Omicidio preterintenzionale: muore tre giorni dopo lo schiaffo dell’amante (Cass. pen. n. 18307/2013)

Redazione 22/04/13
Scarica PDF Stampa

Rilevato in fatto

C.N. è stato imputato del delitto di omicidio preterintenzionale, aggravato dai motivi futili, perché (nella casa di P.C. tra l’una e le cinque della notte del (omissis)) colpiva violentemente con uno schiaffo al volto la predetta, in maniera così violenta ed improvvisa che questa cadendo, pur seduta, violentemente in terra e in tal modo sbattendo il capo sul pavimento, si procurava un edema sottodurale acuto di tale intensità – ed uno stato di coma pressoché immediato – che ne determinava la morte, alle ore 12,00 del 19.6.2007, (decesso intervenuto senza che la P. riprendesse conoscenza e nonostante la stessa fosse stata ricoverata in ospedale la mattina del 16 e fosse stata sottoposta ad intervento chirurgico).
Il GUP del Tribunale di Trieste, con sentenza in data 20.6.2008, ha ritenuto l’imputato colpevole del reato ascrittogli e l’ha condannato alla pena di anni 10 di reclusione. La Corte di assise d’appello di Trieste, con sentenza in data 16.7.2009, in parziale riforma della suddetta sentenza del GUP del Tribunale di Trieste, esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 n. l c.p., ha ridotto la pena ad anni 8 di reclusione.
A seguito del ricorso dell’imputato, la Corte di cassazione, con sentenza in data 13.7.2010, ha annullato la suddetta sentenza della Corte di assise d’appello con rinvio ad altre sezione della Corte di assise d’appello di Trieste per nuovo giudizio, rilevando che l’affermazione di responsabilità dell’imputato in termini meramente probabilistici e le contraddizioni e non logiche argomentazioni su singoli e rilevanti aspetti indicati nella motivazione della sentenza della Corte di cassazione imponevano una rivalutazione del materiale probatorio ed indiziario da parte del giudice di rinvio.
La Corte di assise d’appello di Trieste, con sentenza in data 1.7.2012 emessa nel giudizio di rinvio, in parziale riforma della sentenza della sentenza del GUP del Tribunale di Trieste del
20.6.2008 impugnata da C.N. , esclusa l’aggravante di cui all’art. 61 n. 1 c.p., rideterminava la pena in quella di anni 8 di reclusione.
Nella prima parte della sentenza il giudice del rinvio riassumeva con cura tutte le emergenze processuali, indicando come era nato il procedimento, come lo stesso si fosse sviluppato, quali dichiarazioni avessero rilasciato le numerose persone interrogate, tra le quali l’imputato, e quali altri elementi anche oggettivi fossero stati acquisiti al fine di ricostruire il fatto.
In estrema sintesi, lo sfondo in cui si è svolto il fatto, nella parte non contestata dalla difesa, è stato ricostruito nel modo seguente:
– P.C. , di anni 36, viveva da sola in (…) in un piccolo appartamento, con contratto di locazione a suo nome, nel quale spesso ospitava cittadini stranieri;
– all’epoca del fatto ospitava da qualche tempo il cittadino rumeno C.N. , con il quale aveva una relazione, e un amico del predetto, D.S. ;
– la P. , che abusava di bevande alcoliche, in particolare di birra, nel pomeriggio del (omissis) e fino alle ore 20,00/20,15 si era trattenuta nel bar (omissis) dove aveva bevuto birra insieme a Du.Do. , connazionale e amico dell’imputato; poi era tornata a casa alla guida del suo scooter;
-dopo essere tornata a casa, con il telefono cellulare del C. – poiché proprio quella sera aveva perduto il suo – aveva chiamato Du.Do. e l’aveva invitato a casa sua a bere una birra;
– Du.Do. era rimasto quella notte a casa della P. , dove vi erano, oltre la predetta, anche C.N. e D.S. ;
-alle ore 7,02 del (omissis) D.S. aveva richiesto l’intervento di un’ambulanza, segnalando la presenza di una donna che aveva bevuto un pò troppo e che respirava con difficoltà; il personale sanitario, intervenuto d’urgenza, aveva rinvenuto la P. , senza apparenti segni di lesioni, nel soggiorno, ai piedi di un divano letto, distesa su una coperta imbrattata di macchie di vomito e, poiché era in stato di semi-incoscienza, provvedeva immediatamente a ricoverarla in ospedale;
-alla P. , che veniva ricoverata in rianimazione, alle ore 8,27 veniva rilevato un tasso alcolimetrico non particolarmente elevato (con un valore reale compreso tra 0,82 e 1 g/l) e dalla TAC era risultato un ematoma sottodurale acuto emisferico sinistro con edema cerebrale post-traumatico.
La Corte di assise d’appello, per ricostruire il fatto, dava una particolare importanza alle dichiarazioni rese da Du.Do. , il quale, in data 27.6.2007, aveva dichiarato ai Carabinieri di essersi trattenuto il (omissis) con la P. nel bar; di essere andato a casa della predetta, su invito della stessa, ove vi erano anche C. e D.S. ; era rimasto fino alle ore 23,00 a bere e chiacchierare e il giorno seguente aveva ricevuto una telefonata di C. il quale l’aveva informato che la P. era stata portata in ospedale.
Il predetto si era poi presentato spontaneamente ai Carabinieri il 2.7.2007 per rettificare le precedenti dichiarazioni, precisando che a casa della P. era stato non la sera del 15, ma la sera precedente; il 15 aveva incontrato la P. al bar (omissis) ed era stato in sua compagnia dalle ore 18,00 alle ore 20-20,30, quando la donna se n’era andata via con il suo scooter.
Du.Do. , il successivo (omissis), mentre C. si trovava in carcere (a seguito delle dichiarazioni rese da ****** , il quale aveva riferito che C. gli aveva detto di aver picchiato la P. , la quale era caduta a terra ed era finita in ospedale perché forse si era fatta male alla testa), rendeva una diversa versione dei fatti: dopo la sua prima dichiarazione, aveva incontrato C. , il quale con minacce l’aveva costretto a ripresentarsi ai Carabinieri per dire che era stato a casa della P. la sera del 14 e non del 15; aveva confermato che verso le ore 18,00 del giorno 15 aveva incontrato al bar la P. , dove sia la predetta che lui avevano ricevuto una telefonata di C. ; successivamente aveva ricevuto una telefonata della P. , effettuata con il cellulare di C. , con la quale era stato invitato a casa, dove era arrivato verso le ore 22-23; nel corso della serata C. gli aveva detto che probabilmente D.S. era stato a letto con la P. , poiché – rientrando a casa – l’aveva vista uscire nuda dalla camera dove dormiva D.S. ; La P. e C. avevano litigato e C. aveva preso la P. per il collo, ma egli era intervenuto per separarli; poco dopo, il litigio era ripreso, mentre la P. era seduta intorno al tavolo di fronte alla finestra; la donna aveva detto una frase che egli non aveva ben capito, cogliendo solo la parola “puttana”; a quel punto C. si era alzato dalla sedia, aveva detto “non parlare in questa maniera di mia moglie e di mia sorella” e, appena terminata la frase, le aveva tirato un violento colpo con la mano destra sul lato sinistro della testa, tanto forte che la P. era stata sbalzata dalla sedia ed era finita sul pavimento battendo violentemente il capo per terra; La P. non era riuscita a rialzarsi ed era stata aiutata dal C. ; egli voleva andarsene, ma la P. l’aveva pregato di restare perché si era fatto tardi; poco dopo la P. aveva steso una coperta per terra e si era sdraiata sopra, dicendo che preferiva dormire per terra poiché faceva caldo; egli aveva visto la P. vomitare e aveva sentito che respirava a fatica; si era rivolto a C. , il quale gli aveva risposto di lasciarla stare perché era ubriaca; verso le 4-5 del mattino era uscito dalla casa della P. insieme a C. .
Du.Do. il (omissis) aveva ripetuto la stessa versione, interrogato con l’assistenza da un difensore, in quanto indagato per omissione di soccorso e favoreggiamento personale, e successivamente – in data 19 settembre e 12 ottobre 2007 – l’aveva sostanzialmente ribadita in sede di incidente probatorio.
Nel corso del giudizio di rinvio è stata disposta la rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale per nuovo esame del medico legale, dr Co.Fu. , e l’imputato, in stato di detenzione, ha reso dichiarazioni spontanee.
La Corte di assise d’appello riteneva accertata la responsabilità dell’imputato in ordine al delitto ascrittogli attraverso i seguenti passaggi logici, ciascuno dei quali veniva motivato richiamando specifiche risultanze processuali.
-1) La sera del (omissis) P.C. era ritornata a casa senza avere ancora subito alcun trauma al capo.
Secondo la sentenza impugnata, era peraltro significativo che nel pomeriggio del giorno del fatto, nella completa assenza di visibili segni esteriori di lesioni, in una situazione di difficile apprezzamento persino per i sanitari, l’imputato avesse voluto raccontare, mentendo, ai genitori della P. che la stessa aveva litigato nella zona della stazione ferroviaria con un “negro” che le aveva inferto un colpo e l’aveva anche buttata a terra.
-2) P.C. aveva riportato il trauma rivelatosi letale a casa sua la sera del (omissis), nell’intervallo di tempo tra il suo ritorno nell’abitazione e la chiamata al 118 con la quale era stata richiesta un’ambulanza.
Astrattamente il trauma poteva essere stato causato o da un’azione lesiva da parte di una delle persone che si trovavano in casa, anche in assortito concorso tra loro, ovvero da una caduta accidentale.
La Corte di merito motivatamente escludeva che si fosse trattato di un fatto accidentale e metteva in evidenza che quando l’imputato era uscito di casa quella mattina, il trauma era già successo, poiché lo stesso imputato aveva raccontato al suo datore di lavoro (M.L. ) di essere stato svegliato più volte durante la notte dalla P. e da **** , il quale gli aveva riferito che ******** era caduta a terra e stava molto male. Anche a prescindere dalle dichiarazioni accusatorie di Du. , dagli elementi raccolti risultava quindi che il trauma che aveva provocato la lesione cranica era di origine dolosa e non di natura meramente accidentale.
-3) La versione del fatto resa da ****** il 13 luglio 2007, e più volte ribadita, era attendibile perché coerente, precisa, dettagliata, mantenuta ferma anche quando il predetto si era sottoposto all’esame delle parti, e ampiamente riscontrata dalle altre emergenze processuali, financo dall’ammissione dell’imputato che ****** era stato effettivamente in casa della P. sia la sera che la notte tra il (omissis) .
Come specifici riscontri esterni alla suddetta versione venivano indicati: i tabulati telefonici dai quali risultavano le telefonate a cui aveva fatto riferimento il Du. ; le valutazioni medico legali dalle quali era emerso un quadro di piena compatibilità delle lesioni riscontrate con un trauma quale quello descritto dal Du. ; le dichiarazioni dei testi V.D. , U.A.M. e Pe.Io.Ma. ; le diverse versioni fornite dall’imputato, il quale anche nel giudizio di rinvio aveva aggiunto un’ennesima versione dei fatti, in contrasto con le prove raccolte.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore che ne ha chiesto l’annullamento per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame.
La Corte di Cassazione aveva annullato la sentenza in data 16.7.2009 poiché non era stato stabilito in positivo e con certezza che la caduta per la quale P.C. aveva riportato la lesione al capo fosse imputabile ad un’azione di altra persona.
Il giudice di rinvio, per approfondire il punto, aveva convocato il medico legale, il quale non solo non era stato in grado di stabilire in positivo e con certezza che la caduta fosse stata determinata dall’azione di un’altra persona, ma aveva precisato che un ceffone difficilmente poteva aver causato la lesione emorragica che aveva cagionato la morte della P. . La Corte di assise d’appello aveva escluso che P.C. potesse aver subito un trauma prima del suo rientro a casa la sera del (omissis), non tenendo conto però che il consulente medico aveva precisato che non era possibile stabilire con certezza l’epoca dell’evento traumatico e che il soggetto, nonostante il trauma subito, poteva stare apparentemente bene. La Corte, per escludere la caduta accidentale, aveva affermato che la P. era una persona sana che conduceva una vita normale (pag. 24 – vedi però descrizione pagg. 20-21), mentre il medico legale aveva affermato che non era una persona sana, perché etilista, e aveva anche problemi di coagulazione e con un edema addirittura maligno.
La Corte aveva anche escluso che il tasso alcolemico avesse potuto determinare uno stato di obnubilamento alcolico talmente pesante da poter indurre una caduta, mentre il medico legale aveva dichiarato di non essere in grado di precisare gli effetti di quel tasso alcolemico sulla P. .
Ancora, senza alcun sicuro elemento di prova era stato affermato che la lesione fosse di origine dolosa e non di natura meramente accidentale o fortuita, ed a sostegno della costruzione era stata posta l’ultima versione resa da Du.Do. , ritenuta attendibile sulla base di considerazioni illogiche o che non trovavano riscontro nelle prove raccolte e negli accertamenti medico legali.
In particolare, non aveva senso ritenere credibile il Du. perché non aveva più modificato l’ultima versione e perché aveva ammesso di avere mentito in precedenza; il Du. sapeva di non poter essere smentito da D.S. , poiché questi quella sera era andato presto a dormire; non vi erano elementi per escludere che il Du. si fosse accordato con E. al fine di accusare l’imputato; il Du. , autoaccusandosi di omissione di soccorso e favoreggiamento, aveva evitato di essere accusato del delitto contestato al C. .
Si era dato rilievo alle contraddizioni dell’imputato, ma non si era tenuto conto delle contraddizioni in cui erano caduti Du. , D. ed E. , e il P.M. fin dall’inizio aveva perseguito per la morte della P. soltanto l’imputato.
Nell’ultima versione il Du. aveva dichiarato di aver parlato con la P. , ma non si comprende come si sarebbero potuti capire, poiché Du. non conosceva la lingua italiana e la P. non conosceva quella rumena. Era poi illogico che l’imputato avesse colpito con uno schiaffo violentissimo la P. sulla parte sinistra del volto, facendola cadere per terra, e che la predetta non avesse alcun segno sul capo e sul corpo, né si comprende come sia stato possibile che, colpita sulla sinistra, avesse poi battuto il capo sul pavimento dalla stessa parte.
La Corte d’assise di appello non aveva tenuto conto delle risultanze, ritenendo anche che l’imputato fosse geloso della P. .
Secondo il ricorrente, avuto riguardo alla equivocità delle prove raccolte nei confronti dell’imputato, non poteva considerarsi rispettato il principio di cui all’art. 533 c.p.p., in base al quale l’imputato deve risultare colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio.

Considerato in diritto

I motivi di ricorso sono infondati.
La Corte di assise d’appello ha esaminato con molta cura tutte le risultanze processuali, mettendole in relazione tra loro, e sulla base di queste è giunta alla motivata conclusione che P.C. – in casa sua, nella notte tra il (omissis) , mentre stava discutendo con il suo convivente C.N. alla presenza di Du.Do. – era stata colpita dall’imputato poiché aveva insultato la madre e la sorella dello stesso; l’imputato, reagendo immediatamente all’insulto, era andato verso la P. , che stava seduta davanti al tavolo, e con la mano destra l’aveva colpita con un schiaffo sul lato sinistro della testa in modo talmente violento da farla cadere a terra, dove aveva sbattuto pesantemente il lato sinistro del capo; a seguito dei suddetti colpi sì era prodotto un edema sottodurale che, subito dopo la caduta, aveva procurato uno stato di confusione: la P. non era nemmeno riuscita ad alzarsi da sola;
aveva poi steso una coperta sul pavimento per dormire; poco dopo, mentre era distesa sulla coperta, aveva vomitato e perso conoscenza; era stata, infine, trasportata in ambulanza in ospedale dove era deceduta tre giorni dopo, senza mai riprendere conoscenza, nonostante fosse stata sottoposta ad intervento chirurgico.
La Corte di merito ha ricostruito non solo quanto era accaduto quella notte a casa della P. , ma anche come la stessa aveva trascorso il pomeriggio e la sera del (omissis), escludendo che in questo periodo potesse essere rimasta vittima di un qualche incidente.
Un incidente neppure si era verificato dopo che l’imputato era uscito di casa la mattina presto del (omissis), in quanto lo stesso quella stessa mattina aveva riferito al suo datore di lavoro che la P. era caduta in casa e che stava molto male.
Nei motivi di ricorso non si deduce che la Corte di secondo grado non avrebbe preso in considerazione una qualche emergenza processuale, necessaria alla ricostruzione del fatto, né si denunciano palesi illogicità nel complessivo apparato motivazionale, ma ci si limita ad isolare singoli aspetti delle prove raccolte, affermando che le stesse erano suscettibili di una diversa interpretazione, ed a sostenere che comunque non potevano costituire una solida base per la ricostruzione del fatto le dichiarazioni rese da Du.Do. , in quanto lo stesso aveva modificato la sua versione iniziale resa ai Carabinieri; aveva successivamente rivolto accuse all’imputato nel timore di essere accusato per lo stesso delitto; la sua versione presentava incongruenze e non era confortata da validi riscontri.
Le dichiarazioni di Du.Do. sono di particolare momento nella ricostruzione del fatto, perché il predetto ha dichiarato di aver assistito al delitto, e dal suo racconto emerge in modo del tutto evidente la responsabilità dell’imputato per la morte di P.C. , cagionata con le modalità sopra descritte.
Questa Corte di legittimità non ha il compito di verificare se le dichiarazioni di Du.Do. siano o meno credibili, ma solo quello di controllare che i giudici di merito siano pervenuti ad un giudizio di credibilità nel rispetto dei criteri indicati dall’art. 192/3 c.p.p. e da questa Corte nell’ormai costante e consolidata elaborazione giurisprudenziale nella materia de qua.
Nella sentenza impugnata è stata data una puntuale e logica spiegazione al fatto che il Du. non abbia fin dall’inizio raccontato ai Carabinieri come si erano svolti i fatti; si è messo in evidenza che, dal momento in cui il predetto si era deciso a dire cosa effettivamente fosse successo quella notte a casa della P. (interrogatorio del 13.7.2007), aveva sempre confermato la stessa versione del fatto, sottoponendosi anche alle domande della difesa dell’imputato nel corso dell’incidente probatorio; è stato infine motivatamente affermato che le dichiarazioni del Du. non solo non avevano trovato alcuna smentita nelle altre emergenze processuali, ma erano state confermate da specifici riscontri che sono stati puntualmente e diffusamente illustrati.
Nella motivazione della sentenza sono state logicamente spiegate sia le ragioni per le quali la P. e il Du. potevano comprendersi, nonostante quest’ultimo non avesse una buona conoscenza della lingua italiana, sia le ragioni per le quali la P. , colpita sulla parte sinistra del capo, abbia battuto a terra la stessa parte del capo colpita dallo schiaffo (era verosimile, tenuto conto del fatto che la sedia era senza braccioli, che la P. , sbalzata dalla sedia dalla violenza dello schiaffo, si fosse rovesciata nella caduta andando a picchiare sul pavimento la parte sinistra del capo).
Ad ogni obiezione contenuta nel ricorso riguardante la credibilità intrinseca o estrinseca delle dichiarazioni del Du. , si rinviene una logica risposta nella meticolosa motivazione della sentenza impugnata, e deve ribadirsi che il sindacato di legittimità, secondo quanto dispone l’art. 606.1 lett. e) cod. proc. pen., è circoscritto nei limiti della assoluta “mancanza o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato”. Tale controllo di legittimità è diretto ad accertare che a base della pronuncia esista un concreto apprezzamento delle risultanze processuali e che la motivazione non sia puramente assertiva o palesemente affetta da vizi logici, restando escluse da tale controllo non soltanto le deduzioni che riguardano l’interpretazione e la specifica consistenza degli elementi di prova e la scelta di quelli determinanti, ma anche le incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con le conclusioni adottate o con altri passaggi argomentativi utilizzati dai giudici. La verifica di legittimità riguarda cioè la sussistenza dei requisiti minimi di esistenza e di logicità della motivazione, essendo inibito dall’art. 606.1 lett. e) cit. il controllo sul contenuto della decisione. Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti addotta dai ricorrenti né su altre spiegazioni fornite dalla difesa, per quanto plausibili e logicamente sostenibili (V. Sez. 6 sentenza n. 1662 del 4.12.1995, Rv. 204123).
Il ricorrente ha mosso una serie di obiezioni alla ricostruzione della dinamica del fatto operata dai giudici di merito, prendendo spunto da alcune considerazioni del medico legale – slegate dal contesto nel quale erano state pronunciate – o da alcune risultanze obiettive che, isolatamente prese, non confermavano l’origine dolosa della lesione siccome ritenuta nella sentenza impugnata.
Il medico legale, nell’esame compiuto nel giudizio di rinvio, non era stato in grado di precisare, sulla base di quanto emerso dall’esame del corpo della P. , se l’ematoma fosse stato procurato dall’azione di un’altra persona o da un fatto accidentale; ma che la causa dell’ematoma fosse da individuare nello schiaffo e nella conseguente caduta a terra della vittima – causa non esclusa dal medico legale – è stato stabilito sia escludendo un qualsiasi evento accidentale, sia accertando positivamente, tramite le dichiarazioni rese dal Du. , l’effettiva dinamica del fatto.
Non è poi logicamente corretto isolare una frase pronunciata dal medico legale (un ceffone difficilmente avrebbe potuto causare quella lesione emorragica), poiché l’ematoma è stato cagionato, secondo la ricostruzione della sentenza impugnata, dalla sinergica azione dello schiaffo e dalla conseguente caduta a terra che ha provocato un violento urto del capo contro il pavimento; peraltro, il ricorrente non ha contestato l’affermazione della sentenza secondo la quale dagli accertamenti medico legali e dall’esame del medico legale era risultata del tutto compatibile la causa della morte con la dinamica del fatto siccome ricostruita nella stessa sentenza.
Il ricorrente ipotizza che la P. potrebbe aver subito un incidente nel pomeriggio del (omissis), poiché gli accertamenti medici non avevano potuto stabilire con certezza l’epoca dell’evento traumatico, che avrebbe – secondo il perito medico legale – potuto manifestare i suoi effetti anche non immediatamente. In tal modo, però, il ricorrente formula solo una congettura che, oltre a non essere corroborata da alcuna specifica risultanza processuale, è smentita dall’attenta ricostruzione del fatto da parte dei giudici di merito, che hanno preso in considerazione anche come la P. aveva trascorso il pomeriggio e la serata del (omissis), escludendo che in questo periodo fosse potuto accaderle un qualche incidente. Anche il fatto che la P. non presentasse segni evidenti dello schiaffo ricevuto e della caduta a terra è stato logicamente spiegato nella sentenza impugnata, considerando la parte del capo, ricoperta da capelli, che era stata attinta dallo schiaffo.
Quel che rileva in questa sede è che non risulta alcun vizio logico giuridico nella ricostruzione del fatto operata dalla Corte di assise d’appello, e non è privo di significato il fatto che neppure il ricorrente abbia sostenuto che dagli accertamenti medici legali fosse emersa una incompatibilità con la ricostruzione della dinamica del fatto descritta nella sentenza impugnata. Pertanto, i motivi di ricorso devono essere rigettati, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione