Onorari avvocati: il rimborso forfettario è sempre dovuto anche se non menzionato nel dispositivo (Cass. n. 21513/2012)

Redazione 30/11/12
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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 28 febbraio 2007, la Corte d’Appello di Torino respingeva il gravame svolto da B.P. con il quale la sentenza di prime cure, di parziale accoglimento della domanda proposta nei confronti del datore di lavoro per il risarcimento del danno per soppressione dei riposi settimanali, era stata censurata limitatamente alla liquidazione delle spese di lite in misura inferiore ai minimi tariffari.

2. La Corte territoriale puntualizzava che:

– il Tribunale aveva liquidato le spese per l’intero in Euro 1.336,00 oltre IVA e CPA, di cui due terzi a favore dell’appellante;

– l’appellante, in sede di gravame, depositava nota spese per complessivi Euro 1.694,25, per l’intero, chiedendo ulteriori Euro 238,83, cioè due terzi della differenza per l’intero pari ad Euro 358,25, in conformità con i minimi tariffari previsti dal D.M. n. 585 del 1994.

3. A sostegno del decisum la Corte territoriale riteneva la liquidazione operata nella prima pronuncia corretta e non inferiore ai minimi tariffari sulla base del rilievo che nella liquidazione complessiva doveva intendersi compreso il rimborso forfettario sulle spese generali, del 12,5% per non aver il Giudice di prime cure distinto tra onorari e diritti; in ordine alla nota spese per il giudizio di primo grado, prodotta in appello e su cui si fondava la censura per violazione dei minimi tariffari, rilevava che:

– a) quanto alla richiesta, come diritti, di cinque ore di vacazioni senza alcuna dimostrazione della durata dell’impegno professionale, considerata natura della causa e attività d’udienza, si appalesava congruo un impegno della metà;

– b) quanto ai diritti richiesti per precisazione delle conclusioni ed esame delle conclusioni di controparte, trattavasi di rito del lavoro e non era stato autorizzato il deposito di note illustrative;

– c) i diritti richiesti per deduzioni d’udienza non erano rinvenibili nel tariffario, per essere previsti, per la discussione della causa, solo gli onorari;

– d) quanto agli onorari e diritti richiesti per cinque udienze di trattazione, pur a fronte di un numero di udienze superiore, si trattava di meri rinvii per predisposizione ed esame dei conteggi, per i quali erano espressamente esclusi gli onorari.

4. In definitiva, per la Corte di merito, tenuto conto delle voci da detrarre (b, c, la voce onorari di cui al punto de metà della voce di cui al punto a, pari a complessive Euro (65,00×3)+ 150,00+32,00), si superavano Euro 358,25, differenza tra la nota spese presentata e quanto liquidato dal primo Giudice per l’intero; e che, per non essere stata gravata la condanna al rimborso dei soli due terzi delle spese di lite, a maggior ragione la liquidazione operata nella prima pronuncia doveva ritenersi corretta e non inferiore ai minimi tariffari.

5. Avverso l’anzidetta sentenza deìla Corte territoriale, ***** ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. La parte intimata ha resistito con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c, deducendo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso.
Motivi della decisione

6. Con i cinque motivi di ricorso la parte ricorrente, censurando la violazione o falsa applicazione della tabella B allegata al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, formula, a corredo di ciascun motivo, i seguenti quesiti di diritto sinteticamente di seguito riportati:

– qualora dal verbale di causa risulti accertato che in un procedimento civile siano state tenute una pluralità di udienze di cui non risulti a verbale l’ora di inizio e l’ora di chiusura, dica la Corte se ai sensi della Tabella B allegata al D.M. n. 127 del 2004, debba comunque essere riconosciuto un diritto di vacazione per ogni udienza e ciò indipendentemente dalla durata dell’udienza stessa (quesito per il primo motivo);

– risultando accertato dal verbale di causa che una parte all’udienza conclusiva del procedimento con rito del lavoro abbia rideterminato la propria domanda a seguito delle risultanze istruttorie e che in conseguenza la controparte abbia dichiarato di concordare su tale – rideterminazione, dica la Corte se tale comportamento rappresenti, anche nel rito del lavoro, precisazione delle conclusioni, con conseguente obbligo di riconoscimento in sede di liquidazione delle spese dei diritti di avvocato previsti ai nn.38 e 39 della citata Tabella B (quesito per il secondo motivo);

– se, ai sensi della predetta Tabella, per ogni deduzione di udienza debba essere riconosciuto il diritto previsto alla voce n.13 (quesito per il terzo motivo);

– se anche per le udienze di mero rinvio spetti il diritto di cui alla voce n. 19 della predetta Tabella e se, intendendosi per udienza di mero rinvio quella nella quale non venga svolta alcuna attività effettiva di trattazione della causa, siano dovuti nella specie 5 onorari di cui alla voce n. 16 della Tabella A per essere state 5 le udienze svolte, come si evince dal verbale di causa, per attività di effettiva trattazione della causa (quesito per il quarto motivo); se la liquidazione delle spese operata globalmente per diritti ed onorari senza menzione della condanna al rimborso forfettario delle spese violi l’art. 14 del D.M. n. 127 cit. secondo cui all’avvocato ed al praticante autorizzato al patrocinio è dovuto un rimborso forfettario delle spese generali in ragione del 12,5 % sull’importo degli onorari e dei diritti ripetibili dal soccombente (quesito per il quinto motivo).

7. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.

Sulla liquidabilità di cinque diritti di vacazione a fronte di cinque udienze.

8. Osserva il Collegio che sul diritto di vacazione calcolato in base alle udienze svolte, per le quali la Corte di merito, muovendo dal rilievo che la pretesa, come diritti, di cinque ore di vacazioni, non fosse stata suffragata dalla dimostrazione della durata dell’impegno professionale, così pervenendo, con apprezzamento di congruità calibrato sulla natura della causa e l’attività d’udienza snodatasi in meri rinvii, a dimezzare l’impegno professionale, non c’è, invero, alcuna specifica censura della parte ricorrente volta a criticare la mancata dimostrazione, in concreto, dell’attività defensionale svolta, come correttamente indicato dai Giudici del gravame.

9. Invero, la voce n.77, rubricata diritto di vacazione, della Tabella B citata, rapporta il predetto diritto non già all’attività processuale risoltasi nella partecipazione all’udienza, per la quale, in linea generale, è previsto il diritto alla voce n. 19 (partecipazione a ciascuna udienza), sibbene per attività distinte e più pregnanti della mera partecipazione all’udienza, corroborate da elementi documentali di riscontro, quali atti e verbali nei quali si appalesi l’ora di apertura e chiusura di essi, con l’ulteriore chiarimento che “in difetto di tali indicazioni è dovuto il diritto per una sola vacazione”, il che conferma, sistematicamente, che trattasi necessariamente di voce afferente ad attività diversa dalla partecipazione alle udienze, per le quali vi è sempre riscontro.

Sulla liqiudabilità dei diritti per precisazione delle conclusioni ed esame delle conclusioni di controparte.

10. Osserva il Collegio che la deduzione del ricorrente, a suffragio della censura fondata sul rilievo secondo cui l’esame dei prospetti delle turnazioni depositate dalla convenuta in corso di causa avrebbe permesso di rideterminare, con precisione, la somma dovuta al ricorrente a titolo di risarcimento del danno per la soppressione del riposo settimanale, si è in realtà risolta nella trascrizione del tenore del verbale d’udienza da cui si evince che sulla base dei prospetti prodotti dalla convenuta, spetterebbe, al ricorrente, una certa somma (esattamente Euro 5.125,58) a titolo risarcitorio e che la parte convenuta ha concordato sull’esattezza contabile della cifra. Parte ricorrente pretenderebbe di attrarre tale attività processuale nel novero delle precisazioni delle conclusioni, ma la censura non è meritevole di condivisione.

11. La non meritevolezza di considerazione del motivo di censura non discende, invero, come pur ampiamente illustrato dalla parte intimata, dalla peculiarità del rito del lavoro al quale risulterebbe estranea la precisazione delle conclusioni propria del rito ordinario, giacchè ritiene il Collegio che tra le attività defensionali riconducibili nell’alveo del rito del lavoro nulla esclude che le parti, all’esito di attività istruttorie e defensionali, possano pur addivenire ad una concordata indicazione del quantum della pretesa azionata, con un ridimensionamento del petitum e della domanda introduttiva che renda necessaria la precisazione delle conclusioni con la cristallizzazione della domanda siccome formulata nel corso dell’udienza di discussione, abdicando la parte ricorrente all’iniziale domanda introduttiva e aderendo la parte convenuta a tale ridimensionamento, così evitandosi dispendiose attività processuali in ordine al quantum della pretesa e realizzandosi la fattiva collaborazione alla realizzazione della durata ragionevole del giudizio.

12. Invero, come già ritenuto da questa Corte di legittimità, la precisazione delle conclusioni definitive che vengono sottoposte al Giudice è un adempimento del tutto autonomo sia dalle conclusioni rassegnate negli atti introduttivi, sia dalla discussione della causa (dall’illustrazione, cioè, delle ragioni che militano in favore dell’accoglimento o del rigetto della domanda) e riveste particolare importanza, giacchè il “chiesto” nella fase conclusiva vale a precisare definitivamente l’oggetto della controversia e la pronuncia che viene domandata. Una volta accertata l’autonomia e la rilevanza processuale e sostanziale delle conclusioni, sia rispetto alle conclusioni degli atti introduttivi che alla discussione della causa, il diritto deve essere riconosciuto e liquidato in quanto è irrilevante il fatto che i due adempimenti si svolgano, per il principio della concentrazione processuale, nella stessa udienza (v., ex multis, Cass.4258/2007; Cass. 3715/2009).

13. Tuttavia, per dimostrare l’espletamento di siffatta peculiare attività di determinazione definitiva della pretesa, volta a delineare il thema decidendum sul quale il Giudice deve statuire, il verbale di discussione della causa dovrebbe e avrebbe dovuto offrire una traccia o un cenno dell’adesione del convenuto ad una data quantificazione, non soccorrendo, all’uopo, il mero concordare sull’esattezza della cifra (come trascritto nel verbale d’udienza in conformità alle espressioni defensionali usate in udienza); al contempo, la richiesta del sindacato di legittimità della statuizione gravata avrebbe dovuto opportunamente svolgersi, in conformità con il canone di autosufficienza del ricorso, riportando e riproducendo le conclusioni rassegnate nel ricorso introduttivo del giudizio di prime cure e il petitum azionato, onde dimostrare la pretesa ridefinizione della domanda azionata tale da imporre, in conseguenza delle produzioni della parte convenuta, l’adesione alla quantificazione, vale a dire un’accettazione non contrastata della somma indicata e, in definitiva, un’inevitabile e necessaria precisazione delle conclusioni del tutto autonome rispetto alle conclusioni svolte nel ricorso introduttivo.

14. Il che non è stato nella vicenda che ne occupa, non essendovi alcuna allegazione del ricorrenti; nei sensi appena indicati, convergente verso la cristallizzazione della domanda attraverso la precisazione delle conclusioni rispetto alla domanda azionata in giudizio, così risultando il motivo non conformato al principio di autosufficienza del ricorso con la devoluzione, al Giudice di legittimità, degli indicati elementi indispensabili al sindacato di legittimità sul punto.

Sulla liquidazione, per ogni deduzione di udienza, del diritto previsto alla voce n. 13.

15. Anche per tale censura valgono i rilievi formulati dal Collegio nei p.12 e 13 che precedono, ricorrendo, ancora una volta, il difetto di autosufficienza della doglianza improntata, del tutto genericamente, su deduzioni d’udienza che risultano non solo non riprodotte nel loro contenuto, ma neanche sorrette dal rinvio agli atti della fase di merito che. ne occupa ove sarebbero state svolte, a mente dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Sulla liquidazione, per le udienze di mero rinvio, del diritto di cui alla voce n. 19 della predetta Tabella e se, intendendosi per udienza di mero rinvio quella nella quale non venga svolta alcuna attività effettiva di trattazione della causa, siano dovuti 5 onorari di cui alla voce n. 16 della Tabella A per essere state 5 le udienze svolte, come si evince dal verbale di causa, per attività di effettiva trattazione della causa.

16. Nondimeno anche per tale censura valgono i rilievi formulati dal Collegio nei 12 e 13 che precedono, ricorrendo, ancora una volta, il difetto di autosufficienza della doglianza, improntata del tutto genericamente sullo svolgimento di attività di effettiva trattazione della causa siccome evinto dai verbali d’udienza, dei quali non viene riprodotto il contenuto, nè a suffragio della doglianza si rinvia agli atti della fase di merito che ne occupa ove sarebbero state espletate le pretese attività defensionali.

Sulla liquidazione delle spese operata globalmente per diritti ed onorari senza menzione della condanna al rimborso forfettario delle spese violi il D.M. n. 127 cit., art. 14.

17. Neanche l’ultimo motivo è meritevole di accoglimento per essersi la Corte territoriale conformata al consolidato principio, più volte ribadito da questa Corte di legittimità, secondo cui la liquidazione del rimborso forfettario per le spese generali, a norma dell’art. 14 della tariffa professionale forense, spetta in via automatica e con determinazione ex lege, cosicchè deve ritenersi compreso nella liquidazione degli onorari e dei diritti nella misura del 10% di tali importi, anche senza espressa menzione nel dispositivo della sentenza (v., ex multis, Cass.23053/2009; Cass.10416/2003; Cass. 20321/2005; Cass. 146/2006).

18. In definitiva, il ricorso con il quale questa Corte è stata chiamata a pronunciarsi – pur nell’elevata mole di ricorsi che affligge la Corte di Cassazione e che non ha pari tra le Corti Europee di legittimità – sulla correttezza della decisione impugnata in tema di rispetto dei minimi tariffali, va rigettato con condanna alle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 800,00 per compensi professionali, oltre IVA e *******

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