Operaio muore di cancro al polmone: riconosciuto il danno agli eredi anche se era un accanito fumatore (Cass. n. 18472/2012)

Redazione 26/10/12
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Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 9 marzo 2009 la Corte di Appello di Taranto rigettava il gravame proposto dagli eredi di B.M. avverso la sentenza del Tribunale di Taranto che aveva respinto la domanda dagli stessi proposta iure hereditatis per l’accertamento della responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ. e per il risarcimento del danno morale e biologico patito dal loro congiunto, deceduto in data 19.7.98 per carcinoma polmonare, dopo due anni di malattia.

I suddetti eredi avevano dedotto che B.M. aveva lavorato alle dipendenze della SIFI s.p.a. dal 18.3.72 al 27.7.87 con mansioni di operaio coibentatore, segnatamente di muratore refrattarista, ed aveva sempre prestato la sua attività all’interno dello stabilimento siderurgico di Taranto, occupandosi del rifacimento e della manutenzione dei rivestimenti di amianto degli altiforni e restando esposto, nello svolgimento di tali mansioni, a fumi, polveri e fibre di amianto.

Osservava la Corte di appello che era condivisibile l’esito del giudizio di primo grado, in quanto il C.t.u. nominato in quella sede aveva concluso, per un verso, che non era ravvisabile un nesso certo o altamente probabile tra l’inspirazione di particelle di amianto e neoplasia polmonare; per altro verso, che non era possibile affermare che l’insorgenza della neoplasia sarebbe stata evitabile con l’adozione degli opportuni accorgimenti nell’ambiente lavorativo, poichè il B. era stato un fumatore.

Nel disattendere il motivo di appello con il quale si era lamentata la mancata considerazione della presenza nell’ambiente di lavoro di fumi, polveri di colata, apirolio, catrame e benzene (idrocarburi aromatici contenenti PAH), ossia di agenti patogeni indicati dalle autorità sanitarie come possibili fattori di insorgenza di carcinomi polmonari nei lavoratori addetti alle lavorazioni che ne facciano uso, osservava la Corte che vi era un difetto di idonea allegazione in fatto, sì da doversi escludere che la mancata contestazione potesse valere a ritenere pacifici, e dunque provati, i fatti allegati. Difatti, gli eredi ricorrenti avevano incentrato la domanda essenzialmente sul fatto che il lavoro del loro congiunto si era svolto a contatto quotidiano con l’amianto.

Con gli altri motivi di appello era stata lamentata l’erronea applicazione dei principi in tema di causalità. In particolare, non stato debitamente considerato: a) che il nesso eziologico tra esposizione a fattori ambientali nocivi e insorgenza del tumore polmonare non poteva ritenersi escluso dalla presenza di eventuali concause, quali il tabagismo; b) che l’inspirazione di fibre di asbesto può comunque costituire fattore concorrente nel determinismo causale e ad un maggiore quantitativo di tali fibre inalate corrisponde una riduzione del periodo di latenza del tumore; c) che la generica indicazione della condizione di “ex fumatore” non poteva fondare un giudizio di esclusione di altri fattori causali o concausali.

Nel disattendere tali censure, la Corte di appello osservava che il carcinoma polmonare è malattia che riconosce il tabagismo come eziologia predominante (in una misura variabile tra l’85% e il 90% dei casi), mentre all’asbesto può ricondursi solo una piccola percentuale di casi; è invece il mesotelioma ad essere causato nell’80% dei casi dalla inalazione di fibre di amianto. Elementi di valenza indiziaria erano costituiti dalla comparsa del tumore in età tradizionale in cui questo di manifesta; nella mancanza di un significativo aumento di incidenza nel gruppo di lavoro del quale il B. faceva parte; nel fatto che, avendo lo stesso lavoratore affermato di essere un ex fumatore, questo non poteva che alludere ad un consumo non esiguo di sigarette, in mancanza di elementi da cui potere trarre il convincimento che l’uso fosse di scarso peso, tale da non determinare una situazione di pericolo.

Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso gli eredi di B.M., con due motivi, articolati in quesiti di diritto.

Si sono costituiti, con controricorso, la S.I.F.I. s.p.a. e l’INA Assitalia. La soc. S.I.F.I. propone altresì ricorso incidentale per censurare il capo relativo alla compensazione delle spese di lite.

Motivi della decisione

Preliminarmente, deve disporsi la riunione dei ricorsi ex art. 335 cod. proc. civ., trattandosi di impugnazioni aventi ad oggetto la medesima sentenza.

Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione di legge (artt. 2087, 1218, 2729 e 2697 cod. civ., artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) e vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per avere i giudici di merito omesso di considerare l’esposizione del lavoratore ad altri agenti patogeni oltre all’amianto, quali idrocarburi, fumi e polveri di molatura e saldatura, catrame, benzolo, apirolio, radiazioni, vapori acidi utilizzati per la pulizia dei macchinari, fattori tossici tutti ampiamente presenti nello stabilimento Ilva di Taranto, come dimostrato dai risultati delle indagini sulle emissioni compiute da organi del ministero dell’ambiente. La Corte di appello avrebbe dovuto ritenere acquisita al thema decidendum, per mancata specifica contestazione, la presenza di tali ulteriori fattori di rischio o, in caso contrario, ammettere la prova testimoniale onde accertarne l’esistenza ai fine dell’indagine sull’effetto sinergico di tali fattori se non quale indipendente apporto alla serie causale, anche come fattore accelerativo del rischio tabagico. Si chiede inoltre a questa Corte se possa essere qualificato, secondo nozioni di comune esperienza, forte fumatore con prolungata abitudine tabagica un soggetto che la documentazione rinvenuta nella scheda di anamnesi di una cartella clinica qualifichi solo come “ex fumatore”, senza alcun riferimento alla durata e alla quantità del consumo.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge in relazione all’erronea interpretazione ed applicazione dei principi che regolano il rapporto di causalità e il concorso di cause (artt. 40 e 41 cod. pen. e artt. 1223, 1226, 2043 e 2087 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5). Segnatamente, si deduce che la sentenza: a) omette la verifica dell’apporto causale di tutti i fattori di rischio presenti nell’ambiente di lavoro ove ha operato il de cuius, oltre all’amianto, unico considerato; b) non considera l’effetto sinergico moltiplicatore e accelerativo della contemporanea presenza di più fattori morbigeni; c) afferma, in assoluta carenza di prova, la sussistenza di una prolungata abitudine tabagica nel de cuius per affermarne la preponderanza causale; d) subordina alla verificazione di una percentuale di probabilità superiore al 90% (come da quesito sottoposto al C.t.u.) – l’accertamento del nesso eziologico, in luogo del criterio del “più probabile che non”; e) erroneamente afferma che una neoplasia polmonare da asbesto debba necessariamente essere preceduta da una asbestosi.

I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, involgendo questioni tra loro connesse, sono fondati.

In punto di diritto, giova premettere che gli eredi agiscono iure hereditatis per il riconoscimento della riconducibilità a responsabilità datoriale ex art. 2087 cod. civ. in relazione al diritto al risarcimento dei danni maturati in capo al de cuius nel periodo di tempo tra l’insorgenza della malattia e il momento del decesso, che nella specie risulta essere avvenuta a distanza di circa due anni (sulla questione del danno biologico trasmissibile iure successionis, cfr., tra le più recenti, Cass. 23053 del 30 ottobre 2009).

Circa l’esposizione a fattori morbigeni concorrenti (con l’amianto), la Corte di appello ha ritenuto che non vi fosse alcun onere, per la parte resistente, di prendere specifica posizione in ordine alle relative allegazioni di parte ricorrente, essendo queste del tutto generiche. Tuttavia, dal tenore del motivo di appello, quale riportato nel ricorso per cassazione risulta che la parte aveva indicato, con sufficiente specificità, gli agenti patogeni ritenuti presenti nell’ambiente lavorativo unitamente all’asbesto, più direttamente connesso alla manipolazione dovuta alle operazioni proprie delle mansioni di operaio coibentatore. Inoltre, stante l’effetto sostitutivo della sentenza di appello, nella cui motivazione nessun riferimento è contenuto agli elementi (di prova indiretta, acquisiti nel diverso giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno morale sofferto iure proprio dagli eredi e definito dal tribunale civile con sentenza di rigetto) valorizzati dal primo giudice per escludere l’esistenza di concorrenti fattori causali presenti nell’ambiente di lavoro, la sentenza di appello risulta basata sul solo rilievo della genericità dell’allegazione, tale da esonerare il convenuto dal prendere specifica posizione riguardo alla nocività dell’ambiente lavorativo; la Corte di merito ha difatti osservato come fosse inesigibile un contegno processuale di specifica contestazione (dell’ impiego di altre sostanze nocive nel ciclo produttivo), trattandosi di allegazione “che non è mai stata fondamentale ai fini dell’accoglimento della domanda”. Al contrario, deve rilevarsi che l’assunto della esposizione ai suddetti agenti patogeni – espresso nel motivo di appello – non era stato sanzionato dalla Corte come inammissibile per novità e dunque la questione era stata enunciata sin dal primo grado negli stessi termini esposti in appello, ossia con l’indicazione specifica delle sostanze tossiche presenti nell’ambiente lavorativo, rilevanti – secondo la prospettazione di parte ricorrente – ai fini (quanto meno) di un effetto sinergico e moltiplicatore del rischio insito nell’esposizione all’amianto. La specificità dell’allegazione imponeva al datore di lavoro l’onere di altrettanto puntuale contestazione.

Inoltre, poichè il lavoratore non è tenuto a conoscere la composizione delle sostanze a contatto delle quali si trova ad operare, deve ammettersi una scissione tra oneri di allegazione e oneri probatori, tale che la prova offerta dal lavoratore possa essere integrata dall’ufficio mediante c.t.u..

In materia di responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 cod. civ., di natura contrattuale, atteso che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge, ai sensi dell’art. 1374 cod. civ., dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale, il riparto degli oneri probatori esige che grava sul lavoratore allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno.

L’indagine peritale, orientata esclusivamente al riscontro del nesso causale tra esposizione ad amianto e insorgenza del carcinoma polmonare, risulta quindi lacunosa in quanto basata su l’erronea interpretazione ed applicazione dei principi in tema di riparto degli oneri probatori.

La sentenza risulta altresì affetta da vizio di motivazione, riferibile a quanto testè osservato circa la mancata considerazione del fatto decisivo costituito dalla omessa indagine circa l’esposizione del B. ad altri (potenziali) fattori di rischio e l’idoneità degli stessi di agire come fattori causali o concausali dell’evento o in relazione sinergica con l’amianto.

Peraltro, anche con riferimento al secondo motivo la sentenza risulta affetta da error in iudicando e da vizio di motivazione per avere, da un lato, attribuito al fattore extralavorativo, solo perchè dotato di una maggiore probabilità statistica, l’idoneità a costituire causa esclusiva della neoplasia anzichè causa eventualmente solo concorrente nel determinismo causale. Ai sensi dell’art. 41 cod. pen., va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito alla produzione dell’evento, salvo il limite derivante dall’intervento di un fattore esterno all’attività lavorativa che sia di per sè sufficiente a produrre l’infermità e a far degradare altre evenienze a mere occasioni. Nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, trova diretta applicazione la regola contenuta nell’art. 41 citato, per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l’efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell’evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l’intervento di un fattore estraneo all’attività lavorativa, che sia di per sè sufficiente a produrre l’infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l’esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge (cfr. in tal senso, Cass. n. 14770 del 2008; nel caso esaminato, è stata cassata la sentenza che aveva attribuito al tabagismo efficacia causale della rilevata broncopneumopatia cronica, senza approfondire se la noxa professionale riconosciuta dal CTU, pur marginale, avesse avuto un ruolo concausale, anche se ridotto; v. pure, Cass. n. 13361 del 2011).

La Corte territoriale non ha indicato quali fossero i caratteri per i quali il tabagismo del B., anzichè costituire un fattore concorrente, avesse assunto preponderanza causale, tale da far degradare i fattori di rischio lavorativi a mere occasioni.

Nell’escludere il nesso eziologico, la Corte territoriale ha valorizzato principalmente – accanto a dati di rilievo indiziario (epoca dell’insorgenza della malattia, assenza di percentuali significative nel gruppo di lavoro del B.) – il dato epidemiologico dell’essere modesta la percentuale dei carcinomi polmonari correlatali all’asbesto e molto elevata quella imputabile al tabagismo, ma tale dato non rileva direttamente ai fini dell’esclusione, in singoli soggetti esaminati, dell’eziologia professionale della malattia, la quale attiene alla idoneità – ossìa alla potenzialità, scientificamente fondata – del fattore lavorativo a costituire causa o concausa dell’insorgenza del tumore.

Per l’accertamento dell’eziologia professionale della patologia contratta trova applicazione il criterio secondo il quale deve ritenersi acquisita la prova del nesso causale nel caso sussista un’adeguata probabilità, sul piano scientifico, della risposta positiva, non occorrendo una assoluta certezza, e ciò non a causa dell’incompletezza delle prove fornite riguardo ad elementi strettamente fattuali, ma per ragioni intrinseche alla variabilità e non completa prevedibilità delle reazioni dei soggetti umani ai fattori potenzialmente incidenti sul loro stato di salute e alla limitata possibilità di identificare anche “ex post” quali siano stati i fattori causali che concretamente abbiano operato, tanto più che, in applicazione dell’art. 41 cod. pen., va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito alla produzione dell’evento, salvo il limite derivante dall’intervento di un fattore esterno all’attività lavorativa che sia di per sè sufficiente a produrre l’infermità e a far degradare altre evenienze a mere occasioni (Cass. n. 1135 del 19 gennaio 2011; nel caso esaminato questa Corte ha cassato la sentenza impugnata che aveva attribuito al tabagismo efficacia causale della neoplasia polmonare, senza approfondire se l’esposizione ai fumi di fonderia di fusione dell’acciaio, sprigionanti sostanze tossiche, avesse avuto un ruolo concausale).

Nella specie, non risulta che sia stata fatta corretta applicazione dei principi richiamati; inoltre, la motivazione è carente, essendo stata ricondotta la neoplasia al tabagismo senza approfondire se la noxa professionale avesse avuto un ruolo causale o concausale (eventualmente anche ridotto) ed omettendo di considerare la sinergia del fattore amianto con le altre sostanze tossiche soggette ad inalazione durante lo svolgimento della prestazione lavorativa, in assenza di elementi, in alcun modo indicati dal giudice di merito, idonei ad attribuire al tabagismo il carattere di causa esclusiva dell’evento dannoso.

La sentenza va, pertanto cassata, in accoglimento del motivo di ricorso, e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte territoriale in diversa composizione per un nuovo accertamento di merito secondo i principi enunciati.

Resta assorbito il ricorso incidentale vertente sulla compensazione delle spese del grado di appello, essendo ogni questione relativa alle spese suscettibile di riesame all’esito del giudizio di rinvio.

 

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione.

Redazione