Permesso di costruire: il termine di impugnazione da parte del proprietario confinante decorra di regola dalla data di ultimazione dei lavori (Cons. Stato, n. 1904/2013)

Redazione 05/04/13
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FATTO

Il Comune di Costigliole d’Asti ha impugnato la sentenza con la quale il T.A.R. del Piemonte, accogliendo il ricorso proposto dal prof. *********, ha annullato due concessioni edilizie ed un’autorizzazione edilizia in sanatoria rilasciate dallo stesso Comune, tra il 2000 e il 2001, a favore del signor ********** per interventi realizzati su immobili di proprietà di quest’ultimo.

L’appello risulta affidato ai seguenti motivi:

1) errore di motivazione della sentenza di primo grado, con riferimento al rigetto della eccezione di tardività del ricorso (stante la dimostrata piena conoscenza dei titoli abilitativi impugnati in primo grado ben prima del sessantesimo giorno antecedente la notifica del ricorso);

2) eccesso di potere giurisdizionale; difetto ed errore di motivazione della sentenza di primo grado (in relazione all’integrazione del thema decidendum compiuta dal primo giudice con riguardo alla ritenuta violazione dell’art. 9.2 delle N.T.A. del P.R.G. comunale);

3) eccesso di potere giurisdizionale; difetto ed errore di motivazione della sentenza di primo grado, sotto diverso profilo; violazione dell’art. 654 cod. proc. pen. (con riferimento all’inammissibile impiego da parte del T.A.R. delle risultanze di perizie redatte in diverso procedimento penale);

4) eccesso di potere giurisdizionale; difetto ed errore di motivazione della sentenza di primo grado, sotto diverso profilo (con riferimento all’erronea affermazione di applicabilità al caso di specie dell’art. 14 delle N.T.A. della variante al P.R.G. del 1999);

5) eccesso di potere giurisdizionale; difetto ed errore di motivazione della sentenza di primo grado, sotto diverso profilo (con riguardo all’incertezza della disciplina urbanistica applicabile sull’area interessata dall’intervento, e conseguentemente agli interventi consentiti);

6) eccesso di potere giurisdizionale; difetto ed errore di motivazione della sentenza di primo grado, sotto diverso profilo (con riferimento alla qualificazione di risanamento conservativo data dal T.A.R. all’intervento).

Nel costituirsi, l’originario ricorrente prof. *********, oltre a replicare analiticamente ai motivi di gravame, ha proposto appello incidentale avverso la medesima sentenza, deducendo con unico articolato motivo di ricorso: violazione di legge, con riferimento agli artt. 13, 25, 56 della legge regionale 5 dicembre 1977, nr. 56, e con riferimento agli artt. 31 e 48 della legge 5 agosto 1978, nr. 457, nonché con riferimento agli artt. 6, 9, 10, 11 e 15 del Regolamento edilizio vigente, agli artt. 4, 6, tabella 21, delle N.T.A. del P.R.G. vigente e della variante generale nr. 2 adottata il 4 maggio 1999, in salvaguardia, nonché eccesso di potere per travisamento dei fatti ed erronea valutazione dei presupposti, illogicità, difetto e/o insufficienza di istruttoria e di motivazione, dedotta altresì, quale violazione di legge, ai sensi dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, nr. 241 (con riguardo alle caratteristiche degli interventi per cui è causa, i quali andavano qualificati come di nuova costruzione, e pertanto erano radicalmente esclusi dalla disciplina urbanistica vigente).

Le parti hanno affidato a memorie l’ulteriore svolgimento delle rispettive tesi.

All’udienza del 12 marzo 2013, la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Giunge all’attenzione della Sezione il contenzioso relativo all’impugnazione proposta dal prof. ********* avverso i titoli ad aedificandum chiesti e ottenuti dal signor ********** per l’esecuzione di interventi su immobili in sua proprietà, siti in zona agricola nel territorio del Comune di Costigliole d’Asti.

1.1. I titoli in questione sono tre, e segnatamente:

– la concessione edilizia nr. 73 del 28 novembre 2000, avente a oggetto la demolizione di una parte di un edificio preesistente, la manutenzione straordinaria della porzione residua e la realizzazione di “muro controterra con orizzontamento portante per il consolidamento strutturale del fabbricato”;

– la concessione in variante nr. 7 del 1 marzo 2001, relativa alle opere di consolidamento strutturale del medesimo fabbricato;

– l’autorizzazione edilizia in sanatoria nr. 18 del 18 settembre 2001, relativa ai movimenti di terra eseguiti su un’area inedificata vicina a quella interessata dagli interventi assentiti con le predette concessioni.

1.2. Con la sentenza oggi impugnata dal Comune di Costigliole d’Asti, il T.A.R. del Piemonte:

– ha respinto l’eccezione di irricevibilità del ricorso introduttivo sollevata dall’Amministrazione comunale;

– ha qualificato, sulla scorta di due perizie eseguite in un autonomo procedimento penale, come ristrutturazione edilizia l’intervento eseguito sull’ala residenziale dell’edificio preesistente, e come risanamento conservativo quello relativo alla realizzazione del “muro controterra”, ritenendoli entrambi preclusi dalla disciplina urbanistica vigente sull’area;

– ha infine annullato tutti e tre i titoli impugnati, per ritenuta violazione della norma di salvaguardia contenuta nelle N.T.A. della variante di P.R.G. in itinere, in ragione della quale le opere edilizie su immobili preesistenti erano consentite solo agli imprenditori agricoli a titolo principale o part-time (qualità non posseduta dal controinteressato).

2. Tutto ciò premesso, tanto l’appello dell’Amministrazione comunale quanto l’appello incidentale si appalesano infondati e pertanto meritevoli di reiezione.

3. In ordine logico, va esaminato innanzi tutto il primo moitvo dell’appello del Comune, col quale si ripropone l’eccezione di tardività del ricorso di primo grado, assumendosi che l’originario istante avrebbe avuto conoscenza dei titoli edilizi impugnati ben prima del sessantesimo giorno antecedente alla notifica dell’atto introduttivo del giudizio.

La doglianza è infondata, dovendo condividersi l’avviso del primo giudice secondo cui l’Amministrazione non ha fornito la prova rigorosa della piena conoscenza degli atti impugnati in un momento anteriore, ciò a cui è tenuto chi eccepisce la tardività dell’impugnazione in base al consolidato indirizzo giurisprudenziale dal quale questa Sezione non ravvisa motivo per discostarsi (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 dicembre 2012, nr. 6557; id., 31 maggio 2012, nr. 3269; Cons. Stato, sez. V, 20 giugno 2011, nr. 3696; Cons. Stato, sez. IV, 2 febbraio 2011, nr. 747; id., 8 novembre 2010, nr. 7907).

Nel caso di specie, tale piena conoscenza non può presumersi – come vorrebbe parte appellante – sulla base dell’esposto presentato dall’odierno appellato in data 21 giugno 2001, atteso che con quest’ultimo, come evidenziato dal primo giudice, egli si doleva unicamente dei movimenti di terra interessanti la porzione di suolo più prossima alla sua proprietà (poi oggetto dell’autorizzazione in sanatoria del 18 settembre 2001), e non anche dell’intervento edilizio nella sua globalità.

A questa argomentazione il Comune replica che è ben poco verosimile che il ricorrente, una volta avvedutosi dei detti movimenti di terra, non avesse acquisito contezza anche delle attività edilizie cui questi erano strumentali, che si svolgevano su un’area solo di poco più lontana dalla sua proprietà; ma tale rilievo, pur ragionevole, non vale ad assolvere al rigoroso onere probatorio cui si è sopra accennato.

Infatti, premesso che non risulta contestato neanche da parte odierna appellante che al momento della presentazione dell’esposto sopra richiamato i lavori non fossero ancora ultimati, alcuna prova è stata fornita in ordine alla loro entità e consistenza a tale momento: ed è appena il caso di precisare che, ai fini della piena conoscenza del titolo ad aedificandum, non è affatto sufficiente conoscere che dei lavori edilizi sono comunque in itinere, occorrendo che questi abbiano raggiunto un avanzamento tale da disvelare gli eventuali profili di contrasto con la disciplina urbanistica dell’area, palesando almeno indirettamente l’illegittimità del titolo abilitativo.

Per questo, è jus receptum in giurisprudenza che il termine per impugnare il permesso di costruire da parte del proprietario confinante decorra di regola dalla data di ultimazione dei lavori, o comunque dal momento in cui questi manifestino in modo chiaro e univoco le loro caratteristiche essenziali, con la sola eccezione del caso – che nella specie non ricorre – in cui il ricorrente contesti in radice la stessa possibilità di edificazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2012, nr. 5657; id., 30 luglio 2012, nr. 4287; id., 28 gennaio 2011, nr. 678; id., 23 luglio 2009, nr. 4616).

Alla stregua dei richiamati principi, deve convenirsi con l’avviso del primo giudice il quale ha disatteso l’eccezione di irricevibilità, per tardività, del ricorso introduttivo.

4. Superata questa questione di rito, s’impone poi l’esame dell’appello incidentale proposto dal prof. A., con cui quest’ultimo, criticando le diverse conclusioni del T.A.R., insiste nella propria prospettazione secondo cui le opere assentite con i provvedimenti impugnati integrerebbero nella loro globalità una nuova edificazione (non consentita sull’area de qua): infatti, l’eventuale fondatezza di tale tesi comporterebbe la radicale illegittimità dei titoli abilitativi impugnati in prime cure, e pertanto risulterebbe assorbente di ogni altra questione evocata nell’appello principale.

Tuttavia, la pur ampiamente argomentata impostazione dell’appellante incidentale non può essere condivisa.

Al riguardo, va rilevato che per individuare l’esatta natura e consistenza degli interventi per cui è causa il primo giudice si è servito, oltre che della documentazione tecnica versata in atti dalle parti, anche di accertamenti tecnici eseguiti nell’ambito di un parallelo procedimento penale sorto in relazione alle medesime opere; va peraltro evidenziato che da tali accertamenti il T.A.R. ha tratto elementi di conoscenza in ordine alla natura ed entità delle opere, anche se poi non ne ha condiviso le conclusioni in termini di inquadramento degli interventi nelle tipologie normative (pervenendo, per vero, a conclusioni più rigorose rispetto a quelle raggiunte in sede penale).

Tale modus procedendi, del quale può fin d’ora anticiparsi la piena ammissibilità nel giudizio amministrativo, non è stato oggetto di specifica contestazione da parte dell’appellante incidentale, il quale, in particolare, non ha addotto elementi nel senso di un erroneo apprezzamento dello stato dei luoghi da parte del perito nominato dal G.i.p., limitandosi a contrapporre alle conclusioni di questi dei propri autonomi apprezzamenti tecnici tali da condurlo a conclusioni difformi in ordine all’incidenza degli interventi de quibus su sagoma, volume e superfici del manufatto preesistente.

Pertanto, in questa sede appare del tutto condivisibile la valorizzazione compiuta degli accertamenti eseguiti dal perito del G.i.p., trattandosi di soggetto certamente estraneo alle parti del presente giudizio ed agli interessi di cui queste sono portatrici, che non risulta aver commesso macroscopici e manifesti errori nella fase di sopralluogo e conoscenza dei luoghi interessati dalle opere per cui è causa.

In particolare, con riferimento alle opere di consolidamento (c.d. “muro controterra”) il perito ha evidenziato le caratteristiche essenziali dell’intervento, consistenti in “svuotamento del terrapieno restrostante il muro e sottostante l’orizzontamento per metà della sua ampiezza, per l’altra metà mantenimento del terrapieno con solo muro controterra in c.a., creazione di cortile e giardino pensile, ripristino della scarpata ai lati del muro controterra, rivestimento esterno del muro con mattoni vecchi” (cfr. documento nr. 8 delle produzioni di primo grado del Comune, pag. 50), concludendo nel senso che si tratterebbe di lavori rientranti nella categoria della manutenzione straordinaria.

Quanto invece agli interventi sull’edificio preesistente, è stato evidenziato che “…Dell’edificio esistente rimane (…) soltanto parte dei muri portanti esterni, l’edificio viene ricostruito sul perimetro preesistente e senza aumento di volumetria” (cfr. doc. nr. 8 cit., pag. 53), concludendo che in questo caso si tratterebbe di ristrutturazione edilizia.

Alla luce di tale descrizione delle opere eseguite – della cui attendibilità, lo si ripete, non vi è ragione di dubitare – la Sezione conviene col primo giudice nel senso di escludere con ragionevole certezza che le stesse potessero integrare un intervento di nuova costruzione, restando peraltro irrilevante, agli effetti della decisione sull’appello incidentale, se la loro qualificazione corretta fosse quella data dal perito del G.i.p. ovvero quella individuata dal T.A.R.

5. Tornando dunque all’esame dell’appello principale, col suo secondo motivo il Comune lamenta una sorta di ultrapetizione da parte del T.A.R., il quale avrebbe indebitamente integrato il thema decidendum pronunciandosi anche su una questione, quella del preteso contrasto degli interventi assentiti con l’art. 9.2 delle N.T.A. del P.R.G., non espressamente evocata dal ricorso introduttivo.

Il motivo è infondato, essendo pacifico in giurisprudenza che, ai fini dell’individuazione dei motivi di censura proposti col ricorso giurisdizionale, deve aversi riguardo, in applicazione del criterio c.d. sostanzialistico, non solo alle doglianze espressamente enunciate, ma anche a quelle che, pur se formalmente non esposte in un titolo, possono essere desunte dall’esposizione dei fatti e dal contesto del ricorso (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 novembre 2004, nr. 7373; id., 30 settembre 2002, nr. 4986).

Orbene, come evidenziato dall’odierno appellato, da una piana lettura del ricorso di primo grado è dato agevolmente evincere che nello stesso fosse stata certamente sollevata anche la questione della compatibilità degli interventi con la destinazione urbanistica impressa all’area dal citato art. 9.2 delle N.T.A. (cfr. le pagg. 10-11 del ricorso introduttivo).

6. Del pari privo di pregio è il terzo mezzo, col quale parte appellante assume l’illegittimità dell’operato del T.A.R. per avere lo stesso indebitamente fatto riferimento alle risultanze di accertamenti tecnici disposti in un procedimento penale, al quale il Comune non aveva partecipato e che non risultava essersi definito con sentenza avente autorità di giudicato tra le parti.

Al riguardo, la Sezione condivide l’indirizzo giurisprudenziale per cui, in mancanza di un divieto di legge e in ossequio al principio di atipicità delle prove, il giudice amministrativo può legittimamente utilizzare, come fonte anche esclusiva del proprio convincimento, le prove raccolte nel giudizio penale conclusosi con sentenza non esplicante autorità di giudicato nei confronti di tutte le parti della causa amministrativa e ricavare gli elementi di fatto dalla sentenza e dagli altri atti del processo penale, purché le risultanze probatorie siano sottoposte a un autonomo vaglio critico svincolato dall’interpretazione e dalla valutazione che ne abbia già dato il giudice penale e purché la valutazione del materiale probatorio sia effettuata in modo globale e non frammentaria e limitata a singoli elementi di prova (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 luglio 2012, nr. 4120; Cons. Stato, sez. VI, 28 marzo 2012, nr. 1833).

7. Col quarto motivo di gravame, il Comune lamenta l’erronea applicazione della norma di salvaguardia contenuta nell’art. 14 delle N.T.A. della variante al P.R.G. adottata all’epoca dei fatti di causa (e poi non portata a compimento), assumendo che, contrariamente a quanto ritenuto dal T.A.R., tale disposizione avrebbe limitato ai soli imprenditori agricoli le sole attività di nuova edificazione, e non anche gli interventi su immobili preesistenti, come è nel caso che qui occupa.

Il motivo è infondato, essendo basato su un’erronea individuazione della norma urbanistica applicabile alla fattispecie.

E difatti, il citato art. 14 conteneva una pluralità di prescrizioni, delle quali quella richiamata da parte appellante (legenda 20) era riferita alle aree a destinazione sic et simpliciter agricola, mentre nel caso di specie, come documentato dall’originario ricorrente (cfr. i documenti nn. 5, 11 e 14 allegati al ricorso di primo grado) e non smentito ex adverso, il suolo interessato dagli interventi era soggetto, oltre che alla predetta destinazione urbanistica, anche a prescrizioni di tutela paesaggistica, con la conseguente applicabilità dell’ulteriore disposizione di cui all’art. 14, codice E, legenda 21, a mente della quale – come effettivamente rilevato dal T.A.R. – anche gli interventi modificativi su immobili già esistenti dovevano intendersi consentiti ai soli soggetti che già avessero la qualità di imprenditori agricoli, quanto meno part-time.

8. Col quinto mezzo l’Amministrazione contesta la ritenuta applicabilità agli interventi de quibus dell’art. 9.2 del vigente P.R.G., che per le aree a rischio geologico escludeva ogni possibilità di “nuovi insediamenti”.

La censura è basata sull’assunto che, sulla scorta degli elaborati grafici allegati al P.R.G., vi sarebbe assoluta incertezza sull’effettiva inerenza delle aree interessate dagli interventi a quelle disciplinate dal ricordato art. 9.2, giungendosi ad affermare che in nessuna parte dette aree ricadrebbero fra quelle a rischio geologico.

Sul punto – in disparte la contraddittorietà della censura rispetto a quanto sostenuto nel motivo successivo, laddove, come si vedrà, si assume che almeno parte delle opere sarebbero state necessarie per prevenire un dissesto in atto – è sufficiente richiamare il primo degli atti concessori impugnati (nr. 73 del 2000), nel quale è lo stesso Comune ad aver precisato che l’area interessata all’intervento ricadeva nel perimetro denominato dal P.R.G. “frane in atto”; dal che, del tutto ragionevolmente e condivisibilmente, il primo giudice, condividendo l’avviso del perito nominato in sede penale, ha tratto la conseguenza della piena applicabilità delle prescrizioni poste dal più volte citato art. 9.2 per le aree a rischio geologico.

Ne discende l’inconsistenza anche del motivo di doglianza qui esaminato.

9. Resta da esaminare l’ultimo motivo di censura, logicamente riferibile alla sola parte degli interventi per cui è causa relativa alla realizzazione del “muro controterra”, laddove si assume che tali opere, siccome strettamente indispensabili ad arginare una frana in atto, non sarebbero precluse neanche dal richiamato art. 9.2, il quale bensì vieta gli interventi di nuova costruzione ma non anche quelli necessari a impedire il dissesto di immobili preesistenti.

La doglianza va respinta sulla base del duplice rilievo che, da un lato, indubbiamente sono astrattamente possibili diverse modalità tecniche di intervento per prevenire un dissesto, e le parti appellanti non hanno in alcun modo documentato che quella in concreto prescelta fosse l’unica effettivamente idonea o necessaria nella specie, e sotto altro profilo che, pertanto, non può ritenersi che l’intervento per come assentito in parte qua legittimasse una deroga all’assorbente preclusione posta dal più volte citato art. 14 delle N.T.A. della variante al P.R.G.

10. Alla luce dei superiori rilievi, s’impone la reiezione di entrambi gli appelli, con l’integrale conferma della sentenza impugnata.

11. In considerazione della parziale soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, respinge l’appello principale e l’appello incidentale e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 marzo 2013

Redazione