Onorari: il mandato congiunto fa scattare il compenso per entrambi i difensori (Cass. n. 20344/2013)

Redazione 04/09/13
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Svolgimento del processo

1. L’avv. L.P., con istanza L. 13 giugno 1942, n. 794, ex art. 28, chiedeva la liquidazione dei diritti, degli onorari e spese per l’attività professionale svolta in favore della società Chirbo srl in liquidazione. La Chirbo s.r.l. si costituiva nel giudizio contestando l’entità delle richieste attoree, parte delle quali riferibili ad attività non svolte dall’avv. L..

2. Il Tribunale di Roma, in composizione collegiale, accoglieva parzialmente le domande attoree, riconoscendo il diritto al compenso solo relativamente ad una parte delle attività. In particolare, le escludeva per l’atto di precetto, risultando il professionista solo domiciliatario, mentre le riconosceva per la restante attività, per le quali risultava aver ricevuto pieno mandato, liquidandole per l’intero, non rilevando la sua qualità di codifensore. Quanto alla domanda risarcitoria svolta dall’Avv. L., il collegio la riteneva estranea al rito ex L. n. 794 del 1942 e su di essa non provvedeva.

3. Impugna tale decisione la Chirbo s.r.l., che articola tre motivi di ricorso. Resiste il professionista con controricorso anche con riguardo al precedente ricorso a lui notificato in data 16 maggio 2007 dalla stessa parte ricorrente con altro difensore, ricorso non depositato e iscritto d’ufficio al n. 23666 del 2007. Il controricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. I ricorsi, in quanto proposti avverso la medesima sentenza, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..

2. Il ricorso iscritto al n. 23666 del 2007 e non depositato è improcedibile ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ..

3. Le eccezioni preliminari del controricorrente 3.1 – E infondata l’eccezione d’inammissibilità, per violazione di un principio assimilabile al “ne bis in idem”, del ricorso notificato per secondo e recante n. 17536/07, regolarmente iscritto e depositato, in conseguenza dell’inammissibilità di quello notificato per primo (23666 del 2007) e non depositato, derivante dalla violazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ., perchè del tutto carente dei necessari quesiti di diritto. Occorre osservare, infatti, che l’odierna pronuncia di improcedibilità del ricorso 23666 del 2007, non preclude l’esame del ricorso iscritto al numero 17536/07, dovendosi soltanto valutare per quest’ultimo (proposto per secondo) la tempestività della impugnazione. Questa Corte ha già avuto occasione di affermare i seguenti condivisi principi: a) soltanto il ricorso per cassazione dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se non è scaduto il termine fissato dalla legge (art. 387 c.p.c.); b) non rileva, ai fini della consumazione del diritto all’impugnazione, la valutazione delle parti in ordine alla eventuale declaratoria di inammissibilità o improcedibilità, essendo rilevante la sola declaratoria emessa con provvedimento della Suprema Corte; c) il principio di consumazione dell’impugnazione è da interpretare in senso restrittivo, evitando formalismi rigoristici, in conformità ai criteri costituzionali del giusto processo, diretti a rimuovere gli ostacoli alla compiuta realizzazione del diritto di difesa, e quindi a ridurre le ipotesi d’inammissibilità, escludendola ogniqualvolta non sia comminata espressamente dalla legge; d) il principio di consumazione dell’impugnazione non esclude che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo ricorso per cassazione, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, sempre che la seconda impugnazione risulti tempestiva, (vedi per tutte, Cass. n. 7344 del 2012, Rv. 622890). Al riguardo, manca un’espressa comminatoria normativa d’inammissibilità di un secondo ricorso, dovendo la tempestività valutarsi, in caso di mancata notificazione della sentenza di secondo grado, non solo in relazione al termine annuale, bensì in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante (Cass. n. 22957 del 2010 – Rv. 615533). Nel caso specifico, il provvedimento impugnato è stato depositato il 9 ottobre 2008, non risulta notificato dalla controparte e quindi il termine lungo di impugnazione è stato rispettato in entrambi i ricorsi. Quanto al termine breve per il secondo ricorso, esso decorre dal giorno del passaggio alla notifica del primo, che risulta avvenuto il 15 maggio 2007. Il termine è stato rispettato perchè il secondo ricorso è stato notificato a mezzo servizio postale con consegna alle Poste avvenuta il 19 giugno 2007.

3.2 Parimenti infondata è l’eccezione d’inammissibilità per la mancata esposizione dei fatti, che si ricavano, invece, dall’intero contesto del ricorso e che consentono la decisione nel merito.

3.3 – Così come infondata è la questione relativa all’inammissibilità del ricorso per essere il provvedimento gravato impugnabile soltanto con appello, in quanto la controversia non avrebbe riguardato la sola misura del compenso, ma la sussistenza dei presupposti stessi del credito, con conseguente ampliamento del thema decidendum. Come si è detto, il rito seguito è stato quello di cui alla legge speciale e il provvedimento conclusivo è stato adottato con ordinanza collegiale. La ricorrente correttamente ha proposto ricorso per cassazione, attenendosi al principio dell’apparenza, affermato anche di recente dalle SU n. 390 del 2011 – Rv. 615406.

3.4 E’, infine, infondata l’eccezione d’inammissibilità, per inidoneità, della procura, trattandosi, in tesi, di procura “conferita su un foglio separato, privo di data, privo di numerazione e unito al ricorso mediante spillatura effettuata successivamente al foglio dove è inserita la relata di notifica”. Il ricorso 17536/07, infatti, reca un’idonea procura posta in calce e di seguito al ricorso.

4. I motivi del ricorso 17536/07.

4.1 La ricorrente denuncia col primo motivo la “Violazione e falsa applicazione della legge 794/1942 e dei DD.MM. emessi in sua attuazione”.

4.2 Col secondo motivo di ricorso si deduce: “Violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in relazione all’art. 7 delle tariffe forensi (DM 8/4/2004 n. 127). Omessa motivazione su punti decisivi della controversia”.

Trattando unitariamente i due motivi, la ricorrente società lamenta che il Tribunale ha accolto le richieste dell’Avv. L., senza che questi adempisse all’onere della prova dei fatti costitutivi il suo diritto, negando, inoltre, l’ammissione delle prove richieste al riguardo dall’opponente, a fronte delle specifiche contestazioni sull’effettivo espletamento delle seguenti attività: “il pagamento del contributo unificato, esame e scritti documentazione di controparte, consultazioni con il cliente, esame precisazione delle conclusioni di ogni parte, atto di precetto, notifica atto, collazione etc” per ciò che riguarda i diritti, e “studio della controversia, consultazioni con il cliente e redazione atto introduttivo” per ciò che riguarda gli onorari. Si trattava di attività o non eseguite per nulla, o svolte dall’avv. M., che ne aveva studiato gli effetti e predisposti i relativi atti.

L’avv. L. si era limitato ad agire da domiciliatario, notificando atti predisposti da altri, iscrivendo al Ruolo il procedimento, partecipando all’udienza di assegnazione in cui aveva depositato l’atto di intervento, anch’esso predisposto da altri, e svolgendo le connesse attività di cancelleria, per le quali era stato regolarmente pagato dalla Chirbo srl. Inoltre, a fronte della contestazione, anche generica, dell’attività svolta dal professionista, il Giudice doveva procedere anche d’ufficio al relativo controllo ed in ogni caso liquidare il compenso soltanto in base all’opera effettivamente prestata.

Con riferimento ai motivi 1 e 2, vengono formulati i seguenti quesiti di diritto:

A. E’ legittima la richiesta del professionista che, in veste di domiciliatario con mandato congiunto e disgiunto, pretende il pagamento di competente ed onorari relative ad attività professionali non personalmente e/o direttamente prestate ovvero per la semplice apposizione della propria firma su atti non dallo stesso redatti? B. E’ legittima, nell’ambito di un procedimento L. n. 794 del 1942, ex art. 28, la liquidazione di compensi al professionista che non adempia all’onere probatorio dimostrando di aver effettivamente svolto le prestazioni professionali contestate? 4.3 Col terzo motivo di ricorso si deduce: “violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 2 ed alla tabella A., sezione 7, artt. 55 e 56 Tariffe forensi (D.M. 8 aprile 2004, n. 127)”.

Col terzo motivo la ricorrente deduce che il Collegio, nella determinazione del quantum debeatur, aveva immotivatamente superato i massimi della tariffa professionale ed erroneamente applicato i principi di cui agli artt. 4 e 5 della Tariffa Forense e della Tabella A n.55 e 56 che prevedono: “A) la necessità del parere dell’ordine in caso di superamento dei massimi (art. 4); B) la necessità di considerazione della natura, del valore della controversia con speciale riguardo all’attività svolta dall’avvocato innanzi al Giudice (art. 5); C) nell’ipotesi che, pur nell’identità di posizione processuale del cliente la prestazione professionale comporti l’esame di situazioni particolari e diverse rispetto all’oggetto della causa, il compenso per l’avvocato secondo tariffa sia ridotto del 30%”.

Formula al riguardo il seguente quesito: “E’ legittimo nell’ambito di un procedimento L. n. 794 del 1942, ex art. 28 il superamento dei massimi tariffari senza che ricorrano le condizioni previste dagli artt. 4, 5 e 6 delle tariffe forensi D.M. 8 aprile 2004, n. 127”.

5. Il ricorso è infondato e va rigettato.

5.1 Il primo e il secondo motivo, ai limiti dell’ammissibilità, riguardano la prova e il relativo onere sulle attività svolte, nonchè la commisurazione del compenso alla attività effettivamente svolta. La ricorrente lamenta la carenza di prova sullo svolgimento delle attività per le quali è stato richiesto e riconosciuto il compenso, ritenendo la prova a carico del professionista una volta contestate specifiche voci, e lamentando la mancata ammissione da parte del giudice delle prove richieste al riguardo e la mancata verifica, d’ufficio, dello svolgimento delle attività per le quali era stato riconosciuto il compenso.

Al riguardo, il provvedimento impugnato, reso all’esito dello speciale procedimento ex lege n. 794 del 1942, aveva per oggetto soltanto la liquidazione delle spettanze dell’avvocato, che presuppone non contestato il conferimento dell’incarico e la relativa debenza. Il giudice di merito si è limitato a verificare l’avvenuto conferimento del mandato, tanto da escludere le attività per le quali il professionista era solo domiciliatario. Per il resto è stato rilevato dal giudice di merito, e la stessa ricorrente non lo contesta, che vi era mandato congiunto. Nè la ricorrente, in violazione del principio della specificità del motivo, indica dove e come ha chiesto lo svolgimento d’istruttoria al riguardo, impendendo alla Corte di operare la necessaria valutazione di influenza e rilevanza delle prove in tesi dedotte. Sicchè, restava precluso al giudice di merito accertare se le singole attività fossero state o meno materialmente predisposte da uno solo dei professionisti incaricati, da entrambi o in varia misura dall’uno e dall’altro, almeno quanto agli onorari, posto che in mancanza di prova sul punto, la sottoscrizione dell’atto, secondo i principi generali, deve ritenersi, in via presuntiva, idonea a far ritenere che alla sua stesura abbiano contribuito coloro che lo hanno sottoscritto. Se mai, in tal caso, si pone il problema della determinazione concreta dell’entità del compenso. Ma sul punto i motivi risultano generici.

I relativi quesiti si rilevano, quindi, inconferenti, posto che suppongono come provati fatti diversamente accertati dal giudice di merito, che, come risulta dal passaggio motivazionale relativo alla verifica della qualità dell’attività svolta dal professionista ed alla sua valutazione, ha depositato i relativi atti. Sicchè il primo e il secondo motivo vanno rigettati perchè infondati.

5.2 Anche il terzo motivo è infondato e va respinto. La censura sembra riguardare l’avvenuta liquidazione delle debenze oltre i massimi previsti dalle tabelle. In tal senso il quesito formulato. Al riguardo, la ricorrente fornisce indicazioni del tutto generiche per operare qualsiasi verifica (limitandosi ad affermare il valore della controversia senza fornire ulteriori indicazioni sul giudizio) e ciò a fronte della chiara indicazione del giudice di merito che chiarisce che le parcelle presentate “risultano contenute nei limiti tariffari e proporzionate alla qualità dell’attività svolta ed utilità conseguita dal cliente per effetto della attività stessa”.

5. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara improcedibile il 23666 del 2007 e rigetta il ricorso 17536 del 2007. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 2.500,00 (duemilacinquecento) Euro per compensi e 200,00 (duecento) Euro per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 giugno 2013.

Redazione