Omicidio colposo: risponde anche del decesso sopravvenuto in fase post-operatoria il medico nella sua veste di capo di una equipe chirurgica (Cass. pen. n. 17222/2012)

Redazione 09/05/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Tribunale di Messina, a seguito di giudizio abbreviato, ha affermato la penale responsabilità di A.F. in ordine al reato di omicidio colposo in danno del piccolo R.G..

La pronunzia è stata parzialmente riformata dalla Corte d’appello che ha ridotto la pena.

All’imputato, nella veste di capo dell’equipe chirurgica che aveva operato il neonato con un solo giorno di vita per l’esecuzione di ileostomia, è stato mosso l’addebito di non aver disposto il ricovero in unità di terapia intensiva e di non aver comunque dato disposizioni per un articolato monitoraggio dei parametri vitali; con la conseguenza che non veniva diagnosticata tempestivamente una emorragia che, per mancanza delle terapie necessarie, determinava la morte.

2. Ricorre per cassazione l’imputato.

Si lamenta che il giudice di merito ha affermato la responsabilità sulla base di un generico ruolo di garanzia, trascurando l’autonomia professionale dei medici di reparto destinatari, per turno, del paziente ricoverato e quindi titolari del relativo obbligo di assistenza. Si è pure trascurato che l’imputato non era il primario responsabile del reparto e non ha svolto tale funzione, sicchè non ha assunto un ruolo apicale rispetto al sanitario V.P. che si occupò del piccolo subito dopo l’intervento. In realtà, si assume ancora, l’imputato è stato officiato dell’intervento dal primario chirurgo che in quel momento si trovava assente dall’ospedale.

L’intervento è stato eseguito insieme alla detta dottoressa V. che, senza soluzione di continuità, ha iniziato il turno notturno di guardia presso il reparto nel quale era stato ricoverato il piccolo paziente.

Tutta l’attività di monitoraggio e vigilanza sulla situazione del neonato è stata svolta dalla ridetta dottoressa V.. D’altra parte, al termine dell’intervento, non si è proceduto al trasferimento nel reparto di terapia intensiva sia perchè in quello di chirurgia neonatale esisteva tutta l’attrezzatura che consentiva un adeguato monitoraggio, sia perchè la terapia intensiva disponeva di strutture analoghe. Si assume ancora che, contrariamente a quanto erroneamente ritenuto dai giudici di merito, non fu l’imputato a rifiutare il trasferimento in terapia intensiva. In realtà, il personale di tale reparto era stato allertato solo perchè si tratta di una procedura di routine che non comporta di necessità l’effettivo trasferimento in tale ultimo reparto.

Conclusivamente, il garante della salute del minore neonato era la dottoressa V., professionista idonea e capace cui l’imputato aveva demandato il monitoraggio del piccolo paziente. Il ricorrente, per contro, non poteva immaginare eventuali comportamenti trascurati della detta collaboratrice.

3. Il ricorso è infondato.

La pronunzia reca una diffusa ed approfondita valutazione della vicenda. Si parte dalla considerazione che l’imputato, nella veste di capo dell’equipe chirurgica, era gravato da posizione di garanzia che si estende anche al decorso post operatorio come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità. D’altra parte, la delicatezza dell’intervento chirurgico e l’esigenza di un attento monitoraggio postoperatorio era evidente tenuto conto che si trattava di un neonato con un solo giorno di vita; e che la patologia era di non trascurabile rilievo, trattandosi di addome acuto da sospetta occlusione intestinale. Sebbene l’intervento chirurgico posto in essere per la confezione di una ileostomia fosse di relativamente agevole praticabilità e pur essendosi in presenza di atto operatorio ben riuscito, era tuttavia rimarchevole l’esigenza di un attento monitoraggio post operatorio.

L’esigenza di un attento monitoraggio, prosegue la Corte, è del resto documentata dalla circostanza che la responsabile della terapia intensiva si era addirittura recata in reparto ai fini della ricovero in tale servizio; ma il trasferimento non ebbe luogo per iniziativa dell’imputato. Diversi testimoni hanno concordemente riferito in tal senso.

D’altra parte, a fronte del mancato sebbene programmato trasferimento in terapia intensiva, rileva che l’imputato non abbia comunque assicurato un adeguato monitoraggio all’interno del reparto di chirurgia neonatale. I fatti conclamano che il piccolo, durante la notte fu assistito sostanzialmente da una zia; e che l’infermiera di turno, chiamata dalla zia, avverta la dottoressa V., in servizio di turno, dell’aggravarsi della condizione del piccolo paziente.

Tuttavia il piccolo non venne visitato dalla dottoressa che si limitò prescrivere un antidolorifico. Nè venne disposto il monitoraggio completo per verificare la frequenza cardiaca, la frequenza respiratoria, l’ossigenazione e l’elettrocardiogramma.

La pronunzia si spinge a ritenere obiettivamente dissennata la decisione di sottrarre il bambino al trasferimento in terapia intensiva. Si fa a tale riguardo riferimento ad un colloquio dell’imputato con il primario del reparto. Si considera che, pur ad ammettere che le istruzioni in tal senso siano pervenute da detto primario, l’imputato non poteva attenersi ad un passivo ossequio alle istruzioni impartite. Il vincolo gerarchico, infatti, non trova estrinsecazione nella cura concreta del paziente e delle decisioni di natura prettamente mediche da assumere in un caso in cui il primario si trovava completamente estraneo, non avendo partecipato all’intervento chirurgico ed essendo fisicamente assente dalla struttura sanitaria. Il dottor A. dove avrebbe dovuto agire in scienza e coscienza solo sulla base delle sue valutazioni personali. li processo evidenzia che nella vicenda si configurano condotte colpose anche della dottoressa V., processata in distinto giudizio. Peraltro anche ad ammettere che la condotta sanitari^di costei sia stata gravemente colposa, ciò non esclude, secondo la Corte d’appello, la responsabilità concorrente dell’imputato, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità. Ne può ipotizzarsi l’esistenza di interruzione del nesso causale.

Conclusivamente, il caso rendeva altamente prevedibile il sopravvenire di complicanze che avrebbero richiesto in ogni caso un attento monitoraggio. Tale monitoraggio non venne disposto anche per trascuratezza del sanitario; e non consentì la tempestiva diagnosi delle complicanze e l’esecuzione delle terapie che avrebbero potuto salvare il paziente.

Tale ponderazione si sottrae alle indicate censure. Essa, in primo luogo, propone una corretta enunciazione del principio di diritto pertinente. Invero, come questa Corte ha già avuto modo di affermare ripetutamente, la posizione di garanzia del capo dell’equipe chirurgica non è limitata all’ambito strettamente operatorio; ma si estende al contesto postoperatorio (Sez. 4^, 8/2/2005, Rv. 23132; Sez. 4^, 1/12/2004, Rv. 230820). Tale enunciazione trova razionale giustificazione nel fatto che il momento immediatamente successivo all’atto chirurgico non è per nulla avulso dall’intervento operatorio; non foss’altro che per il fatto che le esigenze di cura ed assistenza del paziente sono con tutta evidenza rapportate alle peculiarità dell’atto operatorio ed ai suo andamento in concreto: contingenze note al capo equipe più che ad ogni altro sanitario.

Alla luce di tale principio, la Corte territoriale esamina la concreta vicenda processuale, anche alla luce delle informazioni scientifiche offerte dagli esperti. La condizione del paziente neonato era critica ed esposta a rischi plurimi, connessi oltre che alla natura dell’atto operatorio, anche alla tenerissima età. In tale situazione si ritiene che fosse imprescindibile disporre un monitoraggio completo dei parametri vitali. La mancata adozione di tale cautela ha avuto decisivo ruolo nello sviluppo degli accadimenti, impedendo l’esecuzione tempestiva delle procedure occorrenti per fronteggiare la sopraggiunta emorragia. Non era importante che il monitoraggio avvenisse in un reparto od in un altro. Era invece necessario che esso venisse disposto. Per contro, l’imputato ha colpevolmente emesso tale essenziale prescrizione che, come si è visto, afferiva al suo ruolo di garante. E d’altra parte, come in innumerevoli occasioni enunciato da questa Suprema Corte, la concorrente responsabilità della dottoressa V. che ebbe in cura il piccolo paziente nel corso della notte non fa venir meno la primigenia responsabilità del capo equipe che, per quel che si è detto, era tenuto a dare disposizioni cogenti per l’immediato.

Dunque, si è in presenza di argomentazione probatoria conforme ai principi, basata su acquisizioni fattuali altamente significative ed immune da vizi logico-giuridici.

Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali; nonchè alla rifusione delle spese di parte civile che appare congruo liquidare come in dispositivo.

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali; nonchè alla rifusione in favore delle costituite parti civili delle spese di questo giudizio che liquida per ciascuna delle stesse ( T.B. e R.A.) in Euro 1.500,00, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge.

Redazione