Prestazioni previdenziali e termine di prescrizione (Cass. n. 5676/2013)

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CASSA INTEGRAZIONE E LICENZIAMENTO DOPO LA RIFORMA

Maggioli Editore – Novità Febbraio 2013

 

 

Massima

In tema di prestazioni previdenziali, relative a infortuni sul lavoro e malattie professionali, il termine di cui all’art. 112 del d.P.R. 1124/1965 è un termine di prescrizione e non di decadenza, rispetto al quale operano, oltre alla speciale causa sospensiva regolata dall’art. 111 del citato d.P.R., le ordinarie cause di interruzione previste dal codice civile e in particolare quella di cui all’art. 2945, comma 2, c.c., secondo il quale la prescrizione, quando è stata interrotta dalla domanda giudiziale, non corre fino al momento in cui non passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio.

 

 

1. Questione

Gli eredi hanno chiesto che venisse riconosciuto nei confronti dell’Ipsema (Istituto di Previdenza per il settore Marittimo) il loro diritto alla rendita ai superstiti ex art. 85 d.P.R. n. 1124/65. Il Tribunale ha accolto la domanda con sentenza che è stata confermata dalla Corte d’appello; l’Ipsema ha presentato ricorso per cassazione, basandolo su due motivi:

1)     si denuncia violazione degli artt. 134, 414, 421 e 443 c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto l’eccezione di improponibilità della domanda, sollevata dall’Istituto, e chiedendo a questa Corte di stabilire “se la produzione di un documento avente fondamentale efficacia onde paralizzare l’avversa eccezione di improcedibilità e/o inammissibilità del ricorso introduttivo possa essere o meno effettuata dalla parte che intende giovarsene oltre i termini di cui all’art. 414 c.p.c, in assenza di autorizzazione ad opera del giudice ed in assenza di un provvedimento di acquisizione disposto dal giudice stesso ai sensi dell’art. 421 c.p.c;

2)     si denuncia violazione degli artt. 185, 111, 112 d.P.R. n. 1124/65, 1294, 1310 cc, 134, 414 e 421 c.p.c., chiedendo a questa Corte di stabilire se possa o meno essere riconosciuto, in assenza di presunzione di legge o di specifiche pattuizioni Inter partes, effetto estensivo nei confronti degli altri creditori alla richiesta di prestazione sottoscritta solo da uno di essi.

La Corte di Cassazione ha rigettato il primo motivo ed ha accolto il secondo motivo.

 

2. Art. 112 del d.P.R. 1124/1965: prescrizione

L’art. 112 del d.P.R. 1124/1965 dispone che l’azione per conseguire le prestazioni di cui al titolo 1^ del T.U. (infortuni e malattie professionali nell’industria) si prescrive nel termine di tre anni dal giorno dell’ infortunio o da quello della manifestazione della malattia professionale. L’art. 112 t.u. ha così allungato a tre anni il termine di prescrizione del diritto alle prestazioni che l’art. 67 del R.D. 1765/1935 limitava ad un anno. Trattasi di prescrizione in senso tecnico, quale disciplinata dall’art. 2934 c.c. e segg. (Cass. Sez. un. 16 novembre 1999 n. 783).

La disciplina prescrizionale delle rendite vitalizie infortunistiche risulta così differenziata rispetto ad altri diritti previdenziali, parimenti vitalizi e parimenti presidiati dall’art. 38 Cost., quali il diritto a pensione. La imprescrittibilità del diritto a pensione, espressamente prevista per il settore del pubblico impiego dall’art. 5 del D.P.R. 1092/1973 (T.U. norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello stato), pacificamente affermata dalla giurisprudenza di questa Corte anche per i lavoratori privati in forza del carattere primario, indisponibile e quindi imprescrittibile del diritto, ai sensi dell’art. 38 Cost. e art. 2934 c.c., comma 2 (ex plurimis Cass. sez. un. 10 giugno 2003 n. 9219; Cass. 26 giugno 2004 n. 11935, 23 marzo 1989 n. 1482, 7 novembre 1988 nn. 6007 e 6008, 3 marzo 1988 n. 2243), risulta per questi ultimi confermata dall’art. 6 del D.L. 103/1991, convertito, con modificazioni, nella L. 166/1991, il quale, nel qualificare, con norma di interpretazione autentica (Corte Cost. 3 giugno 1992, n. 246) come di decadenza sostanziale i termini previsti dall’art. 47, commi 2 e 3, del D.P.R. 638/1970, per l’azione giudiziaria nelle controversie in materia di trattamenti pensionistici, specifica che la decadenza determina l’estinzione del diritto solo ai ratei pregressi. Tale regolamentazione legislativa della perdita delle prestazioni previdenziali per inerzia, solo pro tempore, costituisce conseguenza del principio per cui dal rapporto assistenziale e da quello previdenziale non scaturisce una singola e complessiva obbligazione avente ad oggetto una prestazione unitaria da assolvere ratealmente, ma deriva una serie di obbligazioni a cadenza periodica, ciascuna delle quali realizza l’intera prestazione dovuta in quel determinato periodo (Cass. Sez. un. 26 giugno 1996 n. 5895).

La giustificazione del diverso regime di estinzione per inerzia nell’esercizio del diritto alle rendite vitalizie infortunistiche, che comporta l’estinzione non dei soli ratei pregressi, ma dell’intero diritto a rendita, anche per il futuro, risiede nella necessità di accertamento precoce delle circostanze di fatto necessarie per l’insorgere del diritto, quali la natura della lesione ed il suo nesso causale con l’attività lavorativa (Corte Cost. 18 gennaio 1977 n. 31, 31 maggio 1983 n. 145, 7 luglio 1999 n. 297); è significativo al riguardo che l’art. 112 faccia decorrere la prescrizione dalla data dell’infortunio o dalla manifestazione della malattia professionale, che costituiscono gli eventi che occorre prontamente accertare a tal fine.

La prescrizione disciplinata dall’art. 112, comma 1, cit. T.U., si applica a tutte le azioni volte a conseguire qualsiasi prestazione, per la quale sussista la ragione giustificatrice cennata (Cass. 9 novembre 2000 n. 14548, in tema di rendita di passaggio, il cui termine prescrizionale decorre dall’abbandono della lavorazione morbigena; Cass. 24 febbraio 2002 n. 5833, per la domanda con la quale il titolare di una rendita INAIL chieda la costituzione di una rendita unica ai sensi dell’art. 80, cit. T.U. n. 1124, per la sopravvenienza di una ulteriore patologia; Cass. 16 aprile 2003 n. 6040, per il rimborso delle spese odontoiatriche e protesi che sostenute da un assicurato in conseguenza di un infortunio sul lavoro, in quanto trattasi di prestazioni che devono essere erogate da parte dell’INAIL, e per le quali ricorre l’esigenza della tempestività dell’accertamento).

Una volta che il lavoratore abbia proposto la domanda nei termini prescrizionali, le prestazioni decorrono dalla data di maturazione del diritto; ad es., nel caso di rendita, dalla cessazione della temporanea (art. 74,          comma 2, del d.P.R. 1124/1965), anche se la domanda sia stata proposta successivamente, nei limiti temporali della prescrizione ex art. 112.

Ove tale esigenza di accertamento precoce non sussista, come nel caso della riscossione dei ratei di rendita già costituita, non trova applicazione la prescrizione breve di cui all’art. 112, cit. T.U. 112, bensì la ordinaria prescrizione decennale (Cass. 14 dicembre 1983 n. 7387, Cass. 18 marzo 1987, n. 2737, Cass. 23 gennaio 1988 n. 557); analogo è il caso dell’ assegno continuativo mensile per gli indennizzati in capitale in base alla L. 31 gennaio 1904, n. 51, introdotto dall’art. 6 della L. 52/1949, per mitigare la falcidie della svalutazione bellica e postbellica sull’indennizzo in capitale: stante la immutabilità della determinazione percentuale della inabilità permanente che ha dato luogo all’indennizzo in capitale, ne consegue sul piano della prescrizione che si applica il normale termine quinquennale di cui all’art. 2948 c.c., poichè, trattandosi di un diritto riconosciuto direttamente dalla legge, con effetto dalla data della sua entrata in vigore, non si impongono relativamente ad esso quelle stesse esigenze di solleciti accertamenti, apprezzabili con riferimento alle altre prestazioni proprie dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (Cass. 5 febbraio 1983, n. 1003).

Ancora non si applica l’istituto della prescrizione prevista dall’art. 112 T.U., all’ipotesi di revisione del diritto alla rendita, ai sensi degli artt. 83 e 137 T.U. (Cass. Sez. un. 10 luglio 2003 n. 10839): poichè l’art. 112, collega il termine triennale con il verificarsi dell’evento protetto (infortunio o manifestazione della malattia professionale), ciò dimostra che la norma considera solo il momento della richiesta iniziale con cui si fa valere il diritto derivante da tale evento, e non contempla invece il diverso caso della domanda di revisione per peggioramento della misura della rendita già concessa, domanda che comporta una prestazione monetaria ulteriore, pur nell’unitario concetto di diritto a rendita. Tale diversa ipotesi è soggetta non ad un termine di prescrizione, bensì ad un termine di decadenza di un anno, dalla scadenza del periodo di osservazione del decennio o del quindicennio, da ritenersi paritario per l’infortunato e per l’istituto assicuratore, per ragioni di interpretazione costituzionalmente orientata (Cass. 18 novembre 2000 n. 14941, Cass. Sez. un. 10839/2003).

Si deve concludere sul punto, alla luce della citata giurisprudenza di legittimità, enunciando il seguente principio di diritto: “Il termine “prestazione” impiegato nell’art. 112, cit. T.U. n. 1124, va inteso in senso restrittivo, non come sinonimo di qualsiasi prestazione monetaria o assistenziale da parte dell’istituto assicuratore, ma come prestazione richiedente l’accertamento del diritto stipite, per il quale rilevi l’accertamento della inabilità, della data dell’infortunio o di quello della manifestazione della malattia professionale, delle sue modalità e del relativo nesso causale.

 

3. Rassegna giurisprudenziale

In materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, qualora il titolare di una rendita per infortunio sul lavoro proponga domanda giudiziale volta ad ottenere una rendita unificata che tenga conto di un ulteriore evento infortunistico, il termine triennale di prescrizione del diritto al riconoscimento della rendita unica di cui all’art. 112 del d.P.R. 1124/1965, inizia a decorrere dall’evento infortunistico e non dall’accertamento giudiziale dell’indennizzabilità dei postumi, atteso che il processo, salvi casi eccezionali predeterminati dalla legge, può essere utilizzato solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non per perseguire ulteriori effetti, soltanto possibili e futuri, non essendo proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti, che costituiscano elementi frazionistici della fattispecie costitutiva di un diritto, che può costituire oggetto di accertamento giudiziario solo nella funzione genetica del diritto azionato (Cass. civ., Sez. lavoro, 20/12/2011, n. 27691).

 

In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, l’azione di regresso dell’INAIL nei confronti del datore di lavoro può essere esercitata nel termine triennale previsto dall’art. 112 del d.P.R. 1124/1965, che, ove non sia stato iniziato alcun procedimento penale, decorre dal momento di liquidazione dell’indennizzo al danneggiato, il quale costituisce il fatto certo e costitutivo del diritto sorto dal rapporto assicurativo, dovendosi ritenere che detta azione, con la quale l’Istituto fa valere in giudizio un proprio credito in rivalsa, sia assimilabile a quella di risarcimento danni promossa dall’infortunato, atteso che il diritto viene esercitato nei limiti del complessivo danno civilistico ed è funzionale a sanzionare il datore di lavoro, consentendo, al contempo, di recuperare quanto corrisposto al danneggiato (Cass. civ., Sez. lavoro, 03/03/2011, n. 5134).

 

In tema di azione di regresso dell’Inail ai sensi dell’art. 112 del d.P.R. 1124/1965, nei confronti delle persone civilmente responsabili per le prestazioni erogate a seguito di infortunio sul lavoro, e avuto riguardo alla distinzione tra le ipotesi in cui manchi un accertamento del fatto – reato da parte del giudice penale (ove l’azione di regresso è soggetta a termine triennale di decadenza) e le ipotesi di sussistenza di tale accertamento con sentenza penale di condanna (in cui l’azione di regresso è soggetta a termine triennale di prescrizione), la sentenza di applicazione della pena su richiesta dell’imputato, pronunciata dal giudice penale ai sensi dell’art. 444 c.p.p., deve ritenersi di condanna, con la conseguenza che il termine di cui all’art. 112 cit. si configura come termine di prescrizione ed è pertanto suscettibile di interruzione (Cass. civ., Sez. lavoro, 31/12/2009, n. 28295).


Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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