Procura a vendere a concessionario automobilistico: natura ed effetti (Cass. n. 10055/2013)

Redazione 24/04/13
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Svolgimento del processo

O.V., con atto di citazione ritualmente notificato, citava in giudizio la N. Car srl, deducendo di avere da essa acquistato un autoveicolo usato marca Nissan GR 4X4, successivamente sequestrato dalla polizia stradale in quanto il numero di telaio era risultato contraffatto, per cui chiedeva la risoluzione del relativo contratto di compravendita, con la restituzione del prezzo pagato ed il risarcimento del danno. Nel giudizio interveniva successivamente, su istanza della convenuta N. CAR srl, anche la concessionaria A. srl da cui essa pretendeva di essere manlevata per avere acquistato dalla medesima il veicolo in questione, poi risultato irregolare. Il giudice adito (poi divenuto Tribunale di Lecco), con sentenza n. 592/2003 accoglieva la domanda del V. , condannando la N. CAR al pagamento della somma di Euro 15.235,48 ed inoltre anche la menzionata domanda di manleva, per cui condannava l’A.srl a tenere indenne essa srl N. CAR dalle somme che era tenuta a corrispondere, per effetto della pronuncia, al nominato V.. Il tribunale riteneva invero l’A. srl non semplice intermediaria, ma come vera e propria acquirente-venditrice dell’automobile “irregolare”. Avverso la sentenza proponeva appello soltanto la concessionaria l’A. srl, ribadendo che l’autoveicolo di cui trattasi era stato venduto dal suo proprietario direttamente alla N. CAR, per cui quest’ultima non aveva titolo per la manleva nei suoi confronti, avendo assunto il ruolo di semplice intermediaria. Resisteva l’appellata, e l’adita Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 429/06 depositata in data 22.2.2006, in riforma dell’appellata decisione, rigettava la domanda di manleva de qua e condannava la N. Car a rimborsare alla l’A. srl le spese del doppio grado.
Secondo la corte distrettuale, sulla base delle emergenze istruttorie, doveva ritenersi che il veicolo era stato ceduto dal proprietario B. alla N. CAR e non all’A srl (che dunque aveva assunto il ruolo di semplice intermediaria) tant’è che la procura a vendere il veicolo venne rilasciata dal menzionato B. in favore della stessa N. CAR e non dell’A.
Per la cassazione di tale pronunzia, ricorre la N. C AR srl sulla base di un solo mezzo; l’A. srl resiste con controricorso, formulando altresì ricorso incidentale, al quale replica con controricorso la N. Car.

Motivi delle decisione

In via preliminare occorre procedere alla riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c.. Passando all’esame del ricorso principale con il primo ed unico motivo la ricorrente denunzia il vizio di motivazione “sull’esistenza del contratto di vendita di autovettura intervenuto tra la N. CAR e l’A. srl e sul conseguente diritto di manleva della prima”.
Sostiene che la corte milanese ha fondato il suo convincimento su mere presunzioni anzi su praesmptio de praesupto: infatti dalla mancanza di riscontro documentale e contabile non poteva presumersi che non vi era mai stato un contratto di trasferimento del veicolo tra le due società, contratto per il quale non è richiesta la forma scritta. Osserva inoltre l’esponente, che il B. , originario proprietario dell’auto in discorso, con le sue dichiarazioni testimoniali (peraltro non correttamente interpretate dal giudicante attesa la mancanza del fascicolo d’ufficio) aveva riferito di avere ricevuto dalla A. il corrispettivo della vendita e che a tal fine non si era recato presso la MS Car, ma si era limitato a rilasciare la relativa procura presso un’agenzia automobilistica.
D’altra parte, il rilascio di una procura a vendere non sarebbe equipollente ad una manifestazione di consenso alla compravendita ed il fatto che la stessa era stata rilasciata in favore della MS Car non necessariamente poteva far presumere un passaggio diretto della proprietà del veicolo che escludesse quello intervenuto tra il B. e l’A.
Ad avviso del Collegio il motivo non ha pregio.
Intanto non costituisce presumptio de presumpto ritenere – come ha fatto il giudice distrettuale – che le società commerciali nell’esercizio della loro attività imprenditoriale rispettino gli obblighi fiscali e contabili a prescindere dalla libertà di forma dei contratti relativi alle operazioni da esse compiute (vendita di veicoli), atteso che tutto ciò, nella fattispecie, non esonerava il venditore dal fatturare la vendita ed il compratore dall’annotarla sui libri contabili. Quanto alla menzionata procura a vendere del B. , il suo rilascio in favore della N. Car non è equipollente ad una manifestazione del consenso alla compravendita;
questo però non poteva far presumere un passaggio diretto della proprietà del veicolo che escludesse quello intervenuto tra il B. e l’A.
A proposito della fattispecie in tema di procura a vendere rilasciata a concessionario automobilistico, si è così espressa la S.C.: “In tema di IVA, il principio secondo cui, per l’applicazione dell’imposta, si deve aver riguardo agli effetti che l’atto è idoneo a produrre, va coniugato con quello, più generale, dettato in tema di interpretazione dei contratti, e cioè quello che tenga conto delle dichiarazioni delle parti onde accertarne il reale intento negoziale. Ne consegue che una procura a vendere rilasciata ad un concessionario automobilistico, anche se eventualmente accompagnata dalla previsione di irrevocabilità del connesso mandato e dall’esonero dall’obbligo di rendiconto, deve essere considerata tale, sic et simpliciter, e non anche, in mancanza di elementi univoci contrari a quanto dichiarato, atto inserito nell’ambito di un procedimento simulatorio funzionale all’attuazione di una vera e propria rivendita dell’usato da parte del concessionario in nome proprio (non potendosi, all’uopo, neppure richiamare, in relazione alla diversa struttura dell’imposizione sul valore aggiunto, la regola dettata dall’art. 33 del d.P.R. 131/1986 in tema di imposta di registro), sicché le vendite in tal guisa effettuate dai concessionari automobilistici sulla base di tali procure non possono che dare origine a mere commissioni imponibili IVA per i concessionari stessi” (Cass. a 12786 del 19/10/2001).
Per il resto le deduzioni della ricorrente si risolvono in mere valutazioni di merito tendenti a contestare le scelte discrezionali del giudicante, che invero sembrano attendibili e possono essere condivise, attesa la congrua motivazione della sentenza, (che ha tenuto conto della dichiarazione preliminare del menzionato teste), priva di vizi logici e giuridici.
È bene ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa S.C.,il difetto di motivazione, è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiché, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’Inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. n. 2272 del 02/02/2007; Cass. n. 3436 del 16/02/2006; Cass. n. 3186 del 14/02/2006).
Passando al ricorso incidentale, con esso l’A. srl si duole della mancata condanna della N. CAR alla restituzione, nel secondo grado del giudizio, delle somme ricevuto dall’appellata in esecuzione della sentenza di primo grado a lei favorevole e per la quale era stata formulata specifica domanda nelle conclusioni sottoposte alla Corte d’Appello (art. 112 c.p.c.: omessa pronuncia). A questo riguardo la N. Car srl ha replicato con controricorso, sostenendo di avere invece integralmente restituito all’A., le predette somme che erano state richieste autonomamente con separata procedura monitoria, per cui la domanda sarebbe inammissibile e non potrebbe trovare accoglimento anche per carenza d’interesse “in quanto già integralmente soddisfatta con pagamento attestato dai documenti 5 e 6 prodotti”.
Ad avviso del collegio la doglianza non ha pregio.
Si osserva in proposito che a mente dell’art. 336 c.p.c. la richiesta di restituzione di somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, non costituisce domanda nuova ed è perciò ammissibile in appello; la stessa deve peraltro essere formulata, a pena di decadenza, con l’atto d’appello, se proposto successivamente all’esecuzione della sentenza, essendo invece ammissibile la proposizione nel corso del giudizio soltanto qualora l’esecuzione della sentenza sia avvenuta successivamente alla proposizione dell’impugnazione (Cass. n. 10124 del 30/04/2009; Cass. n. 16152 del 08/07/2010). Tutto ciò non è stato specificato dalla ricorrente, di talché il ricorso incidentale dev’essere disatteso.
Conclusivamente sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere disattesi. Attesa la reciproca soccombenza, si ritiene di compensare le spese processuali.

P.Q.M.

la Corte riunisce i ricorsi e rigetta sia il ricorso principale che quello incidentale, compensando interamente le spese processuali di questo giudizio.

Redazione