Pubblicità sanitaria – Decreto Bersani – Società di capitali – Applicabilità (Cass. n. 3717/2012)

Redazione 09/03/12
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Svolgimento del processo

 

1. L’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di La Spezia irrogava la sanzione, di sei mesi di sospensione dalla professione, al Dott. P.G.D., nella qualità di direttore sanitario di due cliniche odontoiatriche, facenti parte del network internazionale “**********”, denominate ************ srl e ****************. Veniva riconosciuta la violazione del codice deontologico (del dicembre 2006): per non aver comunicato all’Ordine l’incarico di direttore sanitario (art. 69); per la mancanza di trasparenza e veridicità della pubblicità effettuata dalle società, mediante la distribuzione di volantini, contenenti la seguente dicitura “Prima visita, diagnosi, radiografia e preventivo gratuiti” e l’indicazione di “estetica” tra le prestazioni offerte (artt. 55 e 56).

 

2. La Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, adita dal medico, riduceva la sanzione a mesi cinque (decisione del 30 luglio 2010).

 

3. Avverso la suddetta sentenza, il ******** propone ricorso per cassazione con unico motivo, illustrato da memoria.

 

L’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di La Spezia si difende con controricorso, illustrato da memoria.

 

Il Procuratore della Repubblica di La Spezia e il Ministero della salute, cui il ricorso è stato notificato, non si difendono.

 

 

Motivi della decisione

 

1. Preliminarmente, deve rilevarsi che è priva di fondamento l’eccezione dell’Ordine dei medici di La Spezia, concernente la mancata indicazione delle parti processuali nel ricorso, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 1, con conseguente richiesta di inammissibilità, sollevata sulla base dell’interpretazione di tale articolo da parte della giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. 7 settembre 2009, n. 19286).

 

1.1. Ritiene il Collegio che la circostanza che nell’intestazione e nel corpo del ricorso non risultino individuati gli intimati non rileva se, come nella specie, non sussiste alcuna incertezza in ordine agli stessi.

 

Infatti, il ricorso per cassazione avverso la decisione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, promosso dal sanitario incolpato, ha come contraddittori necessari, ai sensi del D.P.R. 5 maggio 1950, n. 221, art. 68, gli stessi contraddittori del procedimento instaurato davanti a detta Commissione: il Consiglio provinciale dell’ordine dei medici, il Procuratore della Repubblica ed il Ministro della salute, (Cass. 27 maggio 2011, n. 11755). Conseguentemente, nessuna incertezza sulla individuazione degli intimati può sussistere quando, come nella specie, il ricorrente ha richiesto la notifica del ricorso (poi effettivamente notificato) ai suddetti contraddittori.

 

2. La decisione impugnata si fonda sulle argomentazioni che seguono.

 

– I motivi di ricorso che attengono alla “correttezza” del messaggio pubblicitario sono infondati poichè il D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, in L. 4 agosto 2006, n. 248, che ha regolato la pubblicità sanitaria in modo diverso dalla L. 5 febbraio 1992, n. 175, non si applica alle società di capitali, che restano soggette alla vecchia disciplina. Risulta accertato, pertanto, che la società ha effettuato la pubblicità in violazione di un divieto di legge (quella del 1992 ndr).

 

– Sono infondati i motivi che attengono ai vizi del procedimento amministrativo.

 

– Non avendo l’incolpato svolto un ruolo di primo piano nella realizzazione del messaggio pubblicitario, ma, comunque, gravando sul direttore sanitario l’onere di garantire la deontologia professionale (art. 69 cod. deontologico), si riduce la sanzione.

 

3. Con l’unico motivo di ricorso, si deduce violazione e falsa applicazione di legge, laddove la decisione impugnata ritiene che, in riferimento alla pubblicità sanitaria, la cosiddetta Legge Bersani del 2006 non si applica alle società di capitali, e che per tali società vale la precedente disciplina, prevista dalla L. n. 175 del 1992; ravvisando, conseguentemente, la violazione del divieto di pubblicità da parte delle società, di cui il P. era direttore sanitario.

 

3. Il ricorso va accolto.

 

La questione all’attenzione della Corte è se la previsione abrogativa generale contenuta nella L. n. 248 del 2006, art. 2, lett. b, nella quale è sicuramente compresa l’abrogazione delle norme in materia di pubblicità sanitaria, di cui alla L. n. 175 del 1992, rilevante nella specie, sia o meno riferibile alle società di capitali, nelle quali i professionisti svolgano la professione, anche quali direttori sanitari (come nella specie).

 

Poichè la decisione impugnata ha ritenuto non riferibile l’abrogazione della disciplina del 1992 alle società di capitali e ha ritenuto persistente l’applicabilità alle stesse della vecchia disciplina abrogata, rinvenendo la violazione nel (pacifico) mancato rispetto di quest’ultima, per tate ragione non valutando la trasparenza e la veridicità di pubblicità vietata in radice, perchè non autorizzata, non manca di decisività il ricorso che pone la suddetta questione, al contrario di quanto sostiene l’Ordine contro ricorrente.

 

Va preliminarmente chiarito che è estraneo alla controversia il tema dell’esercizio della professione in forma societaria (regolato in generale dalla L. n. 248 del 2006, stesso art. 2, lett. c)), trattandosi di direttore sanitario di cliniche di proprietà di società di capitali, tenuto, ai sensi del codice deontologico (art. 69) a vigilare sulla correttezza del materiale informativo pubblicitario attinente alla organizzazione e alle prestazioni erogate dalla struttura.

 

Il Collegio reputa che al quesito debba darsi risposta affermativa.

 

3.1. La L. del 1992 (e successive modificazioni, sino alla novella con L. 3 maggio 2004, n. 112) regolamentava rigidamente la pubblicità sanitaria, disciplinandone mezzi (targhe e inserzioni, anche mediante i nuovi strumenti di comunicazione) e contenuti (solo individuazione del professionista o del direttore sanitario responsabile; titoli di studio, anche specialistici; onorificenze, artt. 1 e 4). Subordinava le uniche forme di pubblicità consentite ad autorizzazioni, del Sindaco (art. 2) o della Regione, previo nulla osta degli Ordini (art. 5, nel caso di strutture sanitarie, quali case di cura…ecc.). Prevedeva sanzioni disciplinari in caso di violazione (artt. 3 e 5). In definitiva, vietava qualunque forma di pubblicità al di fuori dei mezzi e dei contenuti espressamente previsti e, nell’ambito dei mezzi e dei contenuti espressamente previsti, consentiva la pubblicità solo se espressamente autorizzata, secondo la procedura pure regolamentata.

 

3.2. Il cosiddetto decreto Bersani del 2006 – emanato mentre erano in corso i lavori preparatori della direttiva 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, anticipandone i principi ispiratori – ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, per le attività libero-professionali, “il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonchè il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni” (art. 2 lett. b); ha attribuito agli Ordini professionali il compito della verifica del rispetto della trasparenza e veridicità del messaggio pubblicitario (lett. b), ultima parte); ha disposto l’adeguamento delle disposizioni deontologiche entro una data individuata (1 gennaio 2007), prevedendo la nullità di quelle in contrasto a partire dalla stessa data (art. 2, comma 3). La finalità della suddetta disposizione di: fornire strumenti “per garantire il rispetto degli artt. 43, 49, 81, 82 e 86 del Trattato istitutivo della Comunità Europea ed assicurare l’osservanza delle raccomandazioni e dei pareri della Commissione Europea, dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato…” (art. 1);

 

disporre in conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libera circolazione delle persone e dei servizi, nonchè al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato (art. 2, primo alinea), risulta chiaramente dallo stesso decreto.

 

3.2.1. Tale intervento normativo si coordina, andando a comporre un sistema organico, con altri due successivi e contemporanei interventi legislativi, sempre attuativi del diritto comunitario, che hanno introdotto una nuova disciplina in tema di pubblicità ingannevole (D.Lgs. 2 agosto 2007, n. 145) e di pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno (D.Lgs. 2 agosto 2007, n. 146), affidando all’Autorità garante della concorrenza e del mercato il potere di avviare procedimenti ispettivi, anche su segnalazione di professionisti e consumatori, non esclusi gli Ordini professionali, e di adottare i conseguenti provvedimenti inibitori e sanzionatori.

 

3.2.2. Nel dare attuazione alla direttiva del 2006 cit., intervenendo nuovamente in tema di pubblicità per le attività libero – professionali – questa volta con alcune esclusioni art. 2, che, però, non comprendono le professioni sanitarie – il legislatore, con il D.Lgs. 36 marzo 2010, n. 59, ha espressamente fatto salva (art. 34) la disciplina introdotta dal cosiddetto decreto Bersani, aggiungendo che “limitazioni al libero impiego delle comunicazioni commerciali…devono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale nel rispetto dei principi di non discriminazione e proporzionalità”. 3.3. La stretta derivazione comunitaria del cosiddetto decreto Bersani, confermata da interventi legislativi nella stessa direzione, volti a garantire la libertà di concorrenza, secondo condizioni di pari opportunità, e il corretto e uniforme funzionamento del mercato; il suo inserimento in un sistema organico, nel quale l’abrogazione delle norme restrittive della pubblicità e l’affidamento agli Ordini professionali del controllo, della libera pubblicità, ai fini disciplinari, sotto il profilo della trasparenza e veridicità (cfr., rispetto agli avvocati, Sez. Un. 18 novembre 2010, n. 23287, in motivazione), si coniuga con i poteri inibitori e sanzionatori attribuiti all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, attivabili anche dal professionista e dal consumatore, non esclusi gli ordini professionali; la mancanza nelle disposizioni legislative di qualunque distinguo in ordine ai soggetti che tale pubblicità effettuano; l’evidente irragionevolezza di sottrarre alla nuova disciplina la pubblicità posta in essere da soggetti diversi dal singolo professionista e cioè proprio quei soggetti (sia che si tratti dell’esercizio della professione in forma societaria, quando e nelle forme consentite, che dell’esercizio della attività professionale all’interno dell’organizzazione di un’impresa di servizi sanitari, nella forma di società di capitali) che più dei singoli professionisti ricorrono a forme di pubblicità; tutte queste ragioni impediscono di ritenere che l’abrogazione – di cui nessuno dubita – della L. del 1992, disposta dal cosiddetto decreto Bersani, abbia portata limitata e, in particolare, rispetto alla fattispecie, non si riferisca alle società di capitali.

 

3.3.1. In questa direzione si è espressa la giurisprudenza amministrativa (Tar Emilia Romagna, sez. 2^, sent. 12 gennaio 2010, n. 16, rispetto all’esclusione dei poteri inibitori in capo agli Ordini professionali). Nè le conclusioni raggiunte sono messe in discussione da una diversa interpretazione fornita dal Ministero della salute (con una nota del 30 aprile 2008), non essendo alla stessa attribuibile alcuna efficacia vincolante. Nè l’interpretazione adottata contrasta con la sentenza della Corte (Cass. 18 aprile 2006, n. 8958), richiamata dal controricorrente, che non ravvisa il contrasto con i principi comunitari della legge del 1992, essendo relativa a fattispecie in cui non era applicabile il cosiddetto decreto Bersani e il cui contesto normativo comunitario era diverso da quello che la legislazione del 2006 e quella successiva hanno attuato (cfr. motivazione).

 

3.4. In conclusione, il ricorso è accolto in applicazione del seguente principio di diritto: “L’abrogazione generale contenuta nella L. n. 248 del 2006, art. 2, lett. b, nella quale è sicuramente compresa l’abrogazione delle norme in materia di pubblicità sanitaria, di cui alla L. n. 175 del 1992, prescinde dalla natura (individuale, associativa, societaria) dei soggetti rispetto ai quali rileva l’esercizio della professione sanitaria, atteso che la stessa è attuativa dei principi comunitari volti a garantire la libertà di concorrenza e il corretto funzionamento del mercato e sarebbe illegittimo, oltre che irragionevole, limitarne la portata all’esercizio della professione in forma individuale, fermo restando che, all’interno del nuovo sistema normativo, nel quale la pubblicità non è soggetta a forme di preventiva autorizzazione, gli Ordini professionali hanno il potere di verifica, al fine dell’applicazione delle sanzioni disciplinari, della trasparenza e della veridicità dei messaggio pubblicitario”. Conseguentemente, la decisione impugnata è cassata e la Commissione centrale, in applicazione del suddetto principio di diritto, dovrà giudicare se la pubblicità, posta in essere dalle due società, delle quali il ******** era direttore sanitario, fosse o meno conforme a veridicità e correttezza sulla base del codice deontologico.

 

4. In ragione della novità della questione di diritto trattata, sussistono giusti motivi per la integrale compensazione delle spese processuali del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

LA CORTE DI CASSAZIONE accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnata e rinvia alla Commissione Centrale per gli esercenti le professioni sanitarie;

 

compensa integralmente le spese processuali del giudizio di cassazione.

Redazione