Principio dell’oltre il ragionevole dubbio: dalla Cassazione penale i criteri interpretativi (Cass. pen. n. 931/2012)

Redazione 13/01/12
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Svolgimento del processo A.- Con sentenza in data 08.06.2009 la Corte d’assise di Foggia dichiarava la penale responsabilità di:

C.M. per i reati di cui agli artt. 56, 582 e 585 c.p. (così derubricata l’originaria contestazione di tentato omicidio) e 10-12-14 legge armi;

B.N. per i reati di tentato omicidio, omicidio e armi di cui al capo B della rubrica e per il tentato omicidio e armi di cui al capo C. B.- Con la stessa sentenza la Corte foggiana assolveva Z. A. dai reati di tentato omicidio e armi di cui al capo C per non aver commesso il fatto.

C- Su appello del P.M. e degli imputati C. e B. la Corte d’assise di appello di Bari, con sentenza del 26.10.2010, rideterminava le pene inflitte a C. e B. e dichiarava Z. colpevole dei reati di cui al capo C. D.- Propongono ricorso i prevenuti.

E.- C. deduce che:

1.- tutti i reati sono estinti per prescrizione e alla relativa declaratoria non poteva e non può ostare la rinuncia ai motivi di appello in punto responsabilità;

2.-3.-4.- manca la motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7 per i delitti in materia di armi, al diniego delle attenuanti generiche e alla richiesta di esclusione o limitazione delle statuizioni civili e revoca della provvisionale;

5.- è stato violato il divieto di reformatio in pejus, essendosi calcolato aumento di pena anche per il reato di detenzione di armi, per il quale nessun aumento era stato applicato dal primo giudice.

F.- B. contesta la misura della pena e il riconoscimento dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7 per i reati di cui al capo C. G.- Z. deduce il vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per i reati di cui al capo C, per avere la Corte d’assise d’appello riformato la decisione di primo grado attraverso una lettura distorta e travisata delle risultanze processuali e la violazione dell’art. 192 c.p.p..

 

Motivi della decisione

Per quanto concerne il ricorso di C., deve rilevarsi che:

– il motivo di cui sopra sub E.1. è fondato limitatamente ai reati di lesioni e detenzione armi, per i quali la prescrizione era maturata già al momento della decisione della Corte d’assise d’appello, che non poteva quindi – pur in presenza della parziale rinuncia ai motivi di appello – non prenderne atto a sensi dell’art. 129 c.p.p..; i reati stessi devono di conseguenza essere dichiarati estinti, con eliminazione della relativa pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 100,00 di multa;

– i motivi di cui sopra sub E.-2.-3.-4. sono preclusi dalla rinuncia ai motivi di appello diversi da quello relativo alla determinazione della pena;

– il motivo di cui sopra sub E.5. è assorbito dal predetto accoglimento del motivo di cui sub E.1.;

– relativamente al reato di porto d’armi, la prescrizione non era maturata al momento della decisione della Corte d’assise di appello e non può più essere rilevata, stante la inammissibilità del ricorso stesso in ordine al reato de quo; (v. Cass. n. 34171 del 2008).

Il ricorso di B. è inammissibile, in quanto presentato oltre il termine di gg. 45, scadente il 10 marzo 2011, stante il dies a quo del 24 gennaio 2011, coincidente col decorso del termine di 90 gg. fissato dal giudice nella sentenza emessa il 26 ottobre 2010 alla presenza dell’imputato e depositata il 23 novembre 2010.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, per la causa dell’inammissibilità, si stima equo determinare in Euro 500,00.

Fondato è il ricorso di Z..

Al riguardo deve premettersi, in via generale, che il principio dell’”al di là di ogni ragionevole dubbio”, formalmente introdotto nel nostro ordinamento dalla L. n. 46 del 2006, pur se non più accompagnato dalla regola dell’inappellabilità delle sentenze assolutorie, espunta dalla sentenza n. 36 del 2007 della Corte costituzionale, presuppone comunque che, in mancanza di elementi sopravvenuti, l’eventuale rivisitazione in senso peggiorativo compiuta in appello sullo stesso materiale probatorio già acquisito in primo grado e ivi ritenuto inidoneo a giustificare una pronuncia di colpevolezza, sia sorretta da argomenti dirimenti e tali da evidenziare oggettive carenze o insufficienze della decisione assolutoria, che deve, quindi, rivelarsi, a fronte di quella riformatrice, non più sostenibile, neppure nel senso di lasciare in piedi residui ragionevoli dubbi sull’affermazione di colpevolezza.

Non basta, insomma, per la riforma caducatrice di un’assoluzione, una mera diversa valutazione caratterizzata da pari o addirittura minore plausibilità rispetto a quella operata dal primo giudice, occorrendo invece, come detto, una forza persuasiva superiore, tale da far venire del tutto meno quella situazione di “ragionevole dubbio”, in qualche modo intrinseca alla stessa esistenza del contrasto.

La condanna, invero, presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l’assoluzione non presuppone la certezza, dell’innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza.

Ciò chiarito in via generale, può senz’altro escludersi che nel caso di specie il “ribaltamento” operato dalla Corte d’assise d’appello abbia rispettato i criteri testè evidenziati.

A base della sentenza di riforma è stata infatti addotta una mera diversa selezione e valutazione del materiale probatorio, costituito dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia S. (committente dell’omicidio R.) e M. (esecutore materiale), fornendosene un’interpretazione conforme alla ipotesi di accusa, attraverso un percorso motivazionale che non si è fatto doverosamente carico di una serie di passaggi delle dichiarazioni del M., già riportati dal primo giudice e dallo stesso argomentatamente ritenuti idonei a porre in dubbio l’effettivo concreto concorso dello Z. (pur intervenuto in una prima generale fase di contatto con lo S.) nello specifico omicidio R. in relazione in particolare alla fase ideativo-deliberativa.

E’ evidente che in tal modo il giudice di secondo grado ha omesso di dissipare in maniera compiuta i dubbi sulla colpevolezza dell’imputato ragionevolmente rilevati dal primo giudice e ha quindi pronunciato condanna senza dare adeguato conto della sussistenza del presupposto di cui all’art. 533 c.p.p., comma 1, primo periodo.

La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata nei confronti di Z., con rinvio al giudice di merito, che procederà a nuovo giudizio, rendendo motivazione immune da vizi.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di C. M. limitatamente ai reati di lesioni e detenzione armi perchè estinti per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 100,00 di multa; dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Annulla la stessa sentenza nei confronti di Z.A. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’assise d’appello di Bari.

Dichiara inammissibile il ricorso di B.N., e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 500,00 a favore della Cassa delle Ammende.

Redazione