Professionisti e sanzioni disciplinari, per la Cassazione vale il sistema di garanzie offerto dalla L. 241/1990 (Cass. n. 1776/2012)

Redazione 08/02/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La ******à Centro Affari s.u.r.l. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce, resa pubblica il 23 ottobre 2008, con la quale è stato rigettato il reclamo proposto dalla ricorrente avverso la sentenza del Tribunale di Lecce del 4 aprile 2008 che ha dichiarato il fallimento della società stessa, su istanza della Equitalia Lecce s.p.a., concessionario della riscossione per la Provincia di Lecce. La Corte di merito ha ritenuto prive di fondamento le censure della reclamante in ordine: a) alla ritenuta legittimazione di Equitalia Lecce, in base al disposto del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 87 (come modificato dal D.L. n. 138 del 2002), a proporre istanza di fallimento per un credito del quale è titolare la Agenzia delle Entrate; b) alla omessa considerazione della mancanza nella specie di una domanda espressa di accertamento dello stato di insolvenza; c) alla omessa considerazione della preclusione derivante dal giudicato che si sarebbe formato a seguito del rigetto di una precedente istanza di fallimento presentata dal medesimo soggetto nei confronti della reclamante; d) alla insussistenza nella specie del presupposto soggettivo di cui all’art. 1, comma 2, legge fallimentare.

2. Nei cinque motivi di ricorso, la ******à Centro Affari insiste in tali doglianze. Resiste con controricorso Equitalia Lecce s.p.a..

3. Il Collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

4. Il primo motivo di ricorso attiene alla questione sopra indicata alla lettera a) e denuncia la violazione dell’art. 75 c.p.c. nonchè l’erronea applicazione dell’art. 81 c.p.c.: premesso che, a seguito della abrogazione della facoltà del tribunale di dichiarare il fallimento d’ufficio, il procedimento fallimentare è divenuto procedimento civile ordinario a contraddittorio pieno, dovrebbe, in tale mutato contesto, ritenersi inammissibile la presentazione della istanza introduttiva da parte di un soggetto, come Equitalia Lecce, che non sia titolare del credito inadempiuto, stante il principio generale enunciato dall’art. 81 c.p.c., che non potrebbe ritenersi validamente derogato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 87. 4.1 Sotto altro profilo, la ricorrente censura con il secondo motivo la medesima statuizione, denunciando la violazione dell’art. 100 c.p.c.: Equitalia Lecce non è titolare dell’interesse litigioso, ma ad esso lo Stato ha semplicemente assegnato il compito di gestire la riscossione dei suoi crediti, in via spontanea o coattiva, sì che il richiamato art. 87, da interpretarsi nel senso di attribuire al predetto la sola facoltà di richiesta di apertura del procedimento fallimentare non anche il potere di iniziativa processuale, non sarebbe più applicabile nel nuovo processo fallimentare, che non può prescindere da una domanda di accertamento della insolvenza dell’imprenditore.

4.2 Entrambi i motivi – da esaminare congiuntamente stante la loro stretta connessione – sono privi di fondamento. Il D.P.R. n. 138 del 2002, art. 3, che ha sostituito il testo del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 87, statuisce espressamente che il concessionario del servizio di riscossione può, per conto dell’Agenzia delle entrate, presentare il ricorso di cui all’art. 6 della legge fallimentare per poi proporre, se il debitore è dichiarato fallito, l’istanza di insinuazione al passivo del credito dell’Agenzia. La norma, nella sua inequivoca formulazione, fa espresso riferimento alla facoltà di iniziativa processuale che si esprime mediante la presentazione del ricorso di cui all’art. 6 della legge fallimentare e della conseguente istanza di insinuazione al passivo del fallimento, l’una e l’altra funzionali alla riscossione coattiva delegata per legge al concessionario del servizio. La attribuzione a quest’ultimo della legittimazione a compiere, per conto del titolare del credito tributario, tali attività processuali di natura esecutiva (cioè di iniziativa e partecipazione alla espropriazione collettiva) si colloca cioè nell’ambito della riscossione coattiva dei crediti erariali prevista e regolata dal D.P.R. n. 602 del 1973, attività alla quale l’Ente impositore procede per l’appunto a mezzo del concessionario del servizio.

Il D.P.R. n. 602, art. 87 integra dunque uno dei casi che l’art. 81 c.p.c. fa salvi, nei quali è la legge ad attribuire espressamente ad un soggetto, il concessionario del servizio di riscossione, la legittimazione a far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui, cioè il credito erariale: il fatto che egli sia privo della titolarità di tale credito non significa che sia carente dell’interesse richiesto dall’art. 100 c.p.c., giacchè al contrario la cura della riscossione coattiva per conto del titolare – nel cui ambito come detto si situa il potere di iniziativa processuale in questione – costituisce oggetto della sua attività di concessionario del relativo servizio, con i diritti e i doveri che essa comporta. Il rigetto delle doglianze esaminate ne deriva dunque di necessità. 5. Nè può condividersi la tesi della ricorrente, dedotta nel terzo motivo, secondo la quale il tribunale, dichiarando il fallimento, avrebbe deciso ultra petita – in violazione quindi del disposto degli artt. 99 e 112 c.p.c. – in assenza di una espressa domanda di accertamento dello stato di insolvenza.

Rettamente la Corte di merito ha osservato come tale richiesta di accertamento sia insita nella istanza di fallimento: la critica che la ricorrente muove, basata sull’assunto che la legge non attribuirebbe tale potere di iniziativa processuale al concessionario del servizio di riscossione, non fa che riproporre gli argomenti già trattati e respinti, senza intercettare, nè quindi validamente contrastare, la suddetta ratio decidendi della statuizione impugnata.

6. Parimenti infondato è il quarto motivo, con il quale la ricorrente si duole della violazione dell’art. 324 c.p.c. e quindi della preclusione derivante dal giudicato che si sarebbe formato a seguito del rigetto di una precedente istanza di fallimento presentata dal medesimo soggetto con indicazione degli stessi crediti. La giurisprudenza di questa Corte di legittimità è da tempo orientata, in accordo con la prevalente dottrina, nel senso di escludere che il decreto di rigetto dell’istanza di fallimento abbia attitudine al giudicato, trattandosi di provvedimento non definitivo che non decide su diritti – non potendo configurarsi, sulla base della sola necessità della istanza di parte, un diritto soggettivo del creditore al fallimento del proprio debitore -, che pertanto non preclude la declaratoria del fallimento sulla base della medesima situazione, anche sulla base di prospettazione identica a quella respinta, su istanza del medesimo creditore (cfr.ex multis Cass. S.U. n. 26181/2006). A tale consolidato orientamento giurisprudenziale, ribadito anche a seguito delle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 5 del 2006 (cfr. Sez. 1 n. 21834/2009; n. 25818/2010; n. 19446/2011), il Collegio ritiene di dare continuità, non essendo validamente confutato in ricorso.

7. Non merita infine accoglimento neppure il quinto motivo, con il quale la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1, L.Fall. e dell’art. 115 c.p.c. assumendo che la Corte di merito, ritenendo sussistente un indebitamento di essa ricorrente complessivamente superiore al limite di Euro cinquecentomila contemplato dall’art. 1, comma 2, lett. c) l.fall., avrebbe omesso di considerare che Equitalia Lecce, non avendo prodotto le cartelle di pagamento relative ai crediti inadempiuti, non aveva consentito di verificare se i soli crediti riferibili alla Agenzia delle Entrate, per i quali essa è abilitata a proporre istanza D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 87, fossero o non superiori al limite normativo suindicato.

Rettamente tuttavia la Corte d’appello, premesso che l’onere della prova in ordine alla ricorrenza di una esposizione debitoria di entità inferiore al limite di Euro cinquecentomila grava sul debitore, ha osservato che la odierna ricorrente, a fronte della allegazione da parte di Equitalia Lecce di una esposizione debitoria complessiva di Euro 1.030.845,90 per tributi non pagati e interessi di mora, non ha contestato l’esistenza di tale esposizione complessiva, essendosi limitata a sostenere la tesi, irrilevante ai fini della sussistenza del presupposto soggettivo in questione, che alcuni di tali crediti non sarebbero di pertinenza della Agenzia delle Entrate e che quindi di essi non potrebbe tenersi conto a tali fini. Tale percorso argomentativo merita piena adesione, dovendo tenersi distinto il profilo della legittimazione a proporre l’istanza di fallimento dal profilo della fallibilità, che, non presentando alcuna deroga rispetto alle norme generali contenute nell’art. 1 della legge fallimentare, deve essere vagliato con riguardo a tutti i debiti del fallendo, il cui importo complessivo supera pacificamente la soglia di Euro cinquecentomila.

8. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, in Euro 3.000,00 per onorari e Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Redazione