni rese in fatto dal pubblico dipendente a costituire il diritto alla retribuzione della corrispondente qualifica ha, inoltre, trovato conferma nella decisione dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 24.03.2006, che solo a partire dall’entrata in vigore dell’ art. 15 del d.lgs. n. 387/1998 ha riconosciuto, in base al carattere innovativo e non interpretativo della norma, la possibilità di riconoscere un più elevato trattamento economico per il periodo di effettiva prestazione di mansioni superiori.

Infatti, va precisato che il diritto ad una retribuzione superiore non può fondarsi:

a)     sull’art. 2041 cod. civ.: come affermato in giurisprudenza il diritto del pubblico dipendente al trattamento corrispondente a quello di una qualifica superiore per lo svolgimento delle relative funzioni (o mansioni) non può fondarsi sull’ingiustificato arricchimento dell’ Amministrazione, atteso che l’esercizio di tali funzioni o mansioni, svolto durante l’ordinaria prestazione lavorativa, non crea alcuna effettiva diminuzione patrimoniale in danno del dipendente. Non è configurabile, pertanto, il c.d. depauperamento che costituisce requisito essenziale dell’azione esperibile ai sensi dell’art. 2041 cod. civ. è (3);

b)     l’art. 2126, primo comma, cod. civ.: tale disposizione, oltre a non dare rilievo alle mansioni svolte in difformità del titolo (4), riguarda un fenomeno del tutto diverso (e cioè lo svolgimento di attività lavorativa da parte di chi non è qualificabile pubblico dipendente) ed afferma il principio della retribuibilità del lavoro prestato sulla base di un atto nullo o annullato. Pertanto essa non incide in alcun modo sui principi concernenti la portata dei provvedimenti che individuano il trattamento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici e non consente di disapplicare gli atti di nomina o di inquadramento, emanati in conformità alle leggi ed ai regolamenti (5).

 

Rocchina Staiano
Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato, Componente, dal 1 ° novembre 2009 ad oggi, della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù

 

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(1) Così: Cass. civ., Sez. Un., 11.12.2007, n. 25837; Cass. civ., 14.6.2007, n. 13877 e Cass. civ., 17.4.2007, n. 9130.
(2) Cfr. Cass. civ., 12.4.2006, n. 8529.
(3) Cfr. Cons. St., Sez. IV, 06.04.2004, n. 1831; Cons. Stato, sez. VI, 31.03.2004, n. 1727; Cons. Stato, sez. V, 18.3.2002, n. 1552.
(4) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27.3.2003, n. 1595; Cons. Stato, Sez. V, 24.3.1998, n. 354.
(5) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 24.1.2003, n. 329; Cons. Stato, Sez. V, 17.5.1997, n. 515.

Sentenza collegata

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