Procedura di mobilità, per la Cassazione è legittima anche se investe l’unità operativa decentrata (Cass. n. 2429/2012)

Redazione 20/02/12
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Svolgimento del processo La Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza del 18.2 – 24.3.2010, in riforma della pronuncia di prime cure, dichiarò l’illegittimità del licenziamento intimato a D.M., ordinandone la reintegrazione e condannando la parte datoriale, Sielte spa, al pagamento delle retribuzioni maturate dal recesso alla reintegra. A sostegno del decisum, per ciò che ancora qui specificamente rileva, la Corte territoriale ritenne quanto segue:

vertendosi in tema di licenziamento collettivo, il combinato disposto della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5 fa ritenere che la delimitazione del personale a rischio di espulsione deve essere operata con riferimento alle esigenze tecnico-produttive e organizzative enunciate dal datore di lavoro nella comunicazione di avvio della procedura e, nella specie, i primi due motivi si correlavano ad esigenze tecnico-produttive ed organizzative che non giustificavano la restrizione settoriale della procedura, mentre il terzo, pur evocando una situazione circoscritta al singolo Centro Operativo, mancava della necessaria completezza dell’informazione, dalla quale non si poteva prescindere, poichè finalizzata a consentire alle organizzazioni sindacali di interloquire validamente sul punto;

la regolarità della procedura è subordinata a che, nella comunicazione, sia evidenziata la correlazione tra le ragioni poste a giustificazione dell’esubero e l’individuazione dei lavoratori da licenziare e, nel caso di specie, difettava qualsiasi informazione sul punto, tenuto conto che l’esubero non risultava essere proporzionalmente ripartito tra i diversi profili professionali presenti nel Centro Operativo di (omissis), ma ne privilegiava alcuni a discapito di altri.

Avverso tale sentenza della Corte territoriale la Sielte spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su cinque motivi e illustrato con memoria.

L’intimato D.M. ha resistito con controricorso.

 

Motivi della decisione

1. Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità del controricorso, non essendo stata conferita procura speciale al difensore (art. 365 c.p.c., e art. 370 c.p.c., comma 2), che ha agito in forza della procura conferitagli a latere del ricorso di primo grado.

2. Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione alla L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 2 e 3, si duole che la Corte territoriale abbia posto a fondamento della decisione un vizio della procedura non allegato e, comunque, non dedotto come ragione di invalidità del recesso.

Con il secondo motivo, denunciando violazione della L. n. 223 del 1991, art. 24 e vizio di motivazione, la ricorrente deduce che, non essendo mai stato contestato che il Centro Operativo di (omissis) costituisse un’unità produttiva, doveva ritenersi legittima l’apertura della procedura esclusivamente per tale unità produttiva.

Con il terzo motivo, denunciando violazione della L. n. 223 del 1991, degli artt. 4 e 5 nonchè vizio di motivazione, la ricorrente deduce che la delimitazione della procedura atta singola unità produttiva di (omissis) non era scaturita da una scelta unilaterale della parte datoriale, ma dal nesso di causalità sussistente fra la decisione aziendale, la zona di incidenza di tale decisione e il personale che in quella zona si trovava ad operare.

Con il quarto motivo la ricorrente si duole della mancata ammissione delle prove dirette a dimostrare le esigenze che autorizzavano la limitazione della procedura alla sola unita produttiva di (omissis).

Con il quinto motivo la ricorrente, denunciando violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4 nonchè vizio di motivazione, deduce di avere rispettato le prescrizioni della normativa suddetta e si duole che la Corte territoriale, con motivazione insufficiente, non abbia chiarito perchè, rispetto alla chiara enunciazione dei profili professionali e della collocazione aziendale dei personale in esubero, si fosse in presenza di un vizio procedurale tale da inficiare la validità del recesso.

3. I primi tre motivi di ricorso, fra loro connessi, vanno esaminati congiuntamente.

3.1 Deve al riguardo premettersi che, secondo quanto indicato nella sentenza impugnata, il lavoratore aveva denunciato l’irregolare e non corretta gestione della procedura di mobilità, per avere la parte datoriale proceduto alla individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità facendo riferimento alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative dei singoli Centri Operativi e, nella specie, a quello di (omissis), piuttosto che a quelle risalenti all’intero complesso aziendale.

3.2 La questione all’esame è già stata oggetto di disamina da parte della giurisprudenza di questa Corte, con enunciazione del principio secondo cui, in caso di licenziamento collettivo per riduzione de personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la comparazione dei lavoratori, al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità, non deve necessariamente interessare l’intera azienda, ma può avvenire, secondo una legittima scelta dell’imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico-produttive, nell’ambito della singola unità produttiva, ovvero del settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò non sia il frutto di una determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma sia obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative che hanno dato luogo alla riduzione di personale (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 13783/2006; 10590/2005; 13182/2003; 12711/2000; 5718/1999; 11465/1997).

Inoltre è stato osservato che “…la delimitazione del personale a rischio si opera in relazione a quelle esigenze tecnico produttive ed organizzative che sono state enunciate dal datore con la comunicazione di cui all’art. 4, comma 3; è ovvio che, essendo la riduzione di personale conseguente alla scelta del datore sulla dimensione quantitativamente e qualitativamente ottimale dell’impresa per addivenire al suo risanamento, dalla medesima scelta non si può prescindere quando si voglia determinare la platea del personale da selezionare”, dovendosi tuttavia attribuire il debito rilievo anche alla previsione testuale della norma secondo cui le medesime esigenze tecnico produttive devono essere riferite al “complesso aziendale”, “…si arguisce facilmente che non vi è spazio per una restrizione all’ambito di applicazione dei criteri di scelta che sia frutto della iniziativa datoriale pura e semplice, perchè, come già detto, ciò finirebbe nella sostanza con l’alterare la corretta applicazione dei criteri stessi, che la L. n. 223 del 1991, art. 5, intende espressamente sottrarre al datore, imponendo che questa venga effettuata o sulla base dei criteri concordati con le associazioni sindacali, ovvero, in mancanza, secondo i criteri legali. E’ dunque arbitraria e quindi illegittima ogni decisione del datore diretta a limitare l’ambito di selezione ad un singolo settore o ad un reparto, se ciò non sia strettamente giustificato dalle ragioni che hanno condotto alla scelta di riduzione del personale. La delimitazione dell’ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilità è dunque consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed organizzative, che si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3, quando cioè gli esposti motivi dell’esubero, le ragioni per cui lo stesso non può essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta” (cfr, Cass., n. 25353/2009, in motivazione, nonchè, nello stesso senso, Cass., n. 9711/2011).

3.3 Nel caso di specie deve rilevarsi che, dalla sentenza di primo grado, riportata in parte qua nel ricorso, risulta accertato (e non oggetto di specifico motivo di impugnazione in appello) che la procedura di mobilità di che trattasi (che aveva attinto a sua motivazione giustificativa dalla specificità della crisi settoriale della quale era stato investito il Centro Operativo di (omissis)), era stata l’epilogo inevitabile della CIGS originata dai medesimi fattori aziendali.

Il collegamento con l’ammissione alla CIGS del personale del Centro Operativo di (omissis) e con l’impossibilità del suo reimpiego giustifica quindi l’avvio della procedura di mobilità con riferimento al medesimo Centro Operativo.

Del tutto apodittica risulta poi l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui l’avvio di distinte procedure di mobilità per diversi centri operativi smentirebbe le asserite ragioni tecnico- produttive poste a fondamento della restrizione spaziale, e, dall’altro, avvalorerebbe la tesi che le ragioni dell’esubero, poichè comuni alle diverse realtà territoriali, avrebbero potuto essere ben gestite unitariamente, in modo da garantire l’applicazione dei criteri di scelta non nell’ambito del singolo Centro operativo, ma su scala nazionale, non avendo la Corte territoriale esaminato comparativamente le ragioni inerenti alle altre procedure di mobilità (ne risultando, del resto, se e in che termini queste ultime sarebbero state allegate e provate in giudizio).

In definitiva, quindi, la decisione adottata sul punto si fonda su questi passaggi:

nella comunicazione si era fatto riferimento:

a) al “continuo calo dei compensi da parte del committente che si protrae dal 1998”, ossia ad una circostanza che attiene alla crisi del settore nel suo complesso;

b) ai “costanti aumenti del costo della vita sopportati in questi ultimi anni (aumento salari, carburanti, ecc.)n, che possono non riguardare solo la singola unità produttiva;

c) agli “alti costi relativi alla struttura di (omissis), senza però specificare le ragioni per cui tali esborsi sarebbero eccessivi e, soprattutto, senza indicare i motivi per cui la mancanza di redditività avrebbe colpito in modo particolare il Centro operativo in oggetto, differenziandolo dalle altre realtà operanti su territorio nazionale.

I primi due motivi si correlano ad esigenze tecnico-produttive ed organizzative che non giustificano la restrizione settoriale della procedura, mentre il terzo, pur evocando una situazione circoscritta al singolo Centro Operativo, manca della necessaria completezza dell’informazione, dalla quale non si può prescindere poichè finalizzata a consentire alle organizzazioni sindacali di interloquire validamente sul punto. Al riguardo deve tuttavia rilevarsi che:

la possibilità che i primi due fattori riguardassero (o meglio, potessero riguardare) il settore nel suo complesso non è di per sè dimostrativa della loro inconferenza rispetto al Centro Operativo in questione;

il terzo fattore è sicuramente specifico per il Centro Operativo di (omissis) ed è stato ritenuto insufficiente sotto il profilo della mancanza di completezza dell’informazione, con ciò, tuttavia, introducendo in giudizio e valorizzando ai fini del decidere, un vizio procedurale (appunto l’incompletezza delle informazioni) che non aveva formato oggetto di specifica deduzione, essendo la contestazione, per ciò che qui specificamente rileva, incentrata sull’essere stato fatto riferimento alle esigenze tecnico- produttive ed organizzative dei singoli Centro Operativi piuttosto che su quelle risalenti all’intero complesso aziendale, senza dunque allegazione -e, tanto meno prova – che quanto indicato con riferimento allo specifico Centro Operativo fosse incompleto e, comunque, inidoneo a porre le OOSS in grado di interloquire in modo effettivo sul programma di mobilità prospettato.

In definitiva, quindi, in difetto di una specifica contestazione inerente alla completezza e veridicità delle informazioni, deve convenirsi che la delimitazione dell’ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilità è dipesa non già da una pura e semplice iniziativa datoriale, ma dalle ragioni produttive ed organizzative che si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione di inizio della procedura, conducenti a limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta.

I motivi all’esame vanno quindi accolti nei termini testè indicati, restando assorbita la disamina del quarto.

4. In ordine al quinto motivo di ricorso deve osservarsi che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la procedura potrà considerarsi regolare solo ove la comunicazione, conformatasi ai requisiti prescritti, consenta alle organizzazioni sindacali di verificare il nesso tra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità che, in concreto, l’azienda intende espellere, di talchè sia evidenziabile la connessione tra le enunciate esigenze aziendali e l’individuazione del personale da licenziare (cfr, Cass., n. 24646/2007).

4.1 Premesso che la doglianza del lavoratore riguardava la ritenuta violazione dell’obbligo di predeterminazione dei cosiddetti parametri generali di selezione, la Corte territoriale, come già indicato nello storico di lite, ha ritenuto che nel caso di specie la comunicazione difettasse di qualsiasi informazione sulla correlazione tra le ragioni poste a giustificazione dell’esubero e l’individuazione dei lavoratori da licenziare, tanto più che l’esubero non risultava essere stato proporzionalmente ripartito tra i diversi profili professionali presenti nel Centro Operativo di (omissis), ma ne privilegiava alcuni a discapito di altri.

4.2 La comunicazione di che trattasi conteneva tuttavia espresso riferimento al riposizionamento industriale che aveva “…imposto un piano di destrutturazione di quelle attività con contenuto civile e/o mature (scavo, posa, cavi) sotto il profilo tecnologico che impegnano quantità di personale non specializzato e gravano sull’Azienda con forti appesantimenti gestionali, oltrechè comportare il mantenimento a livello territoriale di apparati tecnici e logistici che generano un alto livello di spese generali ed amministrative che non sono ammortizzate dai sufficienti volumi eseguibili ed i bassi prezzi praticati dalla Committente Telecom Italia S.p.a. …”.

La Corte territoriale non ha spiegato perchè tali indicazioni, raffrontate con i profili professionali in concreto oggetto di licenziamento, debbano ritenersi inidonee alla necessaria correlazione fra le ragioni poste a giustificazione dell’esubero e l’individuazione dei lavoratori da licenziare, risultando quindi la motivazione insufficiente laddove afferma i difetto di qualsiasi informazione sul punto.

Anche il motivo all’esame deve dunque ritenersi fondato.

5. In definitiva il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al Giudice designato in dispositivo, che procederà a nuovo esame conformandosi agli indicati principi e provvederà altresì sulle spese de giudizio di Cassazione.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello dell’Aquila in diversa composizione.

Redazione