Previdenza geometri: la pensione si matura solo dal momento di iscrizione alla cassa di previdenza e dal contestuale versamento dei contributi previdenziali (Cass. n. 6143/2013)

Redazione 12/03/13
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Svolgimento del processo

Con sentenza del 4.12.2007 – 28.1.2008 la Corte d’Appello di Messina rigettò il gravame proposto da L.G. nei confronti della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti (qui di seguito, per brevità, indicata anche come Cassa) avverso la pronuncia di prime cure che aveva respinto la domanda del L. diretta al riconoscimento del suo diritto alla retrodatazione del periodo utile per il computo della pensione a decorrere dall’anno 1953, anzichè dal 1966, come riconosciuto dalla Cassa, con conseguente condanna di quest’ultima alla riliquidazione della pensione.

A sostegno del decisum, per ciò che ancora qui rileva, la Corte territoriale osservò che, ai fini pensionistici, non è sufficiente l’iscrizione all’albo professionale (requisito presente nel caso in esame), dovendo concorrervi il versamento dei contributi, costituente obbligo gravante esclusivamente sul professionista; nel caso di specie il L. non aveva versato la contribuzione per il periodo in ordine al quale aveva chiesto la retrodatazione, nè poteva essere più ammesso al relativo versamento stante l’intervenuta prescrizione, sottratta nella materia alla disponibilità delle parti, già all’epoca (1993) della presentazione dell’istanza da parte dell’interessato. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, L.G. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi e illustrato con memoria.

L’intimata Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, denunciando violazione di plurime norme di diritto, nullità della sentenza e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5), il ricorrente deduce che, avendo svolto con carattere di continuità ed effettività la professione di geometra sin dal 1953, aveva diritto alla retrodatazione richiesta, attesa l’obbligatorietà dell’iscrizione alla Cassa previdenziale, da effettuarsi d’ufficio, onde la stessa Cassa avrebbe dovuto provvedere alla riscossione dei contributi eventualmente omessi; nella sentenza impugnata faceva difetto l’iter logico e giuridico seguito per dichiarare l’insussistenza e l’infondatezza dei diritti e delle pretese di esso ricorrente.

A conclusione del quesito è stato formulato il seguente quesito di diritto: “Dica l’Ecc.ma Corte se, nella specie, è corretto aver rigettato la domanda del ricorrente ritenendo che l’iscrizione debba concorrere con l’effettivo versamento dei contributi ad iniziativa dell’iscritto, e che non fosse dovuta invece la retrodatazione dell’iscrizione del ricorrente alla Cassa sin dal 1953, mediante iscrizione d’ufficio e recupero coattivo dei contributi omessi mediante ruolo”.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione di plurime norme di diritto, nullità della sentenza e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5), deduce che nessuna prescrizione era decorsa per quanto riguardava il diritto di esso ricorrente ad ottenere la retrodatazione, prevalendo il disposto dell’art. 38 Cost. sul disposto della L. n. 335 del 1995, art. 3; nella specie peraltro il termine prescrizionale non poteva ritenersi decorso non essendovi un termine iniziale, posto che appariva “provato” che esso ricorrente non aveva mai inviato, se non in maniera incompleta, per il periodo per cui era stata richiesta la retrodatazione, il modello di comunicazione del volume d’affari annuo e che, comunque, il termine prescrizionale era stato più volte interrotto, come risultava “dalla documentazione allegata al ricorso introduttivo”; la Corte territoriale aveva inoltre errato a non tener conto della documentazione attestante l’avvenuto accoglimento della domanda di retrodatazione avanzata da altro geometra, con conseguente disparità di trattamento; anche in relazione alle suddette questioni, nella sentenza impugnata faceva difetto l’iter logico e giuridico seguito per dichiarare l’insussistenza e infondatezza dei diritti e delle pretese di esso ricorrente. A conclusione del quesito è stato formulato il seguente quesito di diritto: “Dica l’Ecc.ma Corte se, nella specie, è corretto aver rigettato la domanda del ricorrente ritenendo applicabile e maturata la prescrizione dei contributi, ed insussistente il diritto del ricorrente a versarli, e che non fosse invece da darsi prevalenza all’art. 38 cost., norma costituzionale e prevalente, e che comunque non sia mai cominciato a decorrere il momento iniziale della prescrizione e come questa non sia decorsa, stante gli eventi interrottivi e le disparità di trattamento adoperata in casi analoghi.

2. Osserva preliminarmente la Corte che l’art. 366 bis c.p.c. è applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore (2.3.2006) del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (cfr, D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2) e anteriormente al 4.7.2009 (data di entrata in vigore della L. n. 68 del 2009) e, quindi, anche al presente ricorso, atteso che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 28.1.2008.

In base alla norma suddetta, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Secondo l’orientamento di questa Corte il principio di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c., deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20360/2007), mentre la censura concernente l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007). In particolare deve considerarsi che il quesito di diritto imposto dall’art. 366 bis c.p.c., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 11535/2008; 19892/2007). Conseguentemente è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d’impugnazione; ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico (cfr, ex plurimis, Cass., SU, 20360/2007, cit.).

2.1 Nel caso che ne occupa con i primi due motivi di ricorso sono stati denunciati sia la violazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), che la nullità della sentenza impugnata (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), che il vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Il ricorso non contiene tuttavia i richiesti momenti di sintesi diretti a circoscrivere i limiti delle censure inerenti ai lamentati vizi motivazionali.

2.2 Quanto ai quesiti di diritto, gli stessi non fanno riferimento alcuno ai denunciati errores in procedendo; nè, in ordine ai dedotti vizi di violazione di legge, contengono una chiara sintesi logico- giuridica delle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame; detti quesiti, per come formulati, non consentono infatti l’enunciazione di una regula iuris, ma si risolvono nella mera richiesta di riconoscimento della fondatezza delle doglianze svolte, prospettando per di più il secondo quesito accertamenti fattuali inammissibili nel presente giudizio di legittimità.

2.3 Ne discende l’inammissibilità dei suddetti motivi.

3. Il terzo motivo, con il quale il ricorrente si duole dell’avvenuta compensazione delle spese sul presupposto della sussistenza del diritto azionato, resta conseguentemente assorbito.

4. In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 3.040,00 (tremilaquaranta), di cui Euro 3.000,00 (tremila) per compenso, oltre accessori come per legge.

Redazione