Professionisti tassati come se fossero imprese (Cass. n. 13509/2013)

Redazione 29/05/13
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte, ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore cons. *******************, letti gli atti depositati.

Osserva:

La CTC – sezione regionale di Bologna ha respinto il ricorso di T.R. ed altri – ricorso proposto contro la sentenza n. 118/01/1988 della CT di secondo grado di Forlì che aveva riformato la decisione della locale Commissione di primo grado che aveva accolto il ricorso dei contribuenti – ed ha così confermato l’avviso di accertamento relativo ad IRPEF per l’anno 1975 con cui era stato rettificato il reddito di T.C. (di cui i ricorrenti erano eredi) sulla premessa che il reddito da quello prodotto fosse reddito di impresa e non di lavoro autonomo.

La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso di ritenere che l’organizzazione e l’utilizzo di beni strumentali di ampie dimensioni aveva snaturato l’attività svolta dal contribuente (caratterizzata dall’assunzione di dati, dalla loro elaborazione e dalla redazione ed illustrazione di carte topografìche) in modo tale che l’organizzazione di beni e di persone non poteva che “ampiamente supportare il lavoro del geometra e costituire certamente la preminenza sul lavoro intellettuale” …. “la professione di geometra era al servizio della ponderosa organizzazione che, complessa com’era la struttura imprenditoriale, poteva benissimo agire in modo indipendente e fuori dalla stragrande maggioranza dei casi dal controllo tecnico del geometra”.

La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

L’Agenzia si è difesa con controricorso.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Con il primo motivo di ricorso (improntato alla nullità della sentenza per omessa pronuncia sul primo motivo di ricorso concernente la nullità della sentenza di appello per omessa esposizione del fatto processuale) la parte ricorrente si duole della omessa pronuncia su una “quaerela nullitatis” che – siccome proposta avanti al giudice del merito (che non avrebbe potere di rimessione al giudice del precedente grado neanche ove ne riscontrasse la fondatezza)- si converte in motivo di censura, sicchè il giudice del merito adito nel grado precedente a questo, ha già da sè ovviato all’asserito difetto della pronuncia di secondo grado assolvendo al dovere di dare conto dei fatti processuali e degli antefatti.

Il motivo appare perciò inammissibilmente proposto.

Con il secondo motivo (improntato alla nullità della sentenza per omessa pronuncia) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito non abbia riscontrato la riproposizione nel terzo grado di giudizio della censura di nullità dell’atto di appello per essere stato quest’ultimo notificato in copia unica ai quattro ricorrenti.

La censura appare inammissibile.

Pronunciandosi sul merito della questione controversa la CTC ha implicitamente disatteso la censura preliminare di rito proposta dalla parte allora ricorrente e ciò in conformità ai principi tante volte espressi nelle pronunce di legittimità: “Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, il che non si verifica quando la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti il rigetto di tale pretesa anche se manchi in proposito una specifica argomentazione” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4972 del 01/04/2003; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4317 del 06/04/2000; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10813 del 29/09/1999).

L’implicito rigetto avrebbe quindi imposto che la parte oggi ricorrente riproponesse avanti alla Corte le questioni oggetto della censura e, non avendolo fatto, altro non resta che dichiarare inammissibile il motivo.

D’altronde, non guasta evidenziare che la giurisprudenza della Corte ha considerato nulla la notifica unica effettuata nei confronti di plurimi contraddittori, con conseguente sanatoria del vizio in ipotesi di loro tempestiva costituzione (in termini Cass. 21079/2005).

Con il terzo motivo di ricorso (improntato alla violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 51 e 53) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito – senza avvedersi che l’attività espletata dal T. rientrava tra le prestazioni tipiche dell’attività del geometra – ha valorizzato il fatto della prevalenza della struttura organizzativa autonoma rispetto all’opera intellettuale onde qualificare il reddito come reddito di impresa.

Secondo la parte ricorrente, ciò che distingue il professionista dall’imprenditore è il carattere personale delle prestazioni ex art. 2232 c.c.; le caratteristiche e le misure del compenso ex art. 2233; il diverso rischio che grava sull’imprenditore, rispetto al prestatore d’opera intellettuale: atteso che la sussistenza di dette caratteristiche nelle modalità di esercizio della professione da parte del T. non era stata contestata dall’Amministrazione, la CTC non avrebbe potuto qualificare il reddito del T. medesimo come reddito d’impresa. Il motivo di impugnazione è inammissibilmente formulato, siccome tende alla rinnovazione, da parte della Corte, di una valutazione strettamente riservata al giudice del merito, come insegnano i principi della medesima Corte Suprema (per tutte, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 27211 del 20/12/2006): “La nozione tributaristica dell’esercizio di imprese commerciali non coincide con quella civilistica, giacchè il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 51, intende come tale l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, delle attività indicate dall’art. 2195 c.c., anche se non organizzate in forma di impresa, e prescinde quindi dal requisito organizzativo, che costituisce invece elemento qualificante e imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla professionalità abituale, ancorchè non esclusiva. L’accertamento, ai fini delle imposte sui redditi, in ordine alla riconducibilità della cessione di un bene all’esercizio di un’attività di commercio posta in essere nell’esercizio abituale e professionale di un’impresa, valutato in relazione alle concrete modalità ed al contenuto oggettivo e soggettivo dell’atto, costituisce poi un accertamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato”.

Con il quarto motivo di ricorso improntato alla nullità della sentenza per omessa pronuncia) la parte ricorrente si duole che non sia stata dal giudicante in alcun modo riscontrata la censura relativa alla “disapplicazione delle sanzioni pecuniarie comminate con gli opposti avvisi di accertamento per in trasmissibilità agli eredi”.

Il motivo è fondato e deve essere accolto, dovendosi rimettere poi la questione al giudice del merito (da identificarsi con la CTR Emilia Romagna) affinchè torni a pronunciarsi sugli aspetti delle ragioni di gravame su cui ha omesso di soffermarsi, oltre che sulla regolazione delle spese di lite anche di questo grado.

Ed invero, nessun riscontro è stato dato alla censura della parte allora ricorrente in ordine alla trasmissibilità agli eredi delle sanzioni contenute nel provvedimento impositivo.

La pronuncia impugnata merita quindi di essere cassata, in parte qua.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per l’inammissibilità da un canto e per manifesta fondatezza dall’altro.

Roma, 20 novembre 2012.

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto, limitatamente al capo di impugnazione indicato nella relazione;

che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Emilia Romagna che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente grado.

Così deciso in Roma, il 17 aprile 2013.

Redazione