Processo per elusione fiscale (Cass. n. 17949/2012)

Redazione 19/10/12
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Ritenuto in fatto

1. La Europa TV s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l’appello della contribuente, è stata confermata la legittimità dell’avviso di rettifica in materia di IVA ad essa notificato per omessa fatturazione, nel 2002, di una prestazione di servizi resa, in qualità di mandataria senza rappresentanza, nei confronti della Atena Servizi s.p.a.
La pretesa erariale si basava sul fatto che la ricorrente, agendo nella detta qualità, aveva concluso con la Juventus FC s.p.a. un contratto di sponsorizzazione, che aveva comportato un costo di circa Euro 13.000.000, ma – nonostante che un accordo stipulato tra le società appartenenti al gruppo Telepiù, tra le quali Europa TV e Atena Servizi, stabilisse che i costi di pubblicità dovevano essere riaddebitati a quest’ultima entro il 31/12/2002 per la ripartizione tra le società del gruppo in base ad un criterio predeterminato – non aveva provveduto a riaddebitare detto costo alla Atena Servizi, la quale invece lo aveva contabilizzato nell’importo costituente la quota parte dei costi attribuita ad Europa TV; quest’ultima, però, aveva omesso di rilasciare la relativa fattura alla Atena Servizi.
Il giudice di merito, premesso che la controversia, come esattamente aveva rilevato la contribuente, va decisa alla stregua delle sole disposizioni concernenti l’obbligo di fatturazione (tale essendo l’addebito mosso con l’atto impugnato), ha tuttavia osservato che occorre valutare se il comportamento complessivo della Europa TV, considerato congiuntamente a quello della Atena Servizi, abbia potuto determinare la conseguenza che l’obbligo di fatturazione non venisse ad esistenza. Rilevato, quindi, che è indiscusso che la contribuente – dopo aver concluso il contratto di sponsorizzazione in nome proprio ma nell’interesse della Atena Servizi -, in virtù del citato accordo fra le società del gruppo Telepiù ha il diritto di ottenere la restituzione pro quota del relativo costo e l’obbligo correlativo di emettere la fattura ai fini IVA, il giudice d’appello ha ritenuto che la tesi della contribuente, secondo cui, non avendo la Atena Servizi provveduto al pagamento del corrispettivo del servizio ricevuto, non sussiste violazione dell’obbligo di fatturazione, configura una forma di abuso del diritto, avendo Europa TV finito per beneficiare due volte della detrazione IVA in relazione alla medesima operazione imponibile di sponsorizzazione: per evitare una simile illegittima conseguenza, Europa TV avrebbe dovuto, entro il 31/12/2002, emettere fattura in relazione alla quota parte del costo di sponsorizzazione attribuitole da Atena Servizi.
In definitiva, ha concluso il giudice a quo, la condotta di Europa TV – la quale non risulta che abbia mai chiesto o sollecitato la restituzione della quota di corrispettivo versato alla Juventus FC s.p.a. -, nonostante la conformità alla normativa, non ha altra spiegazione che quella di conseguire un risparmio fiscale e trova, fino a prova contraria che non è stata offerta, nè chiesto di offrire, la sua unica giustificazione nella volontà di non far sorgere l’obbligo di fatturazione.
2. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
3. La ricorrente ha depositato memoria.

Considerato in diritto

1.1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., e dell’art. 183 c.p.c., comma 4, e art. 112 c.p.c.
Censura in primo luogo la sentenza impugnata per avere il giudice d’appello posto a fondamento della decisione una questione – consistente nella configurabilità nella fattispecie di una forma di abuso del diritto – rilevata d’ufficio, in quanto non prospettata nell’avviso di rettifica nè mai discussa nel corso dei giudizi di merito, senza sottoporre la stessa al contraddittorio delle parti, così impedendo alla ricorrente di interloquire sul punto, sia sul piano fattuale che su quello giuridico, in violazione del diritto di difesa e del principio del giusto processo, oltre che dell’espressa previsione di cui al citato art. 183 c.p.c., comma 4.
Rileva, poi, che il giudice a quo ha violato anche i confini del giudizio a lui sottoposto, quali segnati dal fondamento e dall’entità della pretesa tributaria fatta valere nell’atto impositivo, avendo finito per censurare e “sanzionare”, attraverso il riscontro dell’abuso del diritto, non già l’omessa fatturazione (unicamente contestata nell’avviso di rettifica), bensì, come già il primo giudice, il diverso addebito della doppia detrazione d’imposta.
1.2. La prima doglianza è fondata.
Va, innanzitutto, ribadito il consolidato principio della giurisprudenza di questa Corte (che, del resto, la stessa ricorrente non contesta) secondo il quale la diretta derivazione comunitaria, quanto ai tributi armonizzati, e, comunque, costituzionale (art. 53), per quelli non armonizzati, del principio di divieto di abuso del diritto – secondo il quale il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale – comporta la sua applicazione d’ufficio da parte del giudice tributario, a prescindere da un qualsiasi richiamo da parte dell’amministrazione, sulla base dei fatti acquisiti al processo (Cass., Sez. un., n. 30055 del 2008, nonchè, da ult., Cass. n. 7393 del 2012).
Ora, non v’è dubbio che ciò nella fattispecie sia avvenuto.
Il giudice d’appello, infatti, a fronte di una pretesa tributaria basata sulla violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, per avere la contribuente Europa TV s.p.a. omesso di fatturare il rimborso di costi di sponsorizzazione da essa sostenuti in qualità di mandataria senza rappresentanza della Atena Servizi s.p.a. (appartenente al medesimo gruppo), ha ritenuto – come in parte già detto in narrativa – di procedere ad una “considerazione globale del contesto nel quale è maturata la vicenda”, valutando “se il comportamento complessivo dell’appellante, considerato congiuntamente a quello di Atena Servizi, abbia potuto determinare la conseguenza che l’obbligo di fatturazione non venisse ad esistenza”: ed ha concluso nel senso che la condotta della Europa TV “non trova altra spiegazione che quella di conseguire un risparmio fiscale”, poichè, non risultando che essa “abbia mai richiesto, nè tanto meno sollecitato, ad Atena Servizi la restituzione della quota di corrispettivo versato a Juventus FC per la sponsorizzazione”, il suo comportamento “trova – sino a prova contraria che non è stata offerta, nè chiesto di offrire – la sua unica giustificazione con la volontà di non far sorgere l’obbligo di fatturazione, a sua volta prodromico alla regolarizzazione dell’imposta annuale”.
Si è, quindi, chiaramente in presenza dell’applicazione ex officio del principio di divieto di abuso del diritto, tema che non era stato, neanche implicitamente, allegato dall’amministrazione nell’atto impositivo, nè, in ogni caso, era entrato a far parte del dibattito processuale. Inoltre, la questione non può considerarsi di puro diritto, implicando, come emerge espressamente dalla sentenza impugnata, anche profili fattuali (e la ricorrente ha indicato le circostanze e le argomentazioni che avrebbe potuto dedurre per contestare la tesi del giudice).
Ne consegue, in definitiva, la nullità della sentenza, in virtù del principio secondo il quale l’omessa indicazione alle parti, ad opera del giudice, di una questione di fatto, ovvero mista di fatto e diritto, rilevata d’ufficio, sulla quale si fondi la decisione, comporta la nullità della sentenza (c.d. “della terza via”, o “a sorpresa”) per violazione del diritto di difesa delle parti, private dell’esercizio del contraddittorio e delle connesse facoltà di modificare domande ed eccezioni, allegare fatti nuovi e formulare richieste istruttorie sulla questione decisiva ai fini della deliberazione, allorchè la parte che se ne dolga prospetti in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere qualora il contraddittorio sulla predetta questione fosse stato tempestivamente attivato (Cass., Sez. un., n. 20935 del 2009, nonchè Cass. nn. 10062 del 2010, 9591 e 17495 del 2011). Il principio, direttamente ricavabile dagli artt. 24 e 111 Cost., e già recepito nell’art. 183 c.p.c., comma 4, e art. 384 c.p.c., comma 3, ha poi assunto portata generale (anche “topograficamente”) con l’art. 101 c.p.c., comma 2, comma aggiunto dalla L. n. 69 del 2009, art. 45.
1.3. Il secondo profilo di censura è infondato nei sensi di seguito precisati.
E’ stato più volte affermato da questa Corte che i poteri del giudice tributario sono necessariamente limitati al riscontro della consistenza della pretesa fatta valere dall’amministrazione finanziaria con l’atto impositivo, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso enunciati, il che vuoi dire che l’erario aziona una specifica pretesa impositiva – e cioè accerta un determinato debito tributario in capo al contribuente e ne richiede il pagamento – e il processo che nasce dall’impugnativa dell’atto autoritativo è delimitato nei suoi confini, da un lato, dalla pretesa tributaria, nel senso che il fondamento e l’entità di questa non possono avere latitudine diversa da quanto dedotto nell’atto impositivo, e, dall’altro, dai motivi specifici dedotti nel ricorso introduttivo dal contribuente (Cass., Sez. un., n. 30055 del 2008, cit., nonchè, tra le altre, Cass. nn. 4334 del 2002, 20516 del 2006, 17119 del 2007, 6620 del 2009).
Ciò posto, la sentenza impugnata, ad avviso del Collegio, non ha violato il richiamato principio, dovendo essere interpretata nel senso che, secondo il giudice d’appello, la rilevata condotta “abusiva” della contribuente sarebbe consistita nell’evitare l’insorgenza sine die dell’obbligo di fatturazione, la cui violazione costituisce l’unico oggetto della pretesa tributaria azionata con l’atto impugnato (come del resto lo stesso giudice a quo ha espressamente premesso, nel ritenere fondato il relativo motivo d’appello), e dovendo, pertanto, considerarsi il rilievo del beneficio della doppia detrazione d’imposta come mero riferimento ad un effetto ulteriore e conseguenziale alla violazione contestata, ma ad essa estraneo.
2. I restanti motivi di ricorso, attinenti al merito della controversia, restano assorbiti.
3. In conclusione, va accolto, nel limiti e nei sensi sopra specificati, il primo motivo, assorbiti gli altri; la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale procederà a nuovo esame della controversia uniformandosi ai principi enunciati, oltre a provvedere in ordine alle spese anche del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione e dichiara assorbiti i restanti.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2012

Redazione