Possibile utilizzare solo parte delle dichiarazioni testimoniali, ma va in ogni caso verificata l’attendibilità (Cass. pen. n. 35327/2013)

Redazione 22/08/13
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Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del Tribunale di Crotone datata 5 aprile 2011, confermata dalla Corte d’appello di Catanzaro il 22 giugno 2012, A.F. , A.S. e G.F. sono stati condannati rispettivamente alla pena di anni 15, 9 e 10 anni di reclusione per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., mentre M.D. è stato condannato alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione per il reato previsto dall’art. 378, comma secondo, c.p..
2. Ai primi tre imputati è stato addebitato di avere preso parte – in concorso con il defunto A.C. e altri soggetti rimasti ignoti – ad un’associazione per delinquere di tipo mafioso, denominata “cosca Arena”, con epicentro il comune di Isola di Capo Rizzuto e influenza nelle province di Crotone e Catanzaro, esistente sin dalla metà degli anni 70 (per come acclarato in due processi, conclusisi con sentenze divenute definitive emesse dal Tribunale di Crotone il 3 maggio e il 7 luglio 1996) costituita al fine di commettere una serie indeterminata di delitti, soprattutto contro il patrimonio, contro la vita e in materia di armi, e – avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva – acquisire in modo diretto o indiretto, la gestione o comunque il controllo di attività economiche, nonché realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé o per altri, con l’eliminazione fisica degli appartenenti alle organizzazioni criminali contrapposte e l’appoggio di consorterie alleate; con l’aggravante dell’essere l’associazione armata.
Ai tre sodali è stato addebitato di essere stati affiliati con compiti esecutivi, relativi al controllo del territorio e al compimento di specifiche azioni criminose, anche di natura omicidiaria, nonché per essere stati partecipi delle decisioni assunte nell’interesse della cosca, per avere accompagnato i vertici della consorteria negli incontri con esponenti di altri sodalizi, funzionali alla pianificazione di affari e strategie criminali comuni; per avere, durante lo stato di latitanza prima e di carcerazione poi, di A.G. e G.F. , ricevuto dagli stessi – talvolta personalmente, talaltra per il tramite di altri affiliati – direttive per la gestione degli affari associativi, assumendo, soprattutto dopo l’inizio della detenzione carceraria dei predetti, anche autonomamente delle decisioni (nelle province di (omissis) ed altre aree del territorio nazionale dal (omissis) ).
3. A M.D. (in concorso con B.L. , separatamente giudicato) è stato addebitato il delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv. e 378, comma secondo, c.p., per avere, in concorso tra loro, con diverse azioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, aiutato L.P. e Mo.An. a eludere le investigazioni dell’Autorità ed a sottrarsi alle ricerche di questa, rendendo noto agli stessi la circostanza dell’avvenuta emissione, a loro carico, dell’ordinanza custodiale del giudice per le indagini preliminari di Catanzaro emessa il 16 aprile 2009 -circostanza nota al B. , in quanto carabiniere in servizio presso la stazione di Isola Capo Rizzuto, coinvolto nell’organizzazione prodromica agli arresti, con lo specifico compito di individuare i luoghi di dimora del Mo. e di partecipare, poi, all’esecuzione del suddetto titolo custodiale avvenuta nella notte tra il (omissis) ; la notizia veniva rivelata dal B. al M. che, a sua volta, la portava a conoscenza dei suddetti L. e Mo. , consentendo agli stessi di sottrarsi all’esecuzione della misura ed alle successive ricerche dell’Autorità.
4. Ricorrono per cassazione i quattro imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia.
4.1. Nell’interesse di A.F. , gli avvocati ******* e ******* deducono: a) violazione dell’art. 606 lett. b ed e c.p.p. in relazione agli artt. 192 c.p.p. e 416-bis c.p., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia C. , Ma. , Bu. e **. , alla ritenuta sussistenza del delitto di associazione di tipo mafioso e partecipazione ad essa dell’imputato, al mancato chiarimento circa le discrasie e contraddittorietà evidenziate nei motivi d’appello; b) ex art. 606 lett. b, c ed e c.p.p. violazione degli artt. 62-bis, 133 c.p. e d.lgs. n. 92 del 2008, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
4.2. A.S. , tramite i difensori Aricò e *******, denuncia, ex art. 606 lett. b ed e c.p.p., manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 192.3 c.p.p. e 416-bis c.p. e agli 62-bis, 133 c.p., sottolineando particolarmente la carenza di motivazione con riferimento agli elementi probatori che connotano la partecipazione dell’imputato al sodalizio criminoso, in relazione alla contestazione di cui egli era chiamato a rispondere.
4.3. Nell’interesse di G.F. si deduce, con due separati ricorsi, entrambi sottoscritti dagli avv. ****** e *******, nullità della sentenza ex art. 606 lett. b, c ed e c.p.p., in relazione agli art. 192 c.p.p. e 416-bis c.p., nonché agli artt. 133, 62-bis c.p., d.l. n. 92/2008 e relativo vizio della motivazione.
4.4. M.D. , tramite il difensore avv. *******, deduce: a) ex art. 606.1 lett. b ed e c.p.p., inosservanza di legge penale (artt. 546.3 e 137.3 c.p.p. e art. 378 c.p.) e vizio di motivazione sul punto concernente l’effettiva idoneità della condotta realizzata dell’imputato a integrare il delitto di favoreggiamento personale, per mancato inizio delle ricerche dell’autorità e per inidoneità e inefficacia della condotta realizzata; b) ex art. 606.1 lett. b) ed e) c.p.p., inosservanza di legge penale (artt. 546.3 e 137.3 c.p.p. e art. 378, 47, 51 e 59 c.p.) e vizio di motivazione sul punto concernente le modalità dell’apprendimento (casuale, fortuito e non provocato) della notizia riservata ed il ruolo professionale che nell’occasione rivestiva il ricorrente.

Considerato in diritto

1. I ricorsi degli imputati A.F. , A.S. e G.F. , con riferimento all’utilizzazione che i giudici del merito hanno fatto delle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia, denunciano la violazione delle disposizioni poste dall’art. 192, comma 3 e 4, c.p.p. e, segnatamente, l’utilizzazione erronea da parte del giudice d’appello del principio della cosiddetta “frazionabilità delle dichiarazioni”.
1.1. In proposito, il Collegio sottolinea la necessità di procedere previamente alla rigorosa verifica dell’attendibilità dei dichiaranti e delle relative dichiarazioni, secondo la metodologia più volte indicata da questa Corte di legittimità (cfr. Cass. Sez. U. n. 1653 del 22.2.93; ******; Sez. 2^ n. 15756 del 3.4.03, ******* e n. 2350 del 26/01/05, ********; Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, *******).
Il giudice deve, in primo luogo, affrontare il problema dell’attendibilità del dichiarante, in relazione, tra l’altro, alla sua personalità, alle sue condizioni socio -economiche, al suo passato e ai suoi rapporti con l’accusato, alla genesi e alle ragioni che lo hanno indotto all’accusa. In secondo luogo, deve valutare la credibilità delle dichiarazioni rese, verificandone l’intrinseca consistenza e le caratteristiche, alla luce di criteri quali, tra gli altri, quelli della spontaneità ed autonomia, precisione, completezza della narrazione dei fatti, coerenza e costanza. Infine, egli deve esaminare l’esistenza di riscontri esterni, ai fini della necessaria conferma di attendibilità.
L’esame deve essere compiuto seguendo l’indicato ordine logico, perché non si può procedere ad una valutazione unitaria della chiamata in correità o un reità e degli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità (come prescrive l’art. 192.3 c.p.p.), se prima non si chiariscono gli eventuali dubbi che si addensino sulla chiamata in sé, indipendentemente dagli elementi di verifica esterni ad essa.
1.2. Per quanto concerne l’autonomia e la spontaneità di plurime dichiarazioni accusatorie, in caso di dubbio e tanto più di specifica censura degli appellanti – come nella vicenda processuale qui esaminata – è necessario verificare non soltanto se la convergenza di più dichiarazioni non sia l’esito di collusione o concerto calunnioso, ma anche se tale consonanza non sia il frutto di condizionamenti o reciproche influenze, pur senza alcuna preconcetta malafede. Occorrendo, infatti, la certezza che i coimputati abbiano detto la verità, è indispensabile che il giudizio di attendibilità intrinseca sia particolarmente severo e scrupoloso, in modo da allontanare ogni ragionevole dubbio di reciproche influenze e di progressivo allineamento dei dettagli originariamente divergenti di ciascuna di esse (cfr. Cass. sez. 1^, n. 13279/90, *******; sez. 5^ 9001/2000, *******; sez. 6A, n. 6422/2004, *****).
1.3. Per la valutazione complessiva richiesta dall’art. 192.3 c.p.p., ai fini del giudizio di responsabilità, le chiamate accusatorie e i riscontri esterni devono essere individualizzanti, ossia devono riguardare direttamente l’imputato in relazione allo specifico fatto storico a lui contestato: se oggetto della prova è lo specifico fatto e la sua attribuibilità al singolo imputato (art. 187 c.p.p.), oggetto della chiamata e dei riscontri d’attendibilità (art. 192 c.p.p., comma 3) deve essere lo stesso specifico fatto, con riferimento all’imputato cui è ascritto.
1.4. Giova anche precisare che affinché le più chiamate in reità o correità, provenienti da soggetti diversi, possono valere come riscontro reciproco (sempre che esse risultino spontanee e tra loro indipendenti), è necessario che, per ogni singola chiamata, il giudice proceda alla verifica sopra indicata, in ordine alla credibilità del chiamante e all’attendibilità della dichiarazione. Il fatto che di una chiamata il giudice si avvalga soltanto come riscontro esterno d’altra chiamata non esenta dall’obbligo di verificare – e motivare – credibilità del chiamante e attendibilità delle dichiarazioni rese.
1.5. Va, infine, riaffermato un principio essenziale, più volte sottolineato da questa Corte, nell’ipotesi di molteplici dichiarazioni accusatorie non coincidenti su particolari di dettaglio o su elementi essenziali della ricostruzione di fatto: in presenza di significative divergenze di dichiarazioni rese da due chiamanti in correità o reità, aventi ad oggetto particolari non marginali, bensì il ruolo e il contributo causale asseritamente fornito dall’imputato alla commissione del delitto, ai fini della dichiarazione di colpevolezza non è consentito utilizzare la parte coincidente delle due dichiarazioni, per argomentare che l’indagato sarebbe comunque coinvolto come concorrente nel delitto, senza fornire una logica spiegazione delle ragioni delle versioni in contrasto e senza esplicitare i motivi che convincono il giudice dell’attendibilità dei due dichiaranti e delle dichiarazioni rese nella parte che risulta coincidente, (cfr. Cass. sez. 6, n. 22/1996, *******; Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, *******).
Il principio di frazionabilità, invero, non è un passepartout utile per assembleare le parti coincidenti di dichiarazioni differenti.
È vero che la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato la validità del principio della c.d. “frazionabilità” delle dichiarazioni, secondo cui l’attendibilità della dichiarazione accusatoria, anche se esclusa per una parte del racconto, non coinvolge necessariamente l’attendibilità del dichiarante con riferimento a quelle parti del racconto che reggono alla verifica del riscontro oggettivo esterno.
È stato, tuttavia, reiteratamente precisato che affinché ciò sia ammissibile è necessario, in primo luogo, che non sussista un’interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti, intrinsecamente attendibili e adeguatamente riscontrate (cfr. Cass. sez. 1, n. 468/2001, *******) e, in secondo luogo, che la falsità o l’inattendibilità di una parte della dichiarazione non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere la stessa credibilità del dichiarante. Quando ragionevolmente si prospetta dalla parti, e ancor più quando oggettivamente si constata, un’ipotesi siffatta, l’obbligo motivazionale del giudice ne risulta rafforzato, non potendo egli omettere di affrontare la questione e spiegare le ragioni per cui l’inattendibilità parziale delle dichiarazioni, non incide sull’attendibilità del dichiarante (Cass. Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, *******).
1.6. Nel caso in esame, la Corte d’appello ha ritenuto che “fonte probatoria fondamentale” per l’affermazione di responsabilità degli imputati è costituita dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia C. , Ma. , Bu. e **. .
A tale proposito gli appellanti avevano formulato specifici motivi d’appello. La Corte territoriale ha risposto con considerazioni generiche, richiamandosi a quanto avevano espresso i giudici di primo grado e utilizzando (soprattutto con riferimento alle dichiarazioni di C. e di Ma. , che hanno costituito la più importante base probatoria) il principio di frazionabilità per “assemblare” illogicamente le parti coincidenti di dichiarazioni differenti. Essa ha sostanzialmente eluso le critiche più puntuali rivolte alla valutazione sull’attendibilità personale e sulla credibilità delle loro dichiarazioni.
Così, per esempio, è accaduto con riferimento alle critiche degli appellanti sulla scarsa credibilità del C. , appartenente al gruppo Grandearacri, avversario degli Arena, nella parte in cui descrive di incontri con A.F. , riferisce di avere partecipato a riunioni della cosca Arena o di avere ricevuto dallo stesso A.F. la comunicazione dell’intenzione di eliminare G.E. .
Alla censura di inverosimiglianza che un capoclan riveli ad un esponente del gruppo contrapposto l’intenzione di uccidere un avversario di spessore, la Corte territoriale si è limitata a prendere atto che la spiegazioni offerta dal C. (“non avendo egli partecipato agli agguati ai danni di D.R. e Ar.Fr. – ed essendo nota tale circostanza agli Arena – non aveva nulla da temere”) “appare logica e coerente con le dinamiche delinquenziali di tipo mafioso”.
Osserva il Collegio che siffatta apodittica affermazione non fornisce alcuna spiegazione, tanto più che la massima di esperienza implicita in siffatta affermazione [“agli esponenti del gruppo nemico che non hanno partecipato ad uno specifico gruppo di fuoco (ai danni di D.R. e Ar.Fr. ) si può ben confidare l’intenzione omicida di uccidere uno dei loro capi; gli stessi, inoltre, possono persino partecipare a riunioni riservate del sodalizio criminale contro cui combattono”] contrasta con elementari criteri di logica comune e con quanto risulta dall’esperienza giudiziaria delle dinamiche dei gruppi mafiosi in contrapposizione, fondate sulla segretezza delle intenzioni omicide e delle programmate aggressioni, che potrebbero essere compromessi e neutralizzati da ogni rivelazione a membri del gruppo avversario. Tanto più quando l’elemento della segretezza è stato ritenuto, dai giudici di primo grado e di appello, uno dei connotati del gruppo mafioso in esame, al punto che i sodali utilizzavano un “sistema chiuso” di comunicazione telefonica.
1.7. Assorbiti gli altri motivi di ricorso, la sentenza deve, pertanto, essere annullata nei confronti dei tre imputati di partecipazione ad associazione mafiosa, con rinvio alla Corte territoriale, che dovrà procedere a nuovo giudizio sulla base dei principi di diritto sopra enunciati.
2. Il ricorso di M.D. , condannato per il delitto di favoreggiamento personale, va accolto limitatamente all’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 378 c.p..
Il Tribunale e la Corte d’appello hanno ritenuto provata la circostanza che il M. , appresa in maniera illecita la notizia dal carabiniere B. , suo amico, informò Mo. e L. , consentendo loro di sottrarsi alla cattura.
Il ricorrente ha riproposto le censure formulate in appello contro la sentenza di primo grado, con particolare riferimento all’elemento cronologico del fatto contestato (al fine di stabilire se le ricerche del Mo. da parte dei Carabinieri avessero effettivamente avuto già inizio) e all’effettiva idoneità ed efficacia della condotta dell’imputato “a sottrarsi alle ricerche dell’Autorità”.
Si tratta di motivi di impugnazione non consentiti ex art. 606 c.p.p., in quanto involgono accertamenti e valutazioni di fatto estranei alla competenza della Corte di legittimità, il cui sindacato è circoscritto al controllo della motivazione nei termini stabiliti dall’art. 606.1 lett. e) c.p.p.
Osserva il Collegio che sotto quest’ultimo profilo – e salvo quanto si dirà sulla ritenuta aggravante – la sentenza è indenne dai denunciati vizi di motivazione, avendo assolto con puntualità agli obblighi stabiliti dagli artt. 192.1 e 546.1 lett. e) c.p.p. e rigettato con esauriente e logica motivazione tutti i motivi prospettati con l’atto d’appello.
I giudici del merito hanno illustrato minutamente le risultanze dell’istruttoria dibattimentale (testimonianza del capitano dei Carabinieri, dichiarazioni del correo B. , esame dell’imputato M. , contenuto delle conversazioni intercettate e analisi incrociata del traffico telefonico delle intercettazioni, avvenute nei giorni 19, 20 e 21 aprile 2009, quest’ultime tra le 4 e le 5 del mattino, ora in cui l’ordinanza di custodia carceraria avrebbe dovuto esser eseguita), e sono giunti, al di là di ogni ragionevole dubbio, alla conclusione che l’imputato – dopo avere appreso illecitamente dal suo amico carabiniere B. , incaricato di procedere nei confronti del Mo. , la notizia dell’imminente esecuzione di una misura cautelare – si affrettò a comunicarla allo stesso Mo. , suo parente.
Tutti gli elementi addotti a difesa dell’imputato (a cominciare dall’asserita modalità fortuita ed occasionale di apprendimento della notizia) sono stati analizzati in maniera approfondita e rigettati perché contrastanti con univoci elementi probatori. Irrilevante risulta, perciò, l’assunto del ricorrente di aver avvisato il Mo. nell’esercizio del suo mandato di difensore (circostanza peraltro motivatamente esclusa in fatto dai giudici del merito), al fine di invocare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui non integra il delitto di favoreggiamento personale la condotta del difensore che, avendo fortuitamente acquisito la notizia dell’emissione nei confronti del proprio assistito di una misura cautelare, lo informi (Cass. Sez. 6, n. 20813 del 18/05/2010, *********, Rv. 247349).
Nel caso in esame, i giudice del merito, con motivazione completa, logica e coerente, hanno escluso che l’acquisizione della notizia fosse avvenuta in maniera occasionale e fortuita, avendo invece trovato causa nel legame di amicizia e di favori reciproci che intercorrevano tra l’avvocato M. e il carabiniere B. .
2.1. Immotivata risulta invece la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 378, comma secondo c.p. La Corte territoriale si limita a rilevare – con riferimento al trattamento sanzionatorio – che “il reato commesso si presenta di particolare ed estrema gravità avendo l’imputato posto in essere la condotta a lui ascritta con estrema disinvoltura e nella piena consapevolezza della sua illiceità e con la piena conoscenza, data la provenienza dal medesimo contesto territoriale, della gravità delle condotte attribuite ai soggetti favoriti”.
Orbene, considerato che, a norma dell’art. 59, comma secondo, c.p., “le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell’agente soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa”, la ritenuta sussistenza dell’aggravante richiede una specifica motivazione sulla conoscenza da parte dell’imputato del reato presupposto, tanto più che nel caso in esame il M. , pur ammettendo di aver rivelato al Mo. dell’imminente arresto, ha negato di conoscere la ragione del provvedimento.
2.2. La sentenza va, perciò, annullata anche nei confronti del M. , ma solo limitatamente all’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 378 c.p., con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata nei confronti di A.F. , A.S. e G.F. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro; annulla la medesima sentenza limitatamente all’aggravante di cui al secondo comma dell’art. 378 c.p. nei confronti di M.D. e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Rigetta nel resto il ricorso del M. . 

Redazione