Plusvalenza da cessione di azienda: legittimo l’accertamento induttivo (Cass. n. 23115/2013)

Redazione 14/10/13
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Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 24-11-2005 la CTR Lazio accoglieva l’appello proposto da L.N. avverso la sentenza della CTP di Roma che aveva rigettato il ricorso della contribuente contro l’avviso di accertamento per maggiore IRPEF relativo all’anno 1992 dovuto in relazione a plusvalenza da cessione di azienda; in particolare la CTR affermava che occorreva tenere presente che la cessione in questione era avvenuta nei confronti del coniuge e del figli costituiti in società di persone, sicchè l’importo di lire 121.000.000, quantificato dall’Ufficio, appariva ingiustificato rispetto a quello di lire 10.000.000 dichiarato dalla parte; pertanto, anche in applicazione del principio di collaborazione e di buona fede tra contribuente ed amministrazione finanziaria (art. 10 L 212/2000, statuto del contribuente), riteneva essere rispondente alla realtà dei fatti il valore di avviamento dichiarato dalla contribuente.
Avverso detta sentenza proponevano ricorso per Cassazione il Ministero dell’Economia e delle finanze nonché l’Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi; resisteva con controricorso la contribuente, che presentava anche memoria difensiva.

Motivi della decisione

Va, anzitutto, rilevata l’inammissibilità dell’impugnazione proposta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, in quanto il presente giudizio si è svolto dopo il 1 gennaio 2001, data di inizio dell’operatività dell’Agenzia delle Entrate, succeduta a titolo particolare nei poteri e nei rapporti giuridici strumentali all’adempimento dell’obbligazione tributaria, e dotata in via esclusiva della legittimazione “ad causam” e “ad processum” (cfr. Cass. S.U. n. 3116 e n. 3118 del 2006, n. 22641 del 2007).
Venendo, quindi, al ricorso proposto dall’Agenzia, con il primo motivo la ricorrente, deducendo -ex art. 360, comma 1, n. 3 e n.4 cpc- violazione e/o falsa applicazione dell’art. 10 L 212/00 nonché del combinato disposto dell’art. 54 TUIR e degli artt. 38 e 39 dpr 600/73, oltreché dell’art. 7 d.lgs 546/92 e degli artt. 115 e 116 cpc, rilevava che la CTR aveva in sostanza deciso secondo equità, sopperendo così al mancato assolvimento dell’onere probatorio delle parti e non considerando una pluralità d’indizi concreti, dai quali poteva evincersi la legittimità dell’accertamento; in particolare: il riconoscimento, da parte della stessa contribuente, del carattere oneroso della cessione, pur se avvenuta nel confronti di una società costituita da familiari; la mancata impugnazione dell’accertamento al fini dell’imposta di registro ed il pagamento delle relative imposte (circostanze ammesse dalla stessa contribuente, pur se ritenute dovute ad un mero errore).
Con il secondo motivo la ricorrente deducendo -ex art. 360 n. 5 cpc- contraddittoria ed insufficiente motivazione, rilevava che la CTR si era limitata a richiamare il cit. art.10, senza valutare in alcun modo i su esposti elementi concreti e, in particolare, senza considerare che, come affermato dalla S.C. la mancata impugnazione avverso l’accertamento ai fini del Registro rendeva vincolante il valore risultante dal detto accertamento anche per ciò che concerneva l’accertamento della plusvalenza ai fini delle II.DD.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto tra loro strettamente connessi, sono fondati.
Il richiamato principio di collaborazione, invero, non può mai comportare il superamento o la omessa considerazioni di circostanze accertate in giudizio (v. su indicati indizi concreti) e determinare la mancata applicazione del principio dell’onere della prova; particolarmente rilevante appare, nel caso di specie, l’omessa considerazione dell’accertamento ai fini dell’imposta di registro, sul quale è nota la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “i principi relativi alla determinazione del valore di un bene che viene trasferito sono diversi a seconda dell’imposta che si deve applicare, sicché quando si discute di imposta di registro si ha riguardo al valore di mercato del bene, mentre quando si discute di una plusvalenza realizzata nell’ambito di un’impresa occorre verificare la differenza realizzata tra il prezzo di acquisto e il prezzo di cessione. Ciò premesso (anche considerando che, in tema di accertamento, ai fini IRPEF, delle plusvalenze realizzate a seguito di trasferimento di azienda, il valore dell’avviamento resosi definitivo al fini dell’imposta di registro, assume carattere vincolante per l’Amministrazione finanziaria), l’indicazione … di un’entrata derivante dalla vendita di un bene, inferiore rispetto a quella accertata ai fini dell’imposta di registro, legittima di per sé l’Amministrazione a procedere ad accertamento induttivo mediante integrazione o correzione della relativa imposizione, mentre spetta al contribuente, che deduca l’inesattezza di una tale correzione, superare la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato rispetto al valore di mercato, dimostrando (anche con il ricorso ad elementi indiziari) di avere in concreto venduto proprio al prezzo (inferiore) indicato in bilancio. Peraltro l’ufficio, abilitato dalla legge ad avvalersi di presunzioni, può anche utilizzare una seconda volta gli stessi elementi probatori già utilizzati in precedenza e idonei secondo l’ordinamento a provare il fatto posto a base dell’accerta mento” (Cass. 23608/2011; v. anche Cass. 27989/2011).
Alla stregua di quanto sopra, pertanto, in accoglimento del ricorso dell’Agenzia, va cassata l’impugnata sentenza, con rinvio per nuovo esame alla CTR Lazio, diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese di lite relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie il ricorso dell’Agenzia; cassa l’impugnata sentenza e rinvia per nuovo esame alla CTR Lazio, diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese di lite relative al presente giudizio di legittimità.

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