Partecipazione nel reato, forme di “presenza”, facilitazione della condotta delittuosa (Cass. pen., n. 46488/2013)

Redazione 21/11/13
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Fatto e diritto

Con ordinanza in data 4/6/2013 il Tribunale di Bologna, adito dall’indagato C.R. in sede di riesame ai sensi dell’art.309 cpp., confermava la misura cautelare della custodia in carcere, applicata al predetto in data 8/5/2013 dal G.I.P. in sede in ordine al reato di cui agli artt.110 cp e 73/1 bis DPR 309/90.
Il predetto era stato tratto in arresto, siccome fermato alla guida di un autovettura, il cui passeggero aveva cercato alla vista degli operanti di disfarsi di tre involucri, contenenti cocaina, che celava sulla sua persona, e occultati in una borsa, posta sui sedili posteriori venivano rinvenuti gr. 299 della medesima sostanza; inoltre l’indagato veniva trovato in possesso di Euro 350, nonché di numerose ricevute di ricarica post-pay per un totale di Euro 7.290.
Contro tale decisione ricorre l’indagato a mezzo del suo difensore che a sostegno dell’annullamento articola due motivi.
Con il primo motivo denuncia la nullità dell’ordinanza per violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al giudizio di gravità indiziaria, censurando i giudici del riesame, che avevano sostenuto una tesi accusatoria fondata su meri sospetti e congetture ovvero su indizi privi di qualunque riscontro probatorio e mancanti dei requisiti della precisione, gravità e concordanza, avevano ignorato la condotta dell’indagato precedente al fermo e durante il controllo subito, la completa assunzione di responsabilità da parte del presunto complice, suo amico, in favore del quale si era prestato ospitandolo a bordo della sua auto, ignaro del contenuto della valigia da lui posseduta, l’esito negativo della perquisizione, nonché avevano omesso di motivare in maniera compiuta sulle doglianze sollevate dalla difesa e supportate dalle risultanze delle investigazioni difensive.
Con il secondo motivo deduce stessi vizi di legittimità in riferimento alla valutazione delle esigenze cautelari e sostenendo che il Tribunale aveva espresso un giudizio di pericolosità e elevata probabilità di ricaduta nel reato, desunto da mere congetture e non già da elementi concreti e oggettivamente riscontrabili secondo i principi più volte affermatati dalla giurisprudenza di legittimità in materia.
È fondato il primo motivo di ricorso, in esso assorbito il secondo.
Ed invero gli unici elementi, valorizzati dal Tribunale a sostegno del giudizio di gravità indiziaria, appaiono consistere: nella insostenibilità e inverosimiglianza del viaggio dell’indagato, che, nel prestarsi ad assistere l’amico giunto alla stazione, ospitandolo nella sua auto, anziché accompagnarlo alla più vicina pensione, lo conduce dopo un lungo percorso ad un bar, dove si trattengono per circa 5-10 minuti per prendere un caffè, nonché nel possesso di alcune ricevute di ricarica post-pay e nella insostenibilità della tesi difensiva, che fossero destinate ad un amico in difficoltà economiche.
Ad avviso del Tribunale la consapevolezza in capo all’indagato della presenza della droga a bordo della sua autovettura e il contributo all’azione criminosa deriverebbe dallo scopo del viaggio al bar, che sarebbe stato dettato da motivi ben diversi dal desiderio di prendere un caffè, quanto piuttosto per incontrare qualcuno interessato all’arrivo della partita di droga, e quanto alle ricevute post-pay in difetto della prova della capacità economica dell’indagato, sarebbe ingiustificato il possesso di esse da parte dell’indagato.
Entrambi gli argomenti appaiono privi di fondamento logico, laddove non specificano da quali elementi concreti si trae la convinzione che il bar fosse un luogo di smistamento della droga e lo scopo della visita fosse quello di smerciare la droga, non potendo ritenersi tali la lunga durata del viaggio e la permanenza nel bar per un tempo eccedente la consumazione di un caffè; quanto ai valori posseduti non si comprende quale connessione avessero con la condotta criminosa contestata.
Si ricorda in proposito che la giurisprudenza di questa Corte è ormai attestata al principio che la partecipazione nel reato può manifestarsi in forme di “presenza”, sempre che le stesse agevolino la condotta illecita, anche solo assicurando all’altro concorrente stimolo all’azione o a un maggior senso di sicurezza nella propria condotta, palesando chiara adesione alla condotta delittuosa. Occorre insomma un contributo causale, seppure in termini minimi di facilitazione della condotta delittuosa, mentre la semplice conoscenza o anche l’adesione morale, l’assistenza inerte e senza iniziative a tale condotta non realizzano la fattispecie concorsuale (ex multis Cass. Sez. VI 3/6/1994 n. 9930 Rv.199162, Cass. Sez. IV 5/2/1998 n. 3924 Rv. 210638).
Si impone pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio al Tribunale di Bologna che nel demandato nuovo esame provveda alla eliminazione della evidenziate incongruenze motivazionali alla stregua dell’enunciato principio e nell’ovvia autonomia della valutazione di fatto.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Bologna per nuovo esame.

Redazione