Processo tributario: utilizzabili le dichiarazioni dei terzi raccolte nell’ambito del giudizio penale (Cass. n. 2916/2013)

Redazione 07/02/13
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Svolgimento del processo

Oggetto del contendere è l’avviso di accertamento concernente IVA relativa all’anno 1996, con sanzioni ed interessi, emesso nei confronti della s.a.s. ******** di **************** & C. e dell’accomandatario L.P.M. nonchè di P. F., nel l’affermata qualità di reale gestore della società.

La Commissione tributaria provinciale ha accolto l’impugnazione proposta dal contribuente, con sentenza ribaltata dalla Commissione tributaria regionale, che ha accolto l’appello dell’ufficio reputando, appunto, che P. fosse il reale gestore della s.a.s. ******** di **************** & C..

Ricorre il contribuente per ottenere la cassazione della sentenza affidando il ricorso a due motivi.

L’Agenzia delle entrate non spiega difese.

Motivi della decisione

1. Col primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, il contribuente ha dedotto l’omessa, insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione della sentenza impugnata.

Il motivo è inammissibile, in quanto manca di adeguata specificazione dei fatti controversi, merce formulazione del quesito di fatto richiesto a pena d’inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, in quanto la sentenza è stata pubblicata in data 27 novembre 2006, quando tale norma era vigente.

E agevole rilevare, peraltro, che il motivo, dietro lo schermo del vizio di motivazione, censura in gran parte argomentazioni e statuizioni della sentenza; al riguardo, giova rimarcare che questa stessa sezione ha stabilito che “il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti” (Cass. civ., 29 luglio 2011, n. 16655).

2.- Col secondo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione, nell’assunzione della prova, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, formulando il seguente quesito di diritto: “dica l’ecc.ma corte se la sentenza impugnata possa ritenersi legittima avendo assunto a base della propria decisione sommarie informazioni testimoniali ed intercettazioni telefoniche, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4 e art. 246 c.p.c.”.

3.- Il motivo, che presenta aspetti d’inammissibilità per genericità, è comunque infondato.

Quanto al profilo concernente le “sommarie informazioni testimoniali”, va rilevato che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4 stabilisce che nel processo tributario “non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale”.

Nel nostro caso, a sostegno della sentenza impugnata non sono state dedotte prove testimoniali, bensì intercettazioni telefoniche e verbali di “testimonianze raccolte dalla guardia di finanza”.

3.1.- Sul punto, questa Corte ha già stabilito che, in tema di contenzioso tributario, le dichiarazioni di terzi raccolte dalla polizia tributaria ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di testimonianza, bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, le quali, benchè sfornite, ex se, di dirimente efficacia probatoria, comunque non si pongono in contrasto con il citato comma 4 dell’art. 7 (Cass. 11 marzo 2002, n. 3526).

3.2.- In particolare, si è precisato, la disposizione in questione, in quanto limitativa dei poteri delle commissioni tributarie e non pure dei poteri degli organi amministrativi di verifica, disciplinati da altre disposizioni, vale soltanto per la diretta assunzione, da parte del giudice tributario, nel contraddittorio delle parti, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, ovverosia della narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista un particolare valore probatorio; le dichiarazioni dei terzi raccolte dai verificatori, invece, quand’anche nell’ambito di un procedimento penale, e inserite nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di prova (Cass. 30 settembre 2011, n. 20032; Cass. 20 aprile 2007, n. 9402; Cass. 29 luglio 2005, n. 16032; secondo Cass. 5 maggio 2011, n. 9876, in taluni casi le dichiarazioni possono assurgere al rango di presunzioni), anche a favore del contribuente (Cass. 14 maggio 2010, n. 11785).

4.- Quanto, poi, al profilo concernente le intercettazioni telefoniche, questa sezione ha già stabilito che “il divieto, posto dall’art. 270 c.p.p., di utilizzare i risultati di intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quello in cui furono disposte non opera nel contenzioso tributario, ma soltanto in ambito penale, non potendosi arbitrariamente estendere l’efficacia di una norma processuale penale, posta a garanzia dei diritti di difesa in quella sede, a dominii processuali diversi, come quello tributario, muniti di regole proprie” (Cass. 23 febbraio 2010, n. 4306).

4.1.- Si è al riguardo precisato che la regola propria del diritto tributario, applicabile in materia di IVA, è quella desumibile dal D.P.R. 29 settembre 1972, n. 633, art. 63, a norma del quale la guardia di finanza, cooperando con l’ufficio, trasmette “documenti, dati e notizie acquisiti direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre Forze di polizia, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria”, “previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria” E l’autorizzazione, si è aggiunto, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, non già dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, non essendo prevista per filtrare l’acquisizione di elementi significativi a fini fiscali, ma soltanto per realizzare una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto (Cass. 5 febbraio 2007, n. 2450).

4.2.- Ciò posto, un atto legittimamente assunto in sede penale – va rimarcato, sul punto, che il ricorrente non dubita di tale legittimità- e trasmesso all’amministrazione tributaria giusta il richiamato art. 63, entra a far parte a pieno titolo del materiale probatorio e indiziario che il giudice tributario di merito deve valutare.

4.3.-Non si frappongono, d’altronde, ostacoli generali all’applicazione di questa regola particolare del diritto tributario.

In dettaglio, non si frappone anzitutto l’inviolabilità del diritto di libertà e di segretezza delle comunicazioni.

Il legittimo espletamento delle intercettazioni, del quale in questo giudizio non si dubita, implica che sia già intervenuto l’”atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge” richiesto dall’art. 15 Cost..

Non si frappone, poi, il diritto di difesa per la circostanza che, a differenza che nel processo penale, nel caso in questione il difensore del contribuente non è chiamato a partecipare alla formazione della prova racchiusa nell’atto trasmesso, in quanto, nel processo tributario, l’atto acquisito non è destinato ad assumere il valore probatorio che ad esso è riconosciuto nel processo penale: il minor tasso di garanzia del diritto al contraddittorio nel procedimento tributario si riverbera sulla minore attendibilità sul piano probatorio dell’atto.

Ma, e soprattutto, non ricorre nei procedimenti diversi da quello penale in seno al quale siano state autorizzate ed espletate le intercettazioni telefoniche, la ratio sottesa al divieto stabilito dall’art. 270 c.p., la quale è volta ad evitare che procedimenti con imputazioni fantasiose possano legittimare il ricorso alle intercettazioni, al fine di propiziarne l’utilizzazione in procedimenti per reati che non avrebbero consentito questo mezzo d’indagine.

5.- In coerenza con questi principi, la Corte, già in altri ambiti, ha riconosciuto l’utilizzabilità delle intercettazioni legittimamente espletate nel processo penale.

Sul punto, in tema di procedimento disciplinare del magistrato, si è sottolineato che “l’ampio potere di indagine del pubblico ministero, prima, e il non meno ampio potere officioso della sezione disciplinare del consiglio superiore della magistratura nell’acquisire la prova dell’illecito disciplinare connotano di specialità il procedimento disciplinare di magistrati evidenziando come esso sia marcatamente orientato all’accertamento dell’effettiva sussistenza dell’addebito disciplinare”, di guisa che possono essere legittimate utilizzate nel procedimento disciplinare “le intercettazioni di telefonate ricevute dal magistrato e legittimamente disposte ed espletate nel corso di un procedimento penale a carico dell’autore ed interlocutore della chiamata telefonica, indagato per un reato che consente l’intercettazione stessa; del pari sono utilizzabili le risultanze di intercettazioni di telefonate fatte dal magistrato, ove in ipotesi sia egli stesso indagato per un reato che consenta tali intercettazioni” (Cass., sez.un., 29 maggio 2009, n. 12717; conformi, Cass., sez.un., 24 giugno 2010, n. 15314; Cass., sez.un., i luglio 2008, n. 17931).

6.- Nè depone in senso contrario la recente pronuncia resa dalle sezioni unite penali secondo cui l’inulilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, accertata nel giudizio penale di cognizione, ha effetti in qualsiasi tipo di giudizio, e quindi anche nell’ambito del procedimento di prevenzione (Cass. pen., sez. un., 25 marzo 2010, n. 13426, ********), in quanto la sentenza aveva riguardo ad un’ipotesi di irregolare espletamento delle intercettazioni, in una fattispecie in cui le intercettazioni erano state dichiarate inutilizzabili nel giudizio di cognizione per inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 268 c.p.p., comma 3, e per assenza di motivazione in ordine all’inidoneità od insufficienza degli impianti esistenti presso la procura della repubblica).

7.- Gli elementi desumibili da dichiarazioni rese da terzi alla guardia di finanza e dalle intercettazioni telefoniche regolarmente espletate nel processo penale sono dunque legittimi. La loro complessiva valutazione, così come compiuta dalla sentenza impugnata a sostegno della decisione, esula dal perimetro del giudizio di legittimità, in quanto il coordinamento dei dati acquisiti è interno all’ambito di discrezionalità di apprezzamento dei fatti e degli elementi di prova, che compete al giudice di merito (principio pacifico. Vedi, ex multis, Cass. 13 aprile 2010, n. 8730).

8-. Il ricorso va in conseguenza respinto.

Nulla per le spese, in mancanza di attività difensiva dell’agenzia delle entrate.

P.Q.M.

La Corte:

-rigetta il ricorso.

Redazione