Principio “chi inquina paga” (TAR Sent. N.02117/2012)

Redazione 11/09/12
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N. 02117/2012 REG.PROV.COLL.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2533 del 2007, proposto da:

….omissis…..

DIRITTO

Preliminarmente va disposta la riunione di tutti i ricorsi in epigrafe, attesa la loro evidente connessione sia oggettiva, che soggettiva con riferimento alle parti resistenti.

Va chiarito che nelle precedenti fasi del presente giudizio è stata già disposta le riunione della maggior parte dei ricorsi in epigrafe; da ultimo, con ordinanza collegiale n. 2159/2011 del 02.09.2011 sono stati riuniti i ricorsi nn. 2533/2007, 784/2008, 996/2008, 1030/2008, 1031/2008, 1150/2008, 1153/2008, 1154/2008, 1170/2008, 1322/2008, 1374/2008, 1375/2008, 1383/2008, 3265/2008, 3319/2008, 152/2009, 153/2009, 164/2009, 183/2009, ed è stata ulteriormente disposta la riunione degli indicati ricorsi con quelli pendenti presso altra Sezione e aventi quale oggetto la medesima controversia e le conferenze di servizi successive a quelle oggetto dei ricorsi già riuniti, demandando al Presidente del Tribunale la concreta individuazione di tali ricorsi.

Ai 19 ricorsi prima indicati vanno dunque riuniti i ricorsi nn. 1250/2011, 1525/2011, 1823/2011, 1825/2011, 1826/2011, 1827/2011, 1868/2011, 1899/2011 e 1900/2011.

Infine, occorre in questa sede riunire ai precedenti ricorsi altresì il ricorso n. 1789/2008, in quanto avente ad oggetto la medesima controversia all’esame del Collegio, anche se limitatamente a due delle conferenze di servizi impugnate ( quella del 6 marzo 2008 e quella del 22 dicembre 2010, impugnata con i motivi aggiunti).

Rileva inoltre il Collegio che gli elementi che connotano il presente contenzioso – presenza di tutte o quasi le società che operano all’interno del sito di interesse nazionale di Priolo, rilevante numero ed ampio e complesso contenuto dei ricorsi riuniti e dei motivi ad essi aggiunti, produzione documentale che solo eufemisticamente può definirsi “imponente ” – suggeriscono una valutazione complessiva delle questioni sottoposte al vaglio di questo Tribunale.

Tanto premesso, vanno respinte le domande di estromissione dal giudizio proposte dall’Avvocatura dello Stato in quasi tutti i ricorsi in esame, relativamente alle seguenti amministrazioni, sul presupposto che non sarebbero state formulate domande contro di esse:

****omissis****

Risulta dalla documentazione di causa che le suddette Amministrazioni sono state tutte convocate alle conferenze dei servizi impugnate e, comunque, sono destinatarie delle relative prescrizioni, per quanto di loro competenza ( ad es. Prefetto di Siracusa; Presidente Regione Sicilia ), ovvero hanno partecipato al complesso procedimento quivi contestato in veste istruttoria o consultiva (APAT, ISS).

Per quanto più specificamente attiene alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, trattandosi nel caso in esame di controversia relativa a materie di competenza di più ministeri, la stessa ha un evidente interesse di coordinamento di vertice.

Ne consegue che va respinta la domanda di estromissione dal giudizio di ciascuna delle Amministrazioni che lo hanno richiesto.

Va dichiarato inammissibile per carenza di interesse il ricorso n. 1250/2011 proposto dalla società *** *** S.p.A., in accoglimento della specifica eccezione sollevata dalle Amministrazioni resistenti, in quanto la società non è destinataria delle determinazioni della conferenza di servizi del 13 aprile 2010, né del relativo decreto di approvazione.

Devono inoltre essere dichiarati parzialmente improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse i ricorsi n. ****omissis****

Venendo al merito della complessa controversia in esame, le questioni generali sono sinteticamente riconducibili a tre principali:

I – Bonifica dei fondali della **** di *******;

II- Bonifica delle aree a terra- suoli e falda – con riferimento particolare alla prescrizione che attiene alla realizzazione di un barrieramento fisico della falda – lato mare;

III- Restituzione agli usi legittimi delle aree non contaminate.

Le questioni all’esame del Collegio sono state già oggetto di un complesso contenzioso, nell’ambito del quale si sono già pronunciati sia questo Tribunale che il Giudice di appello, sia pure solo in fase cautelare.

Questa Sezione ha rimesso alla Corte di Giustizia Europea alcune questioni pregiudiziali in ordine all’interpretazione del principio “chi inquina paga” e delle norme comunitarie sul danno ambientale e sulla tutela della concorrenza, e la Corte si è espressa con sentenze del 9 marzo 2010.

E’ stata altresì disposta consulenza tecnica d’ufficio sulle questioni in esame.

I. – Quanto alla prima delle questioni sopraindicate – bonifica dei fondali della **** di ******* – tutte le società ricorrenti hanno ripercorso le varie fasi in cui si è articolato l’iter procedimentale relativo alla bonifica del sito di interesse nazionale di Priolo Gargallo.

Occorre infatti brevemente ricordare che con le conferenze dei servizi che hanno preceduto quelle oggetto di impugnazione – ed oggetto a loro volta del già citato precedente contenzioso – si è passati dalla messa in sicurezza di em***enza e caratterizzazione delle aree a terra (suoli e falda) ad una prospettiva di bonifica dell’intera **** di ******* prospiciente il Petrolchimico, attraverso una prima ed una seconda fase di caratterizzazione nel corso delle quali le indagini svolte da ICRAM, dapprima in due aree prioritarie della **** e successivamente in tutta la ****, hanno condotto alla rilevazione di una grave contaminazione da mercurio nei sedimenti marini.

Sono state, pertanto, via via introdotte nei confronti delle società insediate nel sito di Priolo nuove prescrizioni relative alla messa in sicurezza di em***enza e bonifica dei sedimenti della Rada, e con l’approvazione del Progetto di bonifica ICRAM nella conferenza del 20.12.2007 e, successivamente, nella conferenza del 07.10.2008 – nel corso della quale è stato approvato il progetto nella sua elaborazione definitiva -, è stata prevista la rimozione mediante dragaggio di svariati milioni di metri cubi di sedimenti marini contaminati, da utilizzare per il riempimento di casse di colmata” sottomarine” che, dopo lo sversamento in esse dei sedimenti dragati, dovrebbero formare un’isola artificiale all’interno della ****, da utilizzare quale “hub portuale” di interscambio tra navi portacontainer.

Il progetto, nella versione aggiornata del 2008, ha subito delle modifiche rispetto alla precedente versione, con particolare riferimento all’individuazione del volume dei sedimenti contaminati ( 13 milioni circa di metri cubi a fronte dei 18 milioni circa del primo progetto), nonché del volume dei sedimenti da dragare, ridotto da 13 milioni circa di metri cubi alla metà.

In data 07.11.08 è stato sottoscritto l’Accordo di Programma tra soggetti pubblici (Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero dei Trasporti, Commissario delegato per l’em***enza bonifiche e tutela delle acque della Regione Siciliana, Regione Siciliana, Provincia di Siracusa, Comuni territorialmente interessati e Autorità Portuale di ******* ), avente ad oggetto “Interventi di riqualificazione ambientali funzionali alla deindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel sito di interesse nazionale di ******”, finalizzato alla realizzazione degli interventi di messa in sicurezza d’em***enza e bonifica del sito contaminato mediante rimozione dei sedimenti inquinati, congiuntamente allo sviluppo portuale all’interno del sito di interesse nazionale di Priolo.

Il predetto Accordo di programma è stato successivamente integrato con atto in data 05.03.2009.

Le parti ricorrenti hanno inoltre riferito di una riunione in data 15.06.2011, nel corso della quale sarebbe stata confermata la volontà dell’Amministrazione di dare seguito all’Accordo di programma predetto, con una nuova progettazione degli interventi di bonifica della **** che tenga conto dei rilievi tecnici emersi nel corso del presente giudizio ( esiti della CTU disposta dalla Sezione e della consulenza disposta dalla Procura presso il Tribunale di Siracusa ).

L’Amministrazione, nella memoria depositata in ottemperanza all’ordinanza istruttoria n. 2159/2011 ha insistito sulla piena vigenza di tutte le prescrizioni adottate nelle conferenze dei servizi impugnate, e con riferimento all’asserita modifica dell’ipotesi progettuale riguardante la bonifica della Rada, ha chiarito che nessuna modifica progettuale sarebbe intervenuta e che si tratterebbe soltanto, a causa delle limitate risorse economiche disponibili, della realizzazione del primo stralcio funzionale del progetto di bonifica nell’area di maggiore contaminazione (******* della Neve), con la rimozione di un milione di metri cubi di sedimenti inquinati.

Sulla questione relativa alla bonifica dei fondali della Rada, ritiene il Collegio che i ricorsi siano fondati, e le relative determinazioni delle conferenze dei servizi impugnate da annullare, sotto il profilo del difetto di istruttoria e motivazione dei prescritti interventi di asportazione dei sedimenti mediante attività di dragaggio.

Le società ricorrenti si sono dilungate nel lamentare la violazione del principio comunitario “chi inquina paga”, denunciando l’illegittimità di un accollo indifferenziato delle attività e degli oneri di bonifica a carico delle aziende che svolgono attività produttive all’interno del SIN di Priolo, senza il preventivo accertamento, con procedimento partecipato, delle relative responsabilità per l’inquinamento riscontrato. Con la conseguenza che, non essendo stato nella fattispecie accertato il nesso eziologico tra attività produttive esercitate nel sito ed inquinamento della rada ( in quanto la P.A. si sarebbe limitata a prendere atto della esistenza di livelli di inquinamento asseritamente superiori agli standards, senza però svolgere alcuna attività di indagine per individuare i soggetti responsabili), nessuna responsabilità sarebbe addebitabile agli operatori insediati presso il sito di Priolo.

Tutte le società ricorrenti hanno sostenuto, infatti, di essere completamente estranee ai processi di contaminazione della Rada, atteso che tale contaminazione sarebbe risalente nel tempo e comunque non ascrivibile allo svolgimento delle loro attività, bensì ad attività di soggetti diversi.

Sull’applicazione concreta del principio “chi inquina paga” il Collegio, in diversa composizione, e discostandosi da quanto ritenuto nelle precedenti pronunce della Sezione sulla medesima questione, ritiene di poter aderire all’orientamento espresso dalle Amministrazioni resistenti e dal Giudice di appello in sede cautelare (ordinanza n. 321/06), in forza del quale la responsabilità degli operatori economici insediati nel SIN di ****** rispetto a misure di ripristino ambientale nasce in virtù della loro presenza all’interno del sito perimetrato, quali soggetti proprietari o utilizzatori delle aree industriali ivi ricadenti, e si configura come “oggettiva responsabilità imprenditoriale”, in base alla quale “gli operatori economici che producono e ritraggono profitti attraverso l’esercizio di attività pericolose, in quanto ex se inquinanti, o in quanto utilizzatori di strutture produttive contaminate e fonte di perdurante contaminazione, sono per ciò stesso tenuti a sostenere integralmente gli oneri necessari a garantire la tutela dell’ambiente e della salute della popolazione, in correlazione causale con tutti indistintamente i fenom*** di compromissione collegatisi alla destinazione industriale del sito, gravato come tale da un vero e proprio onere reale a rilevanza pubblica, in quanto finalizzato alla tutela di prevalenti ed indeclinabili interessi dell’intera collettività” (cfr. ord. n. 321/06 C.G.A. Sicilia).

Ritiene il Collegio che tale opzione interpretativa sia perfettamente compatibile con l’applicazione del principio “chi inquina paga”, conformemente agli orientamenti della giurisprudenza più recente in materia (TAR Lazio, Roma, Sez. II bis, 10 luglio 2012, n.6251; Idem, Sez. I, 14 marzo 2011, n. 2263; Idem, sez. II bis, 16 maggio 2011, n. 4215), che ha evidenziato come il Codice dell’Ambiente di cui al d.lgs. n. 152 del 2006 disciplini un sistema sanzionatorio ambientale nel quale l’attuazione del principio non prevede che – in assenza di individuazione del responsabile ovvero di impossibilità di questi a far fronte alle proprie obbligazioni – il costo degli interventi gravi sulla collettività (per il tramite di uno degli enti esponenziali di questa), ma pone tali costi a carico della proprietà, salvo il diritto di rivalsa del proprietario nei confronti del responsabile.

Del resto, la ratio del principio comunitario “chi inquina paga” è quella di escludere che i costi derivanti dal ripristino di siti inquinati venga sopportato dalla collettività.

Tale soluzione, diversamente da quanto prospettato dalle società ricorrenti, non è incompatibile con quanto deciso dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 9 marzo 2010 causa C-378/08, che in ipotesi di inquinamento ambientale come quello in esame, a carattere diffuso, ha affermato che la normativa di uno Stato membro può prevedere che l’autorità competente abbia facoltà di imporre misure di riparazione del danno ambientale presumendo l’esistenza di un nesso di causalità tra l’inquinamento accertato e le attività del singolo o dei diversi operatori, e ciò in base alla vicinanza degli impianti di questi ultimi con il menzionato inquinamento (sentenza C 378/08, *** e a., cit., punto 56).

Tuttavia, dato che, conformemente al principio «chi inquina paga», l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento (v., per analogia, sentenza 24 giugno 2008, causa C 188/07, Commune de *******, Racc. pag. I 4501, punto 77), per poter presumere secondo tali modalità l’esistenza di un siffatto nesso di causalità l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività (sentenza C 378/08, *** e a., cit., punto 57).

Quando disponga di indizi di tal genere, l’autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato (punto n. 58).

Pertanto, in presenza di una situazione di contaminazione estesa come nel caso di specie, in relazione alla quale non è facile distinguere l’apporto individuale di ciascun operatore nella causazione del danno ambientale, anche in considerazione dell’ampio periodo di utilizzo produttivo del sito industriale durante il quale all’interno del sito stesso si sono avvicendati numerosi operatori, risultano soddisfatti, ad avviso del Collegio i presupposti indicati dalla Corte per l’accertamento presuntivo del nesso causale, vale a dire la vicinanza degli impianti e l’identità tra le sostanze rinvenute nelle matrici ambientali contaminate e quelle trattate, prodotte o stoccate, o comunque utilizzate dalle aziende.

Queste ultime, a loro volta, non hanno confutato incontrovertibilmente tale presunzione, poiché né la dimostrazione che l’inquinamento è risalente nel tempo ( e sarebbe addebitabile alla Montedison ed alla marina civile e militare ), né “la mancanza di correlazioni dirette tra le situazioni di contaminazione rilevate a mare ed a terra” come esposta nella relazione di C.T.U. ( che ha specificato sul punto le incertezze del metodo di indagine, attesa la carenza di “una piezometria generale estesa all’intera area di intervento, che avrebbe fornito una serie di utili indicazioni sulle caratteristiche del deflusso idrico sotterraneo” e la mancanza, nella documentazione a disposizione dei periti, di informazioni idonee a comprendere i complessi meccanismi che governano il trasferimento dell’inquinante dal suolo alla falda, e da questa, eventualmente, al mare ed ai sedimenti – pag. 243 ) sono in grado, di per sé, di escludere che gli operatori attuali esercenti attività inquinanti abbiano contribuito alla contaminazione.

Al riguardo, la relazione di consulenza tecnica, che le società richiamano a sostegno della loro estraneità ai processi di contaminazione delle aree marine, specifica che per la complessità dei prima citati meccanismi di trasferimento e per la mancanza di informazioni adeguate, gli effetti sulla contaminazione marina degli sversamenti e delle perdite sulle aree a terra non sono stati oggetto di accertamento specifico.

Piuttosto, la stessa C.T.U. disposta dalla Sezione riconduce le sorgenti inquinanti alle attività industriali presenti nel sito ed individua tra le dette fonti di inquinamento anche gli sversamenti diretti a mare, l’ultimo dei quali verificatosi a novembre 2008 ( pag. 240 – la c.t.u. è stata depositata a febbraio 2009).

Al riguardo, l’unica posizione differenziata è quella della *** ***, la cui responsabilità per l’inquinamento della **** non può essere ritenuta sussistente neanche sulla base dei sopra descritti elementi presuntivi, tanto è vero che essa è stata esclusa sia dai consulenti tecnici d’ufficio(( cfr. CTU pag. 236), sia dalla stessa Amministrazione (cfr. memoria del 18.01.2012 nel giudizio R.G. 1525/2011, dove si dà atto che “a *** *** non è stato mai richiesto l’intervento di rimozione dei sedimenti contaminati dal mercurio o dagli idrocarburi, ma solo l’attivazione di quegli interventi che attengono precipuamente alla sua attività nella propria area d’utilizzo” (pagg. 9- 10).

In conclusione, il richiamato orientamento giurisprudenziale del Giudice di appello e della più recente giurisprudenza si fonda, ad avviso del Collegio, sui medesimi presupposti individuati dalla Corte di Giustizia per l’accertamento presuntivo della responsabilità per l’inquinamento nei casi, come quello di specie, di inquinamento diffuso, vale a dire la presenza dell’impianto industriale nel sito considerato e l’esercizio di attività inquinante.

Ciò posto, sono invece fondate le censure con le quali le società ricorrenti hanno contestato, per carenza di adeguata istruttoria e di motivazione, le prescrizioni delle conferenze di servizi del 20 dicembre 2007 e del 7 ottobre 2008 inerenti il progetto di bonifica della Rada, dirette a realizzare la rimozione di diversi milioni di metri cubi di sedimenti contaminati ed il loro successivo confinamento in casse di colmata, da utilizzare per la realizzazione di un hub portuale di interscambio tra navi di ultima generazione.

Le società ricorrenti hanno contestato l’efficacia della tecnica di dragaggio dei sedimenti inquinati, in particolare evidenziando la pericolosità per l’ambiente e per la salute umana di tale tecnica, per il rischio che possano rimettersi in circolazione depositi di materiale inquinato oramai giacenti sui fondali, con conseguente aggravamento dei rischi sanitari, di tal che il rimedio potrebbe rivelarsi peggiore del male.

Anche l’utilizzo in mare di tre enormi casse di colmata, piene di sedimenti contaminati, potrebbe essere fonte di ulteriore inquinamento.

Va preliminarmente chiarito che il progetto di bonifica della Rada nella versione aggiornata al giugno 2008, ed approvata in conferenza di servizi del 7 ottobre 2008, risulta modificato rispetto al progetto del 2006 approvato in conferenza del 20.12.2007, soprattutto per quanto concerne i volumi di sedimento da rimuovere, drasticamente ridotti, come confermato altresì dall’amministrazione nella memoria depositata ad ottobre 2011.

Ora, se è vero che la scelta in ordine alle modalità di bonifica del sito è espressione di discrezionalità tecnica dell’amministrazione, ed in quanto tale non sindacabile nel merito da parte di questo Giudice, tuttavia qualsiasi valutazione tecnico-discrezionale deve essere supportata da adeguata istruttoria e motivazione per sfuggire al sindacato giurisdizionale.

Ritiene il Collegio che la scelta circa le predette modalità di bonifica sia viziata sotto i profili denunciati dalle società ricorrenti e sinteticamente prima riassunti.

Risulta infatti dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta da questa Sezione che l’Amministrazione non ha svolto alcuna attività di indagine per individuare gli interventi effettivamente necessari alla rimozione dell’inquinamento accertato.

La consulenza tecnica ha accertato che il progetto ICRAM non è stato preceduto da alcuna analisi di rischio sito-specifica che, consentendo di valutare i rischi effettivi per la salute umana derivanti dall’accertato inquinamento da mercurio, esaclorobenzene ed in parte da idrocarburi, avrebbe consentito una più adeguata individuazione degli obiettivi della bonifica. E’ stato invece acclarato che non sono esattamente identificate “le modalità di conduzione degli interventi (vale a dire le metodologie), per le quali non sono valutabili, quindi, l’efficacia e l’efficienza; peraltro, non sono individuate e stimate le possibili conseguenze sulle componenti ambientali, per cui non sono valutabili i suoi effetti” (CTU, pag. 268).

Il progetto riporta solo una illustrazione generale delle tecniche utilizzabili per la rimozione dei sedimenti e conseguentemente non spiega le ragioni della soluzione prescelta, né identifica delle possibili alternative anche in funzione della minimizzazione dell’impatto ambientale (p. 238).

Non risulta possibile “valutare la sostenibilità in termini di costi/benefici e tempi” del progetto, poiché in esso “non vengono stimati in maniera adeguata né i costi sommari necessari per l’intervento… né i tempi richiesti sia per il completamento dell’iter progettuale che per la sua esecuzione” (CTU, pagg. 268);

Alla data delle operazioni peritali non risultavano eseguiti i test di trattabilità sui sedimenti, per i quali erano stati individuati solo gli obiettivi da perseguire, nonché in maniera generica le modalità di indagine che si intendeva applicare.

Invero, a seguito della fase di caratterizzazione dei sedimenti svolta da ICRAM e della riscontrata contaminazione, l’Amministrazione avrebbe dovuto valutare da un lato gli effettivi rischi per la salute umana connessi alla presenza di inquinanti nelle matrici ambientali, calcolare i valori di intervento e valutare la fattibilità delle opere, approfondendo gli effetti del dragaggio sulle componenti ambientali.

La carenza di istruttoria è evidente anche per quanto riguarda l’analisi dei principali problemi indotti dalle operazioni di dragaggio, quale lo smaltimento delle acque di risulta dalle operazioni di trattamento dei sedimenti ovvero gli eventuali interventi di ripristino e miglioramento ambientale.

Inoltre, proprio per la mancata effettuazione di un’analisi di rischio sito specifica, non appare ragionevole la previsione che l’intervento debba interessare anche le aree meno contaminate della Rada, atteso che date le dimensioni della **** stessa sarebbe più ragionevole limitare gli interventi alle sole zone più contaminate.

Quanto al progetto di realizzazione delle casse di colmata, la consulenza tecnica pone in evidenza la mancata individuazione della modalità di esecuzione delle vasche, nonché la non coerenza con il progetto di bonifica dei sedimenti, come aggiornato nel luglio 2008, poiché essendo prevista in quest’ultimo la drastica riduzione dei sedimenti da dragare, anche il progetto relativo alle casse di colmata avrebbe dovuto essere adeguato di conseguenza, in modo da considerare il minor volume di sedimento da riversare nelle vasche.

Infine, il vizio di carenza di istruttoria risulta confermato altresì dalle dichiarazioni, contenute nella memoria depositata dall’Avvocatura il 10 ottobre 2011, di dover ancora formulare, in via definitiva, la scelta circa gli interventi da attuare per la bonifica della **** (“Ora, nella fattispecie, è evidente che la scelta finale dell’intervento più opportuno dovrà essere valutata caso per caso e modulata in funzione della qualità e quantità dei volumi di sedimento contaminati, del regime idrodinamico della Rada, della morfologia dei fondali… ”- pag. 8).

In conclusione sul punto, la scelta dell’amministrazione in ordine alle modalità e tecniche da utilizzare per la bonifica dei fondali della **** non è supportata da adeguata istruttoria e motivazione a fronte del rischio di una dispersione incontrollata di sedimenti contaminati, che potrebbe essere determinata dall’attività di dragaggio e potrebbe vanificare l’opera di risanamento; specie a fronte degli studi prodotti delle società ricorrenti a sostegno delle obiezioni sollevate circa i presupposti della bonifica e le modalità dell’intervento.

Devono conseguentemente accogliersi i ricorsi in esame in relazione alle dette censure, sollevate avverso le prescrizioni relative alla bonifica della **** mediante attività di dragaggio dei sedimenti contaminati, con assorbimento degli ulteriori motivi dedotti ed il conseguente annullamento delle relative prescrizioni.

II – III Barrieramento fisico della falda e restituzione delle aree agli usi legittimi.

Sulla prescrizione di barrieramento fisico lungo la linea di costa per il contenimento delle acque di falda, detta prescrizione è stata contestata dalle società ricorrenti sia per la sua intrinseca asserita illegittimità e pericolosità, sia, sotto diverso profilo, in quanto opera alla cui realizzazione l’amministrazione ha subordinato la restituzione delle aree non più inquinate tra quelle ricadenti nelle proprietà delle imprese medesime.

Sotto il primo profilo sono fondate e devono essere accolte le censure di difetto di istruttoria, sollevate dalle parti ricorrenti, per avere l’Autorità prescritto una misura la cui realizzabilità è stata affermata in assenza di qualsivoglia indagine tecnica che ne dimostri l’idoneità al conseguimento dello scopo, nonché la compatibilità dal punto di vista idrogeologico.

Un’adeguata istruttoria e motivazione erano tanto più necessarie se si considera che le società ricorrenti hanno rappresentato di avere realizzato, o di avere in corso di realizzazione, i progetti di cont***mento delle acque di falda così come approvati dal MATTM, e fondati prevalentemente su un barrieramento di tipo idraulico, anche se non esclusivamente (*** ha realizzato un barrieramento fisico lato mare per 4 km circa ).

Le aziende interessate hanno inoltre evidenziato che l’opera sarebbe quasi impossibile da realizzare in alcune zone (a nord del ******* della Neve), dove la presenza di rilevanti spessori di materiale litoide renderebbe impossibile l’immorsamento della barriera, non rinvenendosi un substrato impermeabile neppure a profondità superiori a 180 metri, sicchè la barriera fisica non darebbe garanzia di arginare la falda inquinata impedendone il trasferimento in mare, e potrebbe creare problemi di carattere idrogeologico.

Il Collegio richiama sul punto, aderendovi, il precedente di questa Sezione n. 1254/07, che ha ritenuto (p. 219 – 224) che tale misura non fosse stata preceduta da adeguata istruttoria ( “…la prescrizione di utilizzare per il confinamento delle acque di falda un sistema di confinamento fisico, anziché idraulico non risulta, invece, in alcun modo motivata da adeguati accertamenti tecnici; non sono neppure affermate (e meno che mai dimostrate) le ragioni della insufficienza o della inidoneità della soluzione di barrieramento (già prescelta e approvata) rispetto all’applicabilità della diversa tecnologia imposta in relazione alle caratteristiche geologiche del sito; infine, non viene neppure tentata (e meno che mai accertata) la valutazione di opportunità dell’intervento circa il rapporto costi/benefici di esso, specialmente alla luce dello stato di avanzamento del progetto inizialmente approvato, né, infine, circa i tempi di esecuzione dell’intervento medesimo. Infine, nessuno studio è stato condotto dall’Amministrazione sull’impatto che la realizzazione di tale progetto arrecherebbe all’ambiente circostante…”- sentenza citata pag. 223 ).

Nel condividere e ribadire le conclusioni sul punto di cui alla pronuncia n. 1254/07, il Collegio intende chiarire che la prescrizione di barrieramento fisico dell’area inquinata si rivela illegittima non in quanto tale, ma nei termini in cui, allo stato, essa è stata formulata e disposta, vale a dire con prescrizione che l’Autorità ha ritenuto di poter imporre con carattere di generalità e vincolatività a prescindere da qualsiasi accertamento tecnico che ne dimostrasse la necessità e l’adeguatezza.

Rileva il Collegio che gli interventi di barrieramento idraulico autorizzati dal Ministero sono stati inizialmente ritenuti adeguati e sulla base di tale valutazione sono stati realizzati o ne è in corso la realizzazione.

All’amministrazione non può essere precluso mutare tale valutazione, ma non si può ritenere che l’onere di dimostrare l’adeguatezza di una misura condivisa ricada sul proprietario dell’area; al contrario, spetta all’amministrazione dimostrare che per una efficace messa in sicurezza la barriera idraulica non è (più) sufficiente e che l’unica misura adeguata e proporzionata sia la barriera fisica.

Dal verbale della conferenza di servizi impugnata non emergono in modo chiaro le ragioni tecniche che hanno condotto alla scelta delle barriere fisiche: la conferenza ha lamentato il “grave ritardo” nella realizzazione degli interventi di bonifica già approvati ed ha affermato che “non è stata fornita alcuna evidenza circa l’efficacia/efficienza degli interventi di messa in sicurezza d’emergenza e/o bonifica”, evidenziando “che le azioni di emungimento non sono ancora a regime” (punto 5 dell’ordine del giorno ).

Tuttavia, la circostanza che gli elaborati esaminati non consentissero di accertare “l’efficacia/efficienza” della barriera idraulica, non giustificava l’adozione di una misura così impattante come il barrieramento fisico, ma comportava la necessità di approfondire in via istruttoria la tenuta della barriera idraulica e gli effetti delle alternative, comparando le diverse tecnologie applicabili e valutando i costi ed i benefici ambientali attesi, prima di prendere una decisione.

Quanto sopra anche in considerazione che il marginamento fisico è un intervento molto invasivo, che determina modifiche permanenti al naturale flusso ed andamento della falda e che rende di fatto impossibile il ripristino delle condizioni originarie naturali dell’acquifero anche una volta raggiunti gli obiettivi di bonifica.

Se, dunque, nel caso in esame, una volta acclarata l’insufficienza del contenimento idraulico, può considerarsi proporzionata la richiesta della Conferenza di servizi di completare la realizzazione degli interventi previsti nel progetto di bonifica e di “valutare l’efficienza idraulica e l’efficacia idrochimica degli interventi attuati mediante un opportuno sistema di monitoraggio”, non è altrettanto proporzionata la richiesta di procedere tout court al barrieramento fisico senza aver prima verificato anche l’(eventuale) insufficienza delle diverse soluzioni previste.

Le superiori conclusioni trovano conferma altresì nella relazione di C.T.U., nella quale si legge che “non è provata l’esigenza di provvedere alla realizzazione di una barriera fissa, relativamente alla quale, per altro, non esiste un progetto e non sono dimostrati gli effetti né sul regime della falda né sulle conseguenze susseguenti alla variazione di quest’ultimo ”(cfr. pag. 272 CTU).

Ne consegue che allo stato, per i termini in cui è stata formulata, la prescrizione sull’obbligo di realizzare un contenimento fisico della falda inquinata si rivela illegittima, in quanto non supportata da alcuna motivazione tecnica o da alcun accertamento istruttorio.

Di conseguenza, è parimenti illegittima anche la prescrizione della medesima conferenza di servizi del 06.03.2008 relativa alla restituzione agli usi legittimi delle aree non interessate alla bonifica, tenuto conto che la realizzazione di un contenimento fisico (ritenuta illegittima) costituisce il presupposto per il rilascio di qualsiasi area interna al perimetro.

Le sopra esposte conclusioni trovano conferma nella pronuncia resa dalla Corte di Giustizia sulle cause riunite C-379/08 e C- 380/08, a seguito di rinvio pregiudiziale disposto dalla Sezione.

La Corte ha affermato che la direttiva 2004/35/CE in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale deve essere interpretata nel senso che l’autorità competente è legittimata a modificare, anche d’ufficio, misure di riparazione ambientale precedentemente disposte, ove giunga alla conclusione che le misure inizialmente disposte si rivelino inefficaci e che ne siano necessarie altre per porre rimedio ad un determinato inquinamento ambientale (punto 51).

Tuttavia, al fine di adottare una siffatta decisione, “occorre garantire un’adeguata tutela dei legittimi interessi degli operatori e delle altre parti interessate” (punto 52) e pertanto l’autorità è obbligata ad ascoltare gli operatori cui siano imposte misure del genere, salvo quando l’urgenza della situazione ambientale imponga un’azione immediata dell’autorità, ed inoltre i titolari dei terreni interessati dalle nuove misure riparatorie, devono essere invitati a presentare le loro osservazioni, di cui l’autorità deve tener conto (punti 54, 55, 56).

L’autorità competente, inoltre, nel valutare la rilevanza dei danni e scegliere le misure più idonee ad assicurare la riparazione dei danni ambientali, “ha l’obbligo di esaminare in modo accurato e imparziale tutti gli elementi rilevanti della fattispecie” (punto 61) e pertanto deve, in caso di mutamento dell’opzione di riparazione, indicare le ragioni specifiche che motivino la nuova scelta (punto 63) e “vigilare affinchè l’opzione accolta alla fine consenta realmente di raggiungere risultati migliori dal punto di vista ambientale senza con ciò esporre gli operatori interessati a costi manifestamente sproporzionati rispetto a quelli che essi dovevano o avrebbero dovuto sostenere nel quadro della prima opzione accolta dalla detta autorità”, a meno che quest’ultima non dimostri che la prima opzione accolta si è rivelata inadeguata (punto 64) .

Sulla terza questione – restituzione delle aree – , infine la Corte ha dichiarato che in presenza di un inquinamento di particolari dimensioni e gravità come quello in esame, l’autorità può subordinare l’esercizio del diritto degli operatori destinatari di misure di riparazione ambientale all’utilizzo dei loro terreni alla condizione che essi realizzino i lavori imposti dall’autorità stessa, e ciò perfino quando detti terreni non siano interessati dalle misure di bonifica; tuttavia una tale misura può essere adottata solo se giustificata dallo scopo di impedire il peggioramento della situazione ambientale nel luogo dove tali misure sono poste in esecuzione, o, in applicazione del principio di precauzione, allo scopo di prevenire il verificarsi o il ripetersi di altri danni ambientali nei detti terreni degli operatori, limitrofi all’intero litorale oggetto delle misure di riparazione.

Ne consegue che, non essendo stata provata la necessità della misura del contenimento fisico come condizione per lo svincolo delle aree, la prescrizione è illegittima e deve essere annullata.

IV – Sono infondate le censure con cui si sostiene che i decreti di approvazione delle conferenze di servizi impugnate sarebbero illegittimi per un triplice ordine di motivi formali, e cioè perché:

a) mancherebbe una motivazione dei provvedimenti dirigenziali che recepiscono i contenuti delle conferenze di servizi, non essendo sufficiente il richiamo ai contenuti di queste;

b) solo il Ministro dell’Ambiente, e non il dirigente potrebbe adottare questo provvedimento;

c) prima dell’emanazione del provvedimento finale, non è stato sentito il Ministero delle attività produttive (oggi Sviluppo economico), in violazione della norma dell’art. 252, co. 4, D.lgs. 152/06.

Sub a) : l’art. 14 ter, comma 6 bis, L. 241/90, stabilisce che “all’esito dei lavori della conferenza, e in ogni caso scaduto il termine di cui al comma 3, l’amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento, valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede”.

Ritiene il Collegio che i decreti ministeriali impugnati hanno solo una funzione di approvazione formale, che attesta la regolarità formale delle decisioni prese in sede di conferenza, ma non devono avere una motivazione autonoma rispetto a quest’ultima.

Il rapporto, infatti, tra esiti della Conferenza di servizi e provvedimento conclusivo è stato più volte affrontato dalla giurisprudenza che ha concluso nel senso che il provvedimento conclusivo, quando non ribalti le decisioni prese in sede di Conferenza, è atto meramente confermativo e consequenziale delle determinazioni assunte in sede di Conferenza (e da questo principio la stessa giurisprudenza fa derivare l’impugnabilità autonoma del verbale conclusivo della Conferenza di servizi, come del resto è puntualmente avvenuto nel caso di specie) ( cfr. sul punto, TAR Toscana, sez. I. 978/05; TAR Brescia, sez. I, 1736/2009 ).

Lo scopo della norma consiste nel consentire alla parte privata di poter comprendere le ragioni che sono poste alla base della determinazione amministrativa, e nel caso di specie tali ragioni sono ben chiare alle parti private, che hanno articolato contro le conferenze impugnate un notevole numero di motivi di ricorso.

Sub b): gli atti del procedimento di bonifica dei siti di interesse nazionale, compresi quelli conclusivi, rientrano nella competenza tecnico-gestionale degli organi esecutivi (dirigenti) poiché non contengono elementi di indirizzo politico-amministrativo che possono attrarre detta competenza nella sfera riservata agli organi di governo (i quali ultimi definiscono solo gli obiettivi e programmi da attuare, verificandone i risultati, il cui raggiungimento è riservato alla responsabilità dirigenziale). Ciò in forza del generale principio di distinzione tra attività di governo e attività di gestione che presiede l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche.

Sub c) : in punto di fatto, si osserva che ai lavori delle diverse conferenze dei servizi è sempre stato convocato il rappresentate del Ministero dello Sviluppo Economico, il quale in alcuni casi risulta aver preso parte alle predette conferenze (cfr. pag. 3 del verbale della Conferenza dei servizi del 7 ottobre 2008, ove si attesta la presenza del rappresentante del Ministero per lo Sviluppo Economico Ing. D’********).

Ritiene il Collegio che nel modulo procedimentale della conferenza di servizi i pareri o le intese di cui ai richiamati artt. 252 comma 4 del D.Lgs. 152/06 e 15 comma 4 del D.M. 471/1999 ben possono essere acquisiti all’interno della conferenza stessa, senza che in sede di adozione del provvedimento finale si debba procedere ad una nuova acquisizione.

Pertanto, non essendo ravvisabili specifici vizi procedimentali di mancata convocazione del suddetto Ministero, la censura è infondata (cfr. TAR Lazio, Roma, II bis, n. 6251/2012).

Va aggiunto poi che l’eventuale vizio nella partecipazione ad una conferenza di servizi può essere fatto valere solo dal soggetto interessato, in questo caso il Ministero dello Sviluppo economico, ( v. Cons. Stato, sez. V, 826/08, “se le amministrazioni interessate non lamentano la violazione di tali garanzie, non può certo essere il privato a sollevare in giudizio la relativa censura non avendo la disponibilità degli interessi pubblici sottostanti, intestati alle singole amministrazioni”).

Ne consegue l’infondatezza delle censure.

V – Con riferimento alle prescrizioni dettate dalle varie conferenze di servizi per situazioni particolari.

1- Conferenza del 20 dicembre 2007.

A) RG n. 784/08 : è infondata la censura con la quale la *** *** ha lamentato l’illegittimità della equiparazione delle acque emunte dalla falda nel corso delle operazioni di messa in sicurezza ai rifiuti liquidi, con il loro assoggettamento alla normativa in tema di rifiuti, anziché alla disciplina stabilita per gli scarichi idrici.

La società non ha fornito prova che la propria specifica situazione era da ricondurre alla disciplina degli scarichi idrici ai sensi dell’art. 243, comma 1, del Codice dell’ambiente.

Ritiene il Collegio di condividere sul punto l’orientamento in base al quale le acque emunte vengono di regola ricondotte all’interno della categoria dei rifiuti liquidi, non potendosi in linea di principio ritenere che la norma di cui all’art 243 citato consenta una equiparazione tout court tra le acque di falda emunte nell’ambito di interventi di bonifica di siti inquinati e le acque reflue industriali (TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 20 marzo 2009, n. 540; TAR Toscana, Sez. II, 6 ottobre 2011, n. 1452 ).

L’art. 243 citato si limita a consentire la possibilità di autorizzare lo scarico nelle acque di superficie delle acque emunte dalle falde sotterranee, nell’ambito degli interventi di bonifica o messa in sicurezza di un sito, purchè siano rispettati gli stessi limiti di emissione delle acque reflue industriali. La norma predetta, pertanto, ponendo una particolare disciplina per gli scarichi idrici anche quando afferenti all’emungimento in falda, non incide sulla specialità e tassatività della disciplina, di diretta derivazione comunitaria, sui rifiuti, che esclude espressamente l’assimilabilità delle acque emunte in falda a quelle reflue industriali, alla luce dei codici CER contenuti nella decisione della Commissione Europea 3 maggio 2000, n. 532 – 00/532/CE ( codici CER 19.03.07 e 19.03.08, che individuano le acque di falda emunte nell’ambito di attività di disinquinamento quali rifiuti liquidi ).

Ne consegue la necessità di accertare se, in relazione alle specificità del caso concreto, per le acque in esame, pur emunte in falda, possa essere successivamente esclusa la natura di rifiuto liquido, e quindi possa trovare applicazione la diversa e più favorevole disciplina di cui al citato art. 243, come nel caso in cui le acque, pur emunte in falda, vengano utilizzate in cicli produttivi attivi sul sito in esame, atteso che la nozione di “scarico” ontologicamente implica la sussistenza di una continuità tra la fase di generazione del refluo e quella della sua immissione nel corpo recettore, mentre l’eventuale esistenza di una fase intermedia, in cui le acque sono stoccate in attesa della loro destinazione finale, richiama direttamente i concetti di trattamento e smaltimento, tipici della disciplina dei rifiuti.

Conclusivamente, ritiene il Collegio che, non avendo la ricorrente assolto all’onere della prova circa l’assenza di fasi di stoccaggio delle acque emunte in falda, ovvero circa la presenza di loro utilizzi in cicli produttivi in esercizio nel sito, ovvero circa la sussistenza di ulteriori circostanze idonee a consentire l’assimilazione delle acque da essa emunte in falda alle acque reflue industriali nel caso specifico, la situazione in esame deve configurarsi come un’attività di gestione di rifiuti vera e propria, e quindi, in ragione della specialità ed inderogabilità della relativa disciplina, non può essere ricompresa in linea generale all’interno della (meno restrittiva) disciplina degli scarichi idrici ai sensi dell’art. 243, comma 1, del Codice dell’ambiente.

Ne deriva l’ infondatezza della censura in esame, che pertanto deve essere respinta.

B) RG n. 1031/08 : *** con riferimento al sottopunto i, lett. a quanto al rigetto del documento “ Analisi di rischio sanitario da mercurio nell’area dell’ex Pontile solidi”.

E’ infondata la censura di illegittimità della decisione sul documento di analisi di rischio perché tardivamente intervenuta, oltre il termine di 60 giorni previsto dall’art. 242 comma 4 del d.lgs n. 152 del 2006, applicabile ai siti di interesse nazionale ex art. 252, comma 4 : il termine ivi previsto non ha carattere di perentorietà e pertanto il suo mancato rispetto non può viziare il provvedimento. E’ altresì infondata la censura con la quale la società interessata ha denunciato la carenza di contraddittorio, atteso che, come si evince dalla lettura del relativo verbale, l’impugnata conferenza del 20.12.2007 ha esaminato lo specifico punto che qui interessa, rappresentando le intervenute fasi procedimentali ( conferenza di servizi del 16.12.2005, riunione presso ARPA Sicilia del 25.09.2006 ), idonee a consentire la ricostruzione del procedimento e a garantire il principio del contraddittorio.

Parimenti infondata è la contestazione del difetto di motivazione, in quanto sono riscontrabili articolate argomentazioni e determinazioni assunte nella conferenza impugnata, preceduta da atti istruttori, questi ultimi richiamati (per relationem) e assunti a causa giustificativa delle determinazioni stesse; tali argomentazioni appaiono idonee a supportare le decisioni della Conferenza di servizi in questione al fine di consentire al destinatario di contrastarne le determinazioni con gli strumenti offerti dall’ordinamento (cfr T.A.R. Toscana, sez. II, 19 maggio 2010, n.1523).

2- Conferenza del 6 marzo 2008.

Con motivi aggiunti ai ricorsi n. 1153, n. 1154 e n. 1170 del 2008, ***i, *** ed *** hanno impugnato una serie di prescrizioni particolari dettate per alcune aree determinate.

A) punto n. 5-a), pag. 69 del verbale, relativo alle prescrizioni in merito ai risultati della caratterizzazione delle aree contaminate dalla rottura del collettore consortile delle acque reflue industriali: la Conferenza di servizi decisoria ha deliberato “di richiedere alle Aziende utilizzatrici della condotta (***,***) di effettuare, entro 30 giorni dalla data di ricevimento del presente verbale: il controllo viedoispettivo dell’intero collettore nonché la prova di tenuta del medesimo; le indagini di caratterizzazione lungo il tracciato del collettore medesimo. La Conferenza di servizi decisoria, delibera, poi di richiedere alle medesime Aziende di adottare immediate misure di messa in sicurezza d’emergenza delle acque di falda attesa la contaminazione riscontrata nelle acque di falda medesima da alluminio (8380 u.g/1 contro un valore limite di 200 u.g/1, arsenico (360 u.g/1 contro un valore limite di 10 jtig/1), cloroformio (3,6 jxg/1 contro un valore limite di 0,15 u.g/1) 1,2 dicloroetano (19 u.g/1 contro un valore limite di 3 u.g/1), Ij2 dicloropropano (1,3 u.g/1 contro un valore limite di 0,5 fxg/1) riscontrata nel piezometro PZS1” .

Le società *** e *** hanno sostenuto l’illegittimità, per violazione del principio comunitario “chi inquina paga”, delle prescrizioni che hanno esteso a tutte le aziende utilizzatrici della condotta gli oneri di messa in sicurezza di em***enza dei suoli contaminati dallo sversamento delle acque reflue industriali.

La censura deve essere disattesa per le motivazioni esposte in sede di trattazione generale sub I- bonifica dei fondali della **** di *******.

B) punto n. 4 lett. f), pag. 87 del verbale: in merito agli interventi di messa in sicurezza di em***enza della falda con riferimento alla richiesta di interruzione degli interventi di emungimento, la conferenza di servizi ha deliberato che tale interruzione “è subordinata all’effettuazione di un monitoraggio mensile della durata di sei mesi che escluda il superamento dei limiti fissati dalla Tabella 2 dell’Allegato 5, Parte Quarta, Titolo V del D.Lgs.152/2006 per tutti gli analiti ricercati; i risultati di tale monitoraggio dovranno essere validati dagli Enti di controllo”.

Le società *** e *** hanno sostenuto l’illegittimità delle prescrizioni con le quali si richiede l’attivazione di interventi di messa di sicurezza di emergenza (emungimento) al superamento di limiti di concentrazione tabellari a prescindere da qualsiasi indagine sitospecifica, in contraddizione e violazione dei criteri operativi già fissati dalla stessa conferenza di servizi, in base ai quali la necessità di intervenire in via d’urgenza con attività di c.d. “MISE” sarebbe subordinata a verifiche di campo sito-specifiche, da realizzare di concerto con gli Enti di controllo.

Gli interventi di messa in sicurezza di emergenza richiesti sarebbero inoltre sprovvisti di motivazione quanto ai presupposti normativi che ne consentirebbero l’attivazione, oltre a porsi in contraddizione con l’effettuazione degli interventi di vera e propria bonifica, già autorizzati ed in fase di avanzata esecuzione.

La censure sono infondate, poiché la richiesta di attivare o proseguire l’attività di emungimento è una pretesa in sé e per sé legittima, atteso che la presenza dei contaminanti indicati, in concentrazioni di gran lunga superiori ai limiti ammessi dalla normativa vigente è abbondantemente documentata negli atti di causa (cfr. C.T.U. ), e non negata d’altronde da alcuno.

Il Collegio ritiene che il provvedimento impugnato che richiede più adeguati interventi di emungimento è, sul punto, adeguatamente motivato, a prescindere dalla effettuazione dei programmati interventi di bonifica da parte delle società, trattandosi di prescrizioni di messa in sicurezza di emergenza atte a contenere la diffusione della contaminazione ed impedire il contatto con altre matrici presenti nel sito.

Per procedere alla predetta messa in sicurezza d’emergenza è infatti sufficiente la scoperta della presenza di sostanze inquinanti tossiche e nocive, con livelli superiori almeno per un valore alla concentrazione soglia di contaminazione, ai sensi dell’art. 244 del D.lgs. n. 152 del 2006, destinate a diffondersi nell’ambiente (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. II bis,16 maggio 2011, n. 4214).

C) Le censure proposte da *** avverso le prescrizioni con cui la conferenza di servizi, con riferimento all’Area SG14 ed all’area C1, ha richiesto alla società, in ragione dell’accertato grave stato di contaminazione da sostanze ritenute molto tossiche, persistenti e cancerogene in concentrazione oltre 10 volte i limiti ( tali cioè da configurarsi come hot- spot ), di adottare idonei interventi di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda mediante emungimento in corrispondenza degli hot-spot, sono infondate per le stesse motivazioni esposte al precedente punto B) e devono essere respinte.

D) Parimenti infondate sono le censure proposte da *** avverso le prescrizioni relative agli interventi di messa in sicurezza di emergenza dei suoli in Area omogenea A4 “mediante la rimozione della condotta in esame nonché dei terreni circostanti, ove risultassero contaminati, e di dare comunicazione scritta dell’avvio dei medesimi interventi” (punto n. 11-d dell’ordine del giorno, pag. 160-161 del verbale).

Si tratta di prescrizioni relative ad una tubazione di acciaio al carbonio DN400 catramata oramai in disuso, rinvenuta in Area A4 dello stabilimento multisocietario durante scavi finalizzati al controllo dell’efficienza idrochimica della barriera idraulica realizzata nella medesima area A4. La condotta è risultata lesionata, con fuoriuscita di un liquido di colore scuro contaminato da BTEX.

La *** ha difeso la buona tenuta delle opere di pompaggio che ha messo in azione per impedire la diffusione del surnatante e ha sostenuto l’inutilità di interventi aggiuntivi (rimozione della condotta nonché dei terreni circostanti ) rispetto a quelli adottati, ma la Conferenza di servizi ha rilevato che lo stato di contaminazione con riferimento ai BTEX ed al surnatante ha investito sia i suoli che le acque di falda per tutta l’estensione dell’area A4 e non soltanto nella zona dove si trovava la vecchia condotta, e che non risultavano acquisiti né dati esaurienti sulle caratteristiche e l’effettivo utilizzo della condotta, né sugli interventi di m.i.s.e. attuati dopo il suo rinvenimento, né, ancora, le prove di verifica della tenuta idraulica di tutte le tubazioni presenti nell’area omogenea A4.

Ritiene il Collegio che la prescrizione impugnata è adeguatamente motivata, congrua e giustificata con riferimento agli elementi indicati nel verbale, e rappresenta oggetto di un esercizio non arbitrario della discrezionalità tecnica. Il relativo motivo di ricorso deve pertanto essere respinto.

E) E’ fondato il motivo con cui la *** ha contestato la prescrizione relativa alla autorizzazione provvisoria all’avvio dei lavori delle aree a sud del vallone della Neve con riferimento all’area D/2, nella parte in cui impone di estendere il barrieramento fisico per la prima volta anche all’area D/2.

Si tratta di censura identica per contenuto, sia pure riferita ad un’area specifica, a quella esaminata in sede di trattazione generale sub II – Barrieramento fisico, e quindi deve essere accolta per le stesse ragioni per cui si è accolta quest’ultima.

F) E’ infondata la censura con la quale *** S.p.A., con RG n. 1170/2008, ha avversato la prescrizione che assimilerebbe le acque emunte dalla falda in esito alla messa in sicurezza alla stregua di rifiuti liquidi : la censura deve essere respinta per le stesse considerazioni esposte sub V, 1, A).

G) E’infondata e deve essere respinta la censura con cui *** ha avversato le determinazioni con le quali la conferenza di servizi impugnata ha inteso fissare, per i parametri non espressamente indicati dal D.lgs n. 152/06, i valori limite di concentrazione nelle acque di falda con riferimento ai valori proposti dagli Istituti Scientifici nazionali, APAT e ISS (punto n. 5 b ordine del giorno- pag 98), sostenendo l’illegittimità dell’introduzione di parametri e limiti di bonifica diversi e non previsti dalla disciplina vigente.

Ritiene il Collegio che il mancato inserimento delle sostanze nelle tabelle allegate al Testo Unico ambiente non impedisce all’amministrazione di imporne la ricerca, in quanto viene ritenuta “applicabile la nota, contenuta nell’Allegato 5 alla parte quarta del d.lgs n. 152/06, secondo cui per le sostanze non indicate in Tabella si adottano i valori di concentrazione limite accettabili riferiti alla sostanza più affine tossicologicamente” (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. I, 21.6.2006 n. 7922).

L’applicabilità della nota discende infatti dal generale principio di precauzione di derivazione comunitaria (art. 174 Trattato CE, secondo cui “in caso di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione”; la precauzione è, inoltre, principio generale dell’azione amministrativa in materia ambientale ex art. 3 ter codice ambiente.).

Detto principio, di contenuto ampio ed atipico, obbliga le autorità competenti ad adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire taluni rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse alla protezione di tali valori sugli interessi economici.

L’argomento della difesa sul mancato inserimento nelle tabelle allegate al codice ambiente, pertanto, non può essere accolto, in quanto le tabelle in questione non contengono una elencazione tassativa, ma sono suscettibili di interpretazione analogica fondata sulla eadem ratio (interpretazione che, ai soli fini amministrativi, e prescindendo dagli aspetti penali della bonifica, non è vietata da alcuna norma di principio).

La ricerca di tali parametri, legittima in diritto, è anche giustificata in fatto, nel caso di specie, in considerazione dello stato di grave contaminazione da BTEXS, alifatici clorurati cancerog***, contaminazione da metalli e alifatici alogenati cancerogeni rilevato nella falda profonda sottostante lo stabilimento multisocietario, come rilevato nel verbale della conferenza di servizi nella parte relativa all’esame del documento “Monitoraggio idrochimico piezometri in falda profonda” trasmesso da ***, così che in presenza di un fenomeno di agenti cancerogeni in atto l’autorità amministrativa ha sicuramente il potere di integrare i valori limite non previsti dal codice dell’ambiente, essendovi legittimata ex art. 301 d.lgs. 152/06 (“il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, in applicazione del principio di precauzione, ha facoltà di adottare in qualsiasi momento misure di prevenzione, ai sensi dell’articolo 304, che risultino: a) proporzionali rispetto al livello di protezione che s’intende raggiungere; b) non discriminatorie nella loro applicazione e coerenti con misure analoghe già adottate; c) basate sull’esame dei potenziali vantaggi ed oneri; d) aggiornabili alla luce di nuovi dati scientifici”), disposizione che, per espressa definizione di legge, è attuazione del principio di precauzione.

Quanto più specificamente alle doglianze relative al valore limite fissato per il parametro MTBE sulla base di quello determinato dall’Istituto superiore di sanità nel parere 6.2.2001 ( L’ I.S.S., nel citato parere del 6 febbraio 2001, ha inteso stabilire in via cautelativa per il detto MTBE il valore definito nel D.P.R. n. 236 del 1998 – relativo alle acque destinate al consumo umano – per il parametro “idrocarburi totali”, di 10 microgrammi/litro), ha sostenuto la ricorrente che non soltanto la concentrazione per tale sostanza non è prevista nelle tabelle allegate al D.Lgs. 152/2006, per cui tale lacuna non potrebbe essere colmata con un’operazione di integrazione svolta dall’amministrazione anziché dal legislatore, ma non sarebbe possibile neanche fare applicazione del giudizio di affinità tossicologica, atteso che l’assimilabilità del MTBE ad un idrocarburo, fondata sul predetto parere dell’ISS del 2001, è stata successivamente smentita dallo stesso ISS con altro parere del 12.9.2006.

Il Collegio non ignora che parte della giurisprudenza ( cfr. TAR Brescia n. 1630/08; TAR Toscana n. 1452/2011 ) ha ritenuto sproporzionato il valore limite per l’MTBE come fissato per le falde acquifere sotterranee nel parere I.S.S. 06.02.2001 ( 10 microgrammi/litro), in ragione del fatto che lo stesso Istituto Superiore di Sanità, con successivo parere del 12 settembre 2006 n. 43699 ha affermato che il MTBE non appartiene alla famiglia degli idrocarburi bensì agli “eteri”, pur se lo stesso Istituto ha ritenuto di mantenere fermo il valore limite fissato sulla base del valore di concentrazione della soglia olfattiva, avvalendosi di uno studio dell’Agenzia di protezione ambientale statunitense ((U.S. Environmental Protection Agency -USEPA).

Tuttavia si richiama, aderendovi, la sentenza del Tribunale regionale di Giustizia Amministrativa di Trento n. 171 del 27 maggio 2010, recentemente confermata in appello con sentenza del Consiglio di Stato n. 124 del 16.01.2012, che in applicazione del principio di precauzione “invocabile ogni volta che, pur a fronte di una carente base normativa e dunque di un possibile ritardo da parte del Legislatore nel prendere atto del costante progresso della scienza, sia ragionevolmente ipotizzabile l’esistenza di un rischio non tollerabile”, ha ritenuto che la mancata inclusione del MTBE nella tabella allegata al D.Lgs. n. 152 del 2006 non rappresenti ex se un elemento che precluda di affermarne la pericolosità. Ciò che consente alla P.A. – tenuto anche conto del principio di proporzionalità – di avvalersi dei valori limite prospettati con parere dell’Istituto Superiore della Sanità, pur in assenza di una puntuale previsione legislativa a tal riguardo.

L’imposizione di limiti all’esercizio della libertà di iniziativa economica sulla base dei principi di prevenzione e precauzione nell’interesse dell’ambiente e della salute umana, infine, può essere giustificata sulla base di indirizzi fondati sullo stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite, tramite istituzioni e organismi, di norma nazionali o sovranazionali a ciò deputati, dato l’essenziale rilievo che, a questi fini, rivestono gli organi tecnico – scientifici (cfr. sentenza citata che richiama Corte cost., sentenze 26.6.2002, n. 282 e 17.3.2006, n. 116, nonché Consiglio di Stato n. 124/2012).

Sulla base di quanto esposto, quindi, il livello di soglia di 10 microgrammi/litro, considerato come limite dal ridetto parere dell’ISS, cui si conforma la conferenza dei servizi, seppure privo di una puntuale previsione legislativa, è del tutto coerente col richiamato principio, da considerarsi preminente nell’ambito sanitario delle funzioni di prevenzione ambientale. La relativa doglianza deve essere respinta.

H) E’ infondato e deve essere respinto anche il motivo con cui si deduce l’illegittimità della prescrizione della Conferenza di servizi che richiede ad *** una integrazione delle indagini di caratterizzazione relativa all’“Ambito B”, che ricomprende aree non interessate da attività industriali.

In realtà, si rileva dalla lettura del verbale che già la conferenza di servizi del 20.12.2007 aveva formulato alcune osservazioni/prescrizioni (ivi indicate) sul documento trasmesso dalla società, come riconosciuto dalla stessa *** S.p.A.

Pertanto non è rilevabile alcuna contraddizione con precedenti atti di assenso della medesima amministrazione e l’attuale previsione non è che una riproposizione delle precedenti prescrizioni, fermo comunque il fatto che ogni progetto di bonifica è sottoposto alla possibilità di essere rivisto in corso d’opera per le sopravvenienze delle campagne di monitoraggio successivo.

I) Con ricorso n. 1375/2008 la *** ha impugnato una serie di prescrizioni dettate dalla conferenza di servizi in argomento in relazione a numerosi episodi di accidentale sversamento a terra di prodotti idrocarburici verificatisi negli stabilimenti di sua proprietà.

Sono infondate le censure con le quali la ricorrente ha lamentato che l’Amministrazione, prescindendo dalle specifiche caratteristiche di ciascuno sversamento, ha ordinato indistintamente per tutte le aree interessate dagli sversamenti interventi di messa in sicurezza d’em***enza senza alcun previo accertamento della loro effettiva necessità; ha imposto la rimozione di tutti i terreni contaminati quale m.i.s.e.; ha richiesto la caratterizzazione di aree molto più estese di quelle effettivamente contaminate; ha richiesto indistintamente la caratterizzazione delle acque di falda senza alcuna correlazione con l’episodio contestato; ha imposto, sia per la caratterizzazione del suolo che della falda, la ricerca di analiti del tutto avulsi rispetto alla natura delle sostanze sversate (idrocarburi); ha in ogni caso ignorato o pretermesso la procedura dell’analisi di rischio nonché gli apporti istruttori forniti da ***.

Si riportano le medesime considerazioni espresse sub V, 2, B), in quanto le misure imposte per gli incidenti di sversamento prescindono dalla effettuazione di interventi di bonifica, trattandosi di prescrizioni di messa in sicurezza di emenienza atte a contenere la diffusione della contaminazione ed impedire il contatto con altre matrici presenti nel sito.

Si osserva che per procedere alla predetta messa in sicurezza d’emergenza è sufficiente la scoperta della presenza di sostanze inquinanti tossiche e nocive, con livelli superiori almeno per un valore alla concentrazione soglia di contaminazione, ai sensi dell’art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006, destinate a diffondersi nell’ambiente (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II bis,16 maggio 2011, n. 4214).

Con riferimento all’ordine di rimozione del terreno contaminato, che ad avviso della ricorrente costituirebbe una vera e propria bonifica, rileva il Collegio che tale misura non è incompatibile con la procedura di messa in sicurezza di emenienza, in quanto l’asportazione del terreno non consiste affatto nella realizzazione della bonifica, che implica ulteriori attività molto più complesse di disinquinamento dei suoli e della falda.

Va disattesa altresì la censura relativa alla fissazione del valore limite di concentrazione per l’MTBE, richiamandosi alle argomentazioni sub G).

Le censure devono pertanto essere rigettate.

Infondata e da rigettare è altresì la censura con cui *** ha impugnato le prescrizioni dettate dalla conferenza di servizi in relazione ad uno sversamento accidentale di prodotto idrocarburico verificatosi nel 2004, e prov***ente da una fessurazione dell’oleodotto 16 che collega le raffinerie Isab Nord e Isab Sud nei pressi della contrada Monstringiano ( punto 4, lett. b, sottopunto ix).

Si rileva che le prescrizioni imposte ed i chiarimenti richiesti conseguono alla presentazione da parte della società stessa dei risultati delle indagini ambientali svolte presso l’oleodotto in argomento e non sono altro che una riproposizione delle precedenti osservazioni/prescrizioni di cui alla conferenza di servizi istruttoria del 20.12.2007 e del 21.07.2006, trattandosi comunque di prescrizioni che si giustificano in applicazione del generale principio di precauzione, direttamente cogente per tutte le pubbliche amministrazioni.

L) *** Mediterranea Idrocarburi S.p.a., con RG n. 1789/08, ha impugnato le prescrizioni della conferenza di servizi del 06.03.2008 di cui ai punti “4 d i”, “7 a” e “7 b”.

Con riferimento al “ punto 4 d i ”, la società ha osservato come tanto il superamento riscontrato nelle acque di falda quanto la contaminazione dei suoli da metalli pesanti, a cui fanno riferimento le prescrizioni impugnate, non avrebbero alcuna attinenza con le attività di ***, potendo piuttosto, nel secondo caso, avere origini naturali legate alla composizione delle formazioni geologiche presenti nell’area.

Il Ministero non avrebbe potuto, pertanto, imporre alla ricorrente le prescrizioni impugnate, in contrasto con il principio comunitario della responsabilità diretta del soggetto che inquina, nonché delle relative applicazioni nella normativa nazionale (D.Lgs. n.22/1997 e n. 152/2006).

La censura è infondata.

Quanto alla violazione del principio “chi inquina paga ” il Collegio richiama le considerazioni già esposte sub I della trattazione generale, rilevando come le prescrizioni impugnate conseguono alla accertata proprietà dei beni sui quali gli interventi devono essere attuati..

Senza entrare nel merito tecnico delle valutazioni compiute dalla conferenza e delle prescrizioni impartite, si osserva che la ricorrente dichiara di aver proceduto insieme con l’ARPA alla verifica delle prescrizioni contenute nella Conferenza istruttoria del 20 dicembre 2007 e della Conferenza decisoria del 6 marzo 2008, una prima volta in data 18 gennaio 2008 e poi in data 12 giugno 2008, successivamente alla conferenza impugnata, ottemperando alle prescrizioni stesse.

La *** ha dichiarato di avere addirittura proseguito, dopo l’incontro con ARPA del 12 giugno, l’attività di acquisizione e valutazione dei dati, confluiti in un ulteriore rapporto.

Le prescrizioni imposte dalla conferenza impugnata conseguono alla presentazione da parte della società di documenti ( rapporto di caratterizzazione contenente i risultati del Piano di Caratterizzazione realizzato lungo il tracciato dell’oleodotto lungo circa 7.600 m. e che collega il deposito di Mostringiano al pontile di carico della penisola *******, acquisito dal Ministero il 30.10.2006; “Nota tecnica ai documenti preparatori della Conferenza di Servizi istruttoria del 20 dicembre 2007” prot.n. 64 del 10 gennaio 2008, acquisita dal Ministero al prot.n.626/QdV/DI dell’11 gennaio 2008, nella quale la medesima ******à ha risposto alle osservazioni/prescrizioni formulate dalla Conferenza di Servizi istruttoria del 20 dicembre 2007) e ribadiscono prescrizioni già imposte con precedenti conferenze di servizi.

Quanto al punto 7 a dell’ordine del giorno, la censura è fondata e va accolta, in quanto la richiesta all’Azienda di trasmettere i risultati del Piano di caratterizzazione integrativo del Deposito di Mostringiano unitamente al progetto di bonifica del deposito stesso è intrinsecamente illogica, come correttamente evidenziato dalla ricorrente, in ragione della concreta impossibilità di realizzare quanto richiesto nella tempistica indicata, attesa la necessità di realizzare le attività di caratterizzazione prima di poter elaborare il piano di bonifica.

Quanto infine al punto 7 b, la richiesta di “approfondire lo studio relativo alle cause che hanno generato la suddetta presenza di valori anomali di inquinanti nelle acque di mare con particolare riferimento al mercurio” è una pretesa in sé e per sé legittima, atteso che la presenza dei contaminanti indicati, tra cui una concentrazione di mercurio pari a 0,078 mg/l, è documentata dai risultati delle analisi effettuate dalla società e, pertanto, è in base a tali elementi di carattere tecnico che il Ministero ha imposto la prescrizione impugnata, esercizio di discrezionalità tecnica.

La censura deve essere respinta.

3 – Conferenza del 7 ottobre 2008.

A) Con ricorso n. 3265/2008 *** ha impugnato la predetta conferenza di servizi, contestando alcune prescrizioni specificamente riguardanti l’area cd. “Spiaggetta” all’interno della raffineria ISAB Impianti Sud e l’area prospiciente il torrente Canniolo all’interno della raffineria ISAB Nord ( punti 3 a e 3 b ).

Il Collegio prende in esame solo le prescrizioni che riguardano le aree relative allo stabilimento ISAB Impianti Nord, stante la dichiarazione di parziale improcedibilità del ricorso n. 3265/2008 con riferimento all’area ISAB Impianti Sud.

Ciò posto, sono infondate le censure con le quali la ricorrente ha avversato le prescrizioni di cui ai punti 3 a, relativamente all’area “Torrente Canniolo” , a seguito di un episodio di sversamento di idrocarburi nel letto del torrente, e 3b relativamente a “Perdita accidentale di prodotto idrocarburico misto ad acqua in trincea strada 7/N”.

In primo luogo, si osserva che il verbale della conferenza dei servizi impugnata non contesta e non contraddice l’ispezione svolta dalla Provincia di Siracusa con riferimento all’incidente relativo al torrente Canniolo, come invece genericamente affermato dalla società ricorrente, che non ha fornito elementi a sostegno delle sue affermazioni.

Quanto alle singole prescrizioni riguardanti i due incidenti considerati, il verbale impugnato ha esaminato gli specifici punti che qui interessano, rappresentando le intervenute fasi procedimentali, idonee a consentire la ricostruzione del procedimento e a garantire il principio del contraddittorio.

Sono stati inoltre richiamati gli atti istruttori assunti a fondamento delle prescrizioni imposte, dai quali si evince come le misure dettate per gli incidenti di sversamento in argomento conseguono a tali atti ed alla presentazione da parte della società di documenti (quali, ad esempio, quelli relativi ad attività di caratterizzazione delle aree stesse; la nota acquisita dal Ministero il 14.04.2008 ), di tal che le prescrizioni e misure oggetto del ricorso non appaiono né incongrue, né discriminatorie, né palesemente irragionevoli rispetto all’interesse ambientale perseguito, afferendo la questione, per gli altri profili, ad ambiti di discrezionalità tecnica non sindacabili nella presente sede.

Va respinta altresì la censura relativa alla fissazione del valore limite di concentrazione per l’MTBE, secondo le argomentazioni di cui sub V, 2, lettera G).

4 – Conferenza del 22 dicembre 2010.

A) Motivi aggiunti al ricorso n. 1789/08, proposto da *** S.p.a.

E’ fondata la censura con la quale la società ha impugnato la prescrizione di cui al Punto 8, lettera b – pag.106, relativa alla reiterazione da parte del Ministero della richiesta di caratterizzazione integrativa del Deposito di Mostringiano e di invio del relativo progetto di bonifica, per le medesime ragioni esposte sub V, 2, lettera L) in sede di esame del punto 7 a dell’ordine del giorno della conferenza del 6 marzo 2008.

E’ invece infondata la censura relativa alla prescrizione di cui al punto 8 b, pag.105, con la quale la Conferenza di Servizi del 22 dicembre 2010, con riferimento ai risultati delle indagini di caratterizzazione integrative realizzate lungo il tracciato dell’Oleodotto 24 che collega il deposito di Mostringiano al pontile di carico della penisola ******* ha deliberato “1. si chiede ad ARPA Sicilia di trasmettere la validazione dei risultati analitici delle indagini condotte dall’Azienda; 2. attesa l’elevata profondità alla quale si attesta il livello piezometrico della falda nell’area in esame (circa 100 m dal p.c.), per verificare, in prima istanza, la qualità delle acque di falda medesime si chiede all’ARPA Siracusa di verificare l’eventuale presenza di pozzi/piezometri esistenti in aree limitrofe nonché di attestarne la significatività in relazione all’eventuale stato di contaminazione indotto sulle acque di falda dall’oil spill; in caso positivo, si chiede all’Azienda di caratterizzare le acque di falda prelevate dai suddetti pozzi/piezometri con la ricerca degli analiti previsti per la matrice acque di falda nel Piano di caratterizzazione dell’Oleodotto 24″ – Deposito di Mostringiano – Penisola *******; in caso negativo si richiede all’Azienda di realizzare almeno n. 1 piezometro in falda nell’area dell’oil spill”.

La prescrizione si fonda sui dati istruttori che vengono espressamente richiamati nel verbale, ed in particolare sui risultati della caratterizzazione realizzata lungo il tracciato dell’oleodotto che hanno evidenziato la presenza di una contaminazione da idrocarburi pesanti, da vanadio e metalli, nonché sugli esiti dell’istruttoria tecnica che hanno evidenziato il superamento delle CSC per alcuni parametri.

Il richiamo a tali esiti istruttori costituisce, ad avviso del Collegio, sufficiente motivazione delle prescrizioni impartite, che si giustificano altresì in applicazione del principio di precauzione.

Si rileva, poi, quanto alla contestata contraddittorietà con il protocollo concordato tra *** e l’ARPA di Siracusa, che già la conferenza di servizi del 10.02.2010 aveva formulato le contestate osservazioni/prescrizioni nel merito tecnico dei risultati delle indagini integrative di caratterizzazione, e l’attuale previsione non è che una riproposizione di tali precedenti prescrizioni.

B) Ricorso n. 1525/2011.

E’ fondata per eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, nonché per contraddittorietà, la censura con la quale la *** *** ha contestato la prescrizione con cui la conferenza impugnata ha ordinato alla società “di presentare, entro 60 giorni dalla data di ricevimento del presente verbale, il Progetto di bonifica dei suoli, nonché, entro la medesima data, il Progetto di bonifica delle acque di falda, o in alternativa a quest’ultimo di aderire mediante sottoscrizione di apposito atto transattivo all’Accordo di Programma del SIN di Priolo Gargallo, basando le attività di messa in sicurezza nonché i progetti di bonifica delle acque di falda contaminate delle aree di propria competenza sugli interventi che saranno realizzati dai soggetti pubblici nell’ambito dell’Accordo di Programma medesimo”, per avere il Ministero contestualmente richiesto alla società di rielaborare in conformità ad alcune prescrizioni l’analisi di rischio sito-specifica presentata con riguardo alla matrice ambientale suoli e sottosuoli (pag. 87 verbale). Con la conseguenza che solo dopo la rielaborazione della predetta analisi e sulla base delle sue risultanze sarà possibile la predisposizione dei progetti di bonifica richiesti.

Invece, devono essere dichiarati inammissibili i motivi con i quali la società ha contestato l’Accordo di Programma del 07.11.2008, concluso tra lo Stato e gli enti locali interessati, ed avente ad oggetto “Interventi di riqualificazione ambientali funzionali alla reindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel Sito di Interesse Nazionale di Priolo”.

Sul punto l’Avvocatura ha preliminarmente dedotto l’inammissibilità dei motivi proposti, in quanto presentati da soggetto che non era parte dell’accordo e che non può subire da esso alcun effetto pregiudizievole, in quanto per esso l’accordo è res inter alios acta.

Il Collegio condivide la prospettazione dell’Amministrazione, rilevando che l’Accordo prevede un intervento pubblico, cui si lascia semplicemente ai privati coinvolti la possibilità di aderire partecipando alla realizzazione degli interventi per evitare la successiva procedura di recupero in danno.

La ricorrente, pertanto, non è destinataria di obblighi previsti da esso, avendo semplicemente la possibilità di aderirvi, oppure di realizzare la bonifica autonomamente.

L’accordo di programma è atto di carattere generale, sottoscritto per la disciplina dei rapporti tra amministrazioni pubbliche (le quali beneficiano, a tal fine, di contributi pubblici), che non ha, almeno nella fase iniziale e programmatica in esame, alcun riflesso sull’attività della ricorrente, non individuando misure specifiche di immediata attuazione. L’accordo disciplina l’attuazione di interventi comuni di parte pubblica con la possibilità, per i privati, di aderire e di coordinare, in questo modo, gli interventi di relativa competenza (messa in sicurezza, bonifica e recupero ambientale) con gli interventi attuativi dell’accordo di programma.

Occorre anche aggiungere che l’accordo di programma è un modulo procedimentale che raccorda l’azione degli enti pubblici che sono tutti titolari di (diverse) competenze da esercitare in un medesimo procedimento amministrativo. La circostanza che gli stessi abbiano deciso di procedere ad un’intesa per concordare tra loro le linee di condotta da portare avanti nella soluzione della questione dell’inquinamento del S.I.N. di Priolo, e per evitare quindi di procedere ciascuno secondo direttrici differenti, non può essere oggetto di censura da parte del soggetto privato che auspicava che l’esito dell’accordo di programma fosse la scelta di una linea più favorevole ai propri interessi, posto che la parte privata resta libera di aderire o meno all’accordo e che nel caso non aderisca resta libera di contestare la legittimità dei provvedimenti unilaterali successivi che portano ad esecuzione l’accordo stesso.

Sono infine infondate le censure relative alle prescrizioni con le quali la conferenza quivi impugnata ha imposto la caratterizzazione dei terreni di proprietà della *** *** che, ancorché collocati all’interno del perimetro del SIN di Priolo, sono tuttavia esterni alle aree di pertinenza dello stabilimento produttivo “Cementeria di *******”, terreni che la ricorrente ha chiesto di escludere dalla perimetrazione del sito, in quanto sarebbero estranei ai fenomeni di contaminazione dello stesso.

Si rileva che trattasi di prescrizioni che conseguono alla accertata proprietà dei beni sui quali gli interventi devono essere attuati, e ciò in conseguenza della presentazione di documenti da parte della società stessa, effettuata proprio nella predetta qualità di proprietaria dei terreni.

C) Ricorsi n. 1823/2011 e n. 1827/2011

Sono fondate e devono essere accolte le censure proposte dalla *** *** (RG n. 1823/2011 ) ed *** (RG n. 1827/2011 ) con riferimento al punto 9 lettera c) dell’ordine del giorno relativo ad ***, nella parte in cui la conferenza impugnata ha diffidato la società dal continuare i lavori in pendenza della restituzione agli usi legittimi dell’area indicata come Settore XII, ed inoltre ha richiesto l’integrazione del progetto di bonifica della falda, così come richiesto dalle precedenti conferenze di servizi del 21.07.2006 e 16.02.2007 ( prescrizione del confinamento fisico), in quanto sono riconducibili alle questioni generali già affrontate dal Collegio nella parte generale sub II e III, relativamente alle prescrizioni di barrieramento fisico e di restituzione delle aree agli usi legittimi.

D) Ricorso n. 1825/2011

Il Collegio prende in esame solo le prescrizioni relative alle aree ISAB Impianti Nord, stante la dichiarazione di parziale improcedibilità del ricorso 1825/2011 con riferimento all’area ISAB Impianti Sud.

Le prescrizioni impugnate sono innanzi tutto quelle di cui al punto 3 a dell’ordine del giorno, in relazione alle quali le censure dedotte sono generiche e poco chiare.

Infatti, con riferimento al diniego di restituzione agli usi legittimi dell’area destinata alla nuova mensa aziendale, la ricorrente non ha dedotto vizi avverso le motivazioni del diniego, riconducibili alla necessità di una integrazione della caratterizzazione trasmessa dalla società sia per i suoli che per le acque di falda in quanto ritenuta carente e non rappresentativa del reale stato di contaminazione delle suddette matrici ambientali.

Con riguardo alla richiesta di procedere alla caratterizzazione del tracciato degli oleodotti ***- ISAB ed *** -, alla richiesta di chiarimenti relativa all’oleodotto di collegamento ISAB Nord – ISAB Sud, nonché alla richiesta di trasmissione di un documento che descriva le modalità e i risultati delle attività di verifica della tenuta dei serbatoi attivi e dismessi, nonché lo stato di conservazione delle reti tecnologiche, le deduzioni di parte ricorrente secondo le quali si tratterebbe di un aggravio procedimentale e l’area di contrada Mostringiano ricadrebbe al di fuori della perimetrazione del sito, sono inconferenti in relazione ai motivi che hanno giustificato le indicate richieste della conferenza, quali risultano dal verbale impugnato.

Le censure devono dunque respingersi.

Con riferimento alla prescrizione di cui al punto 3 lettera b), la censura va accolta in quanto riconducibile alle questioni generali già affrontate dal Collegio sub II, relativamente alle prescrizioni di barrieramento fisico.

E) Ricorso n. 1826/2011.

Va disattesa perché generica la censura di illegittimo utilizzo dell’istituto della messa in sicurezza d’ emergenza, dedotta dalla ricorrente con riferimento alla richiesta di avviare interventi di messa in sicurezza di emergenza della falda e di fornire la descrizione degli interventi avviati (indicato in ricorso come punto 1) : la ricorrente non spiega, infatti, perché nel caso di specie la messa in sicurezza di emergenza sia stata disposta in asserita violazione della normativa ambientale, atteso che dall’esame del verbale impugnato appaiono emergere elementi che in concreto giustificavano l’ordine di m.i.s.e., al fine di contenere ed impedire l’ulteriore diffusione delle matrici inquinate .

Quanto alla violazione dei principi comunitari in ordine alla necessaria previa individuazione del responsabile dell’inquinamento, la censura va disattesa richiamando le considerazioni esposte in sede di esame del principio “chi inquina paga ”, sub punto I della trattazione generale.

Altresì infondata è la censura di aggravamento del procedimento, con la quale la società ha contestato la prescrizione riguardante l’obbligo di rielaborare l’analisi di rischio sito-specifica (punto 2), perché il verbale impugnato fa espresso riferimento al parere tecnico dell’ ISPESL, che aveva dettato specifiche prescrizioni sul documento presentato dalla società.

Devono essere accolte le censure sub punti 3 e 4, relativamente alla richiesta di trasmettere la rielaborazione del progetto di bonifica delle acque di falda entro 60 giorni, nonché del progetto di bonifica dei suoli entro 90 giorni.

La prima si inquadra nell’ambito della questione già affrontata in sede di trattazione generale sub II- barrieramento fisico della falda, mentre per il progetto di bonifica dei suoli appare previamente necessaria la integrazione delle indagini di caratterizzazione, sulla base delle quali il progetto deve essere rielaborato.

Quanto alle ulteriori prescrizioni impugnate, e di cui al punto 13, lettere a, d ed e, pag 145-146 del verbale di conferenza di servizi, va accolta la censura avverso la prescrizione di operare il barrieramento fisico della falda per le ragioni già esposte.

F) Ricorso n. 1868/2011.

Sono infondate le censure con le quali *** ha contestato la prescrizione relativa al valore limite fissato per il parametro MTBE (punto 1, lettere g ed h ), deducendo l’arbitraria determinazione di tale valore sulla base dei pareri dell’Istituto superiore di sanità 06.02.2001 e 12.09.2006: si richiama quanto esposto sub V, 2, lettera G).

Parimenti infondate sono le censure relative al punto 2 “ *****************. Integrazione al Progetto definitivo di MIS permanente trasmesso da *** R&M” dell’ordine del giorno della conferenza di servizi impugnata, nella parte in cui la prescrizione è diretta ad imporre misure di messa in sicurezza di em***enza (MISE) che non risulterebbero compatibili con il progetto di messa in sicurezza permanente (MISP), proposto dalla società in esecuzione di quanto prescritto nella conferenza di servizi decisoria del 16 febbraio 2007.

La prescrizione impugnata consistente nell’ordine di eseguire gli interventi di m.i.s.e. nell’area di interesse sfugge ai vizi denunciati dalla ricorrente, poiché la conferenza di servizi si è limitata a ribadire l’ordine di m.i.s.e. già formulato dalla precedente conferenza del 16.02.2007 e disatteso dalla ricorrente, che non ha contestato la circostanza di non avere eseguito gli interventi di messa in sicurezza di emergenza prescritti nel 2007, ma si è limitata ad affermare la necessità della completa realizzazione del progetto di messa in sicurezza permanente.

Tuttavia, è chiaro che l’approvazione definitiva del progetto di che trattasi comporta un allargamento delle indagini da effettuare, come risulta dal verbale, nel quale si legge che la documentazione trasmessa da *** non ottemperava a tutte le prescrizioni formulate dalla conferenza del 16.02.2007 e non erano ancora state eseguite le prove di portata previste in progetto e ritenute fondamentali per determinare il calcolo delle portate da emungere e da trattare.

La necessità di interventi immediati è imposta dalla presenza nell’area in questione “di un enorme quantitativo di rifiuti nel suolo, ivi compresi rifiuti classificati come pericolosi” che comporta il rischio continuo di rilascio di contaminazione a seguito di eventi meteorici verso i bersagli costituti dalle acque di falda sottostanti l’area, nonché dal corso del Rio San Cusumano.

Pertanto, gli interventi di m.i.s.e. richiesti non si pongono in contrasto con il procedimento di approvazione e realizzazione del progetto unitario di bonifica (che richiede tempistiche ben diverse), essendo giustificati e motivati dall’evidente scopo di fronteggiare ed evitare, per quanto possibile, la propagazione della fonte di inquinamento all’interno del sito, sull’ovvio presupposto che detti interventi d’urgenza siano attivati nel più breve tempo possibile.

Il ricorso deve essere respinto.

G) Ricorso n. 1899/2011.

Sulle censure che investono il punto 1, lettere g ed h, per il parametro MTBE, si richiama quanto detto sub V, 2, lettera G) e richiamato al precedente punto F).

Sul punto 1 lett. e): “valutazione di applicabilità di opere di marginamento fisico del settore fronte mare delle aree A3 e B1”, progetto trasmesso da *** e *** (pagg. 21-22 del verbale ), le censure vanno accolte, per le motivazioni indicate sub II della trattazione generale, in relazione alle determinazioni che intendono prescrivere tout court l’opera di barrieramento fisico della falda, mentre le stesse prescrizioni sono legittime nella parte in cui richiedono una verifica sull’efficienza idraulica e l’efficacia idrochimica del barrieramento idraulico.

Devono essere dichiarati inammissibili i motivi con i quali la società ha contestato l’Accordo di Programma del 07.11.2008, per le motivazioni esposte sub “ B) Ricorso n. 1525/2011”.

H) Ricorso n. 1900/2011.

Si richiamano le considerazioni esposte alla precedente lettera G) relativa al ricorso n. 1899/2011, con riferimento alle censure con le quali *** ha contestato le prescrizioni di cui al punto 1, lettere e) g) ed h) dell’ordine del giorno.

Tali censure devono dunque in parte rigettarsi ed in parte accogliersi.

Le argomentazioni esposte al punto V, 2, sub lettera G) con riguardo ai valori limite di concentrazione, possono richiamarsi e considerarsi esaustive anche con riferimento al parametro ammoniaca (pari a 0,5 mg/l) di cui al punto 7, lett. a, (pag. 97, punto 9).

Quanto alle censure relative all’Accordo di programma, le stesse sono inammissibili per le ragioni più volte esposte.

Con riferimento alle censure che riguardano il punto 1 b), le prescrizioni relative alla messa in sicurezza di emergenza in area PO sono giustificate e motivate, quanto ai presupposti di m.i.s.e., con riferimento agli atti istruttori ivi richiamati e costituiscono esercizio non arbitrario di discrezionalità tecnica, non sindacabile in questa sede.

Analoghe considerazioni possono svolgersi anche con riguardo alle prescrizioni di cui al punto 1 lettera f) “Stabilimento multisocietario. Relazione tecnica e verbale di ispezione dei luoghi presso area A4” (pagg. 22-26 del verbale della conferenza di servizi) contestate per la parte in cui è stato richiesto alla ricorrente di realizzare una campagna di indagine integrativa finalizzata alla ricerca delle probabili sorgenti attive di contaminazione e, “qualora la condotta rappresenti tuttora una fonte di contaminazione attiva a cui ricondurre la presenza del prodotto in fase libera già in precedenza riscontrato, rimuovere l’intera condotta nonché i terreni circostanti, ove risultassero contaminati a seguito di idonea caratterizzazione”; nonché per la parte in cui è stato disposto di adottare interventi integrativi con riferimento agli hot spot e con riferimento agli ulteriori interventi integrativi di recupero del prodotto surnatante e indagini riferite alle caratteristiche del prodotto in fase libera riscontrato nel piezometro A4PZ7. Le relative censure devono respingersi (cfr. altresì V, 2, lettera D).

Le considerazioni più volte riportate in tema di messa in sicurezza di emergenza consentono di rigettare altresì le censure dedotte avverso il punto 18, punto indefinito a pagg. 188/192, “integrazioni al piano di caratterizzazione dell’area C1 (maglia 50 x 50 m)”, per la parte in cui ha prescritto al punto 17) di attivare idonei interventi di messa in sicurezza di em***enza delle acque di falda mediante emungimento in corrispondenza degli hot spot entro trenta giorni dalla data della conferenza di servizi istruttoria, nonché avverso il punto 7, lett. c) “Trasmissione analisi di rischio igienico sanitarie”, per la parte in cui si chiede all’Azienda di attivare interventi di messa in sicurezza d’emergenza della falda in corrispondenza dei piezometri interessati dalla presenza di hot spot.

La *** si limita infatti a contestare la necessità di ulteriori attività di m.i.s.e. rispetto a quelle già in essere, ma omette di riportare per intero quanto si legge nel verbale della conferenza impugnata relativamente alla presenza di “sostanze cancerogene molto tossiche e persistenti”, che giustificano la richiesta dei contestati interventi per i piezometri interessati dalla presenza di hot spot per tali sostanze.

Quanto al Punto 7, lett a) “Risposta al verbale della Conferenza di servizi del 16.02.07” (pagg. 92 – 98), per la parte in cui si chiede l’ottemperanza alle prescrizioni n. 1, 2, 3, 5 di cui alla lettera A (pag. 95) formulate dalla Conferenza di servizi decisoria del 16 febbraio 2007, la censura è carente di interesse, perché secondo quanto risulta dal verbale impugnato, in merito a tali prescrizioni l’Azienda ha dichiarato di “voler ottemperare… come dichiarato nel documento contenente l’Analisi di rischio ” trasmesso da Dow Italia, acquisito al Ministero il 12.3.2008 e discusso alla lettera c) del punto 7 dell’ordine del giorno; per la parte in cui si prescrive la predisposizione del progetto di bonifica dei suoli, la censura è da rigettare atteso che la prescrizione è supportata da adeguata istruttoria, essendo puntualmente richiamati gli atti istruttori su cui la stessa si fonda.

Vanno accolte le censure che riguardano i punti 18 c, per la parte in cui è imposto l’obbligo di rielaborare il progetto di bonifica dei terreni insaturi ivi indicati, subordinando l’approvazione del progetto di bonifica al marginamento fisico e mettendo in dubbio la tenuta delle opere già realizzate nell’ambito del progetto di bonifica delle acque di falda, per le ragioni ampiamente esposte in sede di trattazione generale della questione relativa al marginamento fisico della falda, nonché, per le stesse motivazioni, il punto 7 lett. a) “Risposta al verbale della Conferenza di servizi del 16.02.07” (pagg. 92 – 98), per la parte in cui (pag. 98) si delibera di chiedere all’azienda di “trasmettere l’integrazione del progetto definitivo di bonifica delle acque di falda”.

In conclusione, deve essere dichiarato inammissibile il ricorso n. 1250/2011 per carenza di interesse;

devono accogliersi i ricorsi n. 2533/07, n. 996/2008, n. 1030/2008, n. 1150/2008, n. 1322/2008, n. 1374/08, n. 1383/2008, n. 3319/2008, n. 152/2009, n. 153/2009, n. 164/2009, n. 183/2009, n. 1823/2011, n. 1827/2011;

deve respingersi il ricorso n. 1868/2011;

devono in parte accogliersi ed in parte rigettarsi i ricorsi n. 784/2008, n. 1031/2008, n. 1153/2008, n. 1154/2008, n. 1170/2008, n. 1375/2008, n. 1789/08, n. 1525/2011, n. 1826/2011, n. 1899/2011, n. 1900/2011;

devono in parte dichiararsi improcedibili, in parte accogliersi ed in parte rigettarsi i ricorsi n. 3265/2008 e n. 1825/2011.

Quanto alle spese di lite, data la oggettiva complessità della fattispecie, si ritiene di dover disporre la compensazione delle spese della presente fase del giudizio, ad eccezione delle spese di CTU che, in ragione della soccombenza sulle questioni principali di carattere generale, vengono poste a carico del Ministero Ambiente e delle quali si ordina la refusione in favore delle parti ricorrenti che le hanno anticipate (decreto di liquidazione n. 29/09 del 31.07.2009).

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima), riuniti i ricorsi in epigrafe,

Dichiara inammissibile il ricorso n. 1250/2011 per carenza di interesse.

Accoglie, come da motivazione, i ricorsi n. 2533/07, n. 996/2008, n. 1030/2008, n. 1150/2008, n. 1322/2008, n. 1374/08, n. 1383/2008, n. 3319/2008, n. 152/2009, n. 153/2009, n. 164/2009, n. 183/2009, n. 1823/2011, n. 1827/2011.

In parte accoglie ed in parte rigetta, come da motivazione, i ricorsi n. 784/2008, n. 1031/2008, n. 1153/2008, n. 1154/2008, n. 1170/2008, n. 1375/2008, n. 1789/08, n. 1525/2011, n. 1826/2011, n. 1899/2011, n. 1900/2011.

In parte dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, in parte accoglie ed in parte rigetta, come da motivazione, i ricorsi n. 3265/2008 e n. 1825/2011.

Rigetta il ricorso n. 1868/2011.

Spese compensate, ad eccezione delle spese di CTU, poste a carico del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nelle camere di consiglio dei giorni 23 febbraio 2012, 17 maggio 2012, con l’intervento dei magistrati:

*****************, Presidente

*******************, Consigliere

***************, ***********, Estensore

 

 

 

L’ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/09/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Redazione