Paziente cade dalla barella e muore: responsabile l’operatore (Cass. pen. n. 16260/2013)

Redazione 10/04/13
Scarica PDF Stampa

Ritenuto in fatto

L. G. era ritenuto responsabile per il delitto di omicidio colposo in danno di B. G., dal Tribunale di Napoli e condannato anche al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili. A seguito d’appello proposto dall’imputato, la Conte d’Appello di Napoli, con sentenza del 23/5/2011, concedeva le attenuanti generiche, rideterminando la pena inflitta, revocava le statuizioni civili disposte in favore di M. T. e M. L.; confermava nel resto l’impugnata sentenza.
In fatto era accaduto che la B. era stata ricoverata presso l’ospedale ********** di Napoli per problemi cardiaci; che il 6/3/2003 era stato disposto il trasferimento della predetta presso il reparto cardiologia dello stesso Ospedale; che il L., incaricato del trasferimento della paziente a mezzo ambulanza con barella, non si era avveduto della presenza nella pavimentazione di una mattonella divelta e, movimentando la barella, aveva determinato l’incastro di una delle ruote nel terreno sconnesso, con il conseguente repentino e violento sbalzo della barella, suo ribaltamento e caduta della paziente, la quale decedeva per il grave trauma cranico encefalico riportato.
I giudici di merito ravvisavano la colpa dell’imputato nel non aver prestato adeguata attenzione alla sconnessione dei terreno (costituita dalla mancanza di una mattonella), pur essendo l’attenzione richiesta in ragione del generale ed evidente cattivo stato manutentivo dell’Ospedale e della zona in cui era avvenuto l’incidente; osservavano che il trasporto era avvenuto di sera e in condizioni dì luce non ideali, talché anche sotto questo profilo si evidenziava la disattenzione dell’imputato, il quale avrebbe dovuto accendere tutte le luci, come aveva fatto dopo l’incidente per verificare lo stato del pavimento; rilevavano, inoltre, l’imprudenza della manovra consistita nel tirare la barella tenendola alle proprie spalle.
Avverso la sentenza propone ricorso per Cassazione l’imputato. Eccepisce, in primo luogo, l’intervenuta prescrizione del reato. Con unico motivo deduce l’illogicità delle due argomentazioni contenute in sentenza circa l’addebito di responsabilità, relative alla non adeguata illuminazione e alle modalità di conduzione della lettiga. Quanto alla prima, osserva che le condizioni di luce non adeguate erano stata constatate un’ora dopo l’incidente e, quindi,la circostanza difettava di adeguato supporto probatorio. Quanto alla seconda, rileva che erroneamente le modalità di conduzione mediante l’atto del tirare, in luogo che di spingere, erano state considerate imprudenti, rispondendo piuttosto le stesse a una cautela in relazione alla cronica presenza di un dislivello tra il piano di calpestio e quello dell’ascensore.
Sotto altro profilo, rileva che al ricorrente non poteva richiedersi comportamento diverso da quello tenuto in concreto, avendo egli agito confidando sul rispetto da parte di altri soggetti, garanti della sicurezza, dell’obbligo di rendere privo di rischi l’ambiente di lavoro.
Il motivo è inammissibile perché manifestamente infondato.
Con riferimento al primo profilo, rileva la Corte che gli argomenti addotti sono privi di decisività poiché, prescindendo dalla fondatezza delle argomentazioni motivazionali censurate, la decisione è adeguatamente sorretta dalla fondamentale argomentazione giustificativa concernente la grave inosservanza, atta a integrare di per sé la colpa, dei dovere di attenzione nell’adempiere al compito di trasporto della paziente, pur risultando da parte dell’agente la conoscenza delle generali cattive condizioni manutentive dell’ospedale.
Quanto al secondo profilo, la manifesta infondatezza si evidenzia ove si consideri che non può l’agente ritenersi esonerato della particolare attenzione richiestagli in relazione ai compiti affidatigli, in ragione dell’obbligo di manutenzione strutturale dell’immobile gravante su altri soggetti.
In presenza dei molteplici profili di inammissibilità evidenziati non assume rilevanza la pur dedotta maturazione della prescrizione, in forza dei chiaro principio espresso da Sez. U, Sentenza n. 23428 del 22/03/2005, secondo cui l’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere davanti al giudice dell’impugnazione perché contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art. 591, comma, 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione; art. 606, comma 3), preclude ogni possibilità di far valere una causa di non punibilità maturatasi.
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non emergendo ragioni di esonero, anche della sanzione pecuniaria ex art. 616 C.P.P. Il ricorrente va condannato, altresì, alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi euro 1.400,00 oltre accessori come per legge.

Redazione