Processo tributario: può introdurre nuovi temi d’indagine il difensore che interviene in una seconda fase (Cass. n. 23315/2013)

Redazione 15/10/13
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinti ricorsi proposti in data 11-11-1994 dinanzi alla CTP di Roma F.G. impugnava gli avvisi di accertamento ai fini IRPEF ed ILOR per gli anni 1985-1990 relativi ad omesse dichiarazioni di redditi conseguiti da locazioni di immobili siti in Roma.
L’adita CTP, previa riunione, accoglieva parzialmente i ricorsi, ritenendo errati gli accertamenti in quanto riferiti a quattro appartamenti, mentre in realtà i diversi contratti di locazione erano riferiti allo stesso immobile; mandava quindi all’Ufficio di modificare gli accertamenti impugnati.
Con sentenza depositata il 3-9-2008 la CTR di Roma accoglieva l’appello del contribuente; in motivazione la CTR affermava che titolari della proprietà immobiliare in questione erano F.E. e F.M., unici legittimati passivi, mentre il ricorrente F.G. aveva solo concluso i contratti di locazione; accoglieva, di conseguenza, l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata in primo grado dal ricorrente con memoria tecnica 13-2-2006; al riguardo evidenziava l’irrilevanza della novità di tale eccezione, atteso che la legittimatio ad causam, attenendo non al merito della causa ma alla regolarità dell’instaurazione dei contradditorio, si poneva come condizione dell’azione, riscontrabile ex officio dal Giudice in ogni stato e grado sulla base della semplice prospettazione della parte ed a prescindere dall’effettiva sussistenza del diritto azionato.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione l’Agenzia, affidato ad un motivo; il contribuente non svolgeva attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo l’Agenzia, deducendo -ex art. 360 n. 4 cpc quale error in procedendo- la violazione degli artt, 18, comma 2, e 24 d.lgs 546/92 nonchè 112 cpc, rilevava che il ricorrente nei ricorsi introduttivi depositati l’11-11-1994 aveva censurato gli impugnati avvisi di accertamento solo in quanto i contratti di locazione non avevano avuto esecuzione, e quindi non vi era stata alcuna percezione di reddito; solo successivamente, con la memoria 10-2-2006, aveva per la prima volta introdotto un nuovo tema di indagine, affermando di non essere soggetto passivo del1’imposta in quanto non titolare di alcun diritto sul bene concesso in locazione.
Siffatto motivo è infondato.
Va, in primo luogo, precisato che l’accertamento impugnato appare diretto nei confronti di chi ha percepito il reddito da locazione, nell’implicita premessa che siffatto soggetto sia anche il proprietario dell’imrnobile locato; la circostanza che poi tale soggetto non sia effettivamente il proprietario implica una verifica sul rapporto sostanziale e sull’effettiva sussistenza dello stesso (cioè sull’effettiva titolarità del rapporto) ed attiene quindi al merito; la relativa eccezione, pertanto, intesa come titolarità passiva del rapporto fiscale e responsabilità per il pagamento dell’imposta, non è rilevabile d’ufficio, atteso che la sussistenza o meno dell’asserito difetto della responsabilità fiscale dipende dall’accertamento di una situazione avente rilevanza giuridica, e cioè dalla proprietà degli immobili in questione.
Ne consegue che, in linea generale, il predetto motivo di impugnazione dell’accertamento (difetto di titolarietà) andava proposto sin dal ricorso introduttivo, restando preclusa alla parte la possibilità di sottoporre alla CTP ulteriori prolili di illegittimità rispetto a quelli originariamente dedotti; non sussiste, invero, alcuna ragione per discostarsi dal consolidato principio di questa Corte, secondo cui “nel processo tributario, caratterizzato dallintroduzione della domanda nella forma della impugnazione dell’atto tributario per vizi formali o sostanziali, lindagine sul rapporto sostanziale non può che essere limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado, con la conseguenza che, ove il contribuente deduca specifici vizi di invalidità dell’atto impugnato, il giudice deve attenersi all’esame di essi e non può, “ex officio”, annullare il provvedimento impositivo per vizi diversi da quelli dedotti, anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti al giudizio, in quanto tali ulteriori profili di illegittimità debbono ritenersi estranei al “thema controversum”, come definito dalle scelte del ricorrente. L’oggetto del giudizio, come circoscritto dai motivi di ricorso, può essere modificato solo nei limiti consentiti dalla disciplina processuale e, cioè, con la presentazione di motivi aggiunti, consentita però, ex art. 24 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel solo caso di “deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della cornmissìone” (Cass. 19337/2011), ipotesi non verificatasi nel caso di specie.
Ciò posto, va tuttavia rilevato:
a) che, come appare evidente anche dalla lettura della gravata sentenza, i ricorsi in questione, pur introducenti controversie di valore superiore ad euro 2.582,28, sono stati proposti dapprima, in data 11-11-1994, “con atto sottoscritto personalmente dalla parte”, e solo successivamente integrati con memoria tecnica (e, cioè, con memoria sottoscritta da difensore abilitato all’assister1za tecnica dinanzi alle Commissioni Tributarie: art. l2 dlgs 546f92) depositata il 13-2-2006, nella quale è stato per la prima volta eccepito il “difetto di qualità di soggetto d’imposta per non essere il ricorrente proprietario del1`irnmobile”; siffatta “eccezione di carenza di legittimazione passiva” è stata “sollevata dalla difesa texsnica nel ricorso introduttivo”, e quindi, per la prima volta, con la su menzionata “memoria tecnica” depositata il 13-2-2006) b) che, in tema di assistenza tecnica del contribuente nei giudizi tributari di importo superiore ad euro 2.582,28, questa Corte, in continuità con i principi enunciati dalla Corte Costituzionale nelle note sentenze 189/2000 e 158/2003, ha eondivisibilmente affermato che la mancanza di siffatta difesa tecnica “deterrnina semplicemente il dovere per il giudice tributario adito di imporre l’ordine di munirsi di detta assistenza, ai sensi dell’art. l2, comma quinto, del dlgs. 31 dicembre I992, n. 546; ciò in quanto “la disposizione va interpretata, in una prospettiva costituzionalmente orientata, in linea con l’esigenza di assicurare l’effettività del diritto di difesa nel processo e l’adeguata tutela contro gli atti della PA., evitando nel contempo irragionevoli sanzioni di inammissibilità, che si risolvano in danno per il soggetto che si intende tutelare” (Cass. 3166/2012; v. anche Cass. Sez. unite 22601/2004).
Tanto premesso, appare doversi ritenere, come corollario indefettibile, che nel caso in cui -in una causa di valore superiore ad euro 2.582,28- la parte, dopo avere proposto personalmente il ricorso, sani l’irritualità del detto ricorsoimunendosi di assistenza tecnica, è al primo atto del difensore che vanno rlcollegate le prescritte preclusioni processuali; siffatta interpretazione appare, invero, l’unica compatibile con l’esercizio effettivo del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., essendo indubbio che, una volta ritenuto dal legislatore necessaria (per i giudizi di importo superiore ad euro 2.582,28) l’assistenza tecnica, deve essere consentito al difensore abilitato la più ampia difesa del contribuente, senza che la stessa sia limitata (pena, appunto, la violazione dell’art. 24 Cost.) da precedenti impostazioni del contribuente, difesosi personalmente, e quindi, (come detto) in modo non rituale.
In conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato e, sia pur con la motivazione di cui sopra, va confermata l’impugnata decisione; nulla per le spese, attesa la mancata costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in data 28-3-2013 nella camera di Consiglio della sez. tributaria.

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