Prete abusa di un giovane minorato psichico: violenza sessuale mediante abuso di autorità (Cass. pen. n. 36896/2013)

Redazione 09/09/13
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Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 30 novembre 2011, la Corte di Appello di Brescia ha confermato la sentenza del GUP presso il Tribunale di Cremona che aveva condannato, all’esito di giudizio abbreviato, T.G. alla pena della reclusione per anni 3 e mesi 6, dichiarandolo responsabile del reato di cui agli artt. 81, comma 2, e 609 bis, comma 2, n. 1) c.p., perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, abusando delle condizioni di inferiorità psichica di Ga..To. , con frequenza settimanale o anche più volte a settimana, induceva quest’ultimo a subire atti sessuali (in particolare, atti di sodomia e reciproche fellatio); fatti commessi in (omissis) , dal (omissis) al (omissis) .
2. Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione per i seguenti motivi: 1) Mancanza e illogicità della motivazione, poiché i giudici di merito non avrebbero approfondito l’aspetto della capacità a deporre della persona offesa, pur avendolo definito soggetto psichicamente minorato agevolmente condizionabile e molto remissivo. A parere della difesa, sarebbe illogico ritenere capace di testimoniare una persona che si ritiene affetta da un disturbo dipendente della personalità ed incapace di assumere qualsiasi responsabilità; 2) Illogicità della motivazione ed incoerenza nella valutazione del fatto, nella parte in cui ha ritenuto che non fosse stato il To. ad organizzare volutamente l’incontro con l’imputato del (omissis) , quando l’imputato fu sorpreso con il giovane, in quanto dalle stesse dichiarazioni della polizia giudiziaria era emerso che era stato il sacerdote con cui la persona offesa si era confidata che lo aveva avvisato dell’intervento delle forze dell’ordine, e dunque l’incontro in macchina era stato premeditato; 3) Violazione dell’art. 606, lett. c) e d) c.p.p. per aver omesso di considerare il decreto di archiviazione emesso nel procedimento promosso dopo le accuse di Ga..To. ai colleghi di lavoro, rese nella medesima denunzia sporta contro l’imputato. Il provvedimento di archiviazione era stato letto all’udienza del 20 maggio 2010 dal PM ed era stato riportato nell’atto di appello. Ai fini della credibilità dell’ipotesi accusatoria sarebbe stato necessario conoscere i motivi per cui gli addebiti formulati ai colleghi di lavoro erano stati considerati infondati; 4) Violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) c.p.p. per aver ritenuto attendibili le dichiarazioni della persona offesa nonostante l’assenza di riscontri; 5) Manifesta illogicità della motivazione in quanto pur esaminando il fatto che il procedimento a carico dei colleghi di lavoro, i giudici hanno dichiarato irrilevante il fatto che ne fosse stata disposta l’archiviazione. La motivazione sarebbe, inoltre, apparente perché non fornirebbe una spiegazione alle evidenti contraddizioni cui sarebbe incorsa la parte offesa nel descrivere le attenzioni particolari subite sul luogo di lavoro; 6) Difetto di motivazione, poiché la Corte territoriale avrebbe fondato il proprio convincimento sulle valutazioni del consulente del PM senza prendere in considerazione la perizia del consulente della difesa e senza fornire alcuna risposta in ordine al fatto che la perizia del consulente del PM aveva attribuito alla persona offesa un provvedimento di interdizione mai emesso né richiesto. Inoltre, la motivazione risulterebbe lacunosa nella parte in cui non ha fornito una spiegazione della conciliabilità tra le asserite incapacità della persona offesa e la normalità della sua vita di relazione; 7) Carenza ed illogicità manifesta della motivazione per aver ritenuto credibile il rifiuto opposto dalla persona offesa ai rapporti sessuali. Se la persona offesa deve essere considerato soggetto facilmente condizionabile, la stessa si può essere fatta condizionare nel rendere dichiarazioni alla presenza della polizia giudiziaria e di un ministro di culto; 8) La motivazione della sentenza risulterebbe lacunosa anche laddove non ha attribuito rilievo al consenso putativo della persona offesa e nella parte in cui non è stata considerata la concreta possibilità che l’imputato ignorasse l’incapacità ad acconsentire ad atti sessuali da parte del giovane, ben potendo lo stesso essere stato tratto in inganno dalla normale vita di relazione di quest’ultima; 9) Omessa motivazione con riferimento alla doglianza difensiva che aveva eccepito il difetto di una valida querela, evidenziando la contraddizione ravvisabile nel ritenere contemporaneamente sussistente l’incapacità a determinarsi nella sfera sessuale ed invece la capacità di autodeterminarsi a sporgere querela; 10) Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità ed inutilizzabilità avendo la Corte territoriale omesso di dichiarare l’inammissibilità della costituzione di parte civile per carenza della procura speciale che era stata conferita civile solo per il primo grado. Inoltre, la persona offesa è stata ritenuta incapace di operare scelte e comunque capace di sottoscrivere validamente la procura speciale; 11) Illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza, nella parte in cui le dichiarazioni della persona offesa sono state ritenute attendibili anche alla luce di quanto dichiarato dalla madre, che invece aveva contraddetto il figlio; 12) Difetto di motivazione: la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare i documenti con i quali l’imputato aveva dimostrato l’impossibilità che vi fossero stati rapporti sessuali con il fratello della persona offesa; 13) Carenza di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio riservato all’imputato per il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 609 bis ult. comma, c.p. nonché dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione, tenuto conto del fatto che le ordinarie attività svolte dalla persona offesa ben avrebbero potuto indurre in errore l’imputato sulla spontaneità del consenso prestato al compimento di atti sessuali.
3. La difesa dell’imputato ha presentato ulteriori motivi di ricorso: 14) Illogicità e contraddittorietà della motivazione per avere attribuito credibilità alle dichiarazioni rese dal giovane, nonostante le contraddizioni tra le sue dichiarazioni e quelle della madre; 15) Carenza di motivazione per avere considerato a riscontro delle prove di colpevolezza le dichiarazioni del fratello senza dare risposta alle censure di appello sul punto, del resto già esposte con la memoria depositata ex art. 415 bis c.p.p.; 16) Carenza di motivazione ed illogicità nel rigetto del motivo di gravame con il quale era stata richiesta la rideterminazione della pena previo riconoscimento dell’attenuante del fatto lieve e delle generiche, per avere i giudici di appello ritenuto una condotta di “approfittamento delle palesi condizioni in cui versava la parte lesa”, omettendo invece di valutare la difficoltà di riconoscere l’asserita incapacità del To. .

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e per tale motivo deve essere rigettato.
Questo Collegio rileva che le censure prospettate dal ricorrente, anche quelle che lamentano le omissioni di motivazione, tendono in verità a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio, i quali sono di esclusiva competenza del giudice di merito, al fine di prospettare una versione del fatto diversa e alternativa a quella posta a base del provvedimento impugnato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, n. 22256 del 26/4/2006, Bosco, Rv. 234148), il giudizio di legittimità – in sede di controllo sulla motivazione – non può concretarsi nella rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione o nell’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili.
Inoltre si deve tenere conto del principio, secondo cui quando le sentenze di primo e secondo grado “concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente” (cfr. Sez. 4, n. 15227 del 14/2/2008, *******, Rv. 239735).
2. Alla luce dei principi sopra richiamati, questa Corte ritiene che i giudici di merito abbiano correttamente illustrato le ragioni per le quali hanno ritenuto sussistente la responsabilità dell’imputato in ordine al reato contestatogli, laddove i motivi di ricorso proposti dal ricorrente ribadiscono censure già puntualmente disattese dai giudici del merito, con una motivazione che non presenta errori giuridici e smagliature nel tessuto argomentativo.
Infatti, la sentenza di appello, pur confermando la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di primo grado, ha sviluppato un’autonoma ed ampia argomentazione, all’esito del compiuto esame delle censure avanzate dall’appellante, confermando il giudizio di piena attendibilità della testimonianza della persona offesa, anche per effetto dei numerosi elementi probatori di riscontro dei fatti, riscontro peraltro che per la costante giurisprudenza non è neppure necessario, dovendosi ribadire il principio che il giudice di merito può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192, c. 3 e 4 c.p.p., le quali richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr., per tutte, Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, *********, Rv. 248016).
3. Giova inoltre richiamare le precedenti decisioni di questa Corte relative agli elementi costitutivi dei reati di violenza sessuale caratterizzati da condotte di abuso delle condizioni di inferiorità psichica della persona offesa (a tale proposito si veda Sez. 3, n. 44978 del 22/10/2010, dep. 22/12/2010, C, Rv. 249111) e tali linee interpretative non possono che essere qui confermate. È stato infatti precisato che l’induzione a compiere o subire atti sessuali si realizza quando, con un’opera di persuasione sottile e subdola, l’agente spinge, istiga o convince la persona che si trova in stato di inferiorità ad aderire ad atti sessuali che diversamente non avrebbe compiuto (sez. 3, n. 20766 del 3/6/2010, T. e altro, Rv. 247654).
Quanto all’abuso, è stato ribadito che lo stesso consiste nel doloso sfruttamento da parte dell’autore del reato, delle condizioni di menomazione della vittima, che viene strumentalizzata con l’obiettivo di accedere alla sua sfera intima a fini di soddisfacimento dei propri impulsi sessuali (cfr., tra le altre, sez. 4, n. 40795 del 3/10/2008, ******, Rv. 241326, che ha affermato in tema di violenza sessuale ai danni di soggetti che si trovano in stato di inferiorità fisica o psichica, l’induzione sufficiente alla sussistenza del reato non si identifica solamente nell’attività di persuasione esercitata sulla persona offesa per convincerla a prestare il proprio consenso all’atto sessuale, bensì consiste in ogni forma di sopraffazione posta in essere, senza ricorrere ad atti costrittivi ed intimidatori nei confronti della vittima, la quale, non risultando in grado di opporsi a causa della sua condizione di inferiorità, soggiace al volere dell’autore della condotta, divenendo strumento di soddisfazione delle voglie sessuali di quest’ultimo: così già sez. 3, n. 2646 del 27/1/2004, *****, Rv. 227029). Quindi, indurre ad un atto sessuale mediante abuso delle condizioni di inferiorità psichica altro non è che approfittare e strumentalizzare tali condizioni per accedere alla sfera intima della sessualità della persona, che a causa della sua vulnerabilità, connessa all’infermità psichica, viene ad essere utilizzata quale mezzo per soddisfare le voglie sessuali dell’autore del reato, per cui lo stesso “fruisce” del corpo della persona la quale, per effetto di tali comportamenti, da soggetto di una relazione sessuale, viene ridotta al rango di “oggetto” dell’atto sessuale o di più atti sessuali (cfr. anche parte motiva di Sez. 3, n. 44978 del 22/10/2010, dep. 22/12/2010, C, Rv. 249111, che ha affermato che “il carattere consenziente del rapporto sessuale di un soggetto affetto da minorazione psichica è da escludersi ove si accerti che la malattia abbia impedito allo stesso di resistere all’altrui prevaricazione”). Naturalmente è compito del giudice di merito verificare, con un’indagine adeguata e dandone conto nella motivazione, la situazione di inferiorità psichica della vittima, le modalità con le quali l’agente ha posto in essere comportamenti di induzione all’atto sessuale, abusando delle predette condizioni e la consapevolezza in capo al responsabile di abusare delle condizioni della vittima per fini sessuali.
4. Nel caso di specie, i giudici di primo e secondo grado hanno innanzitutto ritenuto accertata la situazione di inferiorità psichica di To.Ga. , quale descritta nel contenuto della relazione del consulente del pubblico ministero, ove era stato ritenuto che la persona offesa presentava una capacità intellettiva pari a 12/14 anni e quindi non aveva una maturità intellettiva adeguata alla sua età (25 anni), ma nondimeno era in grado di svolgere molte delle normali attività quotidiane (ed infatti prestava attività di lavoro subordinato in quanto assunto nell’ambito delle “categorie protette”) in un contesto protetto; i giudici hanno riferito che la persona offesa presentava un “disturbo di personalità dipendente”, evidenziato anche all’esito di test psicodiagnostici, che avevano rilevato, tra le altre caratteristiche, passività, remissività estrema, incapacità ad esprimere un disaccordo con gli altri”, (pag. 11-12 della sentenza di primo grado), per cui in forza di tale infermità psichica non era in grado di esprimere un valido consenso ai rapporti sessuali. A tal proposito deve essere respinto il motivo n.6 di censura, relativo ad un asserito difetto di motivazione dei giudici perché non avrebbero tenuto conto della consulenza di parte, motivo in verità generico, posto che è lo stesso ricorrente ha sottolineare che il To. era soggetto “non normale”. Infatti il ricorso da un lato, ha censurato la decisione laddove ha ritenuto l’infermità della persona offesa di tale grado da non potere esprimere un valido consenso agli atti sessuali (in quanto il To. lavorava, aveva un conto corrente cointestato con altro familiare e guidava l’auto) ed ha anche sostenuto che tale apparente “stato di normalità” del ragazzo aveva comunque indotto il T. a ritenere che lo stesso avesse prestato liberamente il proprio consenso ai rapporti sessuali (motivo n. 8), dall’altro, ha lamentato che i giudici non avessero considerato l’evidente incapacità a testimoniare della persona offesa (motivo n. 1), l’incapacità a proporre una querela validamente (motivo n. 9) ed anche l’incapacità a conferire procura speciale per la costituzione di parte civile nel giudizio (motivo n. 10).
5. Orbene, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che è principio ormai recepito nel nostro sistema processuale, e valido anche nel codice previgente, che la testimonianza della persona affetta da infermità mentale può essere legittima fonte di prova, fermo restando l’obbligo per il giudice di verificare, in relazione alla peculiarità del caso concreto, la credibilità del teste in riferimento alle sue condizioni psichiche; del resto la Corte costituzionale, con le sentenze n. 283 del 1997, n. 114 del 2001, n. 529 del 2002, n. 63 del 2005, ha confortato tale assunto (cfr. Sez.3, n. 11955 del 16/12/2010, dep. 24/3/2011, *****. 249773). Pertanto non è corretto ritenere esistente una inconciliabilità ontologica tra stato di deficit psichico e capacità a testimoniare, come sostenuto nel motivo di ricorso n. 1, che va pertanto respinto.
6. Quanto alla censura relativa alla capacità di proporre querela (motivo n.9), la giurisprudenza ha precisato che è valida la querela presentata in proprio dall’infermo di mente, non dichiarato interdetto né inabilitato, in quanto la nomina di un curatore speciale, su istanza del P.M., è necessaria solo nel caso in cui la persona offesa non possa proporre querela a causa della propria infermità (in tal senso, da ultimo, Sez.3, n. 42480 del 4/11/2010, dep. 1/12/2010, P.G. e P.M. in proc. Z., Rv. 248758); è pertanto irrilevante la questione relativa alla presunta incapacità di intendere e di volere del querelante, in quanto il giovane, seppure affetto da deficit psichico, ha presentato la querela e non occorreva quindi la nomina di un curatore speciale, neanche per la ratifica dell’atto. Peraltro T. è comunque una persona in grado di comprendere il significato della querela proposta, essendo risultata evidente la volontà di denunciare e far perseguire l’imputato, come evidenziato dai giudici di merito i quali hanno sottolineato il fatto che in occasione delle sommarie informazioni rese il 10 maggio 2007 la persona offesa aveva ribadito la volontà che il processo proseguisse.
7. Del pari va respinto il motivo n. 10, in quanto si tratta di motivo nuovo proposto per la prima volta in sede di legittimità.
8. Quanto al positivo giudizio circa l’attendibilità della persona offesa espresso dai giudici dei due gradi di giudizio, rileva il Collegio che il motivo n.4 risulta strettamente connesso ai motivi 3, 5, 1, 11, 12 (come ripetuti nei motivi aggiunti 14 e 15), per cui gli stessi vanno trattati congiuntamente, alla luce di quanto già premesso neW’incipit di questa parte motiva.
I giudici di merito hanno evidenziato come le dichiarazioni del To. erano state semplice e lineari e non di meno circostanziate: le specifiche dichiarazioni rese dal ragazzo quanto alle modalità con cui l’imputato lo aveva convinto a seguirlo e poi a subire gli atti sessuali avevano poi trovato riscontro nell’accertamento della polizia giudiziaria in occasione del servizio di appostamento che aveva condotto all’arresto dell’imputato, che era stato sorpreso, senza pantaloni e mutande, sdraiato a pancia in giù sopra il To. . Nella parte motiva della sentenza è stata ampiamente argomentata la valutazione di piena attendibilità della persona offesa, richiamando plurimi elementi, quali, tra gli altri, il fatto che il ragazzo non aveva mai modificato la versione dei fatti narrata, caratterizzata da una profonda autenticità: nel descrivere la condotta dell’imputato lo stesso si era limitato a riferire quanto accaduto senza esprimere alcuna esasperazione; egli, pur non facendo riferimento ad alcuna costrizione fisica, aveva ammesso che non era stato in grado di opporre un deciso diniego alle condotte poste in essere dal T. , tanto da indurlo a desistere.
D’altra parte, la sentenza impugnata ha evidenziato che le modalità con cui avvenivano gli incontri avevano trovato conferma nelle dichiarazioni della madre della persona offesa, la quale aveva riferito che, un paio di sere a settimana, l’imputato si recava a casa con la moglie e, una volta bevuto il caffè, lasciava la moglie a casa ed invitava il ragazzo ad uscire riaccompagnandolo verso mezzanotte. I giudici di merito hanno ritenuto priva di pregio l’impostazione difensiva proposta, che aveva sottolineato le discrepanze esistenti tra le dichiarazione della donna e quella dei figli, sottolineando anche le ragioni per le quali la donna continuasse a considerare l’imputato un amico di famiglia e non volesse in fondo aggravare la sua posizione. Inoltre, in base alle risultanze delle intercettazioni telefoniche, i giudici hanno escluso che l’incontro, a seguito del quale l’imputato venne tratto in arresto, fosse stato organizzato dal To. , evidenziandosi come era stato invece l’imputato ad avere organizzato la serata secondo un copione ormai consolidato. Del pari, la Corte territoriale ha motivato circa il giudizio di credibilità delle dichiarazioni rese dal fratello della persona offesa, il quale aveva riferito di abusi subiti dall’imputato con identiche modalità, frequentazione del resto non smentita dall’imputato stesso nell’interrogatorio. Del tutto infondate, poi, le censure relative alla pretesa importanza nel presente processo dell’acquisizione del decreto di archiviazione delle indagini attivate sui colleghi di lavoro del To. , per le ragioni compiutamente esposte nella sentenza impugnata (pagg. 12 e 13) che sono da condividere. Non sussiste pertanto alcuna carenza motivazionale, posto che la sentenza impugnata contiene adeguata e congrua motivazione a tutti i rilievi della difesa, del resto in massima parte già proposti in appello.
10. Quanto all’invocato errore circa il consenso del To. ai plurimi rapporti sessuali (motivo n. 8), va ricordato che la citata esimente putativa può trovare applicazione “solo quando sussista un’obiettiva situazione – non creata dallo stesso soggetto attivo del reato – che possa ragionevolmente indurre in errore tale soggetto sull’esistenza delle condizioni fattuali corrispondenti alla configurazione della scriminante” del consenso dell’avente diritto (cfr. Sez. 3, n. 7186 del 20/4/1990, dep. 24/5/1990, **********, Rv. 184366). Orbene, nel caso di specie, i giudici hanno evidenziato i rapporti che aveva l’imputato con la famiglia del To. , la pregressa conoscenza dello stesso dalla quale conseguiva l’immediata percepibilità dello status di infermità psichica, elementi dai quali emergeva l’impossibilità di una erronea rappresentazione circa la situazione concreta, ed anzi la dimostrazione che il T. si era approfittato della situazione di inferiorità del ragazzo. D’altra parte il reato contestato è quello di approfittamento della persona offesa con abuso della condizione di inferiorità, in questo caso psichica,ed induzione ad atti sessuali; in tale fattispecie non è elemento costitutivo il dissenso della persona offesa, in quanto la peculiarità dell’ipotesi di cui all’art. 609 bis comma 2 c.p. è proprio l’invalidità del “consenso” prestato ai rapporti sessuali, in quanto si tratta di consenso viziato dalla condotta di induzione dell’autore del reato, nel caso in oggetto posta in essere nella consapevolezza di approfittare di una situazione di vulnerabilità psichica del To. , dall’imputato ben conosciuta.
11. Del pari, infondato risulta il motivo n. 13, in materia di trattamento sanzionatorio. Infatti, anche in punto di determinazione della pena, la Corte di merito ha fornito adeguata e congrua risposta alla censura prospettata nei motivi di gravame, condividendo la valutazione espressa dal Giudice di prime cure in punto di gravità del reato e di conseguente dosimetria della pena. D’altra parte, la censura attinente alla misura della pena inflitta al ricorrente si esaurisce in contestazioni di merito, inammissibili in sede di legittimità, dal momento che, secondo il costante orientamento di questa Corte (tra le altre, Sez. 4, n. 41702 del 20/9/2004, ********, Rv. 230278), la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità laddove, come nel caso di specie, compiutamente motivato.
12. Quanto al mancato riconoscimento dell’attenuante del fatto di minore gravità di cui all’art. 609 bis, c.p., ripreso anche nel motivo n. 16, a parte il rilievo che si tratta della riproposizione di analoga censura già esaminata in sede di appello, una mitigazione della pena risponde alla minore lesività del fatto, da rapportare al grado di incidenza delle condotte sulla libertà sessuale della vittima, (cfr. Sez. 3, n. 27272 del 15/6/2010, P., Rv. 247931). Nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto, con valutazione incensurabile e di perfetta tenuta logica, che il fatto fosse particolarmente offensivo, in considerazione di una condotta consistita in rapporti sessuali anali e orali, reiterati nel tempo.
13. Analoghe considerazioni devono essere svolte con riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Il riconoscimento di dette circostanze costituisce oggetto di un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, quando il giudice la escluda con motivazione congrua fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, e anche se difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (cfr. Sez. 6, n. 7707 del 04/12/2003, P.G. in procedimento *********, Rv. 229768). Orbene, la sentenza impugnata ha espressamente evidenziato, con motivazione congrua, pertanto, incensurabile in questa sede, che l’imputato non era meritevole delle circostanze attenuanti generiche a causa del profondo disvalore della condotta tenuta avendo approfittato, nonostante fosse un amico di famiglia, delle condizioni psichiche in cui versava la persona offesa. Inoltre, a parere dei giudici di merito, le parziali dichiarazioni rese dall’imputato aveva dimostrato uno scarso atteggiamento di autocritica.
14. Deve infine essere rigettata, infine, anche la censura relativa alla mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e della sospensione condizionale della pena, benefici non concedibili in ragione della dosimetria della pena inflitta; comunque è bene ricordare che in ogni caso la concessione dei benefici di legge è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice sulla base di una valutazione delle circostanze di cui all’art. 133 c.p., senza che sia necessaria una specifica e dettagliata esposizione delle ragioni della decisione (Sez. 3, n. 7608 del 17/11/2009, ********* e altri, Rv. 246183).
In conclusione il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile, che vengono liquidate in complessive Euro mille oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese del grado sostenute dalla parte civile che liquida in complessive Euro mille oltre accessori di legge.

Redazione