Parcella avvocati: non è vincolante fin quando non è accettata dal cliente…legittima una seconda nota spese anche se di importo molto più elevato (Cass. n. 1284/2013)

Redazione 18/01/13
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

C.M.L. propose opposizione al decreto ingiuntivo che le intimava il pagamento della somma di lire 311.783.680 in favore dell’Avv. V.S. a titolo di compenso dell’attività professionale da lui svolta ai fini di una divisione ereditaria.

L’opponente dedusse di non dovere quanto richiesto stante la vincolatività per il professionista di una precedente nota spese del 1997 con cui aveva quantificato la propria parcella nella minor somma di lire 95.154.500, richiesta che era comunque da considerarsi troppo elevata in relazione all’attività professionale effettivamente espletata.

Il convenuto si costituì in giudizio deducendo che la precedente nota spese non poteva essere presa in considerazione in quanto frutto di errore.

Esaurita l’istruttoria, il Tribunale di Cagliari respinse l’opposizione e la relativa decisione, impugnata dalla C., fu confermata con sentenza n. 313 del 23 settembre 2006 dalla Corte di appello di Cagliari, la quale motivò il rigetto dell’appello affermando, per quanto qui ancora interessa, che la nota spese del 1997 non poteva ritenersi vincolante per il professionista atteso che essa non era stata accettata dalla cliente e che, comunque, il professionista, allegando di avere errato nella prima richiesta ad applicare la tariffa professionale, aveva validamente esposto le ragioni per cui aveva inviato successivamente una richiesta di compenso maggiore.

Per la cassazione di questa decisione, notificata il 13 ottobre 2006, propone ricorso C.M.L. con atto notificato in data 11 dicembre 2006, affidandosi ad un solo motivo.

V.S. resiste con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

L’unico motivo di ricorso denunzia “Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, lamentando che la Corte di appello non abbia esposto le ragioni che avrebbero legittimato il professionista alla presentazione, per la stessa attività professionale, di una seconda parcella per un importo di molto superiore alla prima, limitandosi sul punto a considerare valide le giustificazioni addotte, ma senza una motivazione chiara, specifica e dettagliata.

Si aggiunge che la decisione è viziata anche perchè ha omesso di trattare la questione relativa al parere espresso dal Consiglio dell’Ordine in merito alla seconda parcella dell’Avv. V..

Il mezzo è infondato.

La Corte di appello ha disatteso l’argomento difensivo della appellante che rivendicava la vincolatività, per il professionista, della prima richiesta di parcella sulla base del rilievo che essa, che equivaleva ad una proposta, ex art. 1344 c.c., non essendo mai stata accettata dalla cliente, poteva essere validamente revocata dal legale; ha inoltre aggiunto che comunque quest’ultimo aveva validamente giustificato l’invio della seconda richiesta per essere stata la prima erroneamente calcolata al di sotto dei parametri tabellari, avendo applicato lo scaglione della tariffa professionale corrispondente al valore della quota della cliente invece che a quello dell’asse ereditario, errore che la Corte ha considerato effettivamente esistente, dal momento che il legale si era occupato direttamente della stessa individuazione della massa ereditaria.

Tanto precisato, la motivazione della decisione impugnata appare esauriente e logicamente coerente tra le sue premesse e conclusioni, esponendo in modo adeguato e congruo le ragioni per cui il giudice ha ritenuto che la prima parcella non vincolasse il professionista. A tale valutazione deve poi aggiungersi che le ragioni addotte dalla sentenza non appaiono nemmeno interamente conteste dalla ricorrente, la quale non muove alcuna censura all’argomentazione della Corte di merito che ha ritenuto priva di valore vincolante la prima parcella in quanto mai accettata dalla cliente, ragione che pure di per sè sembra sufficiente a sorreggere l’affermazione del giudicante favorevole a riconoscere al professionista la possibilità di formulare la seconda richiesta di compenso.

La doglianza circa l’omesso esame della questione relativa al parere espresso dal Consiglio dell’ordine degli Avvocati appare infine inammissibile per genericità, non illustrando il ricorso nè gli esatti termini della questione così come posta sia in primo che in secondo grado, nè la sua decisività ai fini della risoluzione della controversia.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, sono poste a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 6.300, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Redazione