Procedura civile: controversie in materia di lavoro (Cass. n. 20777/2012)

Redazione 23/11/12
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Svolgimento del processo

1.- La sentenza attualmente impugnata respinge l’appello di ***** avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 8710 del 18 maggio 2000, che in accoglimento del ricorso proposto da B. M., ha condannato il F. al pagamento di L. 1.9992.590 per differenze retributive e di L. 18.449.000 per risarcimento del danno oltre interessi legali, respingendo la domanda proposta in via riconvenzionale con la quale veniva chiesto il risarcimento dei danni conseguenti alla mancata tempestiva comunicazione del sinistro e ad un furto subito, per il quale veniva attribuita alla B. la responsabilità del mancato funzionamento dell’allarme.
La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:
a) è priva di pregio la censura relativa all’incompetenza per materia del giudice del lavoro, in quanto le domande azionate nel ricorso introduttivo hanno riguardo al rapporto di lavoro pacificamente intercorso fra le parti (differenze retributive) e comunque traggono occasione da esso (risarcimento del danno per infortunio occorso sul luogo di lavoro, richiesto ai sensi dell’art. 2087 c.c.), pertanto appartengono pacificamente alla competenza del giudice del lavoro;
b) l’assunto del F. secondo cui l’incidente si sarebbe verificato al di fuori dell’attività lavorativa non incide sulla competenza, ma può, ove accertato, essere ragione sufficiente per il rigetto nel merito della relativa domanda;
c) è da respingere anche la censura sulla mancata ammissione del “teste di riferimento” sia perchè in base all’art. 257 c.p.c., rientra nella discrezionalità del giudice ammettere o meno i testi di riferimento sia perchè, nella specie, risulta che correttamente il Tribunale ha considerato tardiva la relativa richiesta e non ricorrevano gli estremi – indispensabilità della prova e perdurante stato di incertezza dei fatti controversi – per ammettere tardivamente il teste in argomento (non sconosciuto al F.);
d) il CTU nominato in grado di appello ha complessivamente riesaminato tutti gli elementi utili acquisiti al processo o comunque acquisibili, onde pervenire ad “una compiuta valutazione ai fini della effettiva genesi del sinistro e della individuazione del nesso eziologico”, tenendo conto anche della rilevanza della documentazione radiografica di cui si lamenta l’acquisizione per verificare la compatibilità delle lesioni con il verificarsi dell’infortunio riportato dalla B. nel domicilio del F.;
e) il CTU ha concluso – in modo corretto e sulla base di una indagine accurata e completa nel senso della compatibilità del tipo di lesione riportata sia con le caratteristiche dell’infortunio denunciato in sede giudiziale sia con una eventuale caduta dalle scale;
f) tali conclusioni sono condivisibili, sicchè si deve verificare se, sulla base delle testimonianza acquisite, l’infortunio denunciato sia risultato provato;
g) tale verifica non può non portare ad un risultato positivo, soprattutto per quel che riguarda il teste ****** presente sul luogo dell’incidente;
h) ciò sarebbe sufficiente a respingere l’appello, ma va anche soggiunto che l’appellante dopo avere articolato un dettagliato giuramento decisorio, ammesso dal Collegio, non si è presentato all’udienza fissata per la sua assunzione così manifestando un chiaro disinteresse per la prova richiesta, dalla quale è decaduto.
2 – Il ricorso di F.G. domanda la cassazione della sentenza per sei motivi; B.M. non svolge attività difensiva.

 

Motivi della decisione

I – Sintesi dei motivi di ricorso.
1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 208 e 238 c.p.c.
Il ricorrente sostiene che l’ordinanza ammissiva del richiesto giuramento decisorio non gli sarebbe stata nè notificata nè comunicata dalla Cancelleria Corte d’appello, come sarebbe confermato da una verifica effettuata presso la Cancelleria stessa, dalla quale sarebbe risultato che l’avviso di ammissione del mezzo istruttorio e della fissazione della relativa udienza non sarebbe mai stato inoltrato e trasmesso al destinatario.
Ciononostante la Corte ha pronunciato la decadenza dal mezzo istruttorio per ingiustificata comparizione della parte deferente all’udienza medesima.
2 – Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riguardo alla CTU e ai documenti e ai certificati ospedalieri.
Si rileva che le relazioni di entrambi i consulenti sono poco probanti e comunque sono state stilate senza l’acquisizione di copia dell’esame radiografico eseguito dalla lavoratrice presso il pronto soccorso dell’Ospedale (omissis) ove la B. aveva dichiarato di essere scivolata sulle scale della propria abitazione, come aveva confermato anche in occasione del successivo ricovero presso atra struttura sanitaria.
In questa situazione – nella quale solo a distanza di più di un anno dall’incidente la B. ha sostenuto, prima in una lettera raccomandata del suo legale e poi in sede giudiziaria, che l’infortunio si era verificato in casa del datore di lavoro (attuale ricorrente) nell’assenza di questi – era indispensabile, per una corretta ricostruzione del fatto, acquisire tutta la documentazione medica, a cominciare dalle radiografie.
Nè va omesso di considerare che la Corte d’appello non ha neppure tenuto conto delle conclusioni dello specialista in ortopedia consulente di parte del F. secondo cui:
1) non era risolutivo – data la sua genericità – il quesito posto al CTU di appello in merito alla “compatibilità” delle lesioni riportate dalla B. con la dinamica dell’incidente quale riferita dall’interessata in giudizio;
2) erano documentate in atti le ripetute dichiarazioni rese dalla B. presso diverse strutture sanitarie, nel senso che l’incidente si era verificato mentre saliva le scale della propria abitazione;
3) la risposta del CTU al suddetto quesito – nel senso di ritenere le lesioni riportate “compatibili” con entrambe le versioni della ricostruzione dell’incidente – comunque risultava insoddisfacente ed elusiva;
4) dal punto di vista medico – legale le lesioni subite dalla B. possono essere compatibili soltanto con la dinamica dell’infortunio descritta nei documenti ufficiali prodotti e nelle dichiarazioni rese presso le strutture sanitarie, mentre non lo sono con la versione dell’incidente quale adottata i giudizio.
3.- Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sotto altro profilo con riferimento agli artt. 86, 168 e 415 c.p.c., e art. 72 disp. att. c.p.c., stante la mancanza di atti e documenti decisivi.
La Corte d’appello ha, in più occasioni, disposto l’integrazione di documenti necessari per la decisione (radiografie e relativi referti, documentazione medica) ed ha altresì disposto la ricerca di vari atti risultati mancanti dal fascicolo d’ufficio.
Mai tali provvedimenti hanno ricevuto adempimento, nè ad opera della Cancelleria nè ad opera della B.
Tuttavia, pur in loro assenza e quindi senza essenziali supporti documentali e probatori, la Corte d’appello ha ugualmente emesso la sentenza attualmente impugnata, senza neppure adottare alcun provvedimento in merito alla sparizione degli atti dal fascicolo d’ufficio custodito in cassaforte in tutte le fasi del processo.
4. Con il quarto motivo si denunciano:
a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in riferimento agli artt. 246, 247, 253, 254 e 421 c.p.c., in materia di testimonianze;
b) violazione di legge in riferimento ai suindicati articoli del codice di rito in materia di poteri istruttori del giudice e agli artt. 2699 e 2670 c.c., in materia di validità ed efficacia degli atti pubblici e delle dichiarazioni rese negli stessi dalle parti.
Si sostiene che la Corte d’appello abbia basato la propria decisione su quanto riferito dai testi “compiacenti” della ricorrente, risultante in contrasto con le risultanze delle certificazioni ospedaliere e della relazione della Commissione USL facenti fede fino a querela di falso e non abbia tenuto conto delle dichiarazioni rese dai testi del F.
5 – Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 277, 279, 351, 352, 429 e 431 c.p.c., “in materia di giudicato sul merito e di provvisoria esecuzione”.
Si rileva che la Corte romana non si è mai pronunciata:
1) sull’istanza dell’attuale ricorrente di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado;
2) sulla domanda riconvenzionale formulata nell’atto di appello.
6.- Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 2, incompetenza del giudice del lavoro in materia di infortunio personale ai sensi dell’art. 409 c.p.c., e art. 2087 c.c.
Si sostiene che l’infortunio della B. non sarebbe qualificabile come “di lavoro”essendosi, tutt’al più, verificato nel luogo di abituale lavoro ma in giorno non lavorativo e al di fuori dell’orario di lavoro.
II – Esame delle censure.
7- Il primo motivo di ricorso deve essere accolto, per le ragioni di seguito precisate. In base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:
a) la disposizione dell’art. 208 c.p.c., trova applicazione nei confronti del giuramento decisorio che, essendo deferito su fatti e tendendo al loro accertamento, costituisce un mezzo di prova vero e proprio (Cass. 16 aprile 1970, n. 1062);
b) poichè nelle controversie soggette al rito del lavoro trova applicazione l’art. 208 c.p.c., concernente la decadenza dall’assunzione della prova, secondo cui il giudice, dichiarata la decadenza, deve comunque fissare un’udienza successiva, per dar modo alla parte non comparsa di instare, se del caso, per la rimessione in termini, ne consegue che incorre in error in procedendo il giudice d’appello che, ammessa la prova di cui si tratta e constatata l’assenza della parte istante all’udienza all’uopo fissata, dichiari la decadenza di quest’ultima e decida, subito dopo, la causa, senza rinviare ad un’udienza successiva onde consentire, in quella sede, le eventuali difese della stessa parte, atteso che la disciplina dettata dall’art. 437 c.p.c., comma 3, (secondo cui “qualora ammetta le nuove prove, il collegio fissa, entro venti giorni, l’udienza nella quale esse debbono essere assunte e deve essere pronunciata la sentenza”) non comporta un obbligo assoluto di decidere la causa nella stessa udienza dell’assunzione, stante la facoltà (di cui all’ultimo comma dello stesso articolo) di concedere alle parti, dopo l’assunzione, un termine per il deposito di note difensive, rinviando la causa all’udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine, per la discussione e la pronuncia della sentenza, e tenuto conto, peraltro, che la regola della contestualità presuppone comunque che la prova ammessa sia stata anche assunta, laddove, nel caso di mancata assunzione per l’assenza ingiustificata della parte, il rinvio è imposto dal citato art. 208 c.p.c., comma 2, (Cass. 11 marzo 2005, n. 5416; Cass. 3 dicembre 1998, n. 12279);
c) comunque, la mancata notifica dell’ordinanza ammissiva del giuramento decisorio nei termini fissati dal provvedimento comporta l’impossibilità di considerare soccombenti le parti alle quali il giuramento è stato deferito e non presentatesi a prestarlo, secondo il disposto dell’art. 239 c.p.c., ma non determina la decadenza del deferente dalla facoltà di farlo assumere, dovendo considerarsi solo ordinatori i termini di cui all’art. 237 c.p.c., in difetto di un’espressa disposizione che li dichiari perentori (Cass. 5 maggio 1990, n. 3748).
Nella specie, dall’esame degli atti processuali, non risulta che l’ordinanza ammissiva del giuramento decisorio con l’indicazione dell’udienza fissata per la relativa assunzione sia stata notificata o comunicata all’attuale ricorrente (che aveva deferito il giuramento stesso) nè risulta che la Corte romana, in applicazione dell’art. 208 c.p.c., comma 2, come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte, abbia comunque fissato un’udienza successiva, per dar modo alla parte non comparsa di instare, se del caso, per la rimessione in termini.
III – Conclusioni.
8.- Per le suesposte ragioni, il primo motivo di ricorso deve essere accolto, con conseguente assorbimento degli altri motivi.
Deve essere disposta la cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà ai suindicati principi e, in particolare, al seguente principio:
“la disposizione dell’art. 208 c.p.c. – concernente la decadenza dall’assunzione della prova – trova applicazione nei confronti del giuramento decisorio che, essendo deferito su fatti e tendendo al loro accertamento, costituisce un mezzo di prova vero e proprio, peraltro la suddetta disposizione, anche nelle controversie soggette al rito del lavoro, stabilisce che il giudice, dichiarata la decadenza, deve comunque fissare un’udienza successiva, per dar modo alla parte non comparsa di instare, se del caso, per la rimessione in termini; ne consegue che incorre in error in procedendo il giudice d’appello che, ammesso il giuramento decisorio e constatata l’assenza della parte istante all’udienza all’uopo fissata, dichiari la decadenza di quest’ultima e decida, subito dopo, la causa, senza rinviare ad un’udienza successiva onde consentire, in quella sede, le eventuali difese della stessa parte”.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della sezione lavoro, il 18 ottobre 2012.

Redazione