Ordine di sgombero di un locale di proprietà del Comune: decide il Giudice ordinario (TAR Campania, Napoli, n. 611/2013)

Redazione 25/01/13
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SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale con la delibera di C.C n. 9 del 7 maggio 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Azienda Autonoma di Cura Soggiorno e Turismo delle Isole di Ischia e di Procida, rappresentata e difesa dall’avv. *****************, con domicilio eletto presso il medesimo in Napoli, via Toledo n. 156;

contro

Comune di Ischia, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. ****************, con domicilio ex lege in Napoli, Segreteria T.A.R. Campania/Napoli, p.zza Municipio;

e con l’intervento di

ad adiuvandum:
Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. *****************, con domicilio eletto in Napoli, via S. Lucia n. 81 presso l’Avvocatura Regionale;

 

sul ricorso 1462 del 2009, proposto da:
Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. *****************, con domicilio eletto in Napoli, via S. Lucia n. 81 presso l’ Avvocatura Regionale;

contro

Comune di Ischia, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. *****************, con domicilio eletto presso il medesimo in Napoli, via Caracciolo n.15;

per l’annullamento

quanto al ricorso n. 1462 del 2009:

– dell’ordinanza dirigenziale del Comune di Ischia n. 332 del 31.12.2008 recante ordine alla Azienda Autonoma di Cura, Soggiorno e Turismo delle isole di Ischia e Procida “. . a rilasciate ad horas libero e vuoto da persone e cose l’immobile dalla stessa detenuto in Ischia alla via Iasolino n. 3”;

– della nota del dirigente del settore tecnico del comune di Ischia prot. n. 27775 del 28.10.2008;

– di ogni altro atto preordinato, presupposto, connesso e conseguente, comunque lesivo degli interessi dell’amministrazione ricorrente, ivi compresi, laddove necessario e per quanto di ragione, la delibera di giunta municipale n. 124 dell’11.5.2006 e lo schema di contratto dalla medesima approvato, la convenzione sottoscritta in data 1.8.2006, il verbale della polizia municipale prot. n. 1466 del 9.12.2008, nonché dei verbali di sgombero coatto (del 31.12.2008 e del 2.1.2009), unitamente ad ogni altro atto successivo o consequenziale, ivi compreso il conto patrimoniale del comune di Ischia..

quanto al ricorso n. 5910 del 2010:

– dell’atto di diffida, notificato in data 10/08/2010, relativo all’avvio del procedimento per l’annullamento e/o rettifica del piano di alienazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare della Regione Campania, nella parte in cui indica l’immobile di via Iasolino n. 1, ove ha sede il Municipio di Ischia, come cespite di proprietà dell’amministrazione regionale;

– di tutti gli atti deliberativi in esso richiamati, ed in particolare la Delibera di G.M. n. 7 del 2010, le delibere del Consiglio Comunale n. 7 del 2010 e nn. 9 e 23 del 2009 (nella parte in cui il Comune di Ischia ha inserito nel proprio piano di alienazione e valorizzazione immobiliare, approvato ai sensi dell’art. 58 della L. n. 133/2008 l’intero stabile Palazzo Comunale (Municipio) sito in via Iasolino.

Visti i ricorsi i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Ischia e di Comune di Ischia in Persona del Sindaco pro tempore;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2012 la dott.ssa ************** e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Con ricorso notificato in data 27-28 febbrario 2009 al Comune di Ischia e alla Regione Campania, l’Azienda Autonoma di cura e di Soggiorno e Turismo delle Isole di Ischia e Procida, ente strumentale della Regione Campania, svolgente attività di programmazione, promozione ed accoglienza nel settore turismo, ha impugnato l’ordinanza dirigenziale del Comune di Ischia n. 332 del 31.12.2008, recante ordine all’Azienda ricorrente a rilasciate ad horas libero e vuoto da persone e cose l’immobile dalla stessa detenuto in Ischia alla via Iasolino n. 3, la nota del dirigente del settore tecnico del comune di Ischia prot. n. 27775 del 28.10.2008 ed ogni altro atto preordinato, presupposto, connesso e conseguente, comunque lesivo degli interessi dell’amministrazione ricorrente, ivi compresi, laddove necessario e per quanto di ragione, la delibera di giunta municipale n. 124 dell’11.5.2006 e lo schema di contratto dalla medesima approvato, la convenzione sottoscritta in data 1.8.2006, il verbale della polizia municipale prot. n. 1466 del 9.12.2008, nonché i verbali di sgombero coatto (del 31.12.2008 e del 2.1.2009), unitamente ad ogni altro atto successivo o consequenziale, ivi compreso il conto patrimoniale del comune di Ischia.

1.1. Il ricorso è stato iscritto al numero di ruolo R.G. n. 1462 del 2009.

2. A sostegno del ricorso l’Azienda ricorrente deduce in fatto che con delibera di Giunta Municipale n. 124 del 11/05/2006 il Comune di Ischia aveva disposto di concederLe in comodato d’uso un piccolo locale, sito in via Iasolino n. 3, al fine di destinarlo alle finalità statutarie di accoglienza e di informazione turistica..

2.1 Pertanto in data 1/08/2006 veniva sottoscritta la convenzione fra il Comune di Ischia e l’Azienda ricorrente, con la quale il locale sito in via Iasolino n. 3 veniva concesso in comodato d’uso per la durata di un anno a partire dal 1/06/2006, stabilendosi fra l’altro che l’Azienda avrebbe eseguito, con oneri a proprio esclusivo carico i lavori di manutenzione straordinaria ed ordinaria, necessari per adibire l’immobile alle finalità convenute, previa verifica e approvazione da parte dell’U.T.C., in considerazione della circostanza che il locale in questione versava in stato di abbandono, essendo inutilizzato da lungo tempo.

Seguiva uno scambio di note fra l’Azienda ricorrente ed il Comune relative alla richiesta di autorizzazione per l’esecuzione dei lavori e all’eventuale estensione del comodato per la durata di altri due anni.

2.2. Nonostante non fosse stata formalizzata la proroga del comodato, proseguiva l’occupazione del locale da parte della ricorrente fino all’ottobre del 2008, allorquando il Comune di Ischia, con nota prot. 27775 del 28/10/2008 comunicava lo sgombero per intervenuta scadenza del comodato e la sopravvenuta necessità di utilizzare il locale in questione per sopravvenute esigenze di riorganizzazione degli uffici comunali.

2.3 Sennonché, con nota prot. 918731 del 5/11/2008, indirizzata sia alla ricorrente che al Comune di Ischia, il settore Demanio e Patrimonio della Giunta Regionale della Campania rappresentava che “in base agli accertamenti d’ufficio il locale occupato da codesta Azienda Autonoma di Cura e Soggiorno, situato alla via Iasolino n. 3 al piano terra dell’edificio, sede delle Antiche Terme Comunali, è di proprietà della Regione Campania”, comunicando altresì la disponibilità “a concedere in comodato a codesta Azienda il citato locale per una durata triennale, tacitamente rinnovabile”.

2.4 L’Azienda ricorrente, con nota prot. n. 1160 del 16/12/2008 nell’accettare la proposta chiedeva un incontro per la formalizzazione degli atti necessari.

2.5. Peraltro, nelle more, il Comune adottava la gravata ordinanza n. 332 del 31/12/2008, notificata in pari data, con cui ordinava all’Azienda “di rilasciare ad horas, libero da persone e cose l’immobile dalla stessa detenuto in Ischia, alla via Iasolino n. 3” e alle ore 15,30 del medesimo giorno si immetteva nel possesso del locale mediante forzatura della porta di ingresso.

3. Ciò posto parte ricorrente, ritenendo gli atti gravati illegittimi, ha articolato in otto motivi di ricorso le seguenti censure avverso gli atti medesimi:

1) Violazione degli artt. 832,826 e 828 c.c.; Violazione dei principi generali in materia di autotutela amministrativa e di esecuzione coattiva; violazione dell’art. 97 Cost.; Violazione dell’art. 21 ter l. 241/90.

L’Azienda deduce che il Comune di Ischia avrebbe illegittimamente esercitato i poteri di autotutela amministrativa di cui all’art. 823 c.c., dettati in relazione a beni demaniali e patrimoniali indisponibili laddove invece il locale concessole in comodato d’uso andava correttamente inquadrato nel patrimonio disponibile dell’Amministrazione resistente.

Nella prospettazione attorea infatti affinchè un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere di bene patrimoniale indisponibile deve sussistere, così come previsto dall’art. 826 comma 3 c.c., non solo la manifestazione di volontà dell’Ente titolare del diritto reale ma anche e soprattutto l’effettiva ed attuale destinazione a sede di pubblico ufficio o allo svolgimento di un pubblico servizio.

2) Violazione degli artt. 823,828 e 830 c.c.; violazione dei principi generali in materia di autotutela amministrativa e di esecuzione coattiva; violazione dell’art. 97 Cost.; violazione dell’art. 21 ter l. 241/90.

In subordine parte ricorrente deduce che il potere di autotutela amministrativa è stato male esercitato dal Comune, in quanto risoltosi in danno del pubblico servizio svolto dall’Azienda ricorrente, laddove per contro il potere di autotutela dovrebbe garantire lo svolgimento del pubblico servizio; per contro il Comune, nella prospettazione attorea, non ha fatto uso dei poteri di autotutela amministrativa a garanzia del pubblico interesse al regolare svolgimento di un pubblico servizio – espletato nel caso di specie dall’Azienda ricorrente – bensì unicamente a tutela della propria qualità di proprietario.

3) Violazione degli artt. 823 e ss. c.c.; difetto di proprietà; carenza di presupposto; violazione dell’art. 97 Cost. ; violazione dei principi di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni; violazione dell’art. 7 l. 241/90.

Con tale motivo di ricorso l’Azienda ricorrente deduce che la Regione, con nota prot. n. 918731 del 5/11/72008, aveva comunicato sia al Comune di Ischia che all’Azienda medesima di essere proprietaria del locale de quo, invitando il Comune ad indicare in base a quali titoli aveva ritenuto di dare in comodato il locale medesimo all’Azienda ed ora intendeva ritornare in possesso del locale stesso, di cui non era titolare. A fronte di tale comunicazione il Comune di Ischia, secondo quanto rappresentato dalla ricorrente, non aveva fornito alcun chiarimento.

Pertanto gli atti gravati sarebbero illegittimi per difetto di presupposto, non avendo il Comune fornito alcuna prova in ordine alla titolarità dominicale del bene de quo, rivendicato dalla Regione sin dal 2003 ed essendo lo stesso catastalmente intestato alla Regione Campania sin dal 1976.

La titolarità del bene in capo alla Regione Campania peraltro sarebbe confermata, a dire della ricorrente, dallo stesso comportamento del Comune che nell’anno 2003 aveva inviato alla Regione un’ingiunzione di pagamento dell’I.C.I. .

In ogni caso l’operato del Comune di Ischia sarebbe altresì illegittimo in quanto violativo del principio di leale collaborazione fra pubbliche amministrazioni, in quanto la nota gravata sarebbe stata emessa senza dare alcun riscontro alla nota della Regione Campania e senza promuovere il doveroso contraddittorio procedimentale con l’Azienda ricorrente e con l’Amministrazione regionale.

4) Violazione dell’art. 3 L. 241/90; difetto di motivazione. Violazione dell’art. 97 Cost.; Eccesso di potere sotto molteplici profili; motivazione carente e perplessa, assoluta genericità, manifesta illogicità e irragionevolezza; contraddittorietà, sproporzione e sviamento di potere.

Con tale motivo di ricorso parte ricorrente deduce l’irragionevolezza della motivazione, in quanto il Comune motiva l’ordinanza di sgombero avendo riguardo alla scadenza del termine della convenzione, che avrebbe comportato l’abusività dell’occupazione, con la conseguente necessità di recupero del bene medesimo, non potendosi consentire la detenzione di beni pubblici, istituzionalmente deputati al soddisfacimento di interessi pubblici, in assenza di un titolo concessorio.

Ed invero, secondo la ricorrente, la necessità di recuperare la disponibilità del locale andava contemperata con l’esistenza delle ragioni di pubblico interesse che avevano condotto alla stipula della convenzione di comodato.

Deduce inoltre la genericità della motivazione in riferimento a quella parte dell’ordinanza gravata riferita alla sopravvenute ragioni di ridistribuzione degli uffici comunali.

5) Violazione dell’art. 21 ter l. 241/90; violazione dei principi generali in materia di autotutela amministrativa e di esecuzione coattiva; violazione dell’art. 97 Cost; eccesso di potere sotto molteplici profili; insussistenza delle ragioni di necessità ed urgenza; difetto di motivazione; violazione di principi di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni; deviazione dalla finzione tipica di legge; sviamento di potere.

Con tale motivo la ricorrente deduce in primo luogo la violazione del disposto dell’art. 21 ter l. 241/90 in materia di esecuzione coattiva dei provvedimenti amministrativi, per non avere il Comune fissato preventivamente un congruo termine per il rilascio, avendo lo stesso per contro intimato il rilascio ad horas del locale; ciò senza che ricorressero particolari ragioni di necessità ed urgenza ed in contrasto con il comportamento in precedenza tenuto dal Comune medesimo, che avrebbe tollerato l’occupazione sine titulo dal 31 maggio 2007.

6) Violazione degli artt. 48 e 107 T.U.E.L.; violazione dei principi generali in materia di riparto di competenze tra organi di direzione politica e dirigenti; violazione dei principio del contrario actus ; omessa valutazione del pubblico interesse; violazione dell’art. 13 T.U.E.L.; violazione dell’art. 97 Cost.; difetto di istruttoria; eccesso di potere per contraddittorietà; illogicità; sviamento di potere.

Con tale motivo di ricorso l’Azienda ricorrente deduce l’illegittimità dell’ordinanza di rilascio perché adottata in violazione dei criteri di riparto di competenza fra organi di direzione politica ed e dirigenti; ciò anche in considerazione del rilievo che la decisione di concedere in comodato il locale de quo all’Azienda era stata assunta con delibera della giunta comunale, per cui, anche in osservazione del principio del contrario actus, andava coinvolto l’organo di direzione politica.

7) Violazione degli artt. 2 e 10 bis della L. 241/90: violazione dei principi generali in materia di procedimento amministrativo; violazione dell’art. 97 Cost.; violazione di principi di correttezza e leale collaborazione fra pubbliche amministrazioni; deviazione della funzione tipica di legge; eccesso di potere.

Con tale motivo parte ricorrente censura gli atti impugnati in considerazione della circostanza che il Comune non avrebbe tenuto conto delle richieste di proroga della convenzione di comodato da Lei prodotte, ciò non solo in violazione dell’art. 2 e 10 bis della l. 241/90 ma anche in violazione dei principi di correttezza e leale collaborazione fra pubbliche amministrazioni e del dovere di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost..

8) Violazione della l. 241/90, in particolare degli artt. 3 e 4, 5,7,8,10 ; violazione di principi generali in materia di procedimento amministrativo; violazione dell’art. 97 Cost.; violazione dei principi di buon andamento e di imparzialità; violazione dei principi di informazione e leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni; carenza di istruttoria, sviamento di potere.

Nella prospettazione attorea gli atti gravati sono altresì illegittimi per violazione dei principi partecipativi consacrati dalla l. 241/90 e in particolare dell’art. 7 della l. 241/90 anche nei confronti della Regione Campania, soggetto diverso dal destinatario dell’atto, cui andava garantita la partecipazione procedimentale, in considerazione del contenzioso fra le due Amministrazioni in merito alla proprietà del bene in questione.

4. Con atto depositato in data 25 marzo 2009 è intervenuta ad adiuvandum la Regione Campania, deducendo la radicale nullità degli atti gravati, ai sensi dell’art. 21 septies l. 241/90, in quanto aventi ad oggetto un bene non rientrante nella disponibilità comunale, in quanto di Sua proprietà, deducendo altresì che l’Azienda ricorrente è Suo ente strumentale.

In particolare a fondamento di tale assunto la Regione assume che l’unità immobiliare di cui è causa è ubicata al piano terra del fabbricato sito in Ischia alla via Iasolino n. 3, riportato al catasto al foglio n. 4, particella n. 134, composto da un vano con piccolo soppalco per complessivi m. 15 e rientra nella maggiore consistenza del complesso denominato “Terme Comunali” che con D.M. del 9 marzo 1973, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 103 del 19 aprile 1973, sono state trasferite alla Regione Campania, cui ha fatto seguito l’annotazione nell’anno 1976, nei registri immobiliari, come evincibile dalla visura storica dell’immobile.

Deduce inoltre che l’immobile de quo era stato successivamente inserito nel “Piano di alienazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare della Regione Campania” approvato ai sensi dell’art. 58 della legge 6 agosto 2008 n. 133 ed allegato al “Bilancio di previsione della Regione Campania per l’anno finanziario 2009 e bilancio pluriennale 2009/2011 all. F, approvato con L.R. n. 2 del 19 gennaio 2009, pubblicato sul B.U.R.C. n. 5 del 26 gennaio 2009.

Deduce infine la violazione dell’art. 7 l. 241/90, non essendoLe stato comunicato l’avvio del procedimento, nonostante gli atti gravati fossero per Lei pregiudizievoli

5. Con atto depositato in data 2 aprile 2009 si è costituito il Comune di Ischia instando per il rigetto del ricorso siccome infondato.

Deduce in particolare l’Amministrazione resistente che il bene oggetto dei provvedimenti gravati fa parte della maggiore consistenza dell’immobile, di proprietà del Comune sin dai primi anni del ‘900, adibito dal Comune medesimo a Casa Municipale, con la conseguente annoverabilità del medesimo fra il patrimonio indisponibile del Comune medesimo.

6. Con atto notificato in data 21 aprile 2009 e depositato il successivo 28 aprile, parte ricorrente ha proposto motivi aggiunti avverso gli atti già gravati con il ricorso introduttivo, alla stregua di quanto rappresentato nell’atto di intervento da parte della Regione Campania, deducendo viepiù l’illegittimità degli atti gravati per difetto dell’assorbente presupposto del diritto di proprietà del Comune di Ischia sul bene di cui è causa.

6. 1 Con note di udienza depositate in data 4 maggio 2009 parte ricorrente ha inoltre replicato a quando affermato dal Comune, deducendo che, come palesato dalla documentazione versata in atti dalla Regione Campania, l’edificio sito alla via Iasolino era stato creato e destinato sin dall’inizio alla sfruttamento della sottostante fonte termale, trasferita alla Regione con D.M. del 9/03/1973, e che solo da pochi anni, in assenza peraltro di titolo autorizzatorio da parte della Regione, era stato adibito a sede municipale.

7. Con ordinanza cautelare adotta all’esito della Camera di Consiglio del 7 maggio 2009 la Sezione ha accolto, in considerazione del bilanciamento degli opposti interessi, l’istanza cautelare rimettendo la ricorrente nel possesso del locale in questione.

7.1 In relazione a tale ordinanza, stante l’inottemperanza del Comune, il Collegio su istanza di parte ricorrente, ha emesso poi l’ordinanza n. 13666 del 4 giungo 2009 con la quale ha assegnato al Comune un termine per l’esecuzione dell’ordinanza medesima, dando mandato, in caso di ulteriore inerzia, al Prefetto di Napoli di nominare un commissario ad acta.

7.2 Il Consiglio di Stato, sez. quinta, con ordinanza n. 5051 del 9 ottobre 2009, ha rigettato l’appello cautelare presentato dal Comune di Ischia, anche in considerazione di quanto rivendicato dalla Regione Campania in ordine all’attuale proprietà dell’immobile de quo.

8. Con memorie difensive depositate rispettivamente in data 9 giungo 2010 e 18 giungo 2010 il Comune e l’Azienda ricorrente hanno insistito nei propri assunti.

9. Con atto depositato in data 5 novembre 2010 la Regione Campania ha richiesto la riunione del presente ricorso a quello iscritto al numero R.G. 15910/2010, proposto dalla Regione medesima contro il Comune di Ischia, del pari relativo all’immobile sito in via Isolino.

10. Ed infatti con tale ultimo ricorso, notificato in data 19-25 ottobre 2010 e depositato il successivo 3 novembre, la Regione Campania ha richiesto l’annullamento dell’atto di diffida notificato dal Comune alla Regione medesima in data 10 agosto 2010 relativo alla richiesta di annullamento e/o rettifica del Piano di alienazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare della Regione Campania nella parte in cui indica l’immobile di via Iasolino n. 1, ove ha sede il Comune di Ischia, come cespite di proprietà dell’Amministrazione regionale e di tutti gli atti deliberativi in esso richiamati, ed in particolare la Delibera di G.M. n. 7 del 2010, le delibere del Consiglio Comunale

n. 7 del 2010 e nn. 9 e 23 del 2009 (nella parte in cui il Comune di Ischia ha inserito nel proprio piano di alienazione e valorizzazione immobiliare, approvato ai sensi dell’art. 58 della L. n. 133/2008 l’intero stabile Palazzo Comunale (Municipio) sito in via Iasolino.

11. A sostegno del ricorso deduce che l’immobile de quo, solo in parte occupato dagli uffici dell’Amministrazione comunale, era stato inserito dalla Regione medesima nel piano di alienazione e valorizzazione immobiliare, approvato ai sensi dell’art. 58 della L. n. 133/2008 ed allegato al bilancio di previsione della Regione Campania per l’anno finanziario 2009 e bilancio pluriennale 2009-2011 all. F, approvato con L.R. n. 2 del 19 gennaio 2009, pubblicato sul B.U.R.C. n. 5 del 26 gennaio 2009.

11.2 Il Comune non aveva tempestivamente impugnato tale Piano di alienazione e valorizzazione immobiliare, per cui in assenza di qualsivoglia contestazione, il Settore Demanio e Patrimonio della G.R. con decreto n. 386 del 2009 aveva disposto la trascrizione di tale titolo di proprietà presso il competente Servizio di Pubblicità Immobiliare dell’Agenzia del Territorio, con il conseguente effetto dichiarativo della proprietà, ai sensi del combinato disposto degli artt. 58 L. 133/2008 e dell’art. 2644 c.c. ivi richiamato.

11.3 Conseguentemente il Comune aveva provveduto a concedere in comodato d’uso tale immobile all’Azienda Autonoma di Cura Soggiorno e Turismo delle Isole di Ischia e di Procida.

11.4 Ciononostante, con nota acquisita al protocollo del 10 agosto del 2010, il Comune di Ischia, con l’atto oggetto dell’odierno gravame, ha diffidato la Regione Campania ad annullare e/o rettificare tale Piano di alienazione e valorizzazione immobiliare in quanto, a dire del Comune, lo stesso sarebbe stato adottato sulla base del falso presupposto che la proprietà di tale immobile sia stata ope legis trasferita alla Regione in virtù della legge n. 281/70 e del D.M. 9/03/1973 che approva l’elenco delle acque minerali e termali e delle cave e torbiere trasferite alla Regione Campania.

11.5 La Regione ricorrente pertanto deduce che il Comune aveva continuato ad adottare atti sulla base del falso presupposto che l’immobile di via Iasolino fosse di sua proprietà.

12. Ciò posto, ha impugnato il predetto atto di diffida, nonché gli atti presupposti, in esso richiamati, articolando in tre motivi di ricorso le seguenti censure avverso i medesimi:

1) Inammissibilità per omessa impugnazione di tutti i provvedimenti adottati in relazione alla titolarità del diritto reale.

Con tale motivo di ricorso si deduce come il Comune non avesse tempestivamente impugnato il Piano di alienazione e valorizzazione immobiliare, nonostante la previsione contenuta nel comma 5 dell’art. 58 L. n. 133 del 2008, secondo cui “contro l’iscrizione del bene negli elenchi di cui al comma 1 è ammesso ricorso amministrativo entro sessanta giorni dalla pubblicazione”.

2) Violazione dell’art. 11 L.R. n. 8 del 2008 secondo cui i giacimenti di acque minerali naturali e termali e le relative pertinenze sono soggetti al regime giuridico del patrimonio indisponibile della Regione.

Con tale motivo la Regione deduce che il Comune di Ischia abbia sottratto le antiche terme ubicate al piano terra dell’edificio all’originaria destinazione, in violazione dell’art. 828 comma 2 c.c, per cui detto immobile giammai avrebbe potuto essere inserito nel Piano di alienazione e valorizzazione immobiliare dell’Amministrazione comunale, in virtù dell’espressa previsione dell’art. 58 comma 2 L. 133/2008, in forza della quale tale inserimento determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile.

3) Violazione dell’art. 7 della l. 241/90.

Con tale censura la Regione si duole della lesione del contraddittorio procedimentale imposto dall’art. 7 l. 241/90.

13. In data 5 novembre 2010 la Regione ha richiesto la riunione del ricorso R.G. 15910/2010 al previo ricorso 1462 del 2009, in considerazione della connessione oggettiva e soggettiva dei medesimi.

14. Il 17 dicembre 2010 si è costituito il Comune di Ischia con memoria di mero stile.

15. In data 18 ottobre 2012 il Comune di Ischia ha depositato articolate note difensive, deducendo sotto più profili, fra cui il difetto di giurisdizione, l’inammissibilità del presente ricorso.

16. La Regione con istanza depositata in data 22 ottobre 2012 ha richiesto il rinvio della causa, in considerazione delle note tardivamente depositate dal Comune, istanza rigettata dal Collegio in ragione delle esigenze di celerità sottese alla celebrazione del processo amministrativo.

17. I due ricorsi sono stati chiamati all’udienza pubblica del 25 ottobre 2012, nella cui sede il Collegio ha dato avviso alle parti, ai sensi dell’art. 73 comma 3 c.p.a., della possibile declaratoria di ufficio del difetto di giurisdizione in relazione ai ricorsi medesimi.

DIRITTO

18. In via preliminare va disposta la riunione del ricorso R.G. 5910 del 2010 al previo ricorso 1462 del 2009 per l’evidente connessione oggettiva dei due ricorsi – afferenti al medesimo immobile – e parzialmente soggettiva.

19. Sempre in via preliminare va osservato come le note di udienza depositate dal Comune in data 18 ottobre 2012 in relazione al ricorso R.G. 5910 del 2010 siano da considerare quale vera e propria memoria difensiva, come tale non rilevante ai fini del decidere, in quanto depositata dopo la scadenza dei termini perentori di cui all’art. 73 comma 1 c.p.a..

L’ evidente tardività del deposito, effettuato sette giorni liberi prima dell’udienza di discussione, in violazione del disposto dell’art. 73 comma 1 c.p.a. secondo cui “Le parti possono produrre documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a trenta giorni liberi e presentare repliche, ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell’udienza , fino a venti giorni liberi”, determina l’irrilevanza di tale memoria ai fini del decidere, non sussistendo i presupposti di cui all’art. 54 comma 1 c.p.a., sia pure nella formulazione attuale risultante dalla modifica apportata dal art. 1 lett m), dlgs 15 novembre 2011 n. 195, ovvero la difficoltà di produzione nel termine di legge.

19.1 Dette conclusioni sono avvalorate anche da un consolidato orientamento giurisprudenziale, formatosi ancora prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, che ha configurato come perentori i termini per il deposito di documenti e memorie difensive, in quanto posti a salvaguardia non solo del diritto al contraddittorio ma anche del corretto svolgimento del processo (cfr Consiglio Stato , sez. IV, 09 luglio 2010 , n. 4462, secondo cui “nel processo amministrativo non si può tener conto delle memorie o della documentazione depositate dalla parte dopo la scadenza del termine previsto per tali adempimenti dall’art. 23, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, applicabile anche al giudizio d’appello, essendo espressione del generale principio di rispetto del contraddittorio, a sua volta riconducibile al principio dell’equo processo di cui all’art. 6, conv. europea dei diritti dell’uomo, resa esecutiva con l. 4 agosto 1955 n. 848; Consiglio Stato, sez. V, 17 novembre 2009, n. 7166, secondo cui “nel giudizio amministrativo, il termine assegnato alle parti per il deposito delle memorie è perentorio e non può subire deroghe nemmeno con il consenso delle parti, essendo esso previsto non solo a tutela del contraddittorio ma anche a garanzia del corretto svolgimento del processo e dell’adeguata e tempestiva conoscenza degli atti di causa da parte del collegio giudicante”).

19.2 Ciò posto, non appare giustificata nemmeno la richiesta di rinvio dell’udienza di discussione avanzata dalla Regione Campania, sulla base della tardiva produzione, richiesta respinta del Collegio anche per i motivi di celerità processuale cui è sottesa la celebrazione del processo amministrativo.

20. Il Collegio peraltro, come da avviso dato in udienza, ai sensi dell’art. 73 comma 3 c.p.a., rileva il difetto di giurisdizione dell’adito tribunale in relazione ad entrambi i ricorsi.

20.1 Infatti è noto che la giurisdizione si determina in base alla domanda e, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il “petitum” sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della “causa petendi”, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (fra le altre Sez. U, Ordinanza n. 12378 del 16/05/2008; Sez. U, Ordinanza n. 15323 del 25/06/2010).

21. Ciò posto, in relazione al primo ricorso, R.G. 1462 del 2009, il difetto di giurisdizione, a prescindere dalla titolarità del diritto di proprietà dell’immobile di cui è causa in capo alla Regione Campania ovvero in capo al Comune – questione petitoria questa rientrante nella giurisdizione del G.O. – va dichiarato avendo riguardo alla circostanza che il Comune, su cui incombeva il relativo onere probatorio, non ha dato prova dell’inclusione del cespite de quo nel proprio patrimonio indisponibile, presupposto giuridico necessario per l’esercizio del potere di autotutela di cui all’art. 823 c.c.

21.1 Per contro la circostanza che il locale per cui è causa non fosse destinato a sede di pubblico ufficio o servizio del Comune, secondo quanto dedotto dalla stessa ricorrente nel primo motivo di ricorso, sarebbe palesato proprio dalla circostanza che lo stesso le era stato concesso con comodato d’uso, e quindi secondo l’ordinario schema civilistico di cui agli artt. 1082 e ss.c.c.; la terzietà dell’Azienda ricorrente rispetto al Comune paleserebbe l’insussistenza del requisito dell’effettiva ed attuale destinazione del locale a sede degli uffici comunale e quindi la sua inclusione fra i beni patrimoniali indisponibili del Comune.

21.2 Peraltro, la natura di bene patrimoniale disponibile del locale de quo sarebbe palesata dalla circostanza che con delibera di Giunta Municipale n. 124 del 11/05/2006, prodotta da parte ricorrente in allegato al ricorso, il Comune medesimo deliberava di concedere in comodato d’uso alla ricorrente il locale in questione, contestualmente approvando lo schema di contratto destinato alla successiva sottoscrizione fra le parti.

In tale delibera infatti veniva richiamato l’art. 32 della legge n. 383 del 2000, relativo alla facoltà per lo Stato, le Regioni, le Province ed i Comuni di concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà non utilizzati per fini istituzionali: da ciò, si evince, secondo quanto del resto correttamente dedotto da parte ricorrente, la conferma del carattere disponibile del bene in questione per assenza delle specifico vincolo dei destinazione richiesto ai fini dell’inclusione fra i beni patrimoniali indisponibili.

21.3 La natura del bene in esame sarebbe inoltre confermata dalla circostanza che al piano terra dell’edificio de quo, secondo quanto dedotto dalla stessa ricorrente e non contestato dall’Amministrazione resistente, vi sono svariate attività commerciali i cui locali sono stati concessi in uso con contratti di diritto privato da parte del Comune.

21.4 Né la natura di bene patrimoniale indisponibile del Comune potrebbe essere fatta discendere dalla mera volontà dell’Ente, palesata nella nota impugnata, di destinare il locale in oggetto a sede degli uffici comunali, dovendo la destinazione a sede di un pubblico ufficio o allo svolgimento di un pubblico servizio essere attuale ed effettiva ai fini dell’inclusione del bene fra quelli patrimoniali indisponibili e di conseguenza ai fini dell’esercizio dei poteri autoritativi di cui all’art. 823 c.c.. (ex plurimis Consiglio di Stato, sez. IV, 15 settembre 2006 n. 5381 secondo cui “affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni demaniali indisponibili perché “destinati ad un pubblico servizio” ai sensi dell’articolo 826, comma 3, del codice civile deve sussistere un doppio requisito e cioè, per un verso, la manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico e perciò un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio e, per altro verso, l’effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio (Cass. Civ., sez. II, 22 giugno 2004, n. 11608; SS.UU. 15 luglio 1999, n. 391)”).; Cass. civ., sez. II. 13 marzo 2007, n. 5687).

21.5 Lo stesso Comune peraltro sia con la stipula della convenzione di comodato con l’Azienda ricorrente – la cui scadenza è stata poi posta a base della richiesta di rilascio dell’immobile, essendo l’occupazione divenuta sine titulo a seguito di tale scadenza – sia con comportamenti successivi all’adozione dell’atto oggetto di impugnativa, ovvero con approvazione del Piano di alienazione e valorizzazione immobiliare avvenuto con la delibera di C.C n. 9 del 7 maggio 2009, ha dimostrato di considerare tale cespite come rientrante nel proprio patrimonio disponibile.

Ed invero sebbene in forza dell’art. 58 comma 2 L. 133/2008 tale inserimento determini la conseguente classificazione del bene come patrimonio disponibile, si deve ritenere che anche prima di tale inserimento il Comune avesse considerato il cespite in lite, nonché gli altri locali del pari siti al piano terra, come rientranti nel proprio patrimonio disponibile, come dedotto da parte ricorrente con il primo ed assorbente motivo di ricorso, avendoli fatti oggetto di negozi di diritto privato e non avendo in precedenza destinato gli stessi a sede degli uffici comunali; per cui a tal fine non rileva la mera volontà espressa nell’atto gravato di destinare il cespite di cui è causa ad ufficio comunale, intento questo tra l’altro smentito dal comportamento successivo ovvero dall’inserimento del medesimo nel piano di alienazione immobiliare del Comune con la citata delibera di C.C n. 9 del 7 maggio 2009.

21.6 Pertanto, in mancanza del necessario presupposto dell’inclusione del cespite de quo nel patrimonio indisponibile del Comune, deve ritenersi – impregiudicata la questione petitoria demandata dal G.O. e sottesa al ricorso R.G. 5910 del 2010 – che il petitum sostanziale dell’odierno ricorso sia relativo al rilascio di immobile considerato dallo stesso Comune come rientrante nel proprio patrimonio disponibile ed occupato sine titulo: non si verte pertanto sull’esercizio di poteri autoritativi, ma di autotutela privatistica.

21.7 Da ciò la conseguente devoluzione della controversia al G.O..

Infatti come questa Sezione ha avuto già modo di precisare “la controversia relativa ad un ordine di sgombero di un locale di proprietà del Comune …facente parte del patrimonio disponibile dell’ente territoriale, appartiene alla giurisdizione del G.O., anziché a quella del giudice amministrativo, trattandosi di un rapporto di matrice negoziale, da cui derivano in capo ai contraenti posizioni giuridiche paritetiche qualificabili in termini di diritto soggettivo, nel cui ambito l’Amministrazione agisce “iure privatorum” – al di fuori cioè dell’esplicazione di qualsivoglia potestà pubblicistica (attribuitale, dall’art. 823 c.c., esclusivamente in relazione ai beni demaniali e a quelli patrimoniali indisponibili degli enti pubblici) – non soltanto nella fase genetica e funzionale del rapporto, ma anche nella fase patologica, il che, più specificamente, si traduce nell’assenza di poteri autoritativi sia sul versante della chiusura del rapporto stesso, sia su quello connesso del rilascio del bene (T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 12 marzo 2010 , n. 1390; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 10/03/2011 n. 01402).

La stessa giurisprudenza della Suprema Corte ha avuto modo di pronunciarsi nel senso della spettanza al G.O. delle controversie relative a beni rientranti nel patrimonio disponibile (da ultimo Sez. U, Sentenza n. 24563 del 03/12/2010 secondo cui “l’azione possessoria proposta dal privato che lamenti di essere stato violentemente privato del possesso di fondo, appartenente al patrimonio disponibile della P.A., di cui sia affittuario, a causa – nella specie- di lavori di escavazione e piantumazione, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, essendo la relativa ordinanza sindacale di sgombero riconducibile non già all’esercizio di un potere autoritativo a tutela di un bene pubblico, bensì all’espletamento di attività privata di autotutela del proprio patrimonio immobiliare”; Sez. U, Ordinanza n. 14133 del 01/10/2002 con la quale si è affermato che “l’indennità pretesa dal comune per l’occupazione abusiva di un’area che risulti – nella fattispecie, a seguito di sentenza tra le stesse parti passata in giudicato- appartenente al patrimonio disponibile dell’ente non ha natura tributaria, bensì di entrata patrimoniale, con la conseguenza che la relativa controversia è sottratta alla giurisdizione delle commissioni tributarie, ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – come già ai sensi dell’art. 1 del dPR 26 ottobre 1972, n. 636 -, ed appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario”).

22. In relazione al ricorso R.G. n. 5910 del 2010 invece il difetto di giurisdizione va rilevato avendo riguardo alla circostanza che lo stesso, sotto l’apparenza di un giudizio di tipo impugnatorio – avente peraltro ad oggetto un atto di natura non provvedimentale (investendo un atto di mero impulso procedimentale all’esercizio del potere di autotutela) e i relativi atti presupposti, non tempestivamente impugnati – ha in via diretta ed immediata ad oggetto, quale petitum sostanziale, l’accertamento del diritto di proprietà sul cespite in questione, oggetto di controversia fra la Regione Campania e il Comune di Ischia, che lo hanno incluso entrambi nel proprio Piano di alienazione e valorizzazione immobiliare, con la conseguente inclusione nel loro patrimonio disponibile, ai sensi del richiamato art. 58 comma 2 L. 133/2008.

L’azione petitoria, oggetto immeditato del ricorso de quo in base al petitum sostanziale, rientra pertanto all’evidenza nella giurisdizione del G.O..

23. Va quindi dichiarato, in relazione ad entrambi i ricorsi, il difetto di giurisdizione dell’adito G.A. in favore del G.O., con conseguente inammissibilità degli stessi.

24. Restano salvi gli effetti processuali e sostanziali delle domande se il processo è riproposto innanzi al G.O. nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presene sentenza, ex art. 11 c.p.a. (traslatio iudicii).

25. In considerazione della materia trattata, della qualità delle parti e delle questioni in fatto e in diritto sottese ai ricorsi, sussistono eccezionali e gravi ragioni per la compensazione delle spese di lite fra tutte le parti, ferma restando l’irripetibilità delle spese liquidate in favore del Commissario ad acta con l’ordinanza collegiale n. 475/2010 e poste definitivamente a carico del Comune di Ischia.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima)

definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti,

li dichiara inammissibili per difetto di giurisdizione del G.A, in favore del G.O, innanzi al quale le parti potranno riassumere il giudizio nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza.

Compensa le spese di lite, ferma restando l’irripetibilità delle spese liquidate in favore del Commissario ad acta con l’ordinanza collegiale n. 475/2010 e poste definitivamente a carico del Comune di Ischia.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2012

Redazione