Permesso di costruire: risarcimento danni (Cons. Stato n. 6036/2012)

Redazione 28/11/12
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È nullo il contratto con il quale viene affidato ad un geometra il calcolo in cemento armato

FATTO

Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia – Sede di Milano – ha deciso una articolata impugnazione, corredata da motivi aggiunti, proposta dalla odierna appellante P. Susanna, nella qualità di usufruttuaria di un immobile sito nel Comune di Merate, di pregio architettonico e ambientale, inserito in un contesto assoggettato a vincolo paesaggistico ex lege n. 1479/1939.

L’iniziativa giurisdizionale era volta ad avversare gli atti amministrativi sottesi ai lavori autorizzati su un immobile collocato di fronte alla sua proprietà e di particolare pregio storico, già esistente nel catasto teresiano, assoggettato alla disciplina di cui all’art 31 delle NTA del PRG, che disciplinava gli immobili di riconosciuto rilievo urbanistico-architettonico, storico-artistico, culturale e ambientale esterni al centro storico.

In particolare, la odierna appellante aveva avversato il permesso di costruire del 19.2.2008 prot. 0037373/06 per i lavori di demolizione e ricostruzione di edificio esistenti, l’autorizzazione paesaggistica del 18.6.2007 prot. 0037374/96, nonché quali atti presupposti e conseguenti il verbale del 14 dicembre 2006 n. 29 con cui la Commissione edilizia aveva espresso parere favorevole al rilascio della autorizzazione paesaggistica, la relazione del 14.12.2006 di esame dell’impatto paesistico 22.11.2006, il parere della Commissione edilizia 30.10.2008 n. 25 e la relazione ai sensi dell’art 81 L.R. 12/2005.

Erano state altresì proposte doglianze volte a censurare, sia in via derivata che in via autonoma, l’autorizzazione paesaggistica in variante del 2.2.2009 e il permesso di costruire in variante del 2.2.2009.

Con successivi motivi aggiunti l’odierna appellante – che medio tempore aveva inoltrato all’amministrazione comunale alcune diffide volte a stimolare l’ esercizio dei poteri di vigilanza edilizia – aveva impugnato le risposte fornitele dall’Amministrazione con le quali quest’ultima le aveva comunicato di volere attendere l’esito del giudizio già incoato prima di intraprendere eventuali iniziative repressive.

Il primo giudice, ha disatteso l’eccezione di difetto di interesse e carenza di legittimazione preliminarmente proposte dalle originarie parti resistenti affermando che la qualità di usufruttuaria rivestita dall’appellante le conferiva il potere di iniziativa giurisdizionale.

Ha quindi preso in esame l’eccezione di tardività del mezzo di primo grado e ne ha affermato la parziale fondatezza.

Ha in proposito rimarcato che il petitum articolato in primo grado era volto a contestare la legittimità dei provvedimenti citati nella parte in cui avevano permesso la demolizione dell’edificio, (ritenendo che, in base all’art 31 delle NTA, gli interventi consentiti fossero solo quelli dei ristrutturazione interna e di ristrutturazione edilizia, con conservazione delle facciate esterne e coperture) ivi essendosi sostenuto (primo motivo di censura)che, secondo le tassative e analitiche modalità di intervento descritte dall’art 31 NTA, ne era impedita la demolizione e la sua ricollocazione fisica.

Da ciò doveva quindi discendere che la violazione delle disposizioni in materia era riconducibile anche alla demolizione (che era stata assentita con il permesso di costruire del 19.2.2008) e non alla sola ricostruzione.

Della avvenuta demolizione la originaria ricorrente aveva avuto notizia certa percependone l’effetto lesivo, al più tardi, già con i lavori di demolizione e poi al momento della ricostruzione.

Pertanto proprio perché veniva censurato l’intervento sostenendo l’inammissibilità di una demolizione, la lesività si riconnetteva alle opere di demolizione, concluse nell’aprile del 2008; l’attività di ricostruzione, poi, era avvenuta nel maggio 2008 (e da tale data si poteva evincere la collocazione dell’immobile e quindi l’eventuale violazione delle distanze).

La appellante aveva presentato istanza di accesso per la prima volta solo nel mese di gennaio 2009: ne conseguiva che l’impugnazione proposta avverso il permesso di costruire 19.2.2008 e gli atti a questo presupposti ed antecedenti (l’autorizzazione paesaggistica del 18.6.2007 prot. 0037374/96, il verbale del 14 dicembre 2006 n. 29 con cui la Commissione edilizia aveva espresso parere favorevole al rilascio della autorizzazione paesaggistica, la relazione del 14.12.2006, l’esame dell’impatto paesistico 22.11.2006, il parere della Commissione edilizia 30.10.2008 n. 25 e la relazione ai sensi dell’art 81 della legge regionale 12/2005), era irrimediabilmente tardiva.

Il gravame doveva considerarsi, invece, tempestivo, con riguardo ai motivi (punti 13 e 14 del mezzo principale) formulati avverso l’autorizzazione paesaggistica in variante del 2.2.2009 ed avverso il permesso di costruire in variante del 2.2.2009.

Ivi si era sostenuta la illegittimità del parere favorevole sull’interrato e sull’asfaltatura di via San Giuseppe (reso sull’erroneo presupposto che si trattasse di “opere quasi interamente interrate” mentre la realizzazione del piano autorimesse spiccava oltre il profilo naturale del terreno anche in violazione alle distanze e quindi aveva un impatto sul paesaggio) e la circostanza che la progettazione non era stata conforme ai criteri della DGR 2121/06, nonché ( motivo successivo) l’assenza di motivazione dell’autorizzazione paesaggistica in variante.

Il primo giudice ha partitamente preso in esame le dette, residue, censure, e le ha disattese evidenziando che la variante aveva assentito modifiche al piano autorimesse, senza incidere sulla loro collocazione: pertanto la presunta lamentata violazione delle distanza dal confine delle autorimesse era conseguenza del (per le già chiarite ragioni consolidatosi) titolo edilizio originario e non della variante.

Peraltro sia il permesso di costruire in variante che il provvedimento di autorizzazione paesaggistica richiamavano il parere favorevole della Commissione Comunale per il Paesaggio ed Edilizia del 30.10.2008 sul progetto di variante e nell’autorizzazione paesaggistica si dava altresì atto della conformità delle opere alla delibera G.R. 2121/2006 e che le stesse non erano né lesive né in contrasto con l’ambiente tutelato, dal che discendeva la infondatezza della censura di difetto di motivazione e la genericità dello stesso mezzo laddove non evidenziava il supposto contrasto con la delibera regionale.

Il Tribunale amministrativo ha poi dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione il motivo di censura (n. 14) del mezzo principale teso a stigmatizzare la violazione delle norme in materia di competenza professionale ( in quanto ivi si era sostenuto che il progetto, pur riguardando opere in cemento armato ed incidente su un bene di rilievo artistico era stato redatto da un geometra) ed ha altresì dichiarato inammissibili i motivi aggiunti avversanti le “risposte” fornite dall’amministrazione alle diffide inoltrate dall’appellante in quanto l’atto nell’ambito del quale era stata resa nota la scelta di non iniziare il procedimento stante la pendenza di un procedimento giurisdizionale del quale appariva opportuno attendere l’esito, si configurava come una mera comunicazione, priva di natura provvedimentale.

La originaria ricorrente rimasta soccombente ha appellato la sentenza in epigrafe criticandola articolatamente sotto tutti i versanti motivazionali suindicati e chiedendone la riforma.

Quanto alla dedotta tardività del mezzo di primo grado con riferimento al permesso di costruire del 19 febbraio 2008, alla autorizzazione paesaggistica del 2007 ed agli atti a questi presupposti, la statuizione impugnata era errata in quanto aveva dato per provata la circostanza che le opere di demolizione erano iniziate nell’aprile 2008 e quelle di ricostruzione nel maggio 2008, in assenza di alcun decisivo elemento dimostrativo di tale circostanza: la impugnata decisione peraltro non aveva tenuto conto delle precarie condizioni di salute dell’appellante (ascrivibili ad una gravidanza) che le avrebbero impedito di proporre tempestivamente il gravame.

Con il secondo ed il terzo motivo di censura sono state riproposte le doglianze avverso la autorizzazione paesaggistica ed al coevo permesso di costruire del 2 febbraio 2009 ed è stato ribadito che la ripavimentazione di via San Giuseppe era priva del necessario parere paesaggistico e che le opere non erano interrate, mentre l’autorizzazione paesaggistica era carente di motivazione ed in contrasto con la delibera di Giunta Regionale n. 2121/2006.

La sentenza era errata anche (quarto motivo di appello) laddove aveva dichiarato la inammissibilità, per difetto di interesse, della censura fondata sulla circostanza che il progetto era stato redatto da un geometra: ciò in quanto la disposizione di cui all’art.16 del R.D. n. 274/1929 era dettata a tutela della pubblica incolumità e della sicurezza delle costruzioni, di guisa che sussisteva la legittimazione attiva dell’appellante a sollevare il relativo vizio.

Inoltre con il quinto motivo di appello è stata censurata la statuizione di inammissibilità dei motivi aggiunti proposti in primo grado e volti ad avversare l’azione amministrativa successiva all’inoltro da parte dell’odierna appellante della diffida a ritirare gli atti asseritamente illegittimi emessi, diretta all’amministrazione comunale appellata).

Con ulteriori articolati motivi (da n. 6 a 14 del ricorso in appello) sono stati riproposte le doglianze non esaminate dal primo giudice e relative al permesso di costruire rilasciato nel 2008 ed agli atti a questo sottesi, mentre con i motivi 15-17 sono state riproposte le doglianze non esaminate dal primo giudice e relative all’autorizzazione paesaggistica del 2007; con i motivi da 19 a 20 sono state nuovamente prospettate le doglianze non esaminate dal primo giudice e relative al permesso di costruire in variante ed all’autorizzazione paesaggistica in variante del 2 febbraio 2009 ed i motivi aggiunti (20 bis-23) volti ad avversare l’attività amministrativa successiva alla diffida a ritirare gli atti inviata dall’appellante all’amministrazione comunale non esaminati dal Tar Lombardia.

L’appellante ha altresì proposto domanda risarcitoria.

L’appellata Parco Costruzioni SRL ha depositato una articolata memoria chiedendo in primo luogo la declaratoria di inammissibilità del gravame per carenza di interesse e perché proposto in evidente abuso del diritto.

La (provata) piena conoscenza dell’abuso in capo al padre dell’appellante (nudo proprietario ed occupante dell’immobile di cui era usufruttuaria l’appellante) “comunicava” tale circostanza a quest’ultima: il mezzo di primo grado era pertanto certamente tardivo.

In ogni caso l’appellante era una usufruttuaria meramente “formale” perché non godeva del bene e non lo occupava: ne conseguiva che essa non aveva alcun interesse a proporre il ricorso di primo grado.

In ultimo, la circostanza che l’appellante aveva posto in vendita il detto compendio immobiliare (di guisa che veniva meno anche il requisito legittimante fondato sul criterio dello “stabile collegamento”) impediva di ravvisare ogni interesse alla prosecuzione del giudizio.

Nel merito, ha chiesto la reiezione del gravame perché infondato.

La **** immobiliare ha depositato una articolata memoria chiedendo l’accoglimento dell’appello incidentale e la reiezione dell’appello principale.

Con una dettagliata memoria il comune di Merate ha ripercorso le tappe procedimentali e quelle relative al contenzioso giurisdizionale relativo alla vicenda per cui è causa ed ha chiesto la reiezione del gravame principale e la conferma dell’impugnata decisione.

Alla pubblica udienza del 15 maggio 2012 la causa è stata posta in decisione e la Sezione, con la sentenza non definitiva n. 3300/2012 depositata in data 5 giugno 2012 pronunciando sul ricorso in appello principale in epigrafe, lo ha respinto nei termini di cui alla motivazione nella parte in cui esso aveva censurato la statuizione di tardività del mezzo di primo grado rivolto avverso il permesso di costruire e l’autorizzazione paesaggistica rilasciate nel 2008, nella parte in cui aveva censurato la statuizione di inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti proposto in primo grado e laddove aveva riproposto in via derivata le dette censure avverso la variante e l’autorizzazione paesaggistica rilasciata nel 2009 ed assunto da parte di queste l’autonoma lesività per violazione al regime delle distanze.Con la detta decisione sono state altresì respinte le doglianze incidentalmente formulate dalle parti appellate.

Interlocutoriamente pronunciando, sulle ulteriori doglianze attingenti il permesso di costruire in variante e l’autorizzazione paesaggistica in variante del 2 febbraio 2009 (profilo relativo alla copertura del viottolo in acciottolato, ed a quella incentrata sulla supposta incompetenza del geometra), ed al petitum risarcitorio proposto, il Collegio ha ritenuto che, ai fini del decidere, risultasse assolutamente necessario acquisire la completa documentazione sottesa alla variante autorizzata, ivi compresa, ove sussistente, la relazione/calcolo delle opere in cemento armato redatta dall’Ing. Riva, cui si faceva riferimento negli scritti difensivi delle parti appellate, ed ha onerato l’amministrazione comunale appellata all’inoltro di tale documentazione presso la Segreteria della Sezione nel termine di trenta giorni, rinviando l’esame della controversia alla odierna pubblica udienza del 16 ottobre 2012.

L’amministrazione comunale appellata ha depositato una accurata relazione comprensiva degli aspetti oggetto di supplemento istruttorio.

Tutte le parti processuali hanno ulteriormente controdedotto in merito alla documentazione versata in atti depositando scritti difensivi volti a puntualizzare le contrapposte difese.

In particolare, l’appellante P. ******* (che ha depositato due memorie)ha sostenuto che non v’era stata reiezione del motivo di appello n. V)A n. 1, incentrato sulla non fedele ricostruzione del fabbricato; ha sollevato dubbi (pagg. 6 e 7 della memoria versata in atti) in ordine all’attendibilità della documentazione versata in atti relativa ai calcoli in cemento armato (in quanto la stessa non era mai stata ostesa in precedenza) ed ha fatto presente che l’elaborato peritale sotteso alla decisione del giudice civile (Tribunale di Lecco) e richiamato nella decisione di primo grado era stato sottoposto a stringente critica proprio nell’ambito di un ricorso proposto innanzi alla Corte di Appello avverso la predetta decisione del Tribunale ordinario di Lecco.

Sotto altro profilo, la documentazione versata in atti aveva consentito di accertare l’assenza di nulla osta paesaggistico con riguardo alla realizzazione/asfaltatura del vialetto.

Quanto al petitum risarcitorio, l’appellante ha chiesto che la propria domanda venisse considerata anche – eventualmente- quale richiesta di accertamento incidentale della illegittimità degli atti in via autonoma con riguardo alle censure dichiarate tardive e che la fondatezza della domanda risarcitoria predetta venisse valutata e quantificata in relazione alla intera –complessiva- condotta posta in essere dall’Amministrazione (quest’ultima versando, pacificamente, in stato di grave colpa).

L’appellata Ma.pe srl e l’amministrazione comunale di Merate hanno depositato articolate memorie chiedendo la integrale reiezione del gravame perché infondato.

Alla odierna pubblica udienza del 16 ottobre 2012 la causa è stata posta in decisione dal Collegio.

 

DIRITTO

1.Viene alla decisione del Collegio l’ultimo segmento impugnatorio del ricorso suindicato.

1.1. La decisione n. 3300/2012, da intendersi integralmente richiamata in questa sede ha delibato in ordine alla maggior parte delle censure proposte, respingendole.

Quanto alle ulteriori doglianze contenute nell’appello principale, esse riposavano nella censura del capo della impugnata decisione che aveva dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione il motivo di doglianza (n. 14) del mezzo principale teso a stigmatizzare la violazione delle norme in materia di competenza professionale ( in quanto ivi si era sostenuto che il progetto, pur riguardando opere in cemento armato ed incidente su un bene di rilievo artistico era stato redatto da un geometra) e quella relativa alla questione della “autorizzazione” alla copertura del viottolo in acciottolato mediante uno strato di asfalto e quelle attingenti in via autonoma la detta variante del 2009 (oltreché il petitum risarcitorio).

Per completezza, si rammenta che i detti motivi di doglianza,già ritualmente articolati nel mezzo di primo grado, così erano stati sintetizzati dal primo giudice: “(13) violazione di legge ed eccesso di potere; violazione art 159 D. Lvo 42/2004 e della DGR 2121/06; travisamento dei presupposti; difetto di istruttoria e di motivazione; violazione dell’art 873 C.C. e dell’art 18 NTA del PRG: la Commissione ha espresso un parere favorevole sul piano autorimesse, sull’erroneo presupposto che sia interrato.

14) violazione di legge ed eccesso di potere; violazione degli artt. 146 e 159 D. Lvo 42/2004 e della DGE 2121/2006; difetto di motivazione; violazione R.D. 274/1929: l’autorizzazione paesaggistica in variante è priva di motivazione; il progetto è stato redatto da un geometra, pur interessando opere tutelate.”

2. Ritiene il Collegio che la disposta acquisizione istruttoria su tali punti abbia determinato la completezza del materiale processuale sotteso alla causa, e che di conseguenza anche su tali motivi di gravame il processo sia maturo per la decisione, mentre risulta del tutto inaccoglibile la pretesa esposta dall’appellante al punto 1 della memoria datata 30 luglio 2012 volta a riproporre all’attenzione del Collegio la tematica della asserita “infedele ricostruzione”, che risulta invece “coperta” da giudicato in relazione al profilo della tardività riscontrato nella precedente pronuncia della Sezione.

3. Ciò premesso, l’esame delle censure ancora da decidere muoverà, per comodità espositiva, da quella già contenuta nell’ultima parte del motivo 14 del mezzo di primo grado e relativa alla dedotta “incompetenza” del geometra *******, che ha redatto il progetto.

3.1. Essa è solo parzialmente fondata.

Si rammenta in proposito che della censura predetta è stata dichiarata la inammissibilità alla stregua della considerazione per cui la originaria parte ricorrente non avrebbe avuto “alcuna legittimazione a sollevare la censura, che, vertendo in materia di competenze professionali, può essere proposta solo da un soggetto qualificato.”.

La statuizione di totale inammissibilità è errata e va rimossa.

Stabilisce infatti il Regio decreto 11 febbraio 1929, n. 274, all’art. 16 che: “L’oggetto ed i limiti dell’esercizio professionale di geometra sono regolati come segue:

a) operazioni topografiche di rilevamento e misurazione, di triangolazioni secondarie a lati rettilinei e di poligonazione, di determinazione e verifica di confini; operazioni catastali ed estimi relativi;

b) operazioni di tracciamento di strade poderali e consorziali ed inoltre, quando abbiano tenue importanza, di strade ordinarie e di canali di irrigazione e di scolo;

c) misura e divisione di fondi rustici;

d) misura e divisione di aree urbane e di modeste costruzioni civili;

e) stima di aree e di fondi rustici, anche ai fini di mutui fondiari e di espropriazione, stima dei danni prodotti ai fondi rustici dalla grandine o dagli incendi, e valutazione di danni colonici a culture erbacee, legnose, da frutto, da foglia e da bosco. È fatta eccezione per i casi di notevole importanza economica e per quelli che, per la complessità di elementi di valutazione, richiedano le speciali cognizioni scientifiche e tecniche proprie dei dottori in scienze agrarie;

f) stima, anche ai fini di mutui fondiari e di espropriazione, di aree urbane e di modeste costruzioni civili; stima dei danni prodotti dagli incendi;

g) stima di scorte morte, operazioni di consegna e riconsegna dei beni rurali e relativi bilanci e liquidazioni; stima per costituzione ed eliminazione di servitù rurali; stima delle acque irrigue nei rapporti dei fondi agrari serviti. È fatta eccezione per i casi di notevole importanza economica e per quelli che, per la complessità di elementi di valutazione, richiedano le speciali cognizioni scientifiche e tecniche proprie dei dottori in scienze agrarie;

h) funzioni puramente contabili ed amministrative nelle piccole e medie aziende agrarie;

i) curatele di piccole e medie aziende agrarie, in quanto non importino durata superiore ad un anno ed una vera e propria direzione tecnica; assistenza nei contratti agrari;

l) progetto, direzione, sorveglianza e liquidazione di costruzioni rurali e di edifici per uso d’industrie agricole, di limitata importanza, di struttura ordinaria, comprese piccole costruzioni accessorie in cemento armato, che non richiedono particolari operazioni di calcolo e per la loro destinazione non possono comunque implicare pericolo per la incolumità delle persone; nonché di piccole opere inerenti alle aziende agrarie, come strade vicinali senza rilevanti opere d’arte, lavori d’irrigazione e di bonifica, provvista d’acqua per le stesse aziende e riparto della spesa per opere consorziali relative, esclusa, comunque, la redazione di progetti generali di bonifica idraulica ed agraria e relativa direzione;

m) progetto, direzione e vigilanza di modeste costruzioni civili;

n) misura, contabilità e liquidazione delle costruzioni civili indicate nella lettera m) ;

o) misura, contabilità e liquidazione di lavori di costruzioni rurali sopra specificate;

p) funzioni peritali ed arbitramentali in ordine alle attribuzioni innanzi menzionate;

q) mansioni di perito comunale per le funzioni tecniche ordinarie nei Comuni con popolazione fino a diecimila abitanti, esclusi i progetti di opere pubbliche d’importanza o che implichino la risoluzione di rilevanti problemi tecnici.” .

Circa la legittimazione a sollevare la relativa eccezione, ritiene il Collegio che essa sussistesse pienamente in capo alla odierna appellante – titolare di immobile limitrofo a quello per cui è causa- con esclusivo riferimento alla circostanza che si trattava di opere in cemento armato.

Si rileva in proposito che sia il Consiglio di Stato (“ e’ affetto da nullità il contratto di prestazione d’opera che affidi a un geometra calcoli in cemento armato e ciò anche ove il compito, limitatamente a quelle strutture, venga poi svolto da un professionista abilitato, che ne sia stato officiato dall’originario incaricato; è irrilevante, a tali fini, che l’incarico sia distinto per le parti in conglomerato e non sia stato subdelegato dal geometra, ma conferito direttamente dal committente stesso a un ingegnere o architetto, in quanto non è consentito neppure al committente scindere dalla progettazione generale quella relativa alle opere in cemento armato poiché non è possibile enucleare e distinguere un’autonoma attività, per la parte di tali lavori, riconducibile ad un ingegnere o ad un architetto -il che appare senz’altro esatto, poiché chi non è abilitato a delineare l’ossatura, neppure può essere ritenuto in grado di dare forma al corpo che deve esserne sorretto-;”Consiglio Stato , sez. V, 28 aprile 2011 , n. 2537) che la Corte di Cassazione (Cassazione civile , sez. II, 07 settembre 2009 , n. 19292 : “ i limiti posti dall’art. 16, lett. m r.d. 11 febbraio 1929 n. 274 alla competenza professionale dei geometri rispondono ad una scelta inequivoca del legislatore, dettata da evidenti ragioni di pubblico interesse, che lascia all’interprete ristretti margini di discrezionalità, attinenti alla valutazione dei requisiti della modestia della costruzione, della non necessità di complesse operazioni di calcolo e dell’assenza di implicazioni per la pubblica incolumità, indicando invece un preciso requisito, ovverosia la natura di annesso agricolo dei manufatti, per le opere eccezionalmente progettabili dai predetti tecnici anche nei casi di impiego di cemento armato. È pertanto esclusa la possibilità di un’interpretazione estensiva o “evolutiva” di tale disposizione, che, in quanto norma eccezionale, non si presta ad applicazione analogica, non potendosi pervenire ad una diversa conclusione neppure in virtù delle norme – art. 2 l. 5 novembre 1971 n. 1086 e art. 17 l. 2 febbraio 1974 n. 64 – che disciplinano le costruzioni in cemento armato e quelle in zone sismiche, in quanto le stesse richiamano i limiti delle competenze professionali stabiliti per i geometri dalla vigente normativa professionale”)hanno a più riprese affermato che le disposizioni in materia di competenza professionale dei geometri rispondono ad esigenze di pubblico interesse a tutela della pubblica incolumità.

L’appellante, in quanto titolare di una abitazione ubicata nelle immediate vicinanze del plesso in costruzione aveva quindi immediato e diretto interesse a sollevare la relativa eccezione in considerazione dei profili di salvaguardia della incolumità.

Il motivo di ricorso di primo grado riproposto in appello doveva essere dichiarato ammissibile, pertanto, in parte qua.

Non ad identiche considerazioni può pervenirsi per ciò che concerne la supposta “incompetenza” motivata con riferimento alla circostanza che le aree insistevano su zona soggetta a vincolo laddove, all’evidenza, non sussistono problematiche di possibile compromissione investente profili di pubblica incolumità ed è carente il diretto ed immediato interesse dell’appellante a sollevare la detta eccezione, per cui la statuizione di inammissibilità del mezzo di primo grado sul punto deve essere confermata.

Rimossa la – per le già chiarite ragioni, e nei ristretti termini sopra individuati- statuizione di inammissibilità, pertiene al Collegio il compito di vagliare il merito della doglianza (è appena il caso di precisare che all’erronea declaratoria della inammissibilità dell’impugnazione non segue l’annullamento con rinvio della appellata decisione, non ricorrendo l’ipotesi di “difetto di procedura o vizio di forma” di cui all’art. 35 della legge n. 1034/1971 – oggi: art. 105 c.p.a.; per il passato, si veda, ex multis, sul punto Consiglio di Stato , sez. V, 23 aprile 1998, n. 474).

Resta in proposito, quindi, da interrogarsi in ordine alla fondatezza del motivo e alla refluenza dello stesso sulla variante autorizzata.

3. 2 Ritiene sul punto il Collegio che la doglianza tesa a sostenere la complessiva illegittimità della variante e del permesso di costruire del 2009 a cagione della riscontrata “incompetenza professionale” del progettista sia infondata.

Risulta dagli atti di causa, infatti, che il progetto di variante venne corredato da relazione sui calcoli svolta da un ingegnere a ciò abilitato.

E’ noto al Collegio – che lo condivide – l’orientamento di recente affermato da questo Consiglio di Stato sez. V, 28 aprile 2011 , n. 2537 e prima riportato

Tale principio – che si attaglia a perfezione alla odierna vicenda processuale – esclude quindi il rilievo sotto il profilo privatistico dell’avvenuto espletamento del calcolo da parte dell’ingegnere abilitato e si inquadra, confermandolo ed ampliandolo, nel consolidato filone giurisprudenziale secondo il quale “qualora il rapporto professionale abbia avuto ad oggetto una costruzione per civili abitazioni, è affetto da nullità il contratto anche relativamente alla direzione dei lavori affidata a un geometra, quando la progettazione – richiedendo l’adozione anche parziale dei calcoli in cemento armato – sia riservata alla competenza degli ingegneri.” (Cassazione civile , sez. II, 26 luglio 2006 , n. 17028, ma anche Cassazione civile , sez. II, 15 febbraio 1996 , n. 1157 che afferma in tali casi “la conseguenza della nullità del rapporto tra il geometra ed il cliente.”).

Senonchè non può trarsi dalla nullità del contratto d’opera professionale sotteso, la conseguenza indefettibile della illegittimità del titolo abilitativo rilasciato.

Invero costituisce approdo condiviso in giurisprudenza quello per cui “è legittimo l’annullamento mediante esercizio del potere di autotutela di una concessione edilizia in ragione dell’incompetenza del geometra progettista, rilevabile sotto il profilo dell’assenza di abilitazione alla progettazione di costruzioni civili che non siano di modesta entità e che prevedano l’adozione di strutture in cemento armato.”(Consiglio Stato , sez. IV, 22 maggio 2006 , n. 3006).

Si è detto del pari, in passato, che “ non è illegittima la concessione edilizia avente ad oggetto un edificio in cemento armato , rilasciata sulla base di un progetto firmato da un geometra , e controfirmato da un ingegnere limitatamente agli aspetti strutturali del progetto. “(Consiglio Stato , sez. V, 04 giugno 2003 , n. 3068).

La questione quindi va risolta avuto riguardo all’interesse pubblicistico sotteso al riparto di competenza professionale in capo al geometra e quindi, alla possibile sussistenza di pericoli per la pubblica incolumità.

Nel caso di specie può convenirsi con parte appellata che la complessiva modestia dell’opera e la circostanza che comunque i calcoli relativi alle opere in cemento armato (sia per ciò che concerne il permesso di costruire che per la variante del 2009) fossero stati redatti da un professionista abilitato consentono di inferire dalla data circostanza la complessiva legittimità del titolo abilitativo in variante.

Appare essenziale in proposito rilevare che, comunque, i calcoli in cemento armato furono svolti; e furono svolti da un ingegnere abilitato, il che in concreto elide il profilo della illegittimità dedotto (pur essendo, come si è prima chiarito, circostanza del tutto neutra con riguardo al sotteso rapporto privatistico tra committente e geometra – elemento quest’ultimo, comunque, che non rileva nel caso di specie in questa sede- ).

Per concludere sul punto: premesso che non può tenersi conto in questa sede delle allusive affermazioni contenute nelle memorie prodotte dal’appellante con le quali si adombra la possibilità che la detta documentazione non sia veridica (si rammenta sul punto che l’appellante non ha impugnato per falsità la detta documentazione e gli atti pubblici alla stessa sottesi, anche con riguardo al momento di presentazione della stessa, e non rileva sotto il profilo sostanziale che la stessa non avesse avuto conoscenza, in passato, della detta comunicazione, mentre costituisce incongruenza non decisiva la circostanza che il nominativo della impresa costruttrice indicato fosse diverso, perché ciò che è decisivo è che i calcoli si riferiscano alle opere per cui è causa ) si deve marcare una netta distinzione tra la nullità del contratto affidato al professionista (geometra) non abilitato e la supposta illegittimità del titolo abilitativo formato su progetto “redatto” dal professionista incompetente.

Con riferimento a tale ultimo profilo (che è quello che maggiormente, se non unicamente, rileva in questa sede) la – per le già chiarite ragioni incontestabile in punto di fatto- circostanza che il progetto fosse accompagnato dai calcoli in c.a. redatti da professionista a ciò abilitato, in uno con la modestia complessiva dell’opera in variante (si rammenta che la finalità della disposizione sulla competenza professionale dei geometri è diretta a prevenire problematiche di tutela della pubblica incolumità, palesemente non sussistenti nel caso di specie) milita per la esclusione di profili di illegittimità della variante medesima, trattandosi di una irregolarità formale non investente profili di natura sostanziale.

4.Passando adesso ad esaminare le residue doglianze proposte in appello, non ritiene il Collegio sia accoglibile quella, più radicale, postulante la illegittimità della intera variante del 2009 in quanto asseritamente resa in violazione della DGR 2121/06 e carente di motivazione ed istruttoria.

Non ritiene il Collegio che essa meriti positiva delibazione alla stregua delle seguenti considerazioni.

Il deficit di istruttoria e motivazione lamentato non sussiste in quanto – al di là di labiali affermazioni – non è stato evidenziato il supposto contrasto con la delibera regionale.

Per altro verso, come già rilevato dal primo giudice, nell’autorizzazione viene richiamato il parere sulla compatibilità delle opere in variante con il vincolo espresso dalla Commissione competente : né, avuto riguardo che trattasi di variante relativa a pregresso progetto miglior sorte ha la tesi secondo cui vi sarebbe stata una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi ( in quanto le opere non sarebbero interamente interrate) in quanto è stato già accertato che la modifica al piano autorimesse e non aveva inciso sulla loro collocazione, né a seguito dei lavori “nuovi” autorizzati in variante le autorimesse stesse avevano superato la quota di terreno.

La eventuale lamentata violazione al più sarebbe stata conseguenza del titolo edilizio originario e non già della variante che conseguentemente, anche sotto tale profilo va dichiarata immune dal lamentato vizio.

5. Resta da vagliare la censura attingente la già più volte citata variante ed il permesso di costruire del 2009 sotto il profilo della “autorizzazione” alla esecuzione di opere relative alla via San Giuseppe ed all’acciottolato ivi insistente (id est: la questione della asfaltatura provvisoria della via e della ripavimentazione della stessa con acciottolato) ed alla carenza di autorizzazione paesaggistica sul punto.

Si rammenta in proposito che il permesso di costruire rilasciato in variante conteneva la dicitura “con il presente atto si autorizza altresì la stesura sulla strada di accesso (via San Giuseppe) di uno strato di asfalto dello spessore di circa cm 10 a carattere provvisorio per la durata del cantiere ed a condizione che a lavori ultimati venga rimosso l’asfalto e rifatta completamente la via San Giuseppe pavimentando la stessa con ciottoli come l’esistente”.

Per l’esecuzione di dette opere (chiaramente strumentali al cantiere, comunque) non venne rilasciata autorizzazione paesaggistica.

I quesiti cui occorre fornire risposta sono essenzialmente due.

Il primo può essere così sintetizzato: nella incontestata considerazione che la strada in acciottolato suindicato rientrava tra i manufatti soggetti a vincolo paesaggistico sarebbe stato necessario che venisse chiesta – e rilasciata – la autorizzazione paesaggistica per tali opere?

In ipotesi di risposta positiva al primo quesito occorre ulteriormente chiedersi se – come dedotto da parte appellata – possa spiegare effetto ( al fine di escludere la parziale illegittimità del permesso di costruire rilasciato in carenza di preventiva autorizzazione della Soprintendenza )l ‘autorizzazione paesaggistica rilasciata successivamente ( nelle more del processo di appello e successivamente alla sentenza di primo grado) in data 27 luglio 2011 e rimasta comunque inimpugnata.

5.1.Quanto al primo versante di indagine, ritiene il Collegio che sebbene strumentali e “temporalmente precarie” le opere in oggetto (stesura nastro d’asfalto e rifacimento mediante ripavimentazione in acciottolato) necessitassero del preventivo rilascio di autorizzazione paesaggistica.

Non si ritiene sul punto di doversi discostare dagli approdi della copiosa giurisprudenza – anche penalistica- che ha stabilito che “in tema di reati edilizi e paesaggistici, è necessaria ‘autorizzazione paesaggistica anche per i lavori di demolizione e ricostruzione di un immobile in zona sottoposta a vincolo che rispettino la precedente volumetria e destinazione d’uso.(Cassazione penale , sez. III, 24 ottobre 2008 , n. 45072).

Sostanzialmente ci si trova al cospetto di un rifacimento di un bene tutelato (tale ultima circostanza è incontroversa) e tale attività di trasformazione e ripristino doveva essere assistita dal relativo titolo (“rientrano nella previsione delle norme urbanistiche e richiedono la concessione dell’autorità comunale non solo i manufatti tradizionalmente compresi nelle attività murarie, ma anche le opere di qualsiasi genere con cui si operi nel suolo, mirando le norme urbanistiche alla tutela complessiva ed armonica dell’ambiente e dei centri abitati, nonché di una serie di interessi collettivi artistici, architettonici, geologici, ecc.- nella specie, è stata ritenuta illegittima l’apertura di una strada di accesso al mare, realizzata in zona paesaggistica , attraverso lo spianamento di rocce, mirante allo scopo di assicurare il ricovero dei natanti ed il passaggio diretto ad essi ed è stata esclusa l’applicabilità dell’amnistia-.“- Cassazione penale , sez. III, 18 maggio 1979 -).

La circostanza che – sia pure ex post, nel 2011- sia stata effettivamente rilasciata l’autorizzazione paesaggistica proprio con riferimento a dette opere comprova vieppiù detta prospettazione (poiché altrimenti argomentando, all’evidenza, si sarebbe dovuto dichiarare il non luogo a provvedere sulla detta istanza).

Il permesso di costruire rilasciato nel 2009 contiene quindi una illegittimità, quanto a detta prescrizione.

5.1.1. Tuttavia detto vizio (che comunque dovrà essere preso in esame in chiave risarcitoria) risulta “sanato” dal rilascio ex post del titolo abilitativo paesaggistico, posto che l’autorizzazione rilasciata nel 2011 dall’Autorità tutoria – che pure di regola deve precedere (in quanto atto lato sensu di controllo dell’impatto dei lavori sui valori paesaggistici tutelati) e non già seguire il titolo abilitativo edilizio- non è stata gravata.

Non risultando la stessa affetta da alcun vizio di nullità (ma semmai da mera illegittimità quanto al momento di emissione della stessa e la incidenza sull’atto presupposto) in carenza di impugnativa non potrebbe dichiararsene il relativo vizio e la inincidenza sul rilasciato permesso di costruire (si veda sul punto la disposizione di cui all’art. 164 del d.lg. n. 42 del 2004).

6. Nei termini di cui alla motivazione che precede e con le precisazioni sinora svolte con riguardo alla legittimazione a sollevare le doglianze con riguardo alla progettazione delle opere in c.a. l’appello va pertanto respinto, quanto alle censure sostanziali.

6. Spetta adesso al Collegio di prendere in esame il petitum risarcitorio (disatteso dal primo giudice a cagione della circostanza che in primo grado venne dichiarato inammissibile il ricorso).

A tal proposito, si rammenta che l’appellante ha proposto azione risarcitoria sia in forma specifica che per equivalente e che, con la memoria depositata il 30 luglio 2010, questi ha “ampliato” detto petitum sostenendo che l’esame del Collegio dovrebbe essere esteso (rectius: rimanere esteso, come già sostenutosi nella memoria di primo grado) alla intera vicenda processuale ,ivi compresi i profili di danno afferenti alle dedotte illegittimità ipotizzate con i motivi di censura dichiarati irricevibili perché tardivi.

Ad avviso dell’appellante, insomma, la domanda risarcitoria dovrebbe essere vagliata complessivamente, rinvenendo quali elementi fondanti della stessa anche le censure con le quali erano state dedotte illegittimità non esaminate nel merito in quanto anche in appello dichiarate tardive.

6.1. Al fine di perimetrare i profili del petitum che il Collegio ritiene di dovere esaminare è opportuno affermare immediatamente che detta tesi non coglie nel segno, per più ordini di ragioni.

6.2. Innanzitutto essa , sebbene formalmente si limiti a “puntualizzare” la qualificazione della domanda risarcitoria proposta, costituisce, nella sostanza, domanda “nuova” rispetto ai motivi contenuti nel ricorso in appello e come tale inammissibile.

Si rammenta infatti che anche in primo grado ( con statuizione confermata in appello) talune delle domande e doglianze presentate furono dichiarate tardive e quindi inammissibili. Al contempo, il primo giudice non si pronunciò espressamente sulla domanda risarcitoria, avendo all’evidenza ritenuto che – stante la articolazione del mezzo di primo grado, in cui il risarcimento era stato prospettato come conseguenza della dedotta illegittimità – la statuizione di inammissibilità precludesse l’esame del petitum risarcitorio.

Parte appellante non ha provveduto ad articolare il corrispondente motivo del ricorso in appello affermando il dovere del giudice di primo grado di vagliare il petitum risarcitorio anche per i profili di lesività dichiarati inammissibili in quanto tardivamente proposti (né ha censurato ex art. 112 cpc la sentenza di primo grado laddove aveva del tutto omesso di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria -non soltanto per ciò che concerne i lamentati profili di illegittimità dichiarati infondati, ma anche per quelle doglianze non esaminate nel merito perché inammissibili-).

Sostanzialmente, in carenza di autonomo motivo di gravame, la riperimetrazione (mercè memoria depositata nel luglio del 2010) della domanda risarcitoria articolata nell’appello, laddove si afferma che essa doveva intendersi proposta anche in via “autonoma” integra nuova ed autonoma domanda (si rammenta sul punto: “va considerato inammissibile la domanda di risarcimento dei danni formulata per la prima volta in sede di memoria conclusiva, neppure notificata alle controparti. Cons. Stato Sez. IV Sent., 08-08-2008, n. 3923).

Quindi, anche, infatti, a volere considerare l’istanza risarcitoria contenuta nel mezzo di primo grado (e reiterata in appello) quale domanda “autonoma” (del tipo descritto ai sensi del – sopravvenuto rispetto al momento di proposizione del ricorso- comma 3 dell’art. 30 del codice del processo amministrativo) risulta inaccoglibile in concreto la pretesa dell’appellante a vedere esaminati (e valutati) i profili di danno sottesi alle illegittimità lamentate con i motivi di gravame dichiarati tardivi, in quanto la stessa avrebbe dovuto censurare (anche, eventualmente, in via subordinata)la sentenza di primo grado che non provvide a tale “riqualificazione” (si rimarca nuovamente che la sentenza del primo giudice nulla statuì in punto di risarcimento).

In carenza del corrispondente motivo di appello la domanda non sarebbe esaminabile dalla Sezione.

6.3. Ma anche a voler prescindere da tale radicale constatazione (tenendo conto che la sentenza di primo grado intervenne in un momento storico in cui erano lungi dall’essere superate le perplessità dottrinarie e giurisprudenziali in punto di autonomia assoluta della domanda risarcitoria e di insussistenza della necessità condizionante della previa emissione di statuizione demolitoria) e passando ad esaminare il merito del petitum risarcitorio articolato, la tesi in ultimo sostenuta dall’appellante appare radicalmente infondata.

Ciò perché, comunque, l’appellante avendo proposto domanda demolitoria, all’evidenza avrebbe avuto interesse ad ottenere restaurazione del proprio interesse in via specifica.

Detta restaurazione non ha potuto avere luogo (rectius: è stato impossibile esaminare il merito del petitum ed eventualmente, una volta acclaratane la fondatezza, procedere ad emanare una statuizione demolitoria attingente i titoli abilitativi gravati) a cagione della tardività della domanda annullatoria proposta.

E’ ben vero che, trattandosi di ricorso proposto ( esso fu notificato in data 25 febbraio 2009) antecedentemente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (il 16 settembre 2010 ex art. 2 del d.Lvo n. 104/2010) non può affermarsi che la domanda risarcitoria in via autonoma avrebbe dovuto rispettare il termine decadenziale di 120 giorni ivi previsto al comma 3 dell’art. 30 (essendo palese la innovatività quantificatoria della detta prescrizione normativa).

Ed è ben vero che, dovendosi per le già chiarite ragioni affermare che il petitum risarcitorio avrebbe potuto essere proposto (in carenza di previsione normativa decadenziale) nel termine prescrizionale, esso è tempestivo.

Senonchè, costituisce approdo pienamente condiviso dal Collegio quello per cui il principio (ormai espressamente codificato nell’ultima parte del comma 3 dell’art. 30: “in tema di responsabilità civile della P.A. l’art. 30, comma 3, CPA pur non richiamando espressamente l’art. 1227, comma 2, c.c. ne recepisce in sostanza il principio informatore allorché afferma che l’omessa attivazione da parte dell’interessato degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della riduzione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza, in una logica che vede l’omessa impugnazione dell’atto lesivo non più come preclusione del rito, ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio della sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile.” -T.A.R. Puglia Lecce Sez. I, 07-06-2012, n. 1053- ) di cui al comma 2 dell’art. 1227 del codice civile debba applicarsi anche alle domande risarcitorie proposte antecedentemente alla sua espressa codificazione , essendosi condivisibilmente affermato che “in tema di responsabilità civile della P.A., la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento amministrativo e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, oggi sancita dall’art. 30, comma 3, CPA (d.lgs. n. 104/2010), deve ritenersi ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un’interpretazione evolutiva del comma 2, art. 1227 c.c. Pertanto l’omessa attivazione degli strumenti di tutela costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza, non più come preclusione di rito, ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile” (Cons. Stato Sez. IV, 26-03-2012, n. 1750 , ma anche T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. I, 08-05-2012, n. 426).

In particolare, – premesso che sull’applicabilità del disposto di cui all’art. 1227 cc alle domande risarcitorie proposte innanzi alla giurisdizione amministrativa era già stata raggiunta in passato una sostanziale concordanza di opinioni (ex multis: Cons. Stato Sez. VI, 24-09-2010, n. 7124, ma anche Cons. Stato Sez. VI, 22-10-2008, n. 5183 ) – con una recente pronuncia questo Consiglio di Stato ha affermato che “proposta domanda risarcitoria dinanzi al Giudice Amministrativo, e pur nella piena autonomia di tale azione rispetto a quella diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità dell’atto amministrativo dal quale trae origine il preteso danno, ai fini della verifica in ordine alla sussistenza del nesso di causalità, occorre accertare se la domanda di risarcimento sia da dichiararsi comunque infondata a causa della rilevanza sostanziale, sul versante causale, della mancata impugnazione dell’atto lesivo, da considerarsi come fatto valutabile ai sensi dell’art. 1227 c.c. al fine di escludere la risarcibilità dei danni che, secondo un giudizio causale ipotetico prognostico, sarebbero stati evitati attraverso una tempestiva impugnazione ed una richiesta cautelare di sospensione dell’atto lesivo. All’uopo deve, tuttavia, rilevarsi come non sia esigibile, affinché il comportamento del creditore possa intendersi conforme all’ordinaria diligenza, il necessario esperimento da parte sua degli ordinari rimedi giurisdizionali di impugnazione, in quanto ciò sarebbe contrario alla ratio della norma di cui all’art. 30, c.p.a. (D.Lgs. n. 104 del 2010) che ha escluso la necessità di previa impugnazione dell’atto ai fini dell’ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno patrimoniale, nonché alla lettera del comma terzo, che chiaramente si riferisce a strumenti di tutela, non già di tutela giurisdizionale e comunque non li considera ineluttabili. In circostanze siffatte, dunque, è sufficiente che l’Amministrazione sia stata messa in condizione, tramite un apposito “avviso di danno” consistente nell’invito all’autotutela, di ritornare sul proprio atto, assolvendo, in un regime di risarcibilità della lesione dell’interesse legittimo, l’obbligo ( o, meglio, l’onere) di annullamento d’ufficio dell’atto illegittimo, al fine di evitare di incorrere nella condanna al risarcimento del danno anche per le spese ulteriori sostenute dal privato.” (Cons. Stato Sez. V, 29-11-2011, n. 6296).

Sotto altro profilo, ed in ogni caso, è stato chiarito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che “i principi del nuovo codice del processo amministrativo, in coerenza con la delega (art. 44, comma 2, lett. b, n. 4, legge n. 69/2009) sono applicabili anche ai processi in corso e consentono di superare la limitazione della tutela dell’interesse legittimo al modello impugnatorio, ammettendo azioni tese al conseguimento di pronunce dichiarative, costitutive e di condanna a tutela del cittadino. Di qui, la trasformazione del giudizio amministrativo, da giudizio sulla legittimità dell’atto, a giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata. Nel merito, il risarcimento è negato applicando il principio della causalità ipotetica, previsto dall’art. 1227, comma 2, c.c., perché con la tempestiva utilizzazione dei rimedi previsti il privato avrebbe evitato il pregiudizio lamentato.”Cons. Stato (Ad. Plen.), 23-03-2011, n. 3

Più in dettaglio, è stato nell’occasione rimarcato che nelle controversie alle quali non si applica il c.p.a. la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo può essere ritenuto un comportamento contrario a buona fede nell’ipotesi in cui si appuri che una tempestiva reazione avrebbe evitato o mitigato il danno. La scelta di non avvalersi della forma di tutela specifica e non (comparativamente) complessa che, grazie anche alle misure cautelari previste dall’ordinamento processuale, avrebbe plausibilmente (ossia più probabilmente che non) evitato, in tutto o in parte il danno, integra violazione dell’obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l’effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile. Detta omissione, apprezzata congiuntamente alla successiva proposizione di una domanda tesa al risarcimento di un danno che la tempestiva azione di annullamento avrebbe scongiurato, rende configurabile un comportamento complessivo di tipo opportunistico che viola il canone della buona fede e, quindi, in forza del principio di auto-responsabilità cristallizzato dall’art. 1227, comma 2, c.c., implica la non risarcibilità del danno evitabile.(Cons. Stato, Ad. Plen, 23-03-2011, n. 3).

L’applicazione del predetto canone valutativo (che va ovviamente esteso – stante la evidente eadem ratio- alla fattispecie in cui il gravame demolitorio era inammissibile per tardività) consente di affermare che per i profili di danno sottesi ai vizi discendenti dalle supposte illegittimità del permesso di costruire rilasciato nel 2008 (e per i vizi da questi derivati attingenti la variante ed il permesso di costruire del 2009) e dichiarati irricevibili, la pretesa dell’appellante sia infondata.

E ciò avuto riguardo alla circostanza dell’ampio arco temporale intercorso tra la percezione della lesività discendente dall’avvenuta demolizione dell’immobile, e l’attivazione dei rimedi demolitori avverso il permesso di costruire del 2008 ( ciò include, ovviamente, le censure dichiarate tardive in quanto attingenti per invalidità derivata la variante del 2009).

Si ribadisce in proposito che il nudo proprietario dell’immobile non propose alcun ricorso giurisdizionale amministrativo, mentre l’usufruttuaria odierna appellante propose il mezzo di primo grado soltanto nel 2009, sebbene al più tardi nel maggio 2008 dall’avvenuta demolizione e dallo scavo insistente sul sito fosse ben percepibile la (asserita) lesività del manufatto, soprattutto con riguardo alla disciplina delle distanze che costituisce il principale, se non unico, profilo di danno lamentato (l’attività di ricostruzione è avvenuta nel maggio 2008 e da tale data si poteva evincere la collocazione dell’immobile e quindi l’eventuale violazione delle distanze)..

Se la vicenda processuale per cui è causa fosse maturata integralmente sotto l’usbergo della disciplina di cui all’art. 30 comma 3 del codice del processo amministrativo, l’azione risarcitoria (qualificata come) “autonoma” intentata dall’appellante avrebbe dovuto essere dichiarata tardiva perché proposta ben oltre i 120 giorni dalla percezione del fatto lesivo.

Come si è chiarito, l’art. 30 comma 3 del cpa non governa l’odierna vicenda processuale ed il petitum risarcitorio autonomo poteva essere proposto nel termine prescrizionale: senonché appare evidente che la tardiva proposizione da parte dell’appellante del gravame demolitorio ha inciso radicalmente, sotto il profilo causale, nella ipotetica verificazione dell’illecito e nella sussistenza di un danno risarcibile.

Gli asseriti danni alla stessa arrecati discendenti dalla ipotetica illegittimità degli atti tardivamente avversati (e riposanti nella violazione del regime delle distanze, mentre, non risulta altrimenti provato né dedotto, se non labialmente, alcun deprezzamento dell’immobile dalla stessa “posseduto” a titolo di usufrutto “imputabile” ad altre ragioni) avrebbero potuto essere integralmente evitati da una statuizione demolitoria conseguente ad un gravame tempestivamente proposto: il nesso di causalità tra (asserito) fatto illecito discendente dalla emanazione di atti (asseritamente) illegittimi e danno lamentato è all’evidenza eliso in nuce, e ciò esonera il Collegio dall’esame, in chiave risarcitoria, delle doglianze proposte in chiave demolitoria dichiarate irricevibili.

7. Proseguendo nell’esame del petitum risarcitorio, va esclusa, ovviamente, la fondatezza della proposta domanda con riguardo alle doglianze in ordine alle quali è stata disposta ordinanza istruttoria e delle quali è stata esclusa la fondatezza nei capi precedenti della presente decisione: l’annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento illegittimo costituisce condizione –sebbene non sufficiente, isolatamente considerata- comunque imprescindibile per l’attribuzione della tutela risarcitoria (sulla circostanza che la accertata illegittimità del provvedimento/atto impugnato costituisca precondizione necessaria ancorché isolatamente considerata non sufficiente per l’attribuzione di tutela risarcitoria, si veda, ex multis, ( Consiglio Stato , sez. IV, 01 ottobre 2007, n. 5052).

La riscontrata legittimità dell’azione amministrativa quanto alle censure vagliate esclude la fondatezza del detto petitum (relativamente alle doglianze stesse,ovviamente).

8. L’unico elemento sostanziale quindi esaminabile in chiave risarcitoria dal Collegio afferisce alla problematica del permesso di costruire in variante rilasciato nel 2009 limitatamente all’assenza di preventivo nulla osta paesaggistico afferente l’attività di copertura con asfalto e rifacimento del vialetto.

8.1. A tale proposito,il Collegio non intende discostarsi dalla costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale “il danno da alterazione delle bellezze naturali di luoghi sottoposti a tutela ambientale è in re ipsa solo se lamentato dalla pubblica amministrazione, per espressa disposizione di legge. Il privato che affermi di aver subito un danno nel godimento del proprio fondo, sottoposto a tutela, in virtù degli illeciti edilizi eseguiti sul fondo del vicino grazie ad autorizzazioni illegittimamente concesse, è tenuto invece a dimostrare l’esistenza e l’entità del danno . – nella specie, l’azione di risarcimento danni proposta contro un sindaco, condannato nel giudizio penale anche al pagamento di una provvisionale, è stata rigettata perché priva di prova del pregiudizio concretamente arrecato al fondo dell’attore dalle costruzioni abusive erette sul terreno confinante ed a distanza significativa dal confine-“.(Cass. civ. Sez. III, 21-03-2008, n. 7695).

Si è detto in passato, in particolare, che “la realizzazione di opere (nella specie, garage con parete appoggiata al muro di cinta appartenente al proprietario del fondo confinante ) in violazione di norme di tutela ambientale , recepite negli strumenti urbanistici, anche se non contrastanti con le prescrizioni comunali in materia di distanze, non comporta un immediato e contestuale danno per i vicini, il cui diritto al risarcimento presuppone l’accertamento del nesso tra la violazione contestata ed il pregiudizio effettivamente subito. La prova di tale pregiudizio – limitato a quei danni che il terreno adiacente all’immobile ove si è commesso l’illecito, subisce in termini di amenità, comodità, tranquillità e per la riduzione di aria, luce e vista – deve essere fornita dall’interessato in modo preciso non solo con riferimento alla sussistenza del danno, ma anche alla entità dello stesso.”(Cass. civ. Sez. II, 23-02-1999, n. 1513)

Nel caso di specie, ictu oculi, è carente la prova di qualsivoglia danno (peraltro neppure labialmente affermato con specifico riferimento alle opere che hanno interessato la via pubblica San Giuseppe) arrecato all’appellante mercé le opere in oggetto, sol che si consideri che le stesse, seppure ex post, hanno ricevuto l’avallo dell’organo tutorio, di guisa che – anche ammesso che l’appellante avesse una posizione differenziata e particolare tale da conferirle legittimazione a dolersi in via immediata e diretta del danno “ambientale” arrecato dai lavori predetti, ed anche ammesso che avesse fornito un principio di prova in ordine alla incidenza di dette opere sull’immobile di propria pertinenza, tale da averne cagionato un depauperamento od un deprezzamento- la inesistenza di compromissione ai valori ambientali/paesaggistici sottesi alla prescrizione vincolistica elide in radice la possibilità di ravvisare un pregiudizio matrimonialmente risarcibile.

9. Tutti gli argomenti di doglianza e le eccezioni non espressamente esaminate (ivi compresa quella di parte appellata incentrata sul disposto di cui all’art. 17 della legge regionale della Lombardia n. 7 del 18 aprile 2012: “in relazione agli interventi di ristrutturazione edilizia oggetto della sentenza della Corte Costituzionale del 21 novembre 2011, n. 309, al fine di tutelare il legittimo affidamento dei soggetti interessati, i permessi di costruire rilasciati alla data del 30 novembre 2011 nonché le denunce di inizio attività esecutive alla medesima data devono considerarsi titoli validi ed efficaci fino al momento della dichiarazione di fine lavori, a condizione che la comunicazione di inizio lavori risulti protocollata entro il 30 aprile 2012.” ) sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

 

10.Conclusivamente, definitivamente pronunciando sulle residue censure contenute nel ricorso in appello, le stesse devono essere disattese nei termini di cui alla motivazione che precede.

11.La particolare complessità delle questioni esaminate e la circostanza che la sentenza è stata corretta laddove aveva affermato la inammissibilità di un motivo di censura prospettato in primo grado impone la integrale compensazione delle spese processuali sostenute dalle parti.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, numero di registro generale 7754 del 2010come in epigrafe proposto,lo respinge nei termini di cui alla motivazione.

Spese processuali compensate .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2012

Redazione