Preliminare di immobile abusivo (Trib. Brindisi, 9/11/2012) (inviata dal dott. A. I. Natali)

Redazione 09/11/12
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Massima

1) Preliminare di immobile abusivo – concetto giuridico di “affare” – non configurabilità

Il preliminare di immobile abusivo che, già sotto il profilo della comune considerazione sociale, non può integrare il concetto giuridico di “affare” e, ciò proprio in considerazione della nullità del contratto cui il preliminare è prodromico. 

 

2) Preliminare di immobile abusivo efficacia ab origine – risolubilità – “prodromicità” a contratto nullo – configurabilità

Se è vero che il preliminare è, in caso di immobile abusivo è efficace, nondimeno, lo stesso appare fin dall’origine, destinato alla caducazione o, in alternativa, a costituire il presupposto negoziale per la stipula di un contratto nullo. 

 

3) Preliminare rescindibile o annullabile – effetto acquisitivo e accrescitivo – configurabilità

Nell’ipotesi di contratto preliminare rescindibile o annullabile l’effetto acquisitivo e accrescitivo della sfera del promissario si verifica, per quanto lo stesso possa essere posto nel nulla su iniziativa delle parti. 

 

4) Preliminare rescindibile o annullabile – effetto acquisitivo e accrescitivo – precarietà – se non annullato o rescisso – definitivo – invalidità o rescindibilità – non configurabilità 

Nell’ipotesi di contratto preliminare rescindibile o annullabile l’effetto è “precario”, nondimeno – diversamente dall’ipotesi di preliminare di immobile (parzialmente o totalmente abusivo) – laddove tale potere non sia azionato il contratto rimane in piedi e si procederà alla stipula del definitivo che, quale fonte autonoma del rapporto, sarebbe esente da qualunque pronuncia caducatoria o invalidante. 

 

5) Preliminare di res abusiva – definitivo – nullità – configurabilità

Nell’ipotesi di preliminare di res abusiva, laddove la facoltà di risoluzione non venga azionata, si procederà alla stipula di un contratto radicalmente nullo.

 

6) Risolubilità per vicende successive al perfezionarsi del preliminare – causa originaria di inefficacia, nullità o inesistenza – ipotesi differenti – risolubilità per vizi genetici – assimilabilità

In applicazione del principio per cui il diritto alla provvigione è insensibile alle (sole) vicende successive che ineriscano al contratto intermediato, si deve distinguere fra l’ipotesi in cui il contratto sia risolubile per vicende successive al perfezionarsi del contratto e quella in cui esista una causa originaria di inefficacia, nullità o inesistenza; a tale ultima, per analogia funzionale, dovendo essere equiparata, sotto il profilo del regime giuridico applicabile, l’ipotesi in cui il preliminare sia risolubile per vizi genetici e, quindi, coevi alla conclusione del contratto. 

 

7) Risolubilità per vicende successive al perfezionarsi del preliminare – causa originaria di inefficacia, nullità o inesistenza – differenze

Se nel primo caso, esiste un effetto giuridico che si alloca nella sfera del promissario acquirente e che ragionevolmente si tradurrà nell’effettivo conseguimento del bene; nel secondo caso o la sfera giuridica dell’aspirante acquirente non si incrementa perché l’effetto non si produce oppure l’effetto si produce ma è destinato a venire meno, in virtù della risoluzione del vincolo, o, in alternativa, a non tradursi nell’effettivo acquisto del bene della vita dedotto in contratto.

 

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione, notificato in data 27.01.2004 i sigg.ri D.G. e  D.  avevano convenuto in giudizio innanzi a questo Tribunale, la ***********, titolare dell’agenzia immobiliare “O.”, per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni: “a) accertare e dichiarare, per i motivi di cui all’atto introduttivo del giudizio, che il contratto instaurato con la convenuta è nullo anche per nullità derivata avendo ad oggetto la compravendita di un immobile che presenta abusi edilizi; b) In ogni caso accertare e dichiarare che, anche a seguito dell’avvenuto recesso esercitato nei termini di contratto, che non vi è stata la conclusione del contratto di compravendita dell’immobile per cui nessun importo compete all’agenzia; c) dichiarare ed accertare che indebitamente la convenuta aveva posto all’incasso l’assegno bancario nr. 451764892; d) condannare in ogni caso la convenuta alla restituzione della somma indebitamente riscossa pari ad €.2.582,00 oltre interessi e rivalutazione monetaria e ciò anche a titolo di risarcimento dei danni per i motivi di cui in premessa; e)condannare altresì la convenuta a risarcire gli ulteriori danni patiti dagli attori e quantificati, per le causali di cui in premessa, in €.1.916,23, ivi compreso il costo della relazione notarile effettuata dal Notaio Cafaro; f) condannare la convenuta al pagamento delle spese e competenze di lite da distrarsi a favore del sottoscritto Avvocato anticipatario come per legge.”

Premetteva la difesa dell’attrice che l’Agenzia Immobiliare O. aveva proposto in vendita ai signori D.G. e D.  un appartamento di proprietà del sig. M. G., sito in Brindisi alla via G. Da Verrazzano.

In data 6.4.2002, gli attori avevano stipulato con il sig. M. il contratto preliminare di compravendita; avevano presentato all’INPDAP domanda di mutuo ipotecario edilizio per l’acquisto del detto immobile e, a seguito della perizia estimativa effettuata dal tecnico del detto Ente, erano emersi abusi edilizi gravanti sull’immobile de quo, ostativi all’erogazione del richiesto mutuo.

Quindi, gli attori avrebbero esercitato la facoltà di recesso dal detto contratto preliminare.

Con comparsa depositata in data 09.03.2004 si era costituita in giudizio la convenuta sig.ra R.M., titolare dell’Agenzia Immobiliare O., la quale, preliminarmente, aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva in ordine alle domande formulate dagli attori, asserendo la esclusiva responsabilità del dr. M., quale promittente venditore dell’immobile compromesso in vendita e che gli attori deducevano essere gravato da abusi edilizi.

In particolare, la difesa della Sig.ra R. aveva rappresentato che, al fine di far valere una asserita nullità dell’incarico conferito alla O. ‘derivata’ dalla nullità del preliminare di compravendita, gli attori avrebbero dovuto, appunto, preliminarmente far accertare e dichiarare la nullità del detto compromesso di vendita stipulato con il dott. ****..

La difesa della Sig.ra R., poi, ribadita la diligenza osservata nella gestione dell’affare e la assoluta legittimità del proprio diritto alla provvigione (tra l’altro non integralmente corrisposta dagli attori), aveva spiegato domanda riconvenzionale volta ad ottenere il saldo della detta provvigione nonché il risarcimento dei danni all’immagine assertivamente patiti dalla Agenzia O. in conseguenza dei fatti di causa.

All’udienza del 14.05.2004 gli attori  chiedevano che “anche ex art. 107 c.p.c. e comunque ravvisando un ipotesi di litisconsorzio, ovvero al fine di garantire l’attore nell’ipotesi in cui dovesse ravvisarsi la esclusiva responsabilità del venditore” venisse ordinata la chiamata in causa del dott. M., promittente venditore.

Con ordinanza resa in udienza, quest’ufficio  aveva ordinato ex art.107 c.p.c. la chiamata in causa del dott. M. e a tanto avevano provveduto  gli attori, con atto notificato in data 27.10.2006 nel quale veniva il M. veniva citato dinanzi a questo Tribunale per ivi sentire accogliere le seguenti conclusioni:

a)                  dichiarare ed accertare, per i motivi di cui all’atto introduttivo del giudizio, che il contratto instaurato con la convenuta è nullo anche per nullità derivata avendo ad oggetto la compravendita di un immobile che presenta abusi edilizi

b)                  in ogni caso accertare e dichiarare che, anche a seguito dell’avvenuto recesso esercitato nei termini del contratto, non vi è stata la conclusione del contratto di compravendita dell’immobile per cui nessun importo compete alla agenzia;

c)                  dichiarare ed accertare che indebitamente la convenuta aveva posto all’incasso l’assegno bancario nr. 451764892 tratto sul Banco di Napoli di Brindisi;

d)                  condannare in ogni caso la convenuta alla restituzione della somma indebitamente riscossa pari ad €.2.582,00 oltre interessi e rivalutazione monetaria e ciò anche a titolo di risarcimento dei danni per i motivi di cui in premessa;

e)                  condannare altresì la convenuta a risarcire gli ulteriori danni patiti dagli attori e quantificati, per le causali di cui in premessa, in €.1.916,23, ivi compreso il costo della relazione notarile effettuata dal notaio ******;

f)                    condannare la convenuta al pagamento delle spese e competenze di lite da distrarsi in favore del sottoscritto Avvocato anticipatario come per Legge.

*

Con comparsa di  costituzione del 24.1.2007 si costituiva, nel presente giudizio iscritto, il terzo chiamato in causa M. G. il quale contestava in toto il contenuto degli avversi atti giudiziali, eccependo la totale inammissibilità, improponibilità, improcedibilità e, gradatamente, infondatezza in fatto e in diritto delle domande in essi contenute, impugnando, contestando e disconoscendo tutta la documentazione ex adverso prodotta.

In punto di fatto, il M. precisava quanto segue:

1) egli era proprietario dell’immobile sito in Brindisi alla via Giovanni da Verrazzano n. 3;

2) nel febbraio dell’anno 2002 la Sig.ra R.M., titolare dell’Agenzia Immobiliare “O.”, aveva messo in relazione il ******** con i coniugi ************ ********* e  D.  ****, interessati all’acquisto dell’immobile di cui al superiore punto 1). Nell’ambito della detta attività intermediatrice la ********* aveva sottoposto al dott. M. la ‘dichiarazione di offerta’  di acquisto dell’immobile sito in Via Giovanni da Verrazzano n. 3, sottoscritta dalla sig.ra  D.  (anche per conto del marito) in data 8.2.2002.

Il Dott. M. aveva aderito alla proposta formulata dai detti coniugi D.G. e le parti in data 06.04.2002 avevano stipulato il contratto preliminare di compravendita;

Non rispondeva al vero la circostanza, riferita dagli attori e avallata dalla convenuta, che l’immobile oggetto del contratto preliminare di compravendita fosse gravato da abusi edilizi e che gli stessi fossero conosciuti dal promittente venditore.

 

 Peraltro, gli attori avevano omesso di riferire che il dott. M., avuta generica notizia dai promissari acquirenti in merito a presunti abusi edilizi, prontamente si era dichiarato disponibile, ove ne fosse stata effettivamente verificata e documentata la sussistenza, ad attivarsi per la loro eventuale sanatoria.

A fronte della completa disponibilità dimostrata dal M., tuttavia, gli attori avevano preferito esercitare la facoltà di recesso dal preliminare, regolando in via definitiva tutti i rapporti, anche economici, con il dott. M., in quanto non più interessati all’acquisto del detto immobile.

Nella scrittura con la quale il dott. M. aveva provveduto alla restituzione della caparra ricevuta (pari ad €.10.330,00=), infatti, i coniugi  D.  e D.G. aveva dichiarato espressamente definita ogni questione con il dott. M., rinunziando ad ogni eventuale quanto insussistente diritto e/o pretesa nei suoi confronti.

In seguito, il M. aveva venduto a terzi l’immobile e costoro non avevano avuto alcun problema a conseguire l’erogazione del mutuo.

In via pregiudiziale, deve ritenersi la correttezza dell’estensione del contraddittorio nei riguardi del dott. M., promittente venditore, in quanto parte di un contratto (preliminare) di cui parte attrice  chiedeva dichiararsi la nullità, con sentenza idonea ad esplicare effetti (dichiarativi) anche nella sua sfera giuridica.

Per quanto concerne la dedotta nullità del contratto preliminare, tal ultimo deve ritenersi valido ed efficace, in quanto – quand’anche l’immobile fosse gravato da abusi edilizi – tale circostanza non ne comporterebbe la nullità. Invero, l’abusività parziale dell’immobile de quo, invero confermata dalla convenuta, appare sufficientemente suffragata dalla comunicazione inviata agli attori dall’INPDAP in data 7.10.2002.

Ed, infatti, con la detta missiva, l’INPDAP negava loro la concessione del richiesto mutuo ipotecario edilizio poiché l’immobile de quo sarebbe stato gravato da  “abusi edilizi ai sensi della legge 47/85,  riscontrati dal tecnico interno del detto Ente, in una perizia tecnica estimativa.

Orbene, per quanto la perizia estimativa non sia stata acquisita, non vi sono ragioni per disattendere la valutazione proveniente da un ente pubblico, peraltro, circostanziata e supportata da un’indagine peritale.

Peraltro, in tale contesto fattuale, la condotta del terzo chiamato che, per sua stessa ammissione,  non ha agito per l’esecuzione in forma specifica del preliminare, provvedendo alla restituzione di quanto anticipato dagli attori appare sintomatica della fondatezza degli assunti attorei.

Orbene, accertata l’irregolarità giuridico-edilizia dell’immobile al momento della compravendita, giova evidenziare come, per principio interpretativo consolidato, gli abusi edilizi – da cui sia affetto un  bene immobile – devono essere assimilati agli oneri limitativi del godimento del bene ai sensi dell’art. 1489 c.c..

   In particolare, la giurisprudenza ha sostenuto che, qualora il bene presenti difformità rispetto  alla concessione edilizia e al progetto originariamente approvati dall’amministrazione comunale, tale difformità si risolve, sotto il profilo giuridico, in una irregolarità riconducibile all’alveo dell’art. 1489 c.c., che disciplina il caso in cui la res compravenduta sia gravata da oneri o da diritti reali o personali in favore di terzi, i quali ne diminuiscono non solo il libero godimento, ma anche il valore e la commercialità (così Cassazione, 23 ottobre 1991 n. 11218 e Cassazione, 6 dicembre 1984 n. 6399).

Per contro, al preliminare di vendita non è applicabile la sanzione della nullità di cui all’art. 40 l. 28 febbraio 1985 n. 47; sanzione radicale che può inficiare soltanto i contratti ad effetti reali  e non quelli ad effetti obbligatori.

Si è, infatti, affermato che “la sanzione della nullità, prevista dall’art. 40 l. 28 febbraio 1985 n. 47, con riferimento a vicende negoziali relative ad immobili privi della necessaria concessione edificatoria trova applicazione nei soli contratti con effetti traslativi e non anche con riguardo ai contratti con efficacia obbligatoria, quale il preliminare di vendita, come si desume dal tenore letterale della norma, nonché dalla circostanza che successivamente al contratto preliminare può intervenire la concessione in sanatoria degli abusi edilizi commessi o essere prodotta la dichiarazione prevista dalla stessa norma, ove si tratti di immobili costruiti anteriormente al 1º settembre 1967, con la conseguenza che in queste ipotesi rimane esclusa la sanzione di nullità per il successivo contratto definitivo di vendita, ovvero si può far luogo alla pronunzia di sentenza ex art. 2932 c.c.” (Cassazione civile, sez. III, 18/07/2011, n. 15734; Cassazione civile, sez. II, 28/05/2010, n. 13117; Cassazione civile, sez. II, 24/05/2011, n. 11391 conformi: Cass. Civ., sez. II, 11.07.2005 n. 14489; Cass. Civ., sez. III, 04.01.2002 n. 59; Cass. Civ., sez. II, 06.08.2001 n. 10831; Cass. Civ., sez. II, 08.10.2001 n. 12323).

Per quanto concerne il contratto di mediazione, deve premettersi che, per espressa previsione codicistica, deve considerarsi mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza (art. 1754 c.c.).

Invero, il Codice, nonostante la ricomprensione della figura de qua all’interno dei singoli contratti tipici, non qualifica espressamente la mediazione come contratto, limitandosi  a descrivere in cosa consista l’attività del mediatore. Da ciò la problematica  relativa all’applicabilità, alla fattispecie de qua, della disciplina relativa alla formazione del consenso negoziale, tipicamente contrattuale.

Invero, in origine, la tesi, assolutamente dominante in via interpretativa, è stata quella per cui la mediazione avrebbe natura contrattuale, sia nel caso in cui gli interessati conferiscano previamente l’incarico al mediatore, sia nel caso in cui accettino comunque l’attività da lui prestata, in quanto, in entrambi i casi, tale attività trarrebbe origine e fondamento dalla volontà dei soggetti, manifestata esplicitamente o implicitamente mediante fatti concludenti. 

Le ragioni che stanno alla base della tesi negoziale sono evidenti.

Si intende salvaguardare il principio della libertà nella manifestazione del consenso che conoscerebbe una pesante deroga se chiunque, dimostrando il fatto obiettivo di essersi interposto nella conclusione dell’affare, anche senza incarico delle parti, potesse esigere il pagamento della provvigione.

Al contempo, si vuole, garantire l’autonomia dell’interessato, mettendolo in grado di decidere se avvalersi o meno delle prestazioni (a titolo oneroso) che gli vengono offerte, evitando di fargli subire le altrui iniziative non autorizzate.

Nell’ambito della teoria de qua, la struttura del contratto di mediazione viene considerata, da alcuni, di tipo trilaterale, ritenendo necessario il consenso del mediatore e di tutti i possibili contraenti dell’affare, da altri di tipo bilaterale, essendo l’incarico conferito separatamente da ciascuna delle parti.

Il momento del perfezionamento del contratto di mediazione varia a seconda della struttura riconosciuta al contratto de quo. Per i sostenitori della struttura trilaterale, il contratto si perfeziona con la prestazione del consenso da parte dell’ultimo dei contraenti, secondo altri, il perfezionamento del negozio bilaterale avviene con l’accettazione dell’incarico da parte del mediatore o con l’accettazione dell’attività mediatoria da parte dell’interessato all’affare.

Per contro, la tesi non negoziale, qualifica la mediazione quale fonte legale di diritti e di obblighi, già predeterminati dal legislatore, rinvenendo la stessa il suo fondamento in un’attività (non autorizzata) del mediatore; e con facoltà, per le parti, di porre in essere accordi modificativi ed integrativi della disciplina di legge (ad es. in relazione al diritto alla provvigione, agli obblighi di informazione, al rimborso delle spese e via dicendo).

Alla base della mediazione vi sarebbe un atto giuridico in senso stretto e non un contratto, per cui la qualifica di mediatore verrebbe acquisita con lo svolgimento di un’attività materiale e non a seguito di un incarico delle parti intermediate. Tale ricostruzione troverebbe fondamento nella volontà del legislatore di tutelare chi in assenza di un preciso incarico, si è adoperato per la conclusione di un contratto stipulato tra due o più parti, assicurandogli così il diritto a percepire la provvigione.

La maggior differenza tra le due teorie analizzate risiede nella necessità o meno della consapevolezza da parte dell’interessato o degli interessati (all’affare) dell’attività svolta dal mediatore a loro beneficio.

Se in base alla teoria contrattuale la volontà delle parti non può mancare, sia pure espressa in modo tacito, nella teoria non negoziale si prescinde dal paradigma delle conoscibilità per ravvisare un’attività di mediazione tutte le volte in cui in cui tra l’opera svolta dal mediatore e la conclusione dell’affare vi sia un nesso di causalità.

Per i contrattualisti, il rapporto di mediazione non può sorgere qualora le parti, pur avendo concluso l’affare grazie all’attività del mediatore, non siano coscienti dell’opera di intermediazione svolta dallo stesso.

La consapevolezza delle parti interessate (all’affare) implicherebbe sempre una vera e propria volontà negoziale, per cui anche la semplice (consapevole) utilizzazione dell’attività del mediatore dovrebbe essere intesa come accettazione tacita o per facta concludentia  di una proposta contrattuale proveniente da quest’ultimo (cfr. Cass. 13 agosto 1990 n. 8245; Cass. 17 gennaio 1992 n. 530; Cass., sez. III, 22 maggio 2001 n. 6963, secondo cui  il contratto di mediazione non può ritenersi concluso senza il consenso espresso o tacito delle parti del contratto principale, consenso che, per quanto riguarda la parte estranea all’originario incarico di mediazione, si manifesta validamente allorquando essa si avvalga, in maniera consapevole, dell’opera del mediatore ai fini della conclusione dell’affare. Per impedire, quindi, la nascita del rapporto contrattuale di mediazione occorrerebbe, a fronte dell’intervento di intermediazione, la prohibitio dell’interessato, che si configura come mancata accettazione contrattuale di siffatto intervento (Cass. 4 marzo 1983 n. 1626).

I sostenitori della teoria opposta, al contrario, prescindono dalla consapevolezza della parti interessate all’affare e collegano il realizzarsi della fattispecie unicamente all’obbiettivo svolgimento dell’attività di mediazione in favore dei contraenti.

Condizione essenziale perché possa istaurarsi un rapporto di mediazione non sarebbe costituito tanto dalla consapevole utilizzazione, da parte degli interessati, dell’opera del mediatore, quanto dalla obiettiva riconoscibilità dell’intervento mediatorio, dovendo il mediatore garantire non l’effettiva conoscenza, del proprio intervento da parte dei contraenti dell’affare bensì comportarsi in modo tale da rendere percepibile il proprio ruolo di intermediario.

Ciò premesso, la Suprema Corte, in origine, configurava, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale). Si riteneva ricorresse tale ipotesi, nel caso in cui una parte, volendo concludere un affare, incaricasse altri di svolgere un’attività intesa alla ricerca di un persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni.

Recentemente, la Suprema Corte, ha prefigurato l’esistenza, oltre che della mediazione c.d. ordinaria o tipica di cui all’art. 1754 c.c., consistente in un attività giuridica in senso stretto, anche di una “mediazione” di tipo contrattuale, ricostruendola, non più come “mediazione negoziale atipica”, ma quale contratto di mandato (cfr. Cass. civ., Sez. III, 14 luglio 2009, n. 16382).

Si afferma, condivisibilmente, che la previsione tipica di cui all’art. 1754 c.c., individuando nel mediatore “colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legalo ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione di dipendenza o di rappresentanza”, si fonda su tre diversi aspetti: a) l’attività di mediazione che prescinde da un sottostante obbligo a carico del mediatore stesso, perchè posta in essere in mancanza di un apposito titolo (costituente rapporto subordinato o collaborativo); b) “la messa in relazione” delle parti ai fini della conclusione di un affare che é qualificabile come di tipo non negoziale ma giuridica in senso stretto; c) detta attività si collega al disposto di cui all’art. 1173 c.c., in tema di fonti delle obbligazioni, e, specificamente, al derivare queste ultime, oltre che da contratto, da fatto illecito, o fatto, da “ogni altro atto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico” .

Orbene, é preferibile qualificare l’attività de qua (per quanto “di regola” previsto nel codice civile) quale giuridica in senso stretto e non negoziale, non solo perchè, gli effetti della stessa sono specificamente predeterminati dal legislatore (con particolare riferimento a detta provvigione) ma soprattutto perchè non vi è alla base della stessa un contratto (rectius: regolamento di interessi “preventivamente” concordalo dal mediatore con una o più parti).

Ne  consegue che il mediatore, secondo quanto previsto dall’art. 1754 c.c., acquista il diritto alla provvigione (a condizione della conclusione dell’affare) non in virtù di un negozio posto in essere ai sensi dell’art. 1322 c.c., (in tema di autonomia contrattuale) ed i cui effetti si producono ex art. 1372 c.c. (“il contratto ha forza di legge tra le parti”, nel senso che l’efficacia contrattuale è giuridicamente vincolante) bensì sulla base di un mero comportamento (la messa in relazione di due o più parti) che il legislatore riconosce per ciò solo fonte di un rapporto obbligatorio e dei connessi effetti giuridici.

Ciò non toglie, per come già esposto, che l’attività del c.d. mediatore possa essere svolta anche sulla base di un contratto di mandato.

Per definizione, l’affidamento di un incarico “col quale una parte si obbliga a compiere uno più atti giuridici per conto dell’altra” da luogo al contratto di mandato artt. 1731, 1737 e 1742 c.c., il cui oggetto – costituito da un’attività giuridica posta in essere da una parte per conto dell’altra, con presunzione di onerosità – è analogo a quello che connota il mandato stesso ed è, altresì, specifico consistendo, nel caso della commissione, nell’acquisto o vendita di beni per conto del committente e in nome del commissionario; nell’ipotesi della spedizione, nella conclusione di un contratto di trasporto in nome proprio e per conto del mandante; nel caso dell’agenzia, nella promozione, in modo stabile, per la conclusione di contratti in una zona determinata.

Ne deriva, come spesso avviene nella prassi (e come desumibile nei contratti standard di mediazione immobiliare, ove appunto si indica, nella maggior parte dei casi, un mandato o un incarico a vendere o ad acquistare beni immobili), che il mediatore in molti casi agisce non sulla base di un comportamento di mera messa in contatto tra due o più soggetti per la conclusione di un affare (attività giuridica in senso stretto che prescinde da un sottostante titolo giuridico) ma proprio perchè “incaricato” da una o più parti ai fini della conclusione dell’affare (generalmente in ordine all’acquisto o alla vendita di un immobile); in tal caso risulta evidente che l’attività del mediatore – mandatario è conseguenziale all’adempimento di un obbligo di tipo contrattuale.

Ciò posto, è ovvio che muta il regime della  responsabilità per il   mediatore, a seconda se agisca senza mandato sulla   base della generale previsione di cui all’art. 1754 c.c., oppure quale incaricato-mandatario,.

Nel primo caso, il mediatore – pur compiendo un’attività giuridica in senso stretto – è comunque tenuto all’obbligo di comportarsi in buona fede, in virtù della clausola generale di correttezza di cui all’art. 1175 c.c., (cfr. Cass. n. 5140/2005), estrinsecantesi, nell’obbligo di una corretta informazione, tra cui la comunicazione di tutte le circostanze a lui note o conoscibili sulla base della diligenza qualificata di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, vertendosi senz’altro in tema di attività professionale (come desumibile dalla L. n. 39 del 1989). Tale obbligo di correttezza sussiste nei confronti di entrambe le parti, messe in contatto ai fini della conclusione dell’affare, comprensivo di qualunque operazione di tipo economico – giuridico (cfr. Cass. n. 12106/2003, Cass. n. 13184/2007, la quale sottolinea la posizione di “terzietà” del mediatore rispetto ai contraenti posti in contratto in ciò differenziandolo dall’agente di commercio, nonchè Cass. n. 6959/2000, che sottolinea come carattere essenziale della figura giuridica del mediatore, ai sensi dell’art. 1754 c.c., è appunto la sua imparzialità, intesa come assenza di ogni vincolo di mandato, di prestazione d’opera, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rapporto che renda riferibile al dominus l’attività  dell’intermediario).

In particolare, egli è tenuto a comunicare: l’eventuale stato di insolvenza di una delle parti, l’esistenza di iscrizioni o pignoramenti sul bene, oggetto della conclusione dell’affare, la sussistenza di circostanze in base alle quali le parti avrebbero concluso il contratto con un diverso contenuto, l’esistenza di prelazioni ed opzioni (su tali punti, tra le altre, Cass. n. 5938/1993).

Inoltre, per quanto la responsabilità del mediatore non mandatario possa agevolmente essere ricondotta al modello aquiliano, risulta preferibile, in virtù della professionalità della prestazione del mediatore, richiamare la più recente tesi della responsabilità “da contatto sociale” (su cui, tra le altre, Cass. S.U. n. 577/2008; Cass. n. 12362/2006 e Cass. n. 9085/2006, con specifico riferimento al medico ed alle sue prestazioni prescindenti da un rapporto contrattuale). Infatti, tale modello di responsabilità è riscontrabile nei confronti di ogni professionista, sottoposto a specifici requisiti formali ed abilitativi, come nel caso di specie in cui è prevista l’iscrizione ad un apposito ruolo (si pensi, ad esempio, alle c.d. agenzie immobiliari dalle particolari connotazioni professionali ed imprenditoriali).

Da tale configurazione di responsabilità a carico del mediatore, che opera ai sensi dell’art. 1754 c.c., deriva sia che il primo, per andare esente da responsabilità, deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile, in base alla richiamata diligenza ex art. 1176 c.c., comma 2, nell’adempimento degli obblighi di correttezza ed informazione a suo carico, sia che il termine di prescrizione per far valere in giudizio detta responsabilità del mediatore è quello ordinario decennale (e non quello quinquennale della responsabilità ex art. 2043 c.c.).

 

Nel caso che a fondamento della mediazione vi sia un mandato e, quindi,  l’attribuzione al professionista – mediatore di un incarico, le conseguenze sul piano giuridico sono ben diverse rispetto alla figura, tipica della mediazione ex art. 1754 c.c..

In primis, il mediatore è, in realtà, un mandatario poichè sostanzialmente assume – considerando la causa in concreto del contratto, quale derivante dalla sintesi degli interessi regolamentati – l’incarico, di solito, di reperire un acquirente (oppure un venditore) o un locatario (oppure un locatore) di un immobile, con “ulteriori compiti” (di assistenza nelle trattative e sino al momento della stipula, di pubblicizzare la relativa offerta, di far visitare l’immobile etc.); a fronte di dette prestazioni riceve un corrispettivo, nella percentuale convenuta sul prezzo di compravendita, con pagamento sospensivamente condizionato (in modo esplicito o implicito) alla conclusione dell’affare (generalmente all’accettazione della proposta).

E’ evidente come, il caso di specie esorbiti dalla previsione codicistica della mediazione per svariati motivi: 1) la posizione del mandatario de quo non è conciliabile con quella tipica del mediatore tradizionale (che, senza preliminare assunzione di obblighi, compie l’attività di messa in contatto tra due soggetti che concludono quindi contrattualmente, e non solo, mediante comunque l’assunzione di vincoli giudici, un’operazione di natura economica; cfr. Cass. n. 2200/2007); il diritto alla provvigione – sempre condizionato all’iscrizione nel ruolo professionale ai sensi della L. n. 39 del 1989 – sorge non più, ex art. 1755 c.c., nei confronti “di ciascuna delle parti” e solo “per effetto del suo intervento”, quale appunto conseguenziale alla sua neutralità ed imparzialità nel metterle in relazione, bensì a carico del solo mandante, per quanto previsto agli artt. 1709 e 1720 c.c., rispetto al quale è, a sua volta, contrattualmente vincolato, nell’espletamento dell’incarico (di fiducia o intuitus personae) e delle connesse prestazioni, pur sempre con la diligenza ex art. 1176 c.c., comma 2, stante la sua natura professionale, ciò in deroga a quanto stabilito all’art. 1710 c.c.; ancora, il mandatario in esame, oltre ad essere obbligato ai sensi dell’art. 1711 c.c. e ss., è tenuto all’osservanza della normativa in tema di contratti di consumo (ove ne ricorrano i presupposti soggettivi, vale a dire il rapporto professionista – imprenditore, da un lato, e consumatore – persona fisica) di cui al D.Lgs. n. 206 del 2005, con particolare riferimento al generale dovere di informazione ex art. 5, alla disciplina delle clausole vessatorie ex art. 33 e ss. ed, in specie, alla connessa azione inibitoria ex art. 37; ferma restando, ovviamente, l’applicazione della disciplina generale dei contratti in tema di onere della prova e prescrizione (cfr. Cass. nn. 4340/1980 e 1995/1987) che ha ribadito l’”essenzialità” ai fini dell’integrazione della figura giuridica del mediatore, ai sensi dell’art. 1754 c.c., di ogni vincolo di mandato, di prestazione d’opera, di preposizione institoria e di qualsiasi altro rapporto; condizione non configurabile quando, come nel caso di specie, il soggetto sia munito di mandato (con rappresentanza o meno) per la stipulazione di un contratto con un terzo.

In conclusione: a) la mediazione “tipica” di cui all’art. 1754 c.c., comporta che il mediatore, senza vincoli e quindi in posizione di imparzialità, ponga in essere un’attività giuridica in senso stretto di messa in relazione tra due o più parti, idonea a favorire la conclusione di un affare; b) la stessa è incompatibile con un sottostante rapporto di mandato tra il c.d. mediatore ed una delle parti che ha interesse alla conclusione dell’affare stesso, nel qual caso il c.d., mediatore – mandatario non ha più diritto alla provvigione da ciascuna delle parti ma solo dal mandante; c) nella mediazione tipica la responsabilità del mediatore, con specifico riferimento agli obblighi di correttezza e di informazione, si configura come responsabilità da “contatto sociale”; d) nel caso in cui il mediatore agisca invece come mandatario, assume su di sè i relativi obblighi e, qualora si comporti illecitamente recando danni a terzi, è tenuto a favore di quest’ultimi al risarcimento dei danni ex art. 2043 c.c., (non escludendosi in proposito un’eventuale corresponsabilità del mandante).

Orbene, come noto, nel contratto di mediazione, il diritto alla provvigione di cui all’art. 1755 cod. civ. sorge nel momento in cui può ritenersi intervenuta la conclusione di un affare, ossia quando fra le parti messe in contatto dal mediatore si sia costituito un vincolo giuridico che abiliti ciascuna ad agire per l’esecuzione (o risoluzione) del contratto stesso; ne consegue che la provvigione spetta al mediatore anche quando sia intervenuto per consentire la stipula tra le parti di un contratto preliminare  (Cfr. ez. 2, Sentenza n. 13260 del 09/06/2009; ex multis, Corte Appello Monza, 13.01.2000), secondo cui: “il diritto del mediatore al pagamento della provvigione sorge qualora con la sua opera abbia contribuito alla conclusione dell’affare intendendosi con ciò il compimento di una operazione di natura economica generatrice di un rapporto obbligatorio tra le parti, o di un atto in virtù del quale si sia costituito un vincolo che dia diritto ad agire per l’adempimento dei patti stipulati o, in difetto, per il risarcimento del danno e pertanto anche con il contratto preliminare, anche se non seguito da definitivo Dello stesso tenore, la sentenza di Cass. Civile sez III, 30.12.1997, n. 13132 secondo cui “al fine di riconoscere al mediatore il diritto alla provvigione … anche la stipula di un contratto preliminare può considerarsi come atto conclusivo dell’affare, a nulla rilevando la qualità o la quantità del lavoro svolto dal professionista, il cui unico onere, onde ricevere il dovuto compenso, consiste, appunto, nel procurare il risultato della conclusione dell’affare”.

Nondimeno, ritiene questo Giudice che – in applicazione del principio per cui il diritto alla provvigione è insensibile alle (sole) vicende successive che ineriscano al contratto intermediato – si debba distinguere fra l’ipotesi in cui il contratto sia risolubile per vicende successive al perfezionarsi del contratto e quella in cui esista una causa originaria di inefficacia, nullità o inesistenza.

 A tale ultima, per analogia funzionale, deve essere equiparata, sotto il profilo del regime giuridico applicabile, l’ipotesi in cui il preliminare sia risolubile per vizi genetici e, quindi, coevi alla conclusione del contratto.

Se nel primo caso, esiste un effetto giuridico che si alloca nella sfera del promissario acquirente e che ragionevolemente si tradurrà nell’effettivo conseguimento del bene; nel secondo caso o la sfera giuridica dell’aspirante acquirente non si incrementa perché l’effetto non si produce oppure l’effetto si produce ma è destinato a venire meno, in virtù della risoluzione del vincolo, o, in alternativa, a non tradursi nell’effettivo acquisto del bene della vita dedotto in contratto. 

E ciò è quanto accade nell’ipotesi di preliminare di immobile abusivo che, già sotto il profilo della comune considerazione sociale, non può integrare il concetto giuridico di “affare” e, ciò proprio in considerazione della nullità del contratto cui il preliminare è prodromico.

Se è vero che il preliminare è, in tal caso, efficace, nondimeno, lo stesso appare fin dall’origine, destinato alla caducazione o, in alternativa, a costituire il presupposto negoziale per la stipula  di un contratto nullo.

D’altronde, tale soluzione ermeneutica appare coerente con la volontà dell’ordinamento di dissuadere i consociati dalla commercializzazione di immobili, anche solo, in parte abusivi.

Né, invero, avverso tale soluzione sembra invocabile l’articolo  1757 c.c.., in materia di “Provvigione nei contratti condizionali o invalidi”, secondo cui se il contratto è sottoposto a condizione risolutiva, il diritto alla provvigione non viene meno col verificarsi della condizione e la medesima disposizione del comma precedente si applica anche quando il contratto è annullabile o rescindibile, se il mediatore non conosceva la causa d’invalidità.

Nell’ipotesi di contratto preliminare rescindibile o annullabile, infatti, l’effetto acquisitivo e accrescitivo della sfera del promissario si verifica, per quanto lo stesso possa essere posto nel nulla su iniziativa delle parti. Anche in tal caso, dunque, l’effetto è “precario”, nondimeno – diversamente dall’ipotesi di preliminare di immobile (parzialmente o totalmente abusivo) – laddove tale potere non sia azionato il contratto rimane in piedi e si procederà alla stipula del definitivo che, quale fonte autonoma del rapporto, sarebbe esente da qualunque pronuncia caducatoria o invalidante .  

Nell’ipotesi di preliminare di res abusiva, invece, laddove la facoltà di risoluzione non venga azionata, si procederà alla stipula di un contratto radicalmente nullo.

Per quanto concerne l’eccepito difetto di diligenza del mediatore, non può ascriversi all’Agenzia O. la responsabilità di non avere rilevato la non conformità urbanistico-amministrativa dell’immobile in oggetto o addirittura di non aver agito “per tentare di sanare il bene”.

D’altronde, è unanime la giurisprudenza che ha sancito come, nell’ambito delle trattative, il mediatore debba tenere un grado di diligenza medio: poiché, infatti, la Legge n. 39/1989 subordina l’esercizio dell’attività di mediazione al possesso di specifici requisiti di capacità professionale, l’obbligo di informazione gravante sul mediatore a norma dell’art. 1759 c.c. va commisurato alla normale diligenza alla quale è tenuto  a confrontarsi nell’adempimento della sua prestazione il mediatore di media capacità.

Nondimeno. “non rientra……nella comune ordinaria diligenza, alla quale il mediatore deve conformarsi nell’adempimento della prestazione ai sensi dell’art. 1176 c.c., lo svolgimento, in difetto di particolare incarico, di specifiche indagini di tipo tecnico-giuridico” (Cass. Civ. Sez. III, 17 maggio 1999, n. 4791; Cass. Civ. Sez.. III, 26 maggio 1999, n. 5107, Cass. civ., sez. III, 4 luglio 2006, n. 15274).

È chiaro, pertanto, che un’eventuale ricerca circa presunti e non conosciuti abusi edilizi rientri nella categoria delle “specifiche indagini di tipo tecnico-giuridico”, e dunque esula – salvo specifico incarico, assente nel caso de quo –  dal tipico alveo di competenze proprie del mediatore immobiliare.

Per tali motivi, deve essere rigettata la domanda risarcitoria proposta nei confronti della convenuta, peraltro, sprovvista di idonea prova sotto il profilo del pregiudizio economico che sarebbe stato cagionato agli attori.

Per le suesposte ragioni deve essere rigettata la domanda riconvenzionale della convenuta.

Invero, per quanto concerne il M., la dedotta transazione con gli attori non ha trovato riscontro in atti.

In considerazione della peculiarità della fattispecie, si ritiene equo compensare le spese del presente giudizio, nella misura della metà, ponendole, solo per la metà, a carico  della convenuta e del terzo chiamato, in solido.

                                                P.Q.M.

Il Giudice, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da D.G. C. e *****nei confronti di R.M., titolare dell’agenzia immobiliare “O.”, nei confronti di R.M. nonché di M. G., così provvede:

a)                 accerta e dichiara che nessun importo compete all’agenzia convenuta;

b)                 condanna  la convenuta alla restituzione della somma di  €.2.582,00 oltre interessi dal momento della loro richiesta in via stragiudiziale;

c)                 compensa, nella misura della metà, le spese del presente giudizio – liquidate in complessivi Euro 2300,00, oltre *** e Cap come per legge, nella misura della metà – ponendole, solo per la parte residua, a carico della convenuta e del terzo chiamato, in solido.

 

 

Brindisi, 9.11.2012

                                                                                

IL GIUDICE

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Redazione