Onorari professionali: la prescrizione presuntiva richiede il riconoscimento del credito (Cass. n. 16818/2012)

Redazione 03/10/12
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE

C. G., Gr. ed I. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Ariano Irpino – pronunciata in sede di gravame – del 27 luglio 2010 che nell’ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo n. 78/2002 emesso dal Giudice di pace di Ariano Irpino per Euro 1.588,00 su istanza degli stessi ricorrenti a titolo di onorari professionali, promosso da N.M., ha accolto il gravame, e per l’effetto, in riforma della decisione di primo grado, ha ritenuto fondata l’opposizione dichiarando l’intervenuta prescrizione del credito preteso, con revoca del decreto ingiuntivo.

Il ricorso è affidato a due motivi di impugnazione.

L’intimato N. si è costituito con controricorso.

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c. proponendo il rigetto del ricorso. All’udienza camerale il Procuratore ******** ha rassegnato conclusioni conformi a quelle di cui alla relazione.

RITENUTO IN DIRITTO Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c., che di seguito si riporta:

“Con la PRIMA CENSURA viene dedotto il vizio di motivazione in relazione all’art. 2956 c.c., per avere il giudice del gravame omesso di motivare in ordine alla esistenza o meno dei presupposti per la valida proposizione dell’eccezione, in particolare in ordine alle dichiarazioni rese dal N. con le quali aveva riconosciuto di avere corrisposto all’avv. C. una somma inferiore a quella ingiunta.

Il ragionamento del ricorrente non è corretto.

Le deduzioni con le quali il debitore, ferma restando la originaria esistenza del debito, assume che esso sia stato pagato o sia comunque estinto non rendono inopponibile l’eccezione di prescrizione presuntiva, perchè non sono incompatibili con la presunta estinzione del debito per decorso del termine, ma ad essa aderiscono e la confermano.

Orbene, la prescrizione presuntiva è fondata sulla presunzione di adempimento dell’obbligo e implica il riconoscimento della esistenza del credito nella stessa misura richiesta dal creditore (in tal senso v., Cass. 15 maggio 2007 n. 11195).

Quanto alla ripartizione dell’onere probatorio, si ribadisce (Cass. n. 785 del 1998) che, mentre il debitore, che ha eccepito la prescrizione presuntiva, è tenuto a provare il decorso del termine previsto dalla legge, grava sul creditore l’onere di dimostrare la mancata soddisfazione del credito e tale prova può essere fornita soltanto con il deferimento del giuramento decisorio, ovvero avvalendosi dell’ammissione fatta in giudizio dallo stesso debitore che l’obbligazione non è stata estinta.

Infatti è pacifico (cfr. Cass. n. 19240 del 2004 e n. 14249 del 2004) che, al fine di paralizzare l’eccezione presuntiva di pagamento, unici mezzi idonei sono l’ammissione, da parte del debitore che la opponga, di non avere estinto l’obbligazione, oppure il deferimento al debitore, da parte del creditore del cui diritto sia stata opposta la prescrizione, del giuramento decisorio.

Il giudice del gravame, con valutazione corretta, in linea di diritto e non irrazionale in punto di fatto, ha ritenuto che le prove ammesse, nonostante il divieto normativo, non fossero idonee a ritenere provata una rinuncia alla prescrizione presuntiva da parte dell’appellante.

Tale statuizione non contrasta con l’orientamento giurisprudenziale sopra sintetizzato, peraltro introdotta per la prima volta in sede di legittimità la questione sull’entità (minore rispetto a quella pretesa) della somma versata dal debitore e quindi inammissibile, tenuto conto della natura del vizio (di motivazione) dedotto.

Con il SECONDO MOTIVO il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2944, 2937 e 2960 c.c., per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione per non avere il giudice del gravame tenuto conto che il disposto di cui all’art. 2960 c.c., sancisce semplicemente che la prova dell’estinzione del debito può essere data con il giuramento decisorio, senza però che sia possibile concludere nel senso che tale norma abbia come finalità quella di limitare al giuramento decisorio gli strumenti volti a provare l’esistenza del riconoscimento del debito o degli altri atti interruttivi della prescrizione.

Prosegue il ricorrente che la ammissione della non estinzione dell’obbligazione può essere ricavata implicitamente anche dalla dichiarazione del debitore di avere pagato una somma, minore rispetto a quella ingiunta. Del pari rilevanti sarebbero state le prove orali al fine di dimostrare l’intervenuta rinuncia alla prescrizione da parte dello stesso N., con conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 2937 c.c.

Anche detta censura è priva di pregio.

Ribadito quanto sopra affermato in relazione alla delazione di giuramento e al concorso delle condizioni di cui all’art. 2959 c.c., per l’opponibilità dell’eccezione di prescrizione presuntiva, nonchè quanto alle asserite ammissioni del debitore, in relazione alla dimostrazione di intervenuta rinuncia alla prescrizione si osserva che costituiscono apprezzamenti di fatto, incensurabili in cassazione, qualora non importino violazione di principi giuridici, il ritenere che il debitore, per il suo comportamento processuale, abbia o meno ammesso che l’obbligazione sia stata estinta (cfr. Cass. 21 gennaio 2000 n. 634).

E, d’altra parte, la valutazione delle prove compiuta dalla, sentenza impugnata – dopo avere ricordato il principio di cui al divieto normativo – si sottrae alle censure, siccome motivata in modo logicamente corretto e sufficiente, posto che le ammissioni del N. in sede di interrogatorio formale non potevano integrare ex post il contenuto della missiva G., documento posto a fondamento della interruzione della prescrizione, ragione per la quale non potevano desumersi elementi di prova in favore degli appellati”.

Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono state rivolte critiche di sorta, sono condivisi dal Collegio e, pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.

Redazione