Onorario avvocati: in caso di transazione il valore della causa si determina con riguardo alla somma effettivamente corrisposta e non a quella originariamente richiesta (Cass. n. 3660/2013)

Redazione 14/02/13
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. L’Avv. M.S.G. richiedeva con le forme del provvedimento monitorio il riconoscimento di onorari e diritti nei confronti di **** per Lire 27.935.841. L’ingiunto proponeva opposizione, la cui decisione veniva rimessa, con ordinanza, al Tribunale in Camera di Consiglio a norma della L. n. 794 del 1942, art. 28.

2. Con ordinanza depositata il 10 luglio 2006, il Tribunale di Napoli determinava in Euro 2.003,9 la somma spettante al predetto, osservando che il procedimento previsto dal L. n. 794 del 1942, artt. 28 e 29, da adottarsi anche nel caso in cui il patrono si sia avvalso dell’ingiunzione di cui all’art. 633 c.p.c., trova applicazione soltanto se la controversia abbia ad oggetto la determinazione della misura del compenso e non si estende ad altri oggetti di accertamento e decisione, quali i presupposti stessi del diritto al compenso, i limiti del mandato, l’effettiva esecuzione della prestazione. Sulla scorta di tali principi, rilevava il Collegio, in primo luogo, che non era contestato che l’avv. M.S. avesse assistito il resistente in due giudizi per competenze di lavoro, vertendo, viceversa, il contenzioso tra le parti esclusivamente sul quantum debeatur, il resistente I. sosteneva che, siccome i due giudizi furono definiti con una transazione per il complessivo importo di lire 37.000.000 al netto ed al lordo per lire 47.000.000, ne conseguiva che a tale importo dovesse farsi riferimento quale base di calcolo e non a quanto richiesto con le domande introduttive; la difesa del ricorrente aveva, viceversa, insistito nell’indicare il valore delle cause nelle somme di cui alle due originarie domande e che alle somme oggetto della transazione doveva comunque aggiungersi l’importo di Lire 155.000.000 riscosso dall’ I. qualche mese prima del ricorso quale incentivo alle dimissioni ed altre Lire 47.000.000 ricevute, sempre in precedenza, a titolo transattivo. Il ricorrente, inoltre, riferiva di aver riscosso le somme di lire 3.000.000 e di lire 2.000.000 dalle controparti a titolo di mero “concorso spese”. Posto, quindi, che era pacifico inter partes che i giudizi nei quali l’avv. M.S. ebbe a rappresentare l’ I. vennero definiti con transazione del 23.12.1998. ne discendeva che trovava applicazione la tariffa di cui al D.M. n. 575 del 1994, non assumendo rilevanza, giusta la previsione di cui all’art. 11 preleggi, le successive modifiche normative. Tanto premesso, ai fini della determinazione del valore cui avere riguardo, andava in primo luogo rilevato che risultava pacifico tra le parti e documentato dal verbale di conciliazione che i due giudizi introdotti vennero riuniti alla prima udienza e che una transazione ebbe a definire entrambi i giudizi. Quanto al valore da assumere come parametro di riferimento per la liquidazione delle spettanze, non poteva essere condiviso l’assunto del ricorrente in quanto le somme indicate nei singoli ricorsi, siccome superate dall’intervenuta transazione, ad avviso del Tribunale, non potevano costituire in alcun modo parametro di riferimento circa la determinazione del valore del giudizio dovendosi, viceversa, ritenere più razionale e congruo tenere conto della diversa somma accettata dalla parte in sede di transazione, valido parametro di riferimento essendo stata accettata dalla parte a seguito di valutazione dell’alea del giudizio. Nè poteva quantificarsi detto valore secondo il criterio in subordine indicato dal ricorrente in quanto, se pure nell’atto di transazione la somma versata veniva indicata “quale integrazione del corrispettivo per la cessazione del rapporto, tuttavia ciò che rilevava era la quantificazione del valore della res controversa rispetto alla quale le somme in precedenza versate, e riguardo alle quali alcun contenzioso risultava essere insorto, nessuna rilevanza potevano assumere. Pertanto, il valore complessivo dei due giudizi non poteva che individuarsi nella somma che entrambe le parti avevano entrambe indicato come concordata in sede transattiva.

3. Propone ricorso per cassazione il predetto professionista, deducendo: 3.3. Violazione e/o falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, artt. 8 e 9, in riferimento agli artt. 3 e 5 stessa legge nonchè dell’art. 14 c.p.c., avendo il Tribunale applicato la norma dettata dalla L. n. 794 del 1942, art. 9, u.c., che consente di aver riguardo anzichè al valore della domanda, alla somma effettivamente attribuita alla parte vittoriosa; mentre tale possibilità sarebbe stata preclusa da due ordini di ragioni. In primo luogo, il richiamato disposto limiterebbe espressamente l’ambito della propria applicabilità alle ipotesi in cui si debba procedere alla “liquidazione degli onorari a carico della parte soccombente” e non anche a carico dei cliente. La corrisponderebbe ad una precisa scelta, anche di ordine sistematico, operata dal Legislatore del 1942, rinvenendosi, nel complessivo impianto del provvedimento legislativo, una netta distinzione tra la posizione “della parte soccombente” (art. 3) e quella “del cliente” (art. 5), in ragione della quale sarebbe preclusa la possibilità di applicare, nel caso in cui si debba procedere alla liquidazione degli onorari a carico del cliente, le disposizioni dettate in materia di liquidazione delle spettanze dovute dalla controparte, soccombente. Tale netta distinzione sarebbe rafforzata dal richiamo, contenuto nell’art. 5, L. cit., al precedente art. 3 (“Nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, oltre che dei criteri enunciati nell’art. 3, si tiene conto del pregio dell’opera prestata e dell’esito della causa”), posto proprio a rafforzare il principio secondo il quale le regole dettate a disciplinare la posizione del cliente e quella della controparte non sarebbero tra loro soggette a commistioni se non nei casi espressamente previsti. In secondo luogo, la predetta L. n. 794 del 1942, art. 9, u.c., restringerebbe ulteriormente i limiti della sua applicabilità laddove fa riferimento alla posizione processuale delle parti all’esito della emanazione di un provvedimento decisorio (“parte soccombente … parte vincitrice”), che nel caso di specie non si sarebbe consolidata nè nei confronti dell’istante, nè nei confronti delle convenute a cagione dall’intervenuta transazione delle controversie. In altri termini: il Legislatore avrebbe espressamente stabilito che la norma sia applicabile esclusivamente nell’ipotesi in cui venga emanata una sentenza (od altro provvedimento equipollente) la quale sancisca che una parte risulti “vincitrice” e l’altra, portatrice di interessi contrapposti, risulti “soccombente”, ma non anche in diversi casi di definizione del giudizio (conciliazione o transazione), nei quali non è dato individuare nè un “vincitore” nè un “soccombente”. Formula, pertanto il seguente quesito di diritto: “Conclusosi con transazione un giudizio proposto per ottenere il pagamento di una somma di denaro, nell’ipotesi in cui l’importo sul quale è stato raggiunto l’accordo tra le parti sia inferiore a quello originariamente domandato, il valore della controversia – ai fini della liquidazione degli onorari di avvocato da porre a carico del cliente – va determinato con riguardo al valore iniziale della lite oppure in riferimento alla cifra per la quale il giudizio è stato transatto”.

3.2. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in riferimento agli artt. 645 e 653 c.p.c.. Deduce che principio espresso e ribadito più volte da questa S.C. è quello secondo il quale l’atto introduttivo del giudizio che consegue all’opposizione dell’ingiunto è costituito dalla richiesta del creditore intesa ad ottenere l’emanazione del decreto ingiuntivo, ed è in relazione a tale domanda che va determinato chi è vittorioso e chi è soccombente (tra le altre: Cass. 1977/83). L’unica particolarità da tener presente nell’esaminare la struttura del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, dunque, sarebbe rappresentata dal fatto che, pur assumendo il creditore/opposto il ruolo formale di convenuto, egli è sostanzialmente attore e che, viceversa, al ruolo formale di attore dell’opponente/debitore, corrisponde una posizione sostanziale di convenuto (ex multis: Cass. 11368106). Da ciò deriva che la pronuncia di accoglimento dell’opposizione si sostanzia in un provvedimento di rigetto della domanda proposta dall’opposto, il rigetto dell’opposizione va tradotto nel sostanziale accoglimento dell’azione promossa con procedura monitoria e, infine, il parziale accoglimento dell’opposizione corrisponde, in realtà, al parziale accoglimento della domanda proposta con ricorso per ingiunzione.

L’ordinaria disciplina relativa al governo delle spese processuali resta invariata: di regola esse vanno poste a carico della parte soccombente salva la possibilità, per il Giudice, di compensarle in tutto o in parte “se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi” e fermo il divieto di porle a carico della parte vittoriosa. Perciò, il Tribunale avrebbe, in violazione delle richiamate norme, condannato l’avv. M.S. al pagamento delle spese processuali in favore dell’ I.. Infatti, seppur vero è che con il provvedimento portato all’esame di questa Corte è stato revocato il decreto ingiuntivo emesso nei confronti del sig. ****, altrettanto vero è che quest’ultimo è stato comunque dichiarato debitore nei confronti dell’avv. M.S. dell’importo di Euro 2.033,80 – oltre maggiorazioni di Legge – con la conseguenza che, anche se limitatamente al suddetto importo, la domanda proposta nell’ambito della fase monitoria era stata comunque accolta nel successivo giudizio di opposizione e, come se ciò non bastasse, in assenza di soccombenza reciproca tra le parti giacchè I. non aveva proposto alcuna autonoma domanda che fosse stata accolta nei confronti dell’opposto. Pertanto risulterebbe violato il divieto di porre le spese a carico della parte totalmente vittoriosa laddove il Giudice dell’opposizione, anzichè compensare le spese, le aveva poste definitivamente, e per l’intero, a carico dell’opposto, come avvenuto nel caso di specie. Formula, pertanto, il seguente quesito di diritto: “Essendo stato ridotto, a seguito di accoglimento della proposta opposizione a decreto ingiuntivo, l’importo originariamente domandato dal creditore con procedimento di ingiunzione, quest’ultimo può essere legittimamente considerato soccombente e, per l’effetto, possono essere poste a suo esclusivo carico le spese del giudizio di opposizione”.

4.1. Il primo motivo è infondato. Questa Corte ha già avuto mordo di osservare che, nella determinazione degli onorari dell’avvocato in una lite conclusasi con transazione, poichè per la sussistenza delle reciproche concessioni ciascuna parte non è nè vincitrice nè perdente, la determinazione del valore della causa va compiuta avendo riguardo alla somma effettivamente corrisposta, e non a quella originariamente richiesta (v. Cass. 27/06/2011, n. 14081, in motivazione; Cass., 16/10/2009, n. 22072; Cass., 11/4/1991, n. 3804), a nulla rilevando che il pagamento sia a carico del cliente o dell’avversario (v. Cass., 3/2/1973, n. 348). Ciò comporta l’esercizio da parte del giudice di un potere non già arbitrario bensì discrezionale, essendo il medesimo tenuto a dare motivazione sia pure succinta delle relative ragioni (cfr. Cass., 11/7/2006, n. 15685; Cass., Cass., 10/2/1981, n. 844).

Orbene, nel caso di specie, il Tribunale, non si è discostato da tali principi, e ha espresso al riguardo ampia, corretta e congrua motivazione, affermando di ritenere che “non poteva essere condiviso l’assunto del ricorrente in quanto le somme indicate nei singoli ricorsi, siccome superate dall’intervenuta transazione, ad avviso del Tribunale, non potevano costituire in alcun modo parametro di riferimento circa la determinazione del valore del giudizio dovendosi, viceversa, ritenere più razionale e congruo tenere conto della diversa somma accettata dalla parte in sede di transazione, valido parametro di riferimento essendo stata accettata dalla parte a seguito di valutazione dell’alea del giudizio”.

Del resto, tale soluzione è in armonia con quanto precisato in merito da questa S.C., secondo la quale “in tema di liquidazione degli onorari professionali a favore dell’avvocato, il principio generale secondo cui il valore della causa si determina in base alle norme del codice di procedura civile avendo riguardo all’oggetto della domanda considerato al momento iniziale della lite, trova un limite alla sua applicabilità nei cast in cui, ai momento dell’instaurazione del giudizio, non sia possibile indicare il quantum – ciò verificandosi, in genere, nelle controversie per risarcimento danni, ove, il più delle volte, la domanda di condanna è formulata con riserva di quantificazione in corso di giudizio – rendendosi in tale ipotesi indispensabile, ai fini de qiubus, il riferimento al valore definito e. quindi, al quantum stabilito dalle parti in altro modo – eventualmente, come nella specie, con transazione – sicchè, in definitiva, il valore della causa viene ad essere determinato sulla base del predetto importo” (Cass. n. 2188 del 2011; Cass. n. 17354 del 06/12/2002; Cass. n. 10416 del 2.07.2003; v. anche Cass. n. 3804 del 11.04.1991; Cass. n. 348 del 3.02.1973).

4.2. Il inammissibile, poi. il secondo motivo di ricorso, non essendo prospettabile in questa sede la dedotta violazione di legge. Invero, si deve ribadire che per giurisprudenza ampiamente consolidata (per tutte, Cass. n. 11537/02), in materia di spese processuali, l’identificazione della parte soccombente è rimesso al potere decisionale del Giudice di merito, insindacabile in questa sede, con l’unico limite di violazione del principio per cui le spese non possono essere poste, nemmeno per una minima parte, a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. n. 13229/11); qualora ricorra la soccombenza reciproca, è rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione; salva, peraltro, la censurabilità della relativa motivazione ove a giustificazione della disposta compensazione siano addotte ragioni il logiche od erronee, peraltro non dedotte nel presente ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (Cass. 13 dell’11 gennaio 1988, 320 del 22 gennaio 1990. 551 del 29 gennaio 1990, 7535 del 9 luglio 1993; Cass. n. 12879/99).

Il Tribunale, invero, nell’esercizio dei propri poteri discrezionali in tema di individuazione della parte soccombente, ha posto a carico dell’odierno ricorrente le spese del procedimento di liquidazione delle competenze professionali, posto che, pur avendo revocato il decreto ingiuntivo, l’ordinanza oggetto del presente ricorso ha determinato detti compensi, spettanti al ricorrente medesimo. Avv. M.S., sia pure in misura largamente inferiore a quella originariamente pretesa tanto con la prospettazione principale, che con quella subordinata (in relazione alla soccombenza rispetto alla quale non vi è censura specifica in questa sede).

5. Pertanto, il ricorso va rigettato. Nulla per le spese del presente giudizio, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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