Professionista si appropria delle somme del cliente e non gli versa le imposte: il contribuente è tenuto a pagare i tributi ma non le sanzioni (Cass. n. 23601/2012)

Redazione 20/12/12
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Fatto

La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 381/27/2007, respingeva il ricorso di H. N. avverso la cartella di pagamento notificatagli da Equitalia Gerit s.p.a. avente ad oggetto somme pretese dall’Amministrazione a titolo di Irpef, *** e Irap, per l’anno 2003, a seguito di controllo automatizzato, ex art. 36 bis DPR 600/73 e 54 bis DPR 633/72.
In primo grado i giudici ritenevano che il comportamento fraudolento del consulente, incaricato dei relativi adempimenti fiscali, che si era appropriato delle somme consegnategli dal contribuente, non lo esimeva dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, salvo il suo diritto di rivalsa in sede civilistica nei confronti del consulente stesso.
La Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n. 200/14/08, depositata il 8.7.2008, accoglieva parzialmente l’appello del contribuente e dichiarava non dovute le sanzioni irrogate.
Proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo i seguenti motivi:
a) violazione e falsa applicazione degli articoli 1 l. 423/1995 5 e 6 , comma 3, D.lgs. 472/1997, nonché 12 e 15 Disp. legge in generale, in relazione all’articolo 360, numero tre, c.p.c., avendo ritenuto illegittima la sanzione pretesa dall’Ufficio per il ritardo nel pagamento dell’imposta, asseritamente imputabile alle condotte illecite del professionista incaricato dal contribuente del pagamento, indipendentemente dall’esito del giudizio penale instaurato per l’accertamento dei reato a carico del professionista stesso;
b) violazione e falsa applicazione degli articoli 1 l. 423/1995, 5 e 6 D.lgs. 472/1997, 3909 e 2769 c.c. in relazione all’articolo 360, numero tre, c.p.c., in quanto l’accertamento dell’esistenza del reato non può prescindere dalla irrevocabilitá della sentenza penale o civile che tale reato accerta;
c) insufficiente motivazione in relazione all’articolo 360, numero cinque, c.p.c. in ordine alla affermazione che risulta sufficientemente dimostrato che l’inadempimento tributario sia ascrivibile al terzo.
Il contribuente non si è costituito.
2. Il ricorso e infondato.
Con riferimento ai primi due motivi di ricorso, esaminati congiuntamente in quanto logicamente connessi, l’Amministrazione ricorrente muove dal presupposto che l’esenzione del contribuente dalle sanzioni sarebbe condizionata al passaggio in giudicato della sentenza penale o civile che accerti la responsabilità del professionista incaricato dallo stesso del versamento dell’imposta e che sarebbe, pertanto, precluso al giudice tributario di anticipare, in sede di sindacato giurisdizionale sull’atto impositivo, gli effetti eventualmente favorevoli di cui potrebbe beneficiare il contribuente solo nella fase di riscossione, ove risultassero sussistenti tutti i presupposti dello sgravio.
In sintonia con quanto già affermato da questa Corte con sent. 17578/02 – va rilevato, che la previsione dell’articolo unico L. n. 423 del 1995, opera esclusivamente sul piano della riscossione, fissando le condizioni alle quali, in presenza di violazioni esclusivamente riferibili alla condotta penalmente rilevante dei professionisti ivi indicati, può disporsi la sospensione della riscossione delle soprattasse e delle pene pecuniarie a carico del contribuente nonché la commutazione del ruolo in capo ai professionisti. Pertanto, la norma non osta a che, in sede contenziosa, la non punibilità del contribuente presupponga esclusivamente la convincente dimostrazione del fatto che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto addebitabile esclusivamente al professionista denunciato all’autorità giudiziaria, indipendentemente dalla ricorrenza delle ulteriori condizioni previste dalla L. n. 423 del 1995, art. 1, per la sospensione del ruolo a carico del contribuente (istanza del contribuente e correlativa procedura) e la sua commutazione in capo al professionista responsabile della violazione (giudicato penale a carico del professionista) (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25136 del 30/11/2009; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26850 del 20/12/2007).
3. Il terzo motivo è inammissibile sia per difetto di autosufficienza, sia per la omessa formulazione del relativo quesito.
L’Agenzia non spiega quale sia la condotta rilevante ascrivibile alla pena e non al terzo (commercialista) al fine di ritenerlo obbligato al pagamento delle imposte pretese.
Peraltro è, anche, inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., per le cause ancora ad esso soggette, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione qualora non sia stato formulato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la “ratio” che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla S.C., la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (Sez. 5, Sentenza n. 24255 del 18/11/2011); comunque, la commissione regionale ha motivato, seppure per relationem, in relazione alla censura di difetto di motivazione, avendo affermato che “considerando i documenti recenti in atti e quelli esibiti, sembra sufficientemente dimostrato che inadempimento tributario e ascrivibile al terzo è che dei fatti è stato investito il giudice penale”.
Il ricorso va, quindi, rigettato.
Nessuna pronuncia va emessa sulle spese stante la mancata attività difensiva dell’intimato.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2012

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