Preliminare di vendita immobiliare: il contratto definitivo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto (Cass. n. 10209/2013

Redazione 30/04/13
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Svolgimento del processo

In data 21 luglio 2000, l’ing. **** e la società Carrozzeria Prada stipulavano un contratto preliminare di vendita con il quale F. prometteva di vendere un capannone di sua proprietà L’art. 4 di detto preliminare disciplinava il termine e le modalità di consegna ed, in particolare, disponeva la consegna dell’immobile “alla data del 30 settembre 2000 libero da cose e persone”. Tuttavia, l’immobile non veniva consegnato in data 30 settembre 2000 ma in data 30 dicembre 2000, e, cioè, dopo la stipula del contratto avvenuta il 27 dicembre 2000. A fronte della richiesta di danni avanzata dalla Carrozzeria Prada, L’ing. F. introduceva il primo giudizio davanti al Tribunale di Milano, chiedendo che venisse accertato e dichiarato che nulla doveva alla società Carrozzeria Prada, srl.

Si costituiva in giudizio la società Carrozzeria Prada e, in via riconvenzionale, chiedeva l’accertamento dell’inadempimento dell’ing. F.: a) all’obbligazione di consegna con la conseguente condanna al risarcimento del danno nella misura di Euro 77.468,53, b) all’obbligazione di consegna dell’impianto antincendio, datato dalle previste autorizzazioni e certificazioni di legge con conseguente condanna al risarcimento del danno nella misura di Euro 6713,94.

Il Tribunale di Milano con sentenza n. 11536 del 2003 accoglieva la domanda dell’ing. F. e dichiarava che nulla era dovuto alla Carrozzeria Prada ed al sig. P.M., condannava la Carrozzeria al pagamento delle spese del giudizio.

Avverso tale sentenza proponeva appello la società Carrozzeria Prada chiedendo in riforma della sentenza impugnata che fossero accolte le domande di merito già proposte in primo grado.

Si costituiva **** , chiedendo in via preliminare che l’appello fosse dichiarato inammissibile e nel merito fosse rigettato.

La Corte di Appello di Milano con sentenza n. 606 del 2006 rigettava l’appello e confermava la sentenza di primo grado, condannava la Carrozzeria Prada al pagamento delle spese del giudizio. Secondo la Corte milanese la volontà comune espressa dalle parti nel contratto definitivo di compravendita era stata inequivoca e il contratto definitivo di compravendita costituiva l’unica fonte di diritti e di obblighi inerenti al negozio voluto e il contratto preliminare restava definitivamente superato da quest’ultimo. Pertanto, nel caso in esame, secondo al Corte milanese, le parti avevano modificato l’obbligo della consegna dell’immobile alla data del 30 dicembre 2000 così come era avvenuto.

La Corte territoriale, riteneva assorbiti i motivi di appello relativi al risarcimento del danno per ritardata consegna dell’immobile di cui si dice e per la mancata consegna dell’impianto antincendio.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dalla società Carrozzeria Prada con ricorso affidato a quattro motivi. F. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo la società Carrozzeria Prada lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1325, secondo comma, cod. civ. (art. 360, primo comma, n. 3, 366 bis c.p.c.). Secondo il ricorrente, il contratto definitivo ha causa solutoria tale le clausole del contratto definitivo, intanto, sono munite di causa in quanto trovino riscontro nell’impegno assunto con il contratto preliminare. Pertanto, ritiene il ricorrente, considerato che nel caso specifico il contratto preliminare prevedeva che la consegna dovesse avvenire in data 30 settembre 2000 e il contratto definitivo prevedeva la consegna in data 30 dicembre 2000, quest’ultima clausola sarebbe nulla per assenza di causa.

Dica la Corte Suprema, conclude la ricorrente se sia nulla la clausola del contratto definitivo la cui pattuizione non costituisce adempimento di un corrispondente impegno assunto con il contratto preliminare.

1.1.- Il motivo è infondato.

Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, dal quale non vi è motivo di dissentire, nel caso in cui le parti, dopo avere stipulato un contratto preliminare, abbiano stipulato il contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, senza che per ciò sia necessario un distinto accordo novativo, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva (Cass. 114-2007 n. 15585).

Non appare condivisibile, invece, l’orientamento invocato dalla ricorrente secondo cui la stipula del contratto definitivo costituirebbe soltanto l’adempimento delle obbligazioni assunte con il preliminare; dal che conseguirebbe che questo e non il contratto definitivo sarebbe l’unica fonte dei diritti e degli obblighi delle parti, perché così argomentando verrebbe a negarsi il valore di “nuovo” accordo alla manifestazione di volontà delle parti consacrata nel definitivo, che assurgerebbe, quindi, a mera ripetizione del preliminare, ponendosi in tal modo un limite ingiustificato all’autonomia privata; e, per altro, si attribuirebbe una natura negoziale all’adempimento, in contrasto con la concezione, ormai dominante, che vede in esso il “fatto dell’attuazione del contenuto dell’obbligazione e non un atto di volontà (Cass. 10-1-2007 n. 233).

2- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1366 cod. civ. (art. 360, primo comma, n. 3; 366 bis c.p.c.). Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, primo comma, n. 5, 366 bis c.p.c.).

Il motivo in esame è articolato su due profili, che è necessario esaminare separatamente.

A.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 1366 c.c..

Avrebbe errato la Corte milanese nell’avere omesso di considerare la pattuizione di cui all’art. 4 del contratto preliminare ai fini dell’interpretazione della successiva previsione dell’art. 3 del contratto definitivo. In particolare, sostiene la ricorrente, l’art. 3 del contratto definitivo stabiliva che il possesso e il godimento di quanto in contratto si trasferiscono nella parte acquirente a far stato dalla data 30 dicembre 200, non aveva modificato o sostituito l’art. 4 del contratto preliminare laddove stabiliva che l’immobile sarebbe stato consegnato alla data del 30 settembre 2000 libero da cose e persone disciplinava a tutti gli effetti l’obbligo di consegna, per la considerazione assorbente che l’art. 3 intendeva riferirsi alla data di trasferimento di pesi e rendite.

Pertanto, la ricorrente, formula il seguente quesito di diritto: se la volontà delle parti contraenti espressa nel contratto definitivo vada ricercata ed interpretata anche attraverso quanto contenuto nel contratto preliminare.

2.1.A: – Il motivo è infondato.

È pacifico nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato dal definitivo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva.

Ora, nel caso in esame, il contratto definitivo – come ha avuto modo di chiarire la Corte territoriale – non prevedeva la sopravvivenza di alcuna clausola del contratto preliminare. E di più, la Corte di merito, ricostruendo correttamente, cioè secondo i canoni dell’interpretazione degli atti negoziali, la comune intenzione delle parti, ha avuto modo di chiarire che l’obbligo di consegna del bene cui fa riferimento il contratto definitivo e che risulta adempiuto con la formale consegna dell’immobile, avvenuta in data 30 dicembre 2000, non era e non poteva essere un obbligo diverso di consegna rispetto a quello previsto nel contratto preliminare trattandosi di obbligo avente stessa causa e stesso oggetto, con la conseguenza che la regolamentazione di tale obbligo fosse necessari ente quella per ultimo pattuita e concordata tra le parti, cioè, quella concordata senza riserve nel rogito.

2.B). – Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Seconda la ricorrente, la Corte milanese, statuendo che l’obbligo di consegna del bene cui fa riferimento il contratto definitivo non è né può essere un obbligo diverso di consegna rispetto a quello previsto nel contratto preliminare mostra di non aver tenuto in considerazione gli elementi di fatto che le erano stati sottoposti come presuntivi, chiari, univoci, precisi e concordanti.

Tra questi: a) che da una dichiarazione dell’ing. F. risultava che lo stesso considerava l’immobile dal 21 dicembre libero di persone e cose; b) che in data 22 dicembre 2000 la Carrozzeria Prada lamentava l’inadempimento di consegna dell’immobile; c) che il verbalino datato 30 dicembre 2000 si limitava a riprodurre le parole di cui alla clausola n. 3 del contratto definitivo la quale disciplinava il trasferimento di rendite e pesi.

2.1.B: – In via preliminare va evidenziato che il motivo in esame non appare formulato nel rispetto della normativa di cui all’art. 366 bis atteso che avrebbe dovuto concludersi – e così non è stato – con un momento di sintesi, o come è detto, trattandosi di una censura che interessa la motivazione della sentenza, con un quesito di fatto.

Tuttavia il motivo è infondato anche sotto questo ulteriore profilo.

È appena il caso di ribadire il principio giurisprudenziale, ormai comunemente recepito, secondo cui l’interpretazione degli atti di autonomia privata si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice del merito: tale accertamento è incensurabile in cassazione se sorretto da motivazione sufficiente ed immune da vizi logici o da errori di diritto e sia il risultato di un’interpretazione condotta nel rispetto delle norme di ermeneutica contrattuale di cui agli articoli 1362 c.c., e segg..

Spetta in particolare al giudice del merito valutare il contenuto del contratto al fine di identificarne l’oggetto e il risultato, di tale indagine, è sindacabile in cassazione solo sotto il profilo della logicità e congruità della motivazione, che nella specie, come rilevato, si sottrae a critiche.

D’altra parte, la Corte territoriale ha chiarito che il principio richiamato dalla difesa dell’appellante (odierno ricorrente) secondo cui le clausole del contratto preliminare possono mantenere la loro efficacia anche dopo la stipulazione del contratto definitivo riguarda l’ipotesi in cui il contratto definitivo non esaurisca gli obblighi a contrarre previsti dal preliminare. Epperò, ha chiarito la Corte milanese, nel caso in esame, l’obbligo di consegna del bene si è compiutamente esaurito con il contratto definitivo.

Pertanto, nella specie la Corte di appello ha proceduto all’interpretazione della “promessa del 21 luglio 2000 facendo riferimento agli obblighi assunti dalle parti – e poi del successivo contratto 27 dicembre 2000 segnalando che in tale ultimo contratto le parti avevano regolato l’obbligo della consegna del bene di cui si dice.

L’interpretazione data dalla Corte di appello al contenuto dei citati Contratti è conforme ai principi sopra riportati in merito ai rapporti tra contratto preliminare e contratto definitivo, il procedimento logico – giuridico sviluppato nell’impugnata decisione è coerente e razionale ed il giudizio di fatto in cui si è concretato il risultato dell’interpretazione del contenuto dei detti contratti è fondato su un’indagine condotta nel rispetto dei comuni canoni di ermeneutica.

3. – Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1965 c.c., (art. 360, primo comma, n. 3; 366 bis c.p.c.). Avrebbe errato la corte milanese, secondo il ricorrente, nell’aver fatto discendere dalla stipulazione del contratto definitivo la rinuncia ad un diritto già sorto, quello al risarcimento del danno, e, comunque, la composizione transattiva della lite già sorta a seguito dell’esercizio stragiudiziale del medesimo diritto. In particolare, secondo il ricorrente, la circostanza della mera stipulazione del contratto definitivo non può comportare la rinuncia ad un diritto già sorto (la consegna del bene alla data del 30 settembre 2000), né può comportare la composizione transattiva della lite già sorta a seguito dell’esercizio stragiudiziale del medesimo diritto.

Pertanto, la ricorrente conclude formulando il seguente quesito di diritto: “se debba escludersi che la rinuncia ad un diritto già sorto al risarcimento del danno possa essere tacita o ricavarsi per presunzioni; se sia inesistente o nulla la transazione che difetti del requisito della reciprocità delle concessioni”.

3.1.- Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 “bis” cod. proc. civ., perché corredato da quesiti di diritto prospettati in modo inconferente rispetto alla sentenza impugnata considerato che da per presupposto il perdurare dell’ultrattività del contratto preliminare anche dopo la stipula del contratto del definitivo. Epperò – come già si è avuto modo di evidenziare – nel caso in cui le parti, dopo avere stipulato un contratto preliminare, abbiano stipulato il contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonde dei diritti e delle obbligazioni inerenti al negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, senza che per ciò sia necessario un distinto accordo novativo, salvo che le parti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva (Cass. 114-2007 n. 15585).

E, a ben vedere la sentenza n. 9493 del 1994 di questa Corte richiamata dal ricorrente non esprime un principio di ultrattività del contratto preliminare rispetto al definitivo – come ritiene il ricorrente -, piuttosto la sentenza richiamata, letta nella sua completezza, si riferisce ad altra e diversa materia ed, in particolare, identifica i presupposti essenziali perché un contratto possa ritenersi assorbito o superato da altro contratto stabilendo, appunto, che al fine di ritenere il superamento e l’assorbimento di un contratto ad opera di un altro, è necessario che il contratto ritenuto assorbito sia anteriore rispetto all’altro ritenuto assorbente (indipendentemente dal fatto che uno sia preliminare e il secondo definitivo) e che gli atti negoziali di che trattasi siano intervenuti tra le stesse parti.

4.- Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1491 c.c. (art. 360, primo comma, n. 3; 366 bis c.p.c.). Secondo il ricorrente la Corte milanese avrebbe erroneamente respinto la domanda inerente all’accertamento dell’inadempimento dell’obbligo di consegna della documentazione antincendio statuendo che la società Carrozzeria Prada aveva acquistato l’immobile nello stato di fatto e di diritto in cui attualmente si trovava, noto alla parte acquirente, e ai sensi dell’art. 1491 c.c. non era dovuta la garanzia se al momento del contratto il compratore conosceva i vizi della cosa.

Epperò, secondo la ricorrente, la Corte non ha considerato che il vizio noto alla società Carrozzeria era la mancanza di un certificato di prevenzione incendi mentre, il vizio che la Carrozzeria aveva scoperto successivamente alla vendita era la proprio la mancanza dell’impianto a norma.

Pertanto, la ricorrente formula il seguente quesito di diritto “se la conoscenza del vizio della mancanza della certificazione attestante che un impianto è a norma non escluda l’operatività della garanzia per il diverso vizio della mancanza dell’impianto a norma”.

4.1.- Il motivo è infondato.

Come ha chiarito la Corte milanese, la società Carrozzeria Prada aveva acquistato l’immobile nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava, noto alla parte acquirente, ed, in particolare, l’acquirente conosceva che F.E. non possedeva la documentazione di cui si dice, che la stessa documentazione non risultava allegata al rogito, ma neppure richiamata dallo stesso, né vi era una dichiarazione del F. che l’impianto antincendio fosse a norma. La mancanza materiale della documentazione antincendio avvertiva l’acquirente che non solo mancava la documentazione, ma che non vi era, né veniva data la prova, che rimpianto antincendio fosse a norma. Pertanto, correttamente la Corte milanese, ha ritenuto che nel caso concreato ai sensi dell’art. 1491 c.c. non era dovuta la garanzia di cui dice, atteso che al momento del contratto il compratore conosceva (o poteva conoscete) non solo la mancanza della documentazione antincendio, ma che l’impianto esistente era così come si presentava al momento della stipula del contratto senza alcuna garanzia che fosse a norma.

In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente, in ragione del principio della soccombenza ex art. 91 cpc. Condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

Redazione