Promette in vendita l’appartamento di cui l’acquirente già dispone, poi lo rivuole e per ripicca stacca le forniture idriche e elettriche. E’ spoglio violento (Cass. n. 15626/2012)

Redazione 18/09/12
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Svolgimento del processo

Con ricorso in data 12 agosto 1999, P.A. , assumendo di essere in possesso dell’appartamento sito in (omissis), in forza di contratto preliminare di vendita stipulato con la V. s.r.l., agiva in giudizio per la reintegrazione del possesso di cui asseriva aver subito lo spoglio ad opera della promissaria venditrice.
Quest’ultima, sosteneva il ricorrente, avendo richiesto inutilmente la restituzione del bene per un suo asserito inadempimento, aveva proceduto arbitrariamente e violentemente a privarlo di tale possesso mediante distaccamento della rete elettrica e recisione delle tubature idriche centrali.
Notificato il ricorso, la V. s.r.l. non si costituiva.
Con ordinanza del 3 settembre 1999 il giudice istruttore, sulla base di una sommaria cognizione, valutata la sussistenza dello spossessamento – ritenuto concretato anche da un atto idoneo a diminuire o a rendere meno comodo l’esercizio del possesso – e riconosciuta l’urgenza, disponeva in via cautelare la reintegrazione del P. nel possesso dell’immobile in questione.
All’atto dell’instaurazione del giudizio di merito il P., oltre alla reintegrazione, chiedeva il risarcimento dei danni patrimoniali e biologici subiti in conseguenza del comportamento di controparte, la quale nelle more del giudizio aveva perseverato in comportamenti intimidatori procedendo ad impedire la fruizione del servizio fognario.
Costituitasi, la V. s.r.l. eccepiva in via pregiudiziale l’incompetenza del giudice adito e la nullità del procedimento per difetto di notificazione del ricorso introduttivo e, nel merito, rilevava che gli allacciamenti ai servizi erano solo provvisorie utenze di cantiere delle quali, pertanto, il P. non aveva il possesso.
Ritenute infondate le eccezioni pregiudiziali, il Tribunale di Tempio Pausania, con sentenza del 4 febbraio 2003, rigettava la domanda di reintegrazione ritenendo non configurabile un possesso di acqua ed energia elettrica in capo all’attore, non avendo questi stipulato alcun contratto di somministrazione. Reputava altresì mancante ogni prova in ordine alla lamentata interruzione del servizio fognario.
Avverso tale sentenza P.A. proponeva appello dinnanzi alla Corte di Cagliari, Sez. Distaccata di Sassari, rilevando, in particolare, che il Tribunale era incorso nell’errore logico-giuridico di confondere la parte col tutto, confondendo l’azione per la reintegrazione nel possesso dell’appartamento con quella per la reintegrazione nel possesso delle forniture elettriche, fognarie ed idriche.
La società appellata si costituiva chiedendo il rigetto del gravame e proponendo appello incidentale dolendosi della compensazione delle spese processuali.
Con sentenza depositata il 16 marzo 2005, la Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, rigettava tanto il gravame principale quanto quello incidentale.
In riferimento al primo la Corte reputava non ravvisabile il lamentato travisamento della domanda, con conseguente errore di giudizio, dovendosi comunque accertare se effettivamente la condotta della società appellata potesse inquadrarsi come spoglio violento e clandestino. In proposito, la Corte d’appello, richiamando un orientamento della giurisprudenza di legittimità, sottolineava come il possesso di energia fosse tutelabile solo nell’ipotesi in cui l’atto di interruzione dell’erogazione fosse effettuato nella parte dell’impianto sita nel luogo o nella cosa posseduti dall’utente o comunque nell’orbita del suo potere dispositivo.
Argomentando ulteriormente con riferimento a più recenti indirizzi giurisprudenziali, la Corte d’appello rilevava poi che, pur potendosi in astratto riconoscere il possesso dell’acqua e dell’energia elettrica, doveva, tuttavia, rilevarsi che il detto possesso presentava tratti peculiari, tali da renderlo insuscettibile di tutela ex art. 1168 cod. civ., essendo impossibile ravvisare lo spoglio.
Osservava in particolare la Corte territoriale che non poteva aversi né lo spoglio dell’energia (o dell’acqua) già erogata, perché già consumata o accumulata, né lo spoglio di quella eroganda, perché appunto, non ancora oggetto di possesso.
In riferimento all’appello incidentale, concernente la compensazione delle spese processuali, la Corte d’appello rilevava che dall’esito del parallelo procedimento penale promosso dal sig. P. contro la società ********* erano emersi elementi indiziari gravi, precisi e concordanti circa la responsabilità di quest’ultima in ordine al distacco delle utenze idrica, elettrica e fognaria, sicché doveva ritenersi giustificata la compensazione delle spese.
Per la cassazione di questa decisione P.A. ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi; ha resistito, con controricorso, la società *********
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Motivi della decisione

1. Deve preliminarmente rilevarsi che le deduzioni svolte nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. di parte resistente si riferiscono a causa diversa da quella oggetto del presente giudizio, come si desume agevolmente dal fatto che nella memoria viene eccepita la inammissibilità dell’atto di costituzione di nuovo difensore; dal fatto che l’atto risulta predisposto per un giudizio del quale è parte anche la P.T. *********, del tutto estranea al presente giudizio; dal fatto che si chiede conclusivamente la dichiarazione di inammissibilità del ricorso proposto contro la sentenza resa tra le parti dalla Corte d’appello di Torino in data 5 novembre 2005 – 26 luglio 2006.
1.1. Sempre in via preliminare, deve rilevarsi che la sentenza impugnata, essendo stata depositata il 16 marzo 2005, non è assoggettata alla disciplina di cui al d.lgs. n. 40 del 2006.
2. Il ricorso si articola in quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge in relazione al combinato disposto degli agli artt.1140 e 1168 cod. civ. In particolare, il ricorrente censura la decisione impugnata per non avere la Corte d’appello ritenuto che la fruizione dei servizi idrico ed elettrico costituisse, per il possessore di una civile abitazione, un’attività estrinsecante esercizio ordinario del possesso ex art. 1140 cod. civ., legittimante l’esperimento dell’azione ex. art. 1168 cod. civ.
2.2. Ulteriormente ribadendo la tesi espressa nel primo motivo, per cui la privazione dell’utilizzo dei servizi idroelettrici costituisce attività atta ad inibire l’esercizio del possesso di un’abitazione, il ricorrente, nel secondo motivo, lamenta il mancato rilievo, da parte del giudice d’appello, del collegamento sussistente tra la norma di cui all’art. 832 cod. civ., per la quale il diritto di proprietà importa la facoltà di godere e disporre delle cose in modo pieno, e quella esprimente la nozione di possesso, qualificato, appunto, come il potere sulla cosa manifestantesi in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà. Si duole, pertanto, della violazione del combinato disposto di cui agli artt. 832 e 1140 cod. civ.
2.3. Con il terzo motivo il P. si duole dell’erroneità della decisione impugnata, rilevando un sovvertimento della problematica giuridica connessa alla domanda per avere la Corte d’appello confuso il problema del possesso dei beni, quali l’acqua e l’energia elettrica – in relazione al quale la Corte ha ritenuto inesperibile il mezzo di tutela di cui all’art. 1168 cod. civ. per la peculiare natura dei beni in questione – con quello, ben diverso, concernente il possesso dell’abitazione rispetto al quale l’utilizzo di risorse idriche ed elettriche costituiva attività strumentale.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia l’errata valutazione delle prove e la sostanziale contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, la quale, esaminando l’appello principale, ha escluso la esperibilità dell’azione possessoria, e, dall’altro, esaminando l’appello incidentale, ha invece accertato una condotta della società resistente integrante spoglio.
3. Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, è fondato.
3.1. Occorre premettere che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori. Pertanto la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem, salvo la dimostrazione di un’intervenuta interversio possessionis nei modi previsti dall’art. 1141 cod. civ.” (Cass., S.U., n. 7930 del 2008; Cass. n. 9896 del 2010).
Occorre altresì rilevare che il detentore qualificato, ai sensi dell’art. 1168, secondo comma, cod. civ., ha titolo per esperire l’azione di reintegrazione (Cass. n. 6221 del 2002; Cass. n. 2028 del 1997).
Ne consegue che nessun dubbio sussiste, nel caso di specie, in ordine alla legittimazione del ricorrente, quale promissario acquirente immesso nella detenzione del bene immobile, alla proposizione dell’azione di reintegrazione nei confronti del promittente venditore di quel bene.
3.2. Con la domanda di reintegrazione introduttiva del presente giudizio possessorio, secondo quanto si desume dalla sentenza impugnata, l’odierno ricorrente ha rappresentato che la società V. s.r.l., promittente venditrice dell’immobile del quale egli era promissario acquirente immesso nel possesso, lo aveva violentemente privato della possibilità di utilizzare l’immobile oggetto del preliminare secondo la sua ordinaria destinazione di civile abitazione, avendo interrotto la erogazione della fornitura di energia elettrica e di acqua, oltre che reso inutilizzabili le fognature.
La domanda è stata accolta nella prima fase del procedimento possessorio, con conseguente reintegrazione del ricorrente nel possesso della unità abitativa oggetto del preliminare, mediante ripristino dei servizi di erogazione di acqua, energia elettrica e fognatura.
All’esito del giudizio di merito il Tribunale ha ritenuto non configurabile il possesso di acqua e luce in capo al ricorrente e ha ritenuto sfornita di prova la dedotta interruzione del servizio fognario.
La Corte d’appello ha sostanzialmente confermato la statuizione del Tribunale, osservando che la circostanza che la doglianza ultima del ricorrente fosse relativa alla intera unità abitativa non spostava certo i termini del problema quali individuati dal Tribunale, occorrendo pur sempre valutare se la condotta posta in essere da V. s.r.l., come prospettata dall’interessato e provata in causa, potesse o meno essere inquadrata come spoglio violento o clandestino. E, all’esito di tale valutazione, la Corte d’appello, da un lato, ha ritenuto che l’unica condotta da valutare fosse quella relativa alla interruzione della fornitura idrica ed elettrica, e, dall’altro, ha escluso la configurabilità del possesso delle utenze idrica ed elettrica.
Invero, la Corte territoriale ha fatto applicazione del principio secondo cui “l’utente di energia elettrica che abbia subito l’indebita interruzione dell’erogazione mediante distacco dei fili conduttori o altra operazione materiale ad opera dell’ente somministrante, può soltanto esercitare l’azione contrattuale di inadempimento, ma non invocare la tutela possessoria ex art. 1168 cod. civ., in quanto pur definendo l’art. 814 cod. civ. le energie come beni mobili, non è concretamente configurabile una situazione di autonomo possesso dell’utente sull’energia elettrica fornitagli in base a contratto di somministrazione, neppure per la quantità di energia presente nel circuito privato dell’utente stesso, atteso che l’interruzione in corso di prelievo di energia con fonti di illuminazione attive (o apparecchiature elettriche di accumulo funzionanti) non comporta spoglio di energia, essendo questa di già consumata (o accumulata), né di quella eroganda, che non è ancora oggetto di possesso attuale, mentre prima dell’apprensione non vi è autonomo possesso dell’utente ma soltanto potenziale disponibilità, realizzabile mediante la concreta utilizzazione solo con la persistente collaborazione dell’ente fornitore” (Cass. n. 9312 del 1993; Cass. n. 24182 del 2004).
3.3. Appare del tutto evidente la erroneità della sentenza impugnata, stante la non utilizzabilità delle argomentazioni svolte nelle citate pronunce per escludere la esperibilità dell’azione di reintegrazione nei confronti dell’ente erogatore dell’energia elettrica in una fattispecie in cui ciò che viene in discussione non è né la erogazione dell’energia elettrica, né quella dell’acqua in quanto tali, da parte degli enti erogatori del servizio, ma la incidenza della sospensione della erogazione di energia e acqua in una casa di civile abitazione, non da parte dell’ente erogatore, ma da parte di un terzo (nella specie, da parte della promittente venditrice).
In sostanza, è del tutto mancato l’esame, da parte della Corte d’appello, della incidenza della interruzione della erogazione dell’acqua e dell’energia elettrica da parte, non dell’ente fornitore, ma di un terzo, sul possesso della abitazione a servizio della quale quelle utenze erano state attivate.
È noto, del resto, che gli impianti volti a dotare un’abitazione di acqua ed energia elettrica sono indispensabili ai fini di una reale abitabilità dell’appartamento, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene (in tal senso, in ambito condominiale, v. Cass. n. 7752 del 1995; Cass. n. 6885 del 1991; Cass. n. 11695 del 1990).
Orbene, la Corte d’appello ha fatto applicazione, in un rapporto intercorso tra il promittente venditore e il promissario acquirente immesso nella detenzione del bene oggetto del preliminare, di principi validi nei rapporti tra ente somministratore dell’energia elettrica (o dell’acqua) e fruitore per contratto della detta somministrazione. Ha del tutto omesso, però, di verificare se la sospensione della erogazione delle forniture, per effetto di un comportamento della promittente venditrice, avesse idoneità ad incidere sulla detenzione qualificata dell’immobile in capo al promissario acquirente.
3.4. Tale erronea applicazione di principi affermati da questa Corte concorre poi con la contraddittorietà della motivazione, puntualmente denunciata dal ricorrente nel quarto motivo di ricorso.
Nell’esaminare l’appello incidentale della V. s.r.l., infatti, la Corte d’appello, da un lato, ha dato atto della esistenza in atti di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti circa la responsabilità di V. s.r.l. in ordine al distacco delle utenze idrica, elettrica e fognaria, nonché della correlazione esistente tra la detta condotta e la intenzione della medesima società di ottenere il rilascio dell’immobile oggetto del preliminare; dall’altro, ha invece escluso la tutelabilità in via possessoria delle dette utenze, senza tuttavia cogliere la correlazione esistente tra la condotta della promittente venditrice e il conseguimento dell’obbiettivo da questa prefissosi di ottenere il rilascio dell’immobile, senza cioè esaminare la effettiva incidenza della condotta contestata sul possesso dell’immobile.
4. La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio, per nuovo esame, alla Corte d’appello di Cagliari, alla quale è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Cagliari.

Redazione