Procedura penale: regolarmente appellabile la sentenza priva di motivazione (Cass. pen. n. 40614/2012)

Redazione 17/10/12
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Fatto

1. Il 25/05/2004, il giudice monocratico del tribunale di Empoli, pronunciava dispositivo con il quale assolveva St.P. dal delitto di appropriazione indebita aggravata: il giudice, però, non provvedeva a depositare la motivazione.
2. Con provvedimento del 16/01/2005, il magistrato responsabile del Tribunale di Firenze, Sezione distaccata di Empoli, in esecuzione di delibera del Consiglio Superiore della Magistratura, ordinava “alla cancelleria penale il deposito dei fascicoli penali già deliberati relativi al ruolo della dott.ssa (omissis) ma privi di motivazione”; ordinava, altresì, “la formazione di un documento contenente l’intestazione della sentenza, le generalità degli imputati, l’imputazione, l’indicazione delle conclusioni delle parti e la fotocopia del dispositivo conforme attestandone la conformità all’originale”, disponendo, infine, che “detto documento sarà depositato in cancelleria e considerato come sentenza a tutti gli effetti”.
3. A seguito delle comunicazioni di rito, il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Firenze, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo la nullità della “sentenza”, per totale carenza di motivazione.

Diritto

1. Si ripropone all’attenzione di questa Corte di legittimità, la controversa questione di stabilire se la assenza di redazione della motivazione, comporti una ipotesi di inesistenza ovvero di nullità della pronuncia, con le consequenziali statuizioni, posto che, nel primo caso, si tratterebbe di un provvedimento abnorme con rinvio al primo giudice e nel secondo caso, invece, di un vizio censurabile, nei limiti degli ordinari mezzi di impugnazione, di merito e di legittimità.
2. Sul punto, si registrano tre orientamenti.
Secondo il primo, è inammissibile il ricorso per cassazione del P.M. con il quale si denunci la nullità di una sentenza di assoluzione per mancanza assoluta della motivazione, non sussistendo alcun interesse all’impugnazione in difetto di qualsiasi specificazione delle ragioni della erroneità della decisione, ovvero dell’indicazione dello specifico vantaggio perseguito con l’annullamento della medesima: ex plurimis Cass. 40536/2010.
Ad avviso del secondo orientamento, invece, il giudice d’appello, a cui sia devoluta esclusivamente la cognizione della nullità della sentenza del giudice monocratico del tutto priva di motivazione, e composta soltanto del dispositivo letto in udienza, non può sostituirsi al primo giudice redigendo la motivazione del tutto omessa e deve trasmettere a quest’ultimo gli atti per non privare l’imputato di un grado del giudizio: ex plurimis Cass. 28467/2011.
Infine, secondo un terzo orientamento, la mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto. a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante: Cass. 26075/2011.
3. Questa Corte ritiene di doversi adeguare a quest’ultimo indirizzo giurisprudenziale.
In ordine alla prima delle tesi illustrata, secondo la quale il P.G. non avrebbe interesse ad impugnare la sentenza di primo grado dolendosi della sola carenza di motivazione. questa Corte ritiene di dover ribadire che «è solo in presenza di una motivazione (qualunque essa sia) che le parti possono articolare e “dimostrare” un concreto interesse alla impugnazione, altrimenti preclusa per definizione, in palese contrasto con l’art. 111 Cost.»: in terminis Cass. 16336/2010; Cass. 25/01/2012, **********.
In realtà, la soluzione della problematica in esame, come è già stato osservato da questa Corte nella sentenza 26075/2011 cit. non può prescindere dalla «[…] decisione n. 3287/2008 delle sezioni unite di questa corte […] che ha affermato […] che “la mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante”. La Corte, in particolare, […] ha sottolineato che il principio della immutabilità del giudice espresso dall’art. 525 c.p.p., […] non entra in giuoco nella fattispecie, poiché esso è rispettato ogni qualvolta l’organo giudicante sia lo stesso che ha partecipato interamente al dibattimento, svolgendo la relativa attività di formazione della prova; ha poi precisato che la “deliberazione”, testualmente menzionata dall’art. 525 c.p.p., viene ad esaurirsi nella redazione e nella successiva lettura del dispositivo (quale atto che, per primo, “esteriorizza” il dictum giurisdizionale), senza che lo stesso possa essere modificato (per il principio della prevalenza) attraverso la redazione della motivazione non contestuale. Ha negato, poi, la condivisibilità della interpretazione estensiva del disposto dell’art. 525 c.p.p. – volta a ricomprendere nel momento della “deliberazione” anche la fase della redazione non contestuale della motivazione (art. 544 c.p.p., commi 2 e 3), con conseguente affermazione della necessità di una coincidenza della persona fisica del giudice pure rispetto a tale ultimo momento in quanto la redazione dell’apparato giustificativo ha la funzione di rendere conoscibili alla collettività le ragioni logico-giuridiche che hanno condotto alla decisione, permettendo, in pari tempo, alle parti del processo di dedurre ed esporre eventuali motivi di impugnazione e l’incombente motivazionale è contemplato dal codice di rito negli “atti successivi alla deliberazione”. Ha pertanto concluso che appare legittimo ritenere che il principio di immutabilità, in sostanza, non si estende al di la dell’atto del decidere, che è cosa diversa dall’atto di spiegazione della decisione. Ha ritenuto, ancora, che non può prospettarsi una radicale “inesistenza della sentenza priva di motivazione (affermata da Cass. pen.: Sez. 3, 13.7.2007, n. 27965, ******; Sez. 3, 28.4.2004, n. 35109, P.G. in proc. ****** e Sez. 2, 17.10.2000, n. 5223, ******;nonché da Cass. lav., 8.10.1985, n. 4881; ********* contro INPS), poiché il concetto di inesistenza, quale categoria dogmatica, elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ben distinta da quella della nullità assoluta per il fatto di travalicare lo stesso giudicato, appare rimandare essenzialmente ai casi talmente gravi da far perdere all’atto i requisiti “geneticamente” propri dello stesso (nei quali, ad esempio, la sentenza promani da organo o persona privi di potere giurisdizionale o nei confronti di imputato inesistente), si da porlo quale strutturalmente inidoneo a produrre alcun effetto giuridico nel processo e fuori di esso (vedi Cass. Sez., Unite pen.: 24.11.1999, n. 25, ******* e 9.7.1997, n. 11, P.M. in proc. ***********)” specificando che – anche a fronte del deposito del mero dispositivo della sentenza pronunciata dal G.I.P. – la corte territoriale (in fattispecie, dunque, perfettamente analoga a quella che ci occupa, essendo investita una pronuncia di un giudice monocratico) avrebbe comunque potuto decidere nel merito e, nel rispetto dei limiti del devoluto e del divieto di reformatio in peius, procedere addirittura alla redazione integrale di una motivazione mancante, utilizzando le prove già legittimamente acquisite nel precedente grado di giudizio nel contraddicono delle parti (in tal senso Cass., Sez. 5, 25.3.2005, n. 11961). Dalla richiamata decisione può, dunque trarsi, il principio che è il dispositivo che esternalizza o manifesta la decisione, che esso è immutabile, anche in caso di redazione consentita ex artt. 426 e 599 c.p.p., per l’impedimento del giudice, che la redazione delle ragioni può mancare e che ad esso sopperisce l’ordinamento nei casi codificati, altrimenti dovendosi fare ricorso ai principi generali, ossia agli ordinari rimedi di impugnazione, con conseguente sollecitazione dei poteri di integrazione di merito propri del giudice della seconda istanza. Né dalla formazione grafica del provvedimento, nel caso in esame composto da una intestazione, riferibile ad opera della cancelleria, e dal dispositivo, atto proprio del decidente, può discendere una abnormità del provvedimento tale da porre l’intero procedimento in posizione di stallo e di irrilevanza dei suoi effetti; ciò in quanto, da un lato la epigrafe non incide sugli elementi essenziali della sentenza, poiché la validità giuridica della sentenza non dipende dalla presenza sul documento della stessa, ma solo dalla effettiva provenienza da un organo legittimato ad adottarla, nel rispetto delle regole che presiedono alla sua emanazione e dall’altra che, per come sopra cennato, la formulazione del dispositivo è esteriorizzazione del dictum giurisdizionale, senza che esso possa essere modificato attraverso la redazione di una motivazione non contestuale. Ciò non vuoi dire che la pronuncia non sia nulla, ma lo sarebbe egualmente laddove il giudice. anziché omettere del tutto la motivazione, la avesse espressa con una frase apodittica, quale il semplice richiamo alla categoria della colpevolezza, senza indicazione di alcun elemento a sostegno. Si tratterebbe, in tal caso, di una motivazione apparente, equiparata alla mancante, ma non perciò rientrante fra quelle indicate dall’art. 604 c.p.p. e perciò importante la relativa pronuncia con rimessione degli atti al primo grado da parte del giudice di appello. Ricorrerebbe, infatti, una nullità ai sensi dell’art. 125 c.p.p., comma 3, alla quale, il giudice di appello può rimediare in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto assegnatogli dalla legge. Tanto basterebbe per escludere, poi, che il difetto motivazionale del primo giudice comporti la mancanza di un grado di giudizio: in realtà, quello di primo grado si è regolarmente svolto e concluso, con la emissione di una decisione, di cui il dispositivo costituisce il compendio, e la statuizione del giudice di appello, conseguente al gravame, non è influenzata tanto dallo sviluppo motivazionale del primo giudice quanto dal devolutum, che importa comunque approfondita conoscenza degli atti. La prospettazione poi che il giudice di secondo grado avrebbe una cognizione cartolare degli atti non ha pregio, per la decisiva considerazione che l’ordinamento processuale conosce molte ipotesi in cui il giudizio è sostanzialmente assunto sulla base della mera lettura di atti formatisi dinanzi ad altri, come appunto, oltre che il giudizio abbreviato nella forma non condizionato, il giudizio di appello. Un rilievo di tal fatta significherebbe vanificare del tutto il secondo grado, posto che comunque la decisione sarebbe basata sempre su dati di merito non acquisiti direttamente dal giudicante […]».
4. La circostanza che la sentenza impugnata (priva di motivazione) non è inesistente ma semplicemente nulla, determina due importanti conseguenze processuali nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, avverso di essa sia stato proposto ricorso per saltum da parte del P.G..
Innanzitutto, il rinvio va disposto davanti al giudice di appello ex combinato disposto degli artt. 569/4 e 623 lett. a) cod. proc. pen.: le suddette norme, infatti, non vertendosi in alcuna delle ipotesi tassativamente previste dall’art. 604/1 cod. proc. pen., stabiliscono che, a giudicare, in sede di rinvio, debba essere il giudice di appello: il che, sul piano testuale, costituisce un evidente argomento a favore della tesi qui accolta che consente di disattendere la tesi secondo la quale il rinvio, invece, andrebbe disposto davanti allo stesso giudice di primo grado.
In secondo luogo, nonostante il ricorso del P.G. sia stato proposto solo per violazione di legge sotto il profilo della mancanza di motivazione, va osservato che la cognizione della Corte di merito deve estendersi anche al riesame del merito secondo le disposizioni di cui agli artt. 593 ss. cod. proc. pen., e pertanto secondo le regole tipiche che governano i poteri cognitivi del giudice di appello: in terminis Cass. 13294/1999 – Cass. 4695/2001.
Ora, applicando alla fattispecie in esame il suddetto principio, ne deriva che, proprio perché il P.G., con il suo ricorso, ha chiesto che la sentenza impugnata venga dichiarata nulla per mancanza di motivazione, la Corte di Appello – nel giudizio di rinvio – deve nuovamente entrare nel merito di tutta la vicenda potendo, quindi, eventualmente giungere anche a conclusioni opposte a quelle del giudice di primo grado proprio perché, il ricorso dev’essere inteso ed interpretato nel senso che si chiede alla Corte (d’appello) di motivare ex novo su tutta la vicenda processuale senza alcuna preclusione.
Non è, infatti, ipotizzabile che la Corte territoriale, sia semplicemente tenuta a scrivere una motivazione conforme al dispositivo emesso dal primo giudice, perché, se così fosse, le si attribuirebbe un compito di mera supplenza (mera redazione della motivazione conforme al dispositivo già emanato dal primo giudice) che nessuna norma prevede e che, anzi deve ritenersi esclusa dal fatto che essendo giudice di merito del gravame, la sua funzione è quella di verificare, ove investita della questione, se e in che termini la decisione di primo grado sia o meno corretta.
5. In conclusione, si deve ritenere che il ricorso del P.G. – benché basato sulla sola mancanza di motivazione del provvedimento impugnato – abbia un contenuto pienamente devolutivo sicché la Corte territoriale, nel giudizio di rinvio, è tenuta ad entrare funditus (avendo il primo giudice pronunciato una sentenza di assoluzione) nuovamente nel merito di tutta la vicenda e, quindi, in ipotesi, solo ove ritenga, contrariamente al giudice di primo grado, la colpevolezza dell’imputato, può pronunciare una sentenza di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione (secondo le conclusioni rassegnate dal P.G. all’odierna udienza) sempre che ne ravvisi i presupposti fattuali e giuridici: in caso contrario, ove cioè ritenga corretta la conclusione alla quale è pervenuto il primo giudice, deve confermare l’assoluzione atteso che questa prevale anche sulla causa di prescrizione sopravvenuta: SSUU 35490/2009; Cass. 783/1999.

 

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Firenze per il giudizio.

Così deciso in Roma il 20 settembre 2012.

Redazione