Privacy e condominio: installazione di sistemi di videosorveglianza e riprese nelle aree comuni (Cass. n. 14346/2012)

Redazione 09/08/12
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Svolgimento del processo

1 – Con ricorso presentato in data 30 aprile 2009 ai sensi dell’art. 152 del D.Lgs. n. 196 del 2003 al Tribunale di Messina R.M., premesso di essere assegnataria di un immobile di proprietà del suocero Ri.S., esponeva che costui aveva installato, sia sul cancello, sia sul portone d’ingresso del fabbricato, dei dispositivi di video-controllo, da lei ritenuti lesivi del proprio diritto alla riservatezza; chiedeva, pertanto, che fosse ordinata la rimozione di tale impianto, con condanna del Ri. al risarcimento dei danni.
1.1 – Si costituiva l’intimato, il quale chiedeva il rigetto del ricorso, deducendo che il fabbricato in questione non costituiva un condominio, essendone egli proprietario in via esclusiva, ed essendo ricorso ai sistemi di videosorveglianza per aver subito intimidazioni e minacce.
1.2 – Il Giudice adito, con la decisione indicata in. epigrafe, rilevato che la. proprietà, esclusiva del fabbricato non era ostativa alla qualificazione come “comuni”, in quanto utilizzate anche dalla ricorrente, delle aree controllate dalle telecamere fatte installare dal Ri., impegnate dalla R. per il transito, riteneva pretestuose le affermazioni dell’intimato, in quanto l’episodio di maggiore gravità da lui denunciato, vale a dire l’esplosione di alcuni colpi di arma da fuoco in direzione di un balcone dell’abitazione, era avvenuto circa due anni prima rispetto alla predisposizione del sistema di video-controllo, mentre alcuni furti, pure indicati per giustificare l’adozione di tale rimedio, erano parimenti giudicati irrilevanti sotto il profilo causale, in quanto avvenuti in epoca successiva.
Veniva pertanto affermato che, il controllo della zona antistante l’abitazione della ricorrente non fosse giustificato da esigenze di tutela tali da consentire una violazione della riservatezza della R., consistente nella possibilità di controllare, essendo prevista la conservazione dei dati registrati, ogni suo movimento in entrata o in uscita. Veniva, quindi, disposta la rimozione dell’impianto, mentre veniva rigettata, in quanto ritenuta sfornita di prova, la pretesa di contenuto risarcitorio.
1.3 – Per la cassazione di tale decisione il Ri. propone ricorso, affidato ad unico e complesso motivo, illustrato da memoria, cui la R. resiste con controricorso e con successiva memoria.

Motivi della decisione

2 – Deve preliminarmente rilevarsi che il presente ricorso è ammissibile ai sensi dell’art. 152, comma 13, del D.Lgs. n. 169 del 2003.
2.1 – Va altresì dato atto dell’assenza di censure, da parte della R., in merito al rigetto della domanda risarcitoria, ragion per cui il giudizio rimane incentrato unicamente sulla liceità o meno, ai sensi del citato D.Lgs. n. 169/2003, dell’installazione dell’impianto di videosorveglianza.
2.2 – Con unico e articolato motivo il Ri. deduce violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003 e delle norme di attuazione emanate dal garante per la protezione dei dati personali il 20 maggio 2005, nonché vizio di motivazione, sostenendosi:
a) che nel caso di specie non vi sarebbe alcuna lesione della riservatezza, riguardando l’impianto di videosorveglianza (nel quale le immagini, per altro non registrate su bobine, venivano conservate per tre giorni, ed erano visionabili solo dall’A.G.) soltanto l’area cortilizia (si richiama, in proposito, la giurisprudenza formatasi, in relazione alla fattispecie di cui all’art. 615 bis c.p. in tema di aree condominiali);
b) il consenso della R. non era comunque richiesto essendo il Ri. unico proprietario del fabbricato, e sussistendo fondate ragioni, ai fini della tutela dei propri beni e della propria incolumità, del ricorso al videocontrollo.
3 – I diversi profili di censura, che, per la loro intima connessione, possono esaminarsi congiuntamente, sono fondati.
Il Tribunale di Messina ha proceduto a una disamina delle questioni relative al c.d. bilanciamento degli interessi, allo scopo di verificare se le deduzioni del resistente circa le esigenze di sicurezza posta alla base dell’istallazione del sistema di videosorveglianza fossero o meno fondate, senza tuttavia procedere a una doverosa ed accurata indagine preliminare circa la ricorrenza dei presupposti per l’applicabilità del D.Lgs. n. 196 del 2003, invocato in via esclusiva dalla R..
Tale imprescindibile esame, consentito in questa sede dalla deduzione della violazione del D.Lgs. n. 196 del 2003 e delle norme di attuazione del Garante del 20 maggio 2005, induce a ritenere che la fattispecie considerata esuli, per le seguenti ragioni, dalla disciplina di riferimento.
4 – Non può dubitarsi, nonostante in dottrina sia stato sollevato qualche dubbio al riguardo, che anche l’immagine di una persona, in sé considerata, quando in qualche modo venga visualizzata o impressa, possa costituire “dato personale” ai sensi dell’art. 4, lett. b), del D.Lgs. n. 196 del 2003, noto anche come “codice privacy”. In tal senso, invero, depongono specifiche decisioni del Garante per la protezione di dati personali (21 ottobre 1999; 4 ottobre 2007, 18 giugno 2009, n. 1623306), nonché la decisiva circostanza della previsione, nell’ambito del codice privacy, di una specifica norma (art. 134) in materia di videosorveglianza.
Mette conto di richiamare, inoltre, la Convenzione n. 108/1981 del Consiglio d’Europa; la direttiva n. 95/46 CE, art. 2, lett. a), nonché il documento di lavoro sulla videosorveglianza WP67/2002, adottato il 25 novembre 2002 dal Gruppo dei Garanti europei costituito ai sensi dell’art. 29 della citata direttiva.
5 – Non ricorrono, tuttavia, gli ulteriori aspetti di natura oggettiva. previsti dal complesso delle disposizioni che regolano la materia.
Con riferimento all’ambito di applicazione del richiamato D.Lgs. n. 196 del 2003, deve infatti richiamarsi la norma (art. 5, comma 3), secondo cui “il trattamento dei dati personali effettuato da persone fisiche per fini esclusivamente personali è soggetto all’applicazione del presente codice solo se i dati sono destinati ad una comunicazione sistematica o alla diffusione”.
5.1 – In relazione a tale disposizione, nel provvedimento generale in materia di videosorveglianza del Garante per la protezione dei dati personali del 29 aprile 2004, al par. 6.2.5., dedicato alle “riprese nelle aree comuni”, applicabile “ratione temporis” (ma nella successiva deliberazione in data 8 aprile 2010 – par. 6.1 – non si rinvengono significative differenze), si afferma che “l’installazione degli strumenti descritti nel paragrafo precedente, se effettuata nei pressi di immobili privati e all’interno di condominii e loro pertinenze (es. posti auto, box), benché non sia soggetta al Codice quando i dati non sono comunicati sistematicamente o diffusi, richiede comunque l’adozione di cautele a tutela dei terzi (art. 5, comma 3, del Codice). Al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), l’angolo visuale delle riprese deve essere limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza, ad esempio antistanti l’accesso alla propria abitazione, escludendo ogni forma di ripresa anche senza registrazione di immagini relative ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) o antistanti l’abitazione di altri condomini. Il Codice trova invece applicazione in caso di utilizzazione di un sistema di ripresa di aree condominiali da parte di più proprietari o condomini, oppure da un condominio, dalla relativa amministrazione (comprese le amministrazioni di residence o multiproprietà), da studi professionali, società o da enti no-profit.
L’installazione di questi impianti è ammissibile esclusivamente in relazione all’esigenza di preservare la sicurezza di persone e la tutela di beni da concrete situazioni di pericolo, di regola costituite da illeciti già verificatisi, oppure nel caso di attività che comportano, ad esempio, la custodia di denaro, valori o altri beni (recupero crediti, commercio di preziosi o di monete aventi valore numismatico). La valutazione di proporzionalità va effettuata anche nei casi di utilizzazione di sistemi di videosorveglianza che non prevedano la registrazione dei dati, in rapporto ad altre misure già adottate o da adottare (es. sistemi comuni di allarme, blindatura o protezione rinforzata di porte e portoni, cancelli automatici, abilitazione degli accessi)”.
5.2 – Onde verificare quale delle ipotesi sopra descritte ricorre nel caso in esame, debbono richiamarsi i dati fattuali emergenti dalla decisione impugnata:
a – l’intero fabbricato nel cui cortile è stato installato l’impianto di videosorveglianza è di proprietà di Ri.S.. La nuora R. occupa una porzione di detto immobile quale assegnataria, essendole stati affidati i figli minori nell’ambito di giudizio di separazione personale;
b – l’impianto è costituito da telecamere collocate sul cancello che consente l’accesso al giardinetto e sul portoncino d’ingresso;
c – secondo le informazioni rese dalla ditta Domotica S.r.l., acquisite agli atti e trascritte nel ricorso, il sistema non è dotato di bobine a nastro per la registrazione, ma di un hard disc, che registra e salva, per soli tre giorni, le immagini, le quali potranno essere esaminate non dal Ri., ma dall’A.G. a seguito della denuncia di un fatto illecito penalmente rilevante.
5.3 – La questione più delicata che la presente vicenda pone consiste nella qualificazione giuridica, per i fini che qui interessano, della figura dell’unico proprietario di un immobile, allo scopo di stabilire se ricorrano i presupposti, così come indicati anche dal Garante per la protezione dei dati personali, per il superamento di quell’ambito di esclusione dell’applicazione del “codice privacy”, come delineato dal terzo comma dell’art. 5, sopra richiamato, dello stesso D.Lgs. n. 196 del 2003.
Posto che, come si legge nella seconda proposizione del punto 6.2.5 del provvedimento del Garante in tema di videosorveglianza del 2004, “il Codice trova invece applicazione in caso di utilizzazione di un sistema di ripresa di aree condominiali da parte di più proprietari o condomini, oppure da un condominio, dalla relativa amministrazione (comprese le amministrazioni di residence o multiproprietà), da studi professionali, società o da enti no-profit”, si tratta di stabilire se la figura dell’unico proprietario di un fabbricato comprendente più unità abitative, concesse in locazione o in comodato, sia assimilabile al condominio. Certamente un’interpretazione letterale dei lemmi “più proprietari o condomini” induce a fornire una risposta negativa al quesito, dovendosi per altro ritenere che in una materia come quella in esame, in cui si dispongono restrizioni e sanzioni, non sia consentito il ricorso all’applicazione analogica.
5.4 – Deve altresì richiamarsi il contenuto della segnalazione sulla videosorveglianza nei condomini effettuata al Parlamento e al Governo, in data 13 maggio 2008, dal Garante per la protezione dei dati personali, con specifico riferimento alla rappresentazione dell’inesistenza di una puntuale regolamentazione della materia. In tale documento si precisa che nei provvedimenti di carattere generale già emanati (compreso quello in esame, del 29 aprile 2004), “il Garante non si è soffermato specificamente sulle condizioni di liceità per il trattamento di dati personali all’interno dei condomini: non sono stati di conseguenza identificati né i soggetti la cui manifestazione di volontà è necessaria nel contesto condominiale per svolgere tali trattamenti (i proprietari e i titolari di diritti reali parziari o anche soggetti diversi, primi fra tutti i conduttori), né le eventuali maggioranze da rispettare”.
La qualificata denuncia di una lacuna sul piano normativo si traduce anche nell’interpretazione, in un certo senso autentica, della richiamata delibera del 2004 dello stesso Garante, con la conseguenza che il proprietario unico di un immobile, ancorché parzialmente concesso in locazione o in comodato, deve considerarsi, ai sensi dell’art. 5, comma 3, del più volte richiamato codice, persona fisica che agisce per fini esclusivamente personali, come tale non assoggettabile alla disciplina del codice nei casi, come quello oggetto di scrutinio, in cui i dati non sono destinati ad una comunicazione sistematica o alla diffusione.
5.5 – Deve pertanto escludersi, con riferimento alla fattispecie in esame, tanto la ricorrenza, in capo al Ri., della qualità di “titolare del trattamento dei dati”, ai sensi dell’art. 28 del D.Lgs. n. 169/2003, quanto, la necessità di un bilanciamento degli interessi ai sensi dell’art. 24 dello stesso codice, in quanto nell’ipotesi prevista dal più volte richiamato art. 5, comma 3, la valutazione dei contrapposti interessi è stata effettuata in via preventiva e generale dal legislatore.
Per completezza di esposizione si rileva che la verifica, sotto il profilo meramente diacronico, del nesso fra l’installazione dell’impianto di video- controllo da parte del Ri. e gli atti di vandalismo subiti e denunciati, per come operata dal giudice del merito, non resiste al vaglio logico-giuridico, non potendosi dubitare della concorrente funzione preventiva del ricorso a un sistema di videosorveglianza. In altri termini, la collocazione cronologica degli episodi di furto e di danneggiamento non rileva rispetto alla necessità di tutela dei proprio beni perseguita dal ricorrente; al contrario, la loro sussistenza conferma la fondatezza del ricorso a un impianto che, oltre a consentire l’eventuale individuazione dei responsabili di ulteriori atti di vandalismo, è intrinsecamente dotato di efficacia dissuasiva.
6 – La menzionata delibera del 2003 del Garante per la protezione dei dati personali prevede, al punto 6.2.5, opportunamente richiamando il disposto del codice (art. 5, comma 3), l’adozione di cautele a tutela dei terzi (art. 5, comma 3, del Codice), al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.). Sotto tale profilo, non può prescindersi dal costante orientamento di questa Corte, secondo cui le aree comuni non rientrano nei concetti di “domicilio”, “privata dimora” né “appartenenze di essi” ai quali si riferisce l’art. 614 c.p. (richiamato dall’art. 615 bis c.p.), nozioni che individuano una particolare relazione del soggetto con l’ambiente ove egli vive la sua vita privata, in modo da sottrarla ad ingerenze esterne indipendentemente dalla sua presenza: i luoghi sopra menzionati sono, in realtà, destinati all’uso di un numero indeterminato di soggetti e di conseguenza la tutela penalistica di cui all’art. 615 bis c.p. non si estende alle immagini eventualmente ivi riprese (Cass. pen., 29 ottobre 2008, n. 44701; 10 novembre 2006 n. 5591; 25 ottobre 2006 n. 37530).
Deve altresì rilevarsi come la Corte costituzionale, nella nota decisione n. 149 del 2008, dopo aver premesso che l’art. 14 Cost. tutela il domicilio sotto due distinti aspetti: come diritto di ammettere o escludere altre persone da determinati luoghi, in cui si svolge la vita intima di ciascun individuo, e come diritto alla riservatezza su quanto si compie nei medesimi luoghi; ed dopo aver precisato che, nel caso delle riprese visive, il limite costituzionale del rispetto dell’inviolabilità del domicilio viene in rilievo precipuamente sotto il secondo aspetto, “come presidio di un’intangibile sfera di riservatezza, che può essere lesa – attraverso l’uso di strumenti tecnici – anche senza la necessità di un’intrusione fisica”, ha osservato che non basta che un certo comportamento venga tenuto in luoghi di privata dimora, ma occorre, altresì, che esso avvenga in condizioni tali da renderlo tendenzialmente non visibile ai terzi. Se quindi l’azione – pur svolgendosi in luoghi di privata dimora – può essere liberamente osservata dagli estranei, senza ricorrere a particolari accorgimenti (nella specie si tratta dello spazio, esterno al fabbricato, intercorrente fra il cancello e il portone d’ingresso), il titolare del domicilio non. può evidentemente accampare una pretesa alla riservatezza.
Deve pertanto ritenersi che, anche con riferimento al residuale criterio fondato sulla verifica di eventuali interferenze illecite nella vita privata, 1’installazione dell’impianto di videosorveglianza per cui è processo non sia lesiva del diritto azionato dalla R. con la domanda proposta ai sensi dell’art. 152 del D.Lgs. n. 169 del 2003.
7 – Sulla base delle superiori considerazioni il ricorso deve essere accolto. Alla cassazione della decisione impugnata consegue, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la decisione nel merito della causa, nel senso del rigetto del ricorso proposto dalla R..
8 – La novità e la peculiarità della questione costituiscono giusti motivi per la compensazione integrale fra le parti delle spese processuali.
9 – Ai sensi dell’art. 154, comma 6, del codice privacy va disposta la trasmissione, a cura della Cancelleria, di copia della presente decisione al Garante per la protezione dei dati personali.

 

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da R.M.. Dichiara compensate fra le parti le spese dell’intero giudizio.
Dispone la trasmissione, a cura della Cancelleria, di copia della presente decisione al Garante per la protezione dei dati personali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, il 24 aprile 2012.

Redazione