Poste Italiane e perdita di chance (Cass. n. 14464/2012)

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Massima

In caso d’illegittima esclusione di dipendente, da parte del datore di lavoro, nella selezione per il conferimento di qualifiche superiori o altri benefici, il conseguente danno da perdita di chance dev’essere liquidato con valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c.

 

  

1. Questione

Le Poste italiane s.p.a propongono ricorso per cassazione, chiedendo di annullare la sentenza della Corte d’Appello di Salerno, che aveva parzialmente accolto il gravame del dipendente postale.

Il dipendente postale era risultato idoneo al concorso nazionale per n. 24 posti di consigliere telecomunicazioni VII categoria e, dopo la trasformazione dell’ente, era stato inquadrato in area operativa e destinato ai servizi informatici esterni della segreteria della filiale di Salerno. Aveva presentato domanda di partecipazione alla selezione per la percentuale del 10% riservata ai laureati per la copertura delle vacanze organiche dell’area quadri di II livello. Non ricevendo nessuna comunicazione, diffidava le poste e sosteneva che vi era stata violazione dei principi di correttezza e buona fede, del diritto alla verifica della regolarità delle procedure concorsuali, nonché del diritto a partecipare alla selezione per conseguire il superiore inquadramento e chiedeva accertarsi l’illegittimità delle procedure adottate, dichiararsi il diritto a partecipare alla Selezione, con condanna della società al risarcimento del danno corrispondente alle differenze retributive tra il trattamento economico percepito e quello relativo all’area quadri di II livello.

La società  rilevava che per l’elevato numero di partecipanti aveva optato per una preselezione fondata sui criteri obiettivi, tra cui quello anagrafico, escludendo il dipendente, poiché tra i laureati in matematica e fisica i posti disponibili in Campania erano solo 3, ed egli si era classificato al quarto posto in graduatoria per il voto di laurea conseguito.

La Cassazione in esame stabilisce che nel caso in cui il datore di lavoro sia tenuto a effettuare nel rispetto di determinati criteri, non escludenti apprezzamenti discrezionali, una selezione tra i lavoratori ai fini di una promozione o del conferimento di un altro beneficio, egli, al fine di dimostrare il rispetto dei criteri previsti per la selezione e dei principi di correttezza e buonafede, deve operare in maniera trasparente e in particolare motivare adeguatamente la scelta effettuata. In difetto di una scelta motivata, il lavoratore ha in linea di principio diritto al risarcimento del danno per perdita di chance, non condizionato alla prova da parte sua che la scelta, ove correttamente eseguita, si sarebbe risolta in suo favore.

 

2. Onere della prova e perdita di chance

Relativamente alla determinazione del danno da perdita di chance subito dal lavoratore in caso di illegittimità di una procedura di selezione per la violazione dei principi in materia di trasparenza e oggettività, per la mancanza di una adeguata motivazione, numerose sentenze di legittimità fanno riferimento al criterio, intuitivamente coerente con la nozione di perdita di chance, secondo cui il risarcimento deve essere correlato al tasso di probabilità che il lavoratore avrebbe avuto di risultare vincitore, qualora la selezione si fosse svolta in maniera corretta e trasparente (Cass. civ., n. 15810/2001, 22524/2004, 13241/2006, 21297/2006, 14820/2007, 5119/2010). In alcuni casi si precisa che si tratta di una modalità di applicazione della valutazione equitativa del danno prevista dall’art. 1226 c.c. (sentenze cit. n. 15810/2001 e 22524/2004) e che la probabilità di promozione può valutarsi anche sulla base del rapporto tra il numero dei dipendenti promossi e quello dei dipendenti astrattamente idonei a conseguire la promozione (Cass. civ., 13241/2006).

E’ opportuno ricordare anche la precisazione secondo cui spetta al giudice tenere presente e valutare, ai fini di tale giudizio probabilistico e comparativo, ogni elemento di valutazione e di prova ritualmente introdotto nel processo (Cass. civ., 5119/2010) e l’osservazione che il giudice può anche dare rilievo, nell’ambito del complessivo quadro valutativo, al difetto di attività probatoria della datrice di lavoro, perchè in tal caso non si da luogo a un’inversione dell’onere della prova ma a una legittima valorizzazione, in sede di distribuzione di detto onere, del criterio di disponibilità dei concreti mezzi di prova (Cass. civ., 13241/2006).

E’ importante ricordare anche il rilievo di fondo secondo cui, diversamente da quando si deduce la violazione di uno specifico criterio di valutazione, sussiste un immanente rapporto causale tra assenza assoluta di motivazione – che integra un inadempimento del datore di lavoro – e danno (Cass. civ., 21297/2006).

 

3. Criteri di valutazione e perdita di chance

Riguardo ai criteri di liquidazione del danno da perdita di chance, premesso che la stessa natura di tale titolo risarcitorio comporta il riferimento alla norma sulla valutazione equitativa del danno di cui all’art. 1226 c.c., appare altrettanto indiscutibile l’applicabilità del già richiamato principio secondo cui il giudice deve tenere presente, ai fini del relativo giudizio probabilistico e comparativo, ogni elemento di valutazione e di prova ritualmente introdotto nel processo.

Naturalmente possono anche presentarsi casi in cui gli elementi acquisiti consentono di escludere con adeguata sicurezza che il lavoratore che ha agito in giudizio potesse avere concrete possibilità di un esito della selezione per lui positivo. In tal caso deve escludersi il suo diritto a un risarcimento del danno, analogamente a quanto può avvenire in sede di giudizio di liquidazione del danno subito per effetto di un inadempimento contrattuale o di un fatto illecito.

E’ sorretto da evidente aderenza alla natura del danno da perdita di chance anche il criterio residuale (da utilizzare in mancanza di più specifiche risultanze circa il probabile esito della selezione) del rapporto tra il numero dei soggetti da selezionare e il numero di quelli che concretamente dovevano formare oggetto della selezione.

Tuttavia non può escludersi che, nell’ambito della valutazione equitativa demandatagli dall’art. 1226 c.c., il giudice possa trarre argomenti di convincimento circa il grado di probabilità di un esito favorevole al lavoratore in causa anche dal comportamento processuale delle parti e in particolare dalle loro carenze nell’allegazione e prova degli elementi di fatto rilevanti ai fini della selezione di cui, rispettivamente, dovrebbero essere a conoscenza. Tale tipo di valutazione appare giustificabile con riferimento al generale principio sulla valutabilità da parte del giudice del comportamento delle parti nel processo, più che con riferimento alle regole legali sull’onere della prova, perchè il criterio della vicinanza alla prova, richiamato da Cass. civ., 13241/2006, sembra poter valere più come criterio per la sussunzione degli elementi di talune fattispecie tipiche nell’ambito dei fatti costitutivi o di quelli impeditivi a norma dell’art. 2697 c.c., che come regola autonoma sull’onere della prova.

 

 

Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.

Sentenza collegata

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