Processo civile e processo penale: autonomia e separazione dei due processi (Cass. n. 13828/2012)

Redazione 01/08/12
Scarica PDF Stampa

Fatto

1. – Z.A. , E. , G. e N. hanno convenuto in giudizio P.G., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni derivanti dalla perdita del loro genitore ******., il quale, mentre percorreva a piedi il piazzale di un’area di servizio dell’autostrada (omissis) , il giorno (omissis) , fu investito dall’autovettura condotta dal convenuto, riportando gravi lesioni, che ne causarono la morte in data (omissis).
Costituitosi, il G. ha chiesto in via preliminare la sospensione del giudizio, e nel merito il rigetto della domanda.
Nel giudizio, hanno spiegato intervento volontario Za. Gi. , Ni., F. e V., fratelli del defunto, chiedendo a loro volta il risarcimento dei danni derivanti dalla perdita del loro congiunto.
2. – Con ordinanza del 23 maggio 2011, il Tribunale di Foggia, Sezione distaccata di Cerignola, ha disposto la sospensione del giudizio, in attesa della definizione del procedimento penale promosso nei confronti del G. per il reato di cui all’art. 589, primo e secondo comma, cod. pen., ed ancora pendente dinanzi al medesimo ufficio, al fine di evitare un contrasto di giudicati.
3. – Avverso la predetta ordinanza gli attori e gl’interventori propongono istanza di regolamento di competenza, affidata ad un solo motivo. Il G. resiste con memoria. Il Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

 

Diritto

1. – Con l’unico motivo d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 295 c.p.c.. degli artt. 75 e 652 c.p.p. e dell’art. 211 disp. att. c.p.p. Premesso che nel procedimento penale si è costituita parte civile soltanto la vedova di ******., mentre essi ricorrenti hanno optato per l’esercizio dell’azione risarcitoria in sede civile, sostengono che, al di fuori delle ipotesi previste dalle predette disposizioni, non vi e spazio per una sospensione facoltativa del giudizio civile di risarcimento dei danni, avendo il giudice la più ampia possibilità di formare il proprio convincimento sulla base dei mezzi istruttori previsti dal codice di rito, senza dover attendere il giudicato penale, che anche in caso di assoluzione dell’imputato non risulterebbe ad essi opponibile.
1.1. – Il ricorso è fondato.
È infatti pacifico che i ricorrenti, i quali hanno agito in sede civile per il risarcimento dei danni derivanti dalla perdita del loro genitore, non si sono costituiti parte civile nel procedimento penale a carico del resistente, il quale si trova in una fase, quella dell’istruttoria dibattimentale, in cui è ormai preclusa la costituzione di parte civile, ammessa dall’art. 79 c.p.p. non oltre il compimento degli adempimenti di cui all’art. 484. È pur vero che l’art. 75, primo comma, c.p.p. consente il trasferimento nel processo penale dell’azione esercitata dinanzi al giudice civile fino a che in sede civile non sia stata pronunciata una sentenza di merito, attribuendo all’esercizio di tale facoltà l’effetto di una rinuncia agli atti del giudizio; ai sensi del secondo comma, tuttavia, il trasferimento è subordinato all’avvenuta proposizione dell’azione civile prima della scadenza del termine per la costituzione di parte civile: condizione, questa, nella specie non sussistente, in quanto il giudizio civile, instaurato con atto di citazione notificato il 29 aprile 2010, ha avuto inizio successivamente alla prima udienza dibattimentale di quello penale, tenutasi il 15 marzo 2010. In tale situazione, la norma in esame prevede espressamente che l’azione prosegue in sede civile, analogamente a quanto accade nell’ipotesi in cui il danneggiato non intenda avvalersi della predetta facoltà. La sospensione del giudizio civile in attesa della definizione di quello penale è invece prevista dal terzo comma esclusivamente nell’ipotesi in cui l’azione in sede civile sia stata proposta successivamente alla costituzione di parte civile nel processo penale o alla sentenza penale di primo grado.
1.2. – È noto d’altronde che nell’ordinamento processuale vigente la disciplina dei rapporti tra il processo civile e quello penale non s’ispira più al principio di unità della giurisdizione, emergente dall’art. 3 dell’abrogato codice di rito penale e dal testo originario dell’art. 295 c.p.c., ma a quello dell’autonomia e separazione dei due processi e dell’attribuzione a ciascun giudice di una piena cognizione in ordine alle questioni giuridiche o di fatto rilevanti ai fini della propria decisione. Tale principio, avente come duplice corollario la necessità che il processo civile prosegua parallelamente a quello penale, senza alcuna influenza del secondo sul primo, e l’obbligo del giudice civile di procedere autonomamente all’accertamento dei fatti, induce ad attribuire carattere eccezionale alla disciplina adottata dall’art. 75 cit., la quale costituisce pertanto l’unico strumento preventivo di coordinamento tra il processo civile e quello penale, esaurendo ogni possibile ipotesi di sospensione del giudizio civile per pregiudizialità (cfr. Cass.. Sez. III, 12 giugno 2006, n. 13544; 10 agosto 2004, n. 15477).
In questo contesto, non vi è più alcuno spazio neppure per una sospensione facoltativa, la cui configurabilità deve ritenersi peraltro esclusa anche dalla nuova formulazione dell’art. 42 c.p.c., introdotta dalla legge n. 353 del 1990, che, prevedendo l’autonoma impugnabilità dell’ordinanza di sospensione, a tutela dell’interesse della parte alla prosecuzione ed alla sollecita definizione del procedimento, fa apparire inammissibile una sospensione disposta al di fuori delle ipolesi tassativamente previste dalla legge, e rimessa alla discrezionalità insindacabile del giudice, ponendosi tale facoltà in insanabile contrasto con i principi costituzionali di eguaglianza e di tutela del diritto di difesa, nonché con il canone della durata ragionevole del processo, che la legge deve assicurare nel quadro del giusto processo ai sensi del novellato art. 111 Cost. (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2003, n. 14670; Cass., Sez. III, 25 novembre 2010. n. 23906; Cass., Sez. I, 31 gennaio 2007, n. 2089).
Quanto all’eventualità di giudicati difformi, che l’ordinanza impugnata ha inteso scongiurare attraverso la sospensione, essa appare perfettamente coerente con il principio di separazione dei giudizi, al quale si ispira il sistema vigente. Il legislatore si è infatti limitato a disciplinare gli effetti delle sentenze irrevocabili pronunciate a seguito del dibattimento, prevedendo da un lato che quella di condanna spieghi efficacia di giudicato, entro determinati limiti, nel giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato (art. 651 c.p.p.), e preoccupandosi dall’altro di evitare che nel medesimo giudizio quella di assoluzione possa spiegare detta efficacia nei confronti del danneggiato che non sia stato posto in condizione di intervenire nel processo penale o, come nella specie, abbia optato per l’esercizio dell’azione in sede civile (art. 652 c.p.p.) (cfr. Cass. Sez. I, 17 febbraio 2010. n. 3820: Cass., Sez. lav., 9 marzo 2004, n. 4775). Tale disciplina, pur non impedendo al giudice civile di desumere dalla sentenza penale elementi di prova, da sottoporre peraltro ad autonoma valutazione ai fini della formazione del proprio convincimento, esclude la possibilità di attribuire alla stessa efficacia di giudicato, al di fuori dei casi espressamente previsti, imponendo al giudice civile di procedere autonomamente all’accertamento dei fatti, e rendendo pertanto superflua, in tali ipotesi, la sospensione del giudizio in attesa della definizione di quello penale.
1.3. – Irrilevante, a tal fine, appare anche la circostanza, fatta valere dal resistente, che nel giudizio penale si sia costituita parte civile la vedova di ******., essendo quest’ultima titolare di un proprio diritto al risarcimento dei danni, autonomo rispetto a quello fatto valere dai figli e dai fratelli della vittima, il cui accertamento, pur dipendendo dalla prova dei medesimi fatti posti a fondamento della domanda proposta dagli stessi, non incide in alcun modo sullo svolgimento del giudizio civile. Non può infatti condividersi l’affermazione secondo cui l’esistenza di una pluralità di soggetti danneggiati dal reato da luogo ad un’ipotesi di litisconsorzio necessario, il quale, peraltro, oltre a presupporre un rapporto giuridico unitario, nella specie non configurabile, non impone la sospensione del giudizio, ma solo l’integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte pretermesso.
Non risulta dunque pertinente neppure il richiamo del resistente all’art. 140, comma quarto, del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, che, in riferimento al giudizio avente ad oggetto il risarcimento dei danni derivanti dalla circolazione stradale, prevede espressamente il litisconsorzio necessario, ove vi siano più persone danneggiate ed il risarcimento dovuto dal responsabile superi il massimale assicurato; tale disposizione, d’altronde, riferendosi ai soli giudizi tra l’impresa di assicurazione e le persone danneggiate, non risulterebbe comunque applicabile a quello in esame, che è stato promosso esclusivamente nei confronti del responsabile del sinistro, avendo l’impresa assicuratrice provveduto a porre l’intero massimale a disposizione dei danneggiati.
2. – L’ordinanza impugnata va pertanto cassata, in accoglimento del ricorso, disponendosi la prosecuzione del giudizio dinanzi al Tribunale di Foggia, Sezione distaccata di Cerignola.
Le spese della presente fase seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e dispone la prosecuzione del giudizio dinanzi al Tribunale di Foggia, Sezione distaccata di Cerignola: condanna G.P. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, ivi compresi Euro 3.000,00 per onorario ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Redazione