Licenziamento per giustificato motivo oggettivo (Cass. n. 15104/2012)

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LA RIFORMA FORNERO COMMENTATA 

Maggioli Editore – Novità settembre 2012

 

Massima

Il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo è determinato non da un generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale, ma dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore.

 

1. Questione

Il Tribunale di Benevento rileva che sono stati provati i presupposti per il legittimo licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Il caso in esame riguarda un lavoratore che era  dipendente di una società, formalmente inquadrato come commesso ma svolgendo in concreto compiti di magazziniere e che riceveva una lettera di licenziamento motivato dalla chiusura della sede (magazzino) e dalla contrazione della attività connessa alla crisi del settore ricambi auto.

Avverso tale pronuncia proponeva appello il lavoratore, la quale Corte d’appello di Napoli dichiarava l’inefficacia del recesso per la mancata comunicazione dei motivi di licenziamento, ed ordinava la reintegra del lavoratore nel suo posto di lavoro, con le ulteriori conseguenze di cui all’art. 18 L. n. 300 del 1970.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, la quale ribadisce un importante principio, secondo il quale “il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo è determinato non da un generico ridimensionamento dell’attività, ma dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore, soppressione che non può essere meramente strumentale ad un incremento di profitto, ma diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti; sicchè, il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare la concreta riferibilità del licenziamento ad esigenze collegate ad effettive ragioni di carattere produttivo-organizzativo”.

 


2. Onere prova e licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Nella sentenza è, infatti, puntualizzato che gli oneri concernenti la prova della necessità della soppressione dei posto o di una diversa organizzazione lavorativa e l’impossibilità di adibire il lavoratore da licenziare ad altre attività non potevano che ricadere sulla parte datoriale che pretendeva di fondare su tali circostanze la legittimità del licenziamento impugnato dai dipendente; del resto, è anche precisato che tali oneri non erano stati assolti a causa della decadenza in cui la società era incorsa per effetto della sua tardiva costituzione in giudizio. Trattandosi, quindi, di una ipotesi in cui il licenziamento era stato intimato per il motivo della riduzione del personale per la forte crisi economica che aveva investito l’azienda ed il mercato nazionale, la relativa prova non poteva che ricadere, come esattamente ritenuto dalla Corte di merito, sulla parte datoriale che intendeva avvalersene a sostegno dell’affermata legittimità dell’atto di recesso; egualmente, spettava a quest’ultima la prova della impossibilità di utilizzazione del lavoratore in altre mansioni compatibili con la qualifica rivestita, (v. in tal senso Cass. sez. lav. n. 10554 del 3/7/2003 e n. 14815 del 14/7/2005)

 


3. Applicazione dell’art. 18 L. 300/1970 e requisiti dimensionali

Va ricordare l’indirizzo delle sezioni unite di giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. un. n. 141 del 10/1/2006) per il quale “in tema di riparto dell’onere probatorio in ordine ai presupposti di applicazione della tutela reale o obbligatoria al licenziamento di cui sia accertata l’invalidità, fatti costitutivi del diritto soggettivo del lavoratore a riprendere l’attività e, sul piano processuale, dell’azione di impugnazione del licenziamento sono esclusivamente l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e l’illegittimità dell’atto espulsivo, mentre le dimensioni dell’impresa, inferiori ai limiti stabiliti dall’art. 18 della L. 300/1970 costituiscono, insieme al giustificato motivo del licenziamento, fatti impeditivi del suddetto diritto soggettivo del lavoratore e devono, perciò, essere provati dal datore di lavoro.

Con l’assolvimento di quest’onere probatorio il datore dimostra – ai sensi della disposizione generale di cui all’art. 1218 c.c. – che l’inadempimento degli obblighi derivatigli dal contratto di lavoro non è a lui imputabile e che, comunque, il diritto del lavoratore a riprendere il suo posto non sussiste, con conseguente necessità di ridurre il rimedio esercitato dal lavoratore al risarcimento pecuniario. L’individuazione di siffatto onere probatorio a carico del datore di lavoro persegue, inoltre, la finalità di non rendere troppo difficile l’esercizio del diritto del lavoratore, il quale, a differenza del datore di lavoro, è privo della “disponibilità” dei fatti idonei a provare il numero dei lavoratori occupati nell’impresa.” Quest’ultimo aspetto è stato sviluppato anche in una decisione successiva (Cass. sez. lav. n. 20484 del 25/7/2008) con la quale si è affermato che “la ripartizione dell’onere della prova tra lavoratore, titolare del credito, e datore di lavoro, deve tenere conto, oltre che della partizione della fattispecie sostanziale tra fatti costitutivi e fatti estintivi od impeditivi del diritto, anche del principio – riconducibile all’art. 24 cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio – della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova; conseguentemente ove i fatti possano essere noti solo all’imprenditore e non anche al lavoratore, incombe sul primo l’onere della prova negativa”.

 


4. Rassegna giurisprudenziale 2012

Il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo è determinato non da un generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale, ma dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo lavoratore. Altresì, tale soppressione non può essere meramente strumentale ad un incremento di profitto, dovendo essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti che evidenzino l’impossibilità di utilizzare il lavoratore stesso in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione aziendale (Trib. Aosta, Sez. lavoro, 22/02/2012).

È correttamente motivata la sentenza di merito che abbia dichiarato l’illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, al cospetto del dato, incontestato tra le parti, che la modesta riduzione di lavoro appaltato dedotta a fondamento del recesso non aveva determinato la soppressione del posto di lavoro della lavoratrice licenziata, che, anzi, era stato ricoperto da un collaboratore assunto con contratto di lavoro a progetto (Cass. civ., Sez. lavoro, 19/01/2012, n. 755).

I lettori di madre lingua straniera, successivamente assunti quali collaboratori esperti linguistici, conservano i diritti acquisiti nel precedente rapporto nei soli casi indicati dall’art. 4, del D.L. 120/1995, convertito nella L. 236/1995, e cioè – come confermato dalla disposizione interpretativa introdotta con l’art. 26 della L. 240/2010 – qualora fossero titolari dei contratti a termine di cui all’art. 28 del D.P.R. 382/1980 in servizio nell’anno accademico 1993/1994 o fossero cessati dal servizio per scadenza del termine dell’incarico, salvo che la mancata rinnovazione sia dipesa da inidoneità o soppressione del posto. Ne consegue che la “fictio” della continuità del rapporto, con le relative garanzie di stabilità, non si estende al lettore già titolare di rapporto a tempo indeterminato poi estinto in forza di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. (Cass. civ., Sez. lavoro, 11/01/2012, n. 152).

 

 

Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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