Omesso versamento delle ritenute previdenziali e dell’Iva, sanzione doppia (Cass. pen. n. 37425/2013)

Redazione 12/09/13
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Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 29 aprile 2010 il Tribunale di Isernia, in esito a giudizio abbreviato, assolveva F.V., per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, dall’imputazione di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, per avere omesso, in qualità di legale rappresentante della Cedis S.r.l., di versare entro il termine annuale del 31 ottobre 2005, previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta (mod. 770/2005 ordinario), le ritenute, risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti, relative agli emolumenti erogati nell’anno d’imposta 2004, per un ammontare complessivo pari a Euro 113.428,98.

Rilevava in particolare il Tribunale che la contestata norma incriminatrice era stata introdotta dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 414, (c.d. Finanziaria 2005), entrata in vigore il 1 gennaio 2005, ed era quindi applicabile, ex art. 27 Cost., e art. 2 c.p., solo a condotte successive a tale data, non potendosi penalizzare chi, come l’imputato, all’atto del comportamento omissivo, verificatosi alle cadenze mensili previste per i versamenti delle ritenute operate nel 2004, era convinto di violare solo una norma tributaria sanzionata a livello amministrativo.

Su appello del Pubblico Ministero, con sentenza del 15 dicembre 2011 la Corte di appello di Campobasso, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava il F. colpevole del reato ascrittogli e, con le attenuanti generiche e le diminuenti di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, e all’art. 442 c.p.p., lo condannava alla pena, interamente condonata, di Euro 3.040,00 di multa, in sostituzione della pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione.

2. Avverso la sentenza di condanna l’imputato, a mezzo del suo difensore, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione, deducendo, col primo motivo, inosservanza o erronea applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., lett. b), atteso che il fatto non era previsto dalla legge come reato al momento della asserita commissione. Con la L. n. 311 del 2004 (c.d. Finanziaria per il 2005), il legislatore avrebbe infatti reintrodotto la sanzione penale, già prevista dalla L. n. 516 del 1982, e poi abrogata dal D.Lgs. n. 74 del 2000, per l’omesso versamento delle ritenute certificate, così sanzionando la condotta omissiva con norme entrate in vigore solo il 1 gennaio 2005.

Vero è che il riferimento, contenuto nel nuovo art. 10 bis, al termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, come momento di consumazione del reato, indurrebbe a ritenere punite anche le condotte omissive tenute dai contribuenti nel periodo di imposta 2004, per le quali il termine anzidetto viene a scadere il 30 settembre (ovvero 31 ottobre) 2005.

Sennonchè, il necessario coordinamento della nuova figura criminosa con il complesso delle norme tributarie relative alle ritenute certificate (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26 ss.) e il principio di irretroattività della legge penale impongono, secondo il ricorrente, di limitare l’applicazione della reintrodotta fattispecie penale alle sole omissioni relative a obblighi tributari insorti dopo il 1 gennaio 2005, ponendosi un’eventuale diversa opinione in contrasto con l’art. 25 Cost., comma 2.

Con un secondo motivo il ricorrente ha denunciato inosservanza o erronea applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., lett. b), per la mancanza dell’elemento psicologico richiesto dal legislatore per l’integrazione del reato. Il versamento delle ritenute entro il termine, previsto dalla normativa tributaria, del giorno sedici del mese successivo a quello di pagamento dei corrispettivi ai collaboratori, sarebbe stato infatti omesso dall’imputato nella convinzione – basata sulla normativa all’epoca vigente e sull’impossibilità di potersi prefigurare una nuova rilevanza penale dell’inadempimento dell’obbligazione tributaria – di esporsi solo a un illecito amministrativo.

L’assenza dell’elemento psichico deriverebbe anche dalla mancata prova del dolo specifico, previsto espressamente dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, ma costituente implicito requisito – derivante dall’esigenza costituzionalmente imposta di un’equiparazione di trattamento – di tutte le fattispecie incriminatrici presenti nello stesso corpus normativo.

L’incertezza conoscitiva e interpretativa suscitata dall’art. 10 bis, non potrebbe, infine, non rilevare sotto il profilo della c.d. ignoranza inevitabile della norma penale, quale riconosciuta dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364 del 1988.

Con un terzo e ultimo motivo il ricorrente ha dedotto inosservanza o erronea applicazione della legge penale (art. 606 c.p.p., lett. b), sul rilievo che l’intervenuta sanatoria dell’esposizione debitoria nei confronti dell’Erario e il pesante ritardo dei pagamenti a lui dovuti dalla P.A. dimostrerebbero che il mancato tempestivo adempimento dell’obbligazione tributaria era imputabile solo ad una oggettiva e incolpevole difficoltà finanziaria dell’impresa.

3. La Terza Sezione penale, assegnataria della causa, con ordinanza n. 49087 del 20 novembre 2012, l’ha rimessa alle Sezioni Unite, ravvisando un persistente contrasto giurisprudenziale sulla questione di diritto posta con il primo motivo di ricorso.

La Sezione rimettente ha ripercorso il complesso iter normativo in materia di sanzioni per l’omesso versamento delle ritenute, evidenziando che l’iniziale repressione penale (prevista nel D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 2, convertito dalla L. 7 agosto 1982, n. 516) del mancato rispetto del termine (previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 8) del quindicesimo giorno del mese successivo a quello in cui erano state operate, fu sostituita (con il D.L. 16 marzo 1991, n. 83, art. 3, convertito dalla L. 15 maggio 1991, n. 154) – con una successione normativa interpretata a suo tempo da Sez. 3, n. 14160 del 03/11/1999, Di Grisostomo, Rv. 214917, nel senso della inestensibilità della nuova disciplina alle già verificatesi omissioni mensili – dal sanzionamento contravvenzionale ovvero delittuoso (in caso di ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti) per il mancato rispetto, oltre una certa soglia economica (diversa nelle due ipotesi), del termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno precedente. Si passò quindi, con il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, alla esclusione di ogni fattispecie di reato, residuando, per il mancato rispetto del termine del quindicesimo (poi divenuto sedicesimo) giorno del mese successivo a quello della effettuazione delle ritenute, la sola sanzione amministrativa di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13. Vi fu infine il ripristino, con il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, inserito dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 414, ed entrato in vigore in data 1 gennaio 2005, della sanzione penale per il mancato versamento, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta relativa all’anno precedente, per un ammontare superiore a Euro cinquantamila per ciascun periodo d’imposta, delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti.

3.1. Sul rapporto di tale ultima previsione con le omissioni dei versamenti mensili già verificatesi prima della sua entrata in vigore, l’ordinanza di rimessione richiama un primo orientamento, che ha considerato applicabile il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, anche all’omesso versamento delle ritenute fiscali operate dal sostituto di imposta nell’anno 2004. Tale indirizzo è stato inaugurato da Sez. 3, n. 25875 del 26/05/2010, ********, Rv. 248151, nella quale si sottolinea che non è ravvisabile alcuna sovrapposizione fra il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 10 bis e art. 13.

Mentre infatti la sanzione amministrativa prevista da questa norma riguarda il mancato rispetto del termine del giorno sedici del mese successivo a quello di effettuazione delle ritenute, fissato per il versamento delle stesse all’Erario, la reintrodotta sanzione penale ha ad oggetto il mancato versamento, oltre un certo ammontare, delle ritenute complessivamente operate nell’anno di imposta, entro il termine (30 settembre, per il Mod. 770 semplificato, ovvero 31 ottobre, per il Mod. 770 ordinario) stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta relativa all’anno precedente. E’ solo in ragione del protrarsi della inadempienza, oltre la soglia stabilita, della permanente obbligazione tributaria fino al maturare di tale scadenza, che si verifica l’evento dannoso per l’Erario e la consumazione della prevista fattispecie penale, non ostando al riguardo il già verificatosi mancato rispetto del termine stabilito per i versamenti mensili, rilevante esclusivamente sul piano della normativa amministrativa fiscale.

Sulla stessa linea – ricorda la Sezione rimettente – si colloca Sez. 3, n. 7588 del 12/01/2012, ******, la quale, dal rilievo che l’art. 10 bis configurerebbe un reato omissivo istantaneo, consumantesi nel momento di scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione nell’anno successivo a quello di effettuazione delle ritenute, trae la logica conseguenza che, per le ritenute riferite al 2004, il cui mancato versamento alle previste scadenze mensili non ha alcuna rilevanza penale, la condotta si sarebbe verificata interamente sotto la disciplina della nuova legge, non potendo, quindi, essere invocato il principio di irretroattività della norma penale (operante, come tale, per i soli fatti già esauriti al momento della sua entrata in vigore).

La sentenza ****** si fa anche carico della diversa soluzione cui a suo tempo era pervenuta la citata sentenza Di Grisostomo in relazione alla sostituzione del D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 2, convertito dalla L. 7 agosto 1982, n. 516, operata dal D.L. 16 marzo 1991, n. 83, art. 3, convertito dalla L. 15 maggio 1991, n. 154, evidenziando che in tale circostanza si versava in una ipotesi di successione di leggi penali, laddove l’art. 10 bis è intervenuto in una materia sanzionata solo su un piano amministrativo.

3.2. In senso contrario all’orientamento illustrato, l’ordinanza di rimessione richiama Sez. 3, n. 18757 del 08/02/2012, *******, Rv. 252619 (seguita poi anche da Sez. 3, n. 15025 del 09/10/2012, dep. 2013, *********), la quale, richiamandosi espressamente al criterio già elaborato dalla sentenza Di Grisostomo, individua nel rapporto fra il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, e il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, una successione di norme sanzionatorie, regolante in sostanza, con spostamento del termine di adempimento e inasprimento repressivo, la stessa condotta omissiva, con la conseguenza che il momento di consumazione dell’illecito, non importa se amministrativo o penale, non può essere che unico e identificarsi nella scadenza del termine utile per realizzare la condotta doverosa, quale stabilito dalla legge vigente al momento in cui i singoli versamenti dovevano essere effettuati. Per le ritenute operate nel 2004, il termine (secondo la legge vigente) scadeva il giorno 15 (rectius: 16) del mese successivo, onde per tutte le omissioni relative alle ritenute del 2004 (ad eccezione delle ritenute del mese di dicembre) gli illeciti si sarebbero già perfezionati al momento dell’entrata in vigore dell’art. 10 bis (1 gennaio 2005), applicabile soltanto agli omessi versamenti delle ritenute operate dal dicembre 2004 in avanti.

L’eventuale lettura della nuova norma penale come statuizione prorogante con effetto retroattivo termini già scaduti, con correlativa restituzione di effetti a illeciti già consumati e perfezionati, si porrebbe in palese contrasto con il principio di irretroattività delle norme penali e con il divieto del bis in idem.

In ragione del descritto contrasto, la Sez. 3 ha rimesso il ricorso del F. alle Sezioni Unite.

4. Il Primo Presidente, con decreto del 21 dicembre 2012, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la sua trattazione l’odierna udienza del 28 marzo 2013.

Motivi della decisione

1. Le Sezioni Unite sono chiamate a pronunciarsi sulla seguente questione: “se il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, inserito dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 414, ed entrato in vigore in data 1 gennaio 2005 – il quale punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo di imposta -, si applichi anche alla omissione, entro la scadenza del 31 ottobre 2005 (prevista quale termine per la presentazione della dichiarazione mod. 770/2005 ordinario), dei versamenti delle ritenute relative all’anno 2004, che dovevano essere, sotto comminatoria di sanzione amministrativa, e non sono stati, effettuati nel corso del 2004 alle singole scadenze mensili previste; ovvero se, in alternativa, debba ritenersi che l’illecito consumatosi alla data delle singole scadenze mensili del 2004, punibile solo con la sanzione amministrativa vigente all’epoca della sua consumazione, precluda l’applicazione, in relazione ai fatti che ne costituiscono oggetto, della nuova norma penale”.

2. Per la corretta soluzione della questione e per la stessa comprensione del contrasto giurisprudenziale manifestatosi al riguardo, è indispensabile ricostruire l’evoluzione subita dalla normativa in materia di sanzionamento dell’omesso versamento delle ritenute fiscali, a partire dall’originaria previsione di cui al D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 2, convertito dalla L. 7 agosto 1982, n. 516.

Prima ancora, può essere però utile tracciare, anche se per sommi capi, le caratteristiche del meccanismo di riscossione dell’imposta mediante sostituzione.

2.1. La sostituzione è uno strumento impositivo con il quale l’Amministrazione finanziaria, in luogo della riscossione dell’imposta direttamente dal percettore del reddito, incassa il tributo da un altro soggetto, che è quello che eroga gli emolumenti, il quale assume la qualifica di “sostituto” d’imposta ed è tenuto al pagamento del tributo in luogo dell’altro (normale soggetto passivo, c.d. “sostituito”), previo l’obbligatorio prelievo di una percentuale (c.d. “ritenuta alla fonte”), da versare all’Erario (generalmente entro i primi sedici giorni del mese successivo a quello di effettuazione delle ritenute: v. D.P.R. n. 600 del 1973, art. 8), della somma oggetto di erogazione (costituente reddito). L’istituto ha la sua ragion d’essere nell’esigenza pratica di colpire la ricchezza da tassare nel momento della produzione, prima ancora che giunga nella disponibilità del destinatario.

Il campo di applicazione della riscossione mediante sostituzione è definito dalla legislazione tributaria (v. Titolo III del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600). In via schematica ed esemplificativa può affermarsi che sono tenuti ad effettuare la ritenuta alla fonte, al momento dell’erogazione, gli enti pubblici, gli istituti di credito, i soggetti esercenti attività di impresa, ovvero artistica e professionale, che corrispondono redditi di lavoro dipendente o assimilati, redditi di lavoro autonomo, redditi di capitale, provvigioni inerenti a rapporti di commissione, agenzia, mediazione, rappresentanza di commercio e procacciamento d’affari o redditi diversi.

L’operatività del meccanismo di sostituzione d’imposta comporta l’adempimento di alcuni obblighi strumentali a carico del sostituto, il quale deve: 1) rilasciare al sostituito (entro il 28 febbraio – 15 marzo all’epoca dei fatti – dell’anno successivo: v. D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 4, commi 6 ter e 6 quater; D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 10, convertito dalla L. 4 agosto 2006, n. 248) una certificazione attestante l’ammontare complessivo delle somme corrisposte e delle ritenute operate in modo da permettere al soggetto passivo di documentare e di dimostrare il prelievo subito;

2) presentare annualmente (entro il termine del 31 luglio – 30 settembre o 31 ottobre, a seconda dell’utilizzo del Mod. 770 semplificato o del Mod. 770 ordinario, in riferimento all’epoca dei fatti – dell’anno successivo: v. D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 4, comma 3 bis; D.P.R. 16 aprile 2003, n. 126, art. 5, comma 1, lett. b, e D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, art. 4, comma 1, lett. c) una dichiarazione unica di sostituto d’imposta dalla quale risultino tutte le somme pagate e le ritenute operate nell’anno precedente.

A loro volta i contribuenti sono obbligati a conservare le certificazioni così rilasciate e ad esibirle a richiesta degli uffici competenti per i dovuti controlli (v. D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 3, comma 3).

2.2. Il D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 2, convertito dalla L. 7 agosto 1982, n. 516, nel suo testo originario, così recitava:

“1. E’ punito con l’arresto fino a tre anni o con la ammenda fino a lire sei milioni:

1) chiunque, essendovi obbligato, omette di presentare la dichiarazione annuale di sostituto di imposta se l’ammontare delle somme pagate e non dichiarate è superiore a lire venticinque milioni;

2) chiunque nella dichiarazione annuale presentata in qualità di sostituto di imposta indica le ritenute operate in misura inferiore a quella dovuta, se l’ammontare delle ritenute non operate sulle somme pagate è superiore globalmente a dieci milioni di lire e, con riferimento al singolo percipiente, al cinque per cento delle ritenute operate. Nei casi in cui nella dichiarazione non dovevano essere indicati i percipienti, la pena si applica se l’ammontare delle ritenute non operate è superiore all’uno per mille dello ammontare delle ritenute dichiarate;

3) chiunque nella dichiarazione annuale presentata in qualità di sostituto di imposta indica gli ammontari di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 7, in misura inferiore di oltre un milione di lire a quella risultante dalle annotazioni nelle scritture contabili”.

“2. Chiunque non versa all’erario le ritenute effettivamente operate, a titolo di acconto o di imposta, sulle somme pagate è punito con la reclusione da due mesi a tre anni e con la multa da un quarto alla metà della somma non versata”.

Lo stesso articolo venne così sostituito dal D.L. 16 marzo 1991, n. 83, art. 3, convertito dalla 15 maggio 1991, n. 154:

“1. Chiunque, essendovi obbligato, omette di presentare la dichiarazione annuale di sostituto d’imposta, se l’ammontare delle somme pagate e non dichiarate è superiore a lire cinquanta milioni per periodo d’imposta, è punito con l’arresto fino a due anni o con l’ammenda fino a lire cinque milioni. Ai fini del presente comma non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine prescritto o presentata ad un ufficio incompetente o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto”.

“2. E’ punito con l’arresto fino a tre anni o con l’ammenda fino a lire sei milioni chiunque, in qualità di sostituto d’imposta, al di fuori del caso di cui al comma 3, non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale ritenute alle quali è obbligato per legge relativamente a somme pagate, per un ammontare complessivo per ciascun periodo d’imposta superiore a lire cinquanta milioni. Non si tiene conto delle ritenute non versate che, in relazione al singolo percipiente, risultano inferiori al 5 per cento delle ritenute ad esso relative”.

“3. Chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare complessivo superiore a lire venticinque milioni per ciascun periodo d’imposta, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da lire tre milioni a lire cinque milioni; se il predetto ammontare complessivo è superiore a dieci milioni di lire ma non a venticinque milioni di lire per ciascun periodo d’imposta si applica la pena dell’arresto fino a tre anni o dell’ammenda fino a lire sei milioni”.

“4. Se coesistono i reati di mancata presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta e di mancato versamento delle ritenute di cui, rispettivamente, ai commi 1 e 2, si applicano le sole pene previste al comma 2”.

Successivamente, con il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1, venne disposto quanto segue:

“1. Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorchè non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile. Per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione di cui al primo periodo, oltre a quanto previsto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13, comma 1, è ulteriormente ridotta ad un importo pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo. Identica sanzione si applica nei casi di liquidazione della maggior imposta ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 36 bis e 36 ter, e ai sensi del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 bis”.

Il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, abrogò poi espressamente (con l’art. 25, lett. d)) il titolo I del D.L. 10 luglio 1982, n. 429, convertito dalla L. 7 agosto 1982, n. 516, che conteneva la repressione dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, ivi compresi tutti i reati a carico del sostituto di imposta, e, nell’ambito della nuova disciplina in materia di reati tributari che introduceva, non previde fattispecie di reato in continuità normativa rispetto a quella di cui alla L. n. 516, citato art. 2.

Sennonchè, in un successivo ripensamento delle proprie scelte politico-criminali, il legislatore, con la L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 414, (Legge finanziaria per l’anno 2005), inserì nell’impianto normativo del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (contenente la disciplina dei reati in materia di imposte dirette ed IVA), l’art. 10 bis dal titolo “Omesso versamento di ritenute certificate”, che così recitava:

“1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo di imposta”.

2.3. Come risulta chiaramente dall’excursus normativo esposto, in origine era sanzionato penalmente, dal D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 2, comma 2, convertito dalla L. 7 agosto 1982, n. 516, l’omesso versamento, alle scadenze (mensili) previste, delle ritenute operate, indipendentemente da altre condizioni.

Tale norma venne completamente sostituita dal D.L. 16 marzo 1991, n. 83, art. 3, convertito dalla 15 maggio 1991, n. 154, che, in luogo degli omessi versamenti mensili, sanzionò penalmente il mancato versamento delle ritenute entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale, condizionando e graduando la sanzione al raggiungimento di certe soglie di omissione e alla sussistenza o meno della certificazione delle ritenute stesse.

Nella vigenza di tali fattispecie penali, con il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1, si reintrodusse una sanzione amministrativa per l’omissione dei versamenti dovuti “alle prescritte scadenze”.

Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, venne abolita ogni sanzione penale per l’omesso versamento delle ritenute, come pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza dell’epoca (Sez. 3, n. 3714 del 21/11/2000, ********, Rv. 218183; Sez. 3, n. 39178 del 05/10/2001, *********, Rv. 220360), mentre restò in vigore la citata previsione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 art. 13, comma 1.

Con l’introduzione del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, operata dal L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 414, venne ripristinata una sanzione penale in relazione al mancato versamento delle ritenute entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale, purchè fosse raggiunta una certa soglia di omissione (Euro 50.000) e si trattasse di ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti.

3. Si può ora dar conto del contrasto manifestatosi nella giurisprudenza di legittimità in ordine all’applicabilità o meno della nuova fattispecie incriminatrice del citato art. 10-bis alle ritenute fiscali operate dal sostituto di imposta nell’anno 2004.

3.1. Un primo orientamento, inaugurato da Sez. 3, n. 25875 del 26/05/2010, ********, Rv. 248151 (e seguito poi da Sez. 3, n. 7588 del 12/01/2012, ******; Sez. 3, Sentenza n. 27719 del 04/04/2012, *******; Sez. 3, n. 27720 del 04/04/2012, Fumo; Sez. 3, n. 47606 del 04/04/2012, ******; Sez. 3, n. 178 del 05/07/2012, dep. 2013, *******), ha dato risposta positiva al detto quesito, affermando il principio di diritto secondo il quale “il reato di omesso versamento, da parte del sostituto d’imposta, delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti si consuma alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale, in quanto è solo con il maturare di tale termine che si verifica l’evento dannoso per l’erario, previsto dalla fattispecie penale, ed è punibile a titolo di dolo generico, richiedendo la mera consapevolezza della condotta omissiva”.

La citata decisione, premessa l’autonomia temporale e concettuale della nuova fattispecie criminosa introdotta dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, (introdotto dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 414, entrata in vigore il 1 gennaio 2005), rispetto alla precedente disciplina di cui al D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 2, (convertito dalla L. 7 agosto 1982, n. 516), definitivamente abrogata dal D.Lgs. n. 74 del 2000, ha rilevato che, nei reati omissivi, la fattispecie criminosa si realizza con il mancato compimento dell’azione richiesta dalla norma entro la scadenza del termine all’uopo previsto. Alla stregua di tanto, la fattispecie penale prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, non può essere confusa con quella, assoggettata a sola sanzione amministrativa, dell’inadempimento all’obbligo di versamento, alle previste scadenze mensili, delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, come disciplinata dalla normativa tributaria. La (nuova) fattispecie penale prende infatti in considerazione, ai fini del raggiungimento di una determinata soglia di punibilità, le ritenute complessivamente operate nell’anno di imposta, e prevede quale termine per l’adempimento quello stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta (30 settembre – ovvero 31 ottobre – dell’anno successivo).

E’, quindi, solo con l’inutile maturare di tale scadenza che si verifica l’evento dannoso per l’Erario ritenuto penalmente rilevante (punto confermato anche da Sez. 3, n. 27738 del 21/02/2012, *********), restando indifferenti a tal fine (come sottolineato anche da Sez. 3, n. 178 del 05/07/2012, dep. 2013, *******) le singole omissioni mensili in sè considerate, che la normativa tributaria assoggetta a sanzione amministrativa.

Nella ricostruzione in esame, è la inadempienza all’obbligazione tributaria, rimasta in piedi dopo la inutile scadenza dei termini mensili per il versamento delle ritenute fiscali, che, ove superi una determinata soglia riferita all’anno di imposta, viene ad essere configurata come reato in relazione all’ulteriore scadenza (annuale) fissata per il pagamento. Sul punto si è giunti ad affermare che “lo spostamento del termine ultimo per la dichiarazione obbligatoria a data posteriore all’entrata in vigore della legge sostituisce integralmente i termini periodici anteriormente vigenti e mette il cittadino in condizione di adempiere anche in riferimento ai termini già scaduti” (Sez. 3, n. 27719 del 04/04/2012, *******), così prevedendosi, “a fronte della possibilità di regolarizzazione in assenza di oneri aggiuntivi e di sanzioni in relazione alle omissioni già verificatesi, una nuova e futura scadenza il cui mancato rispetto integra una nuova fattispecie di reato” (Sez. 3, n. 27720 del 04/04/2012, Fumo).

Della conclusione cui perviene l’indirizzo in discorso è stato anche escluso qualsiasi contrasto con il principio di irretroattività della norma penale. Sez. 3, n. 7588 del 12/01/2012, ****** (che ha ripreso e approfondito le argomentazioni di Sez. 3, n. 25875 del 26/05/2010, ********, Rv. 248151), ha sul punto osservato che tale principio non può venire in rilievo a fronte di una condotta che, pur riguardando ritenute operate nel 2004, si è perfezionata per intero sotto la disciplina della nuova legge. Infatti, fino alla scadenza del termine (fissato al 30 settembre – ovvero 31 ottobre) per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno precedente, il comportamento omissivo del contribuente non è penalmente rilevante, e la condotta criminosa si realizza e consuma solo nell’istante in cui, alla detta scadenza, si registri un’omissione del versamento che (indipendentemente dalle modalità del suo formarsi) superi la soglia minima prevista. Anche considerando la condotta come protraentesi nel tempo, è comunque il momento della consumazione del reato che determina la legge applicabile, e deve dunque essere applicata quella vigente in tale momento, anche se diversa e più grave di quella vigente al momento in cui la condotta è iniziata. Il divieto di retroattività della norma penale opera, invero, solo per i fatti già esauriti al momento dell’entrata in vigore della nuova fattispecie penale, e non per quelli che sono ancora in atto, come nel caso delle ritenute operate nell’anno 2004, il cui termine annuale di versamento scadeva sotto la vigenza della nuova legge.

Il Legislatore del 2004 – prosegue la sentenza in esame -, con l’introduzione dell’art. 10 bis, non ha modificato una fattispecie incriminatrice già in vigore (come accaduto invece in precedenza con riferimento alle modifiche apportate dalla L. n. 154 del 1991, alla L. n. 516 del 1982, art. 2, comma 3) ma ha introdotto una nuova figura criminosa (sul modello di quella precedente, già abrogata), per la repressione dell’omesso versamento delle ritenute, costituente, all’epoca, un mero illecito amministrativo.

Per quanto concerne poi l’elemento psicologico, si osserva, infine, come la nuova norma richieda il dolo generico e non quello specifico, e come, al momento della sua entrata in vigore, il prevenuto, ben consapevole della sua inadempienza, potesse ancora tenere il comportamento doveroso richiesto.

Di recente anche Sez. 3, n. 47606 del 04/04/2012, ******, Rv. 253946, nel rilevare che “protraendosi la condotta omissiva nel tempo, deve trovare applicazione non già la legge che abbia esaurito i suoi effetti, ma quella che li deve ancora esaurire in relazione alla condotta tipica”, ha ribadito che “il reato di omesso versamento, da parte del sostituto d’imposta, delle ritenute operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti si consuma alla scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale anche per i versamenti omessi, antecedentemente all’entrata in vigore della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 414, introduttiva del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, nel periodo di imposta 2004 e per i quali le scadenze periodiche mensili siano già maturate, senza con ciò venirsi a violare il principio di irretroattività della norma penale”.

3.2. Di contro all’indirizzo esposto si colloca quello che considera il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, inapplicabile all’omesso versamento delle ritenute certificate operate dal sostituto di imposta nell’esercizio 2004, che rimarrebbe, quindi, soggetto alla sola sanzione amministrativa.

La decisione che ha in particolare sostenuto tale tesi (Sez. 3, n. 18757 del 08/02/2012, *******, Rv. 252619, seguita poi da Sez. 3, n. 15025 del 09/10/2012, dep. 2013, *********, dopo l’emissione della presente decisione) si è richiamata a un importante precedente, costituito da Sez. 3, n. 14160 del 03/11/1999, Di Grisostomo, Rv.

214917, che, affrontando il problema del rapporto fra l’originario testo del D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 2, (convertito dalla L. 7 agosto 1982, n. 516), e quello introdotto con il D.L. 16 marzo 1991, n. 83, art. 3, convertito dalla L. 15 maggio 1991, n. 154, aveva affermato che “lo spostamento del termine per il versamento all’Erario delle ritenute fiscali operate a titolo di acconto (normalmente il giorno 15 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata la ritenuta), introdotto con il D.L. 16 marzo 1991, n. 83, art. 3, (scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d’imposta), non può incidere sul reato di cui alla L. 7 agosto 1982, n. 516, art. 2, allorchè questo era già perfetto all’atto dell’entrata in vigore del D.L. stesso, e ciò in quanto la norma di nuova introduzione non poteva che essere rivolta al futuro, e cioè alle omissioni di versamento consumate successivamente all’entrata in vigore della nuova disposizione”.

A sostegno di questa conclusione, era stato valorizzato il principio per il quale “il tempo di consumazione, quale che sia la disposizione che si debba o si intenda applicare, non può essere che unico e, nel caso in esame, doveva essere individuato, trattandosi di reati omissivi, nel momento della scadenza del termine utile per realizzare la condotta doverosa, che coincideva con il momento della scadenza del termine stabilito dalla legge vigente al tempo in cui i versamenti andavano effettuati (il giorno 15 del mese successivo a quello in cui è stata effettuata la ritenuta)”.

Per effetto delle modifiche apportate dal D.L. 16 marzo 1991, n. 83, art. 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 maggio 1991, n. 154, l’omissione del versamento delle ritenute alla fonte era divenuta penalmente rilevante solo quando il loro ammontare superava una certa soglia e il momento consumativo coincideva con la scadenza del termine per la presentazione (nel corso del successivo periodo d’imposta) della dichiarazione annuale del sostituto di imposta. Nel caso esaminato l’omissione dei singoli versamenti entro il termine (mensile) di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 8, si era già verificata, e il termine per la dichiarazione annuale, rilevante per la nuova normativa, andava a scadere sotto il vigore di quest’ultima.

Alla stregua di tanto, il sopravvenuto spostamento del termine per il versamento non poteva incidere sul reato già consumatosi, e la norma di nuova introduzione non poteva che ricevere applicazione per le sole omissioni di versamento verificatesi dopo la sua entrata in vigore.

Nel richiamare tale precedente, la sentenza ******* ha affermato che “l’omesso versamento delle ritenute alla fonte (da effettuare entro il giorno quindici del mese successivo) operate nel periodo di imposta 2004 non integra il reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, (introdotto dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1 comma 414, entrato in vigore il 1 gennaio 2005, che ha prorogato il termine per il versamento fino al 30 settembre 2005) ma costituisce l’illecito amministrativo previsto dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13”.

La decisione ha confutato il contrario orientamento – fondato sul presupposto che la condotta prevista dal delitto in questione differirebbe da quella regolata dalle precedenti disposizioni sanzionatorie amministrative (D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13), in ragione di un differente oggetto delle omissioni (il versamento del totale delle ritenute invece che della quantità mensile delle medesime) e di un diverso termine per adempiere all’obbligo di pagamento -, ritenendo decisivi i principi già enunciati dalla sentenza Di Grisostomo, in quanto maggiormente conformi ai principi costituzionali di irretroattività delle fattispecie penali incriminatrici e di colpevolezza, e considerando irrilevante la circostanza, valorizzata dall’opposto orientamento, che nel caso in questione si verserebbe in ipotesi di introduzione di un nuovo reato a fronte di un precedente illecito amministrativo, mentre, nel caso (affrontato dalla sentenza Di Grisostomo) della modifica della L. n. 516 del 1982, art. 2, comma 3, da parte della L. n. 154 del 1991, si versava in una ipotesi di vera e propria successione di norme penali: in entrambi i casi, infatti, si sarebbe comunque in presenza di una successione di norme sanzionatrici di un determinato comportamento. Non vi sarebbe dunque ragione per non applicare il principio affermato dalla sentenza Di Grisostomo, secondo cui il momento di consumazione dell’illecito, penale o amministrativo che sia, non può essere che unico e, trattandosi di condotta omissiva, va individuato nel momento della scadenza del termine utile per realizzare la condotta doverosa, da identificarsi in quello stabilito dalla legge vigente al momento in cui i singoli versamenti dovevano essere effettuati. Anche nel caso in esame, si sottolinea, non possono coerentemente che essere presi in considerazione i termini fissati dalla legge in vigore al momento delle singole scadenze, con la conseguente rilevazione del già intervenuto perfezionamento degli illeciti anteriori al momento dell’entrata in vigore della nuova norma penale. Nè, aggiunge la sentenza, a diverse conclusioni può condurre il fatto che la nuova norma preveda un reato di natura omissiva istantanea, che si consuma nel momento in cui scade il termine per la presentazione della dichiarazione annuale, posto che la stessa natura omissiva istantanea va riconosciuta al precedente illecito amministrativo, consumatosi al momento di scadenza del termine mensile per il versamento.

La questione consiste in sostanza, per la pronuncia in esame, nello stabilire in quale momento si sia perfezionato e consumato l’illecito rappresentato dalle omissioni di pagamento, che, per la sua unicità, va individuato nel momento di scadenza del termine stabilito dalla legge vigente al momento in cui i versamenti dovevano essere effettuati. Per le ritenute operate nel 2004, questo termine, secondo la legge vigente, scadeva il giorno 15 (rectius 16, in forza del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 18) del mese successivo, sicchè, per tutte le omissioni relative alle ritenute del 2004 (ad eccezione di quelle del mese di dicembre), gli illeciti si erano già perfezionati al momento dell’entrata in vigore della nuova norma penale. La quale, pertanto, potrebbe trovare applicazione soltanto per gli omessi versamenti delle ritenute operate dal dicembre 2004 in poi. Ove, in effetti, si dovesse ritenere che la nuova norma penale, attraverso l’artificio della previsione di un termine di versamento più lungo, avesse prorogato, con effetto retroattivo, termini già scaduti, così rendendo nuovamente perseguibili illeciti già consumati e perfezionati, si darebbe luogo a una interpretazione contrastante con il principio di irretroattività delle norme penali e con il divieto del bis in idem.

E ciò tanto più in considerazione della sostanziale identità, negata dall’indirizzo di segno opposto, tra la condotta prevista e punita in via amministrativa dal D.Lgs. n. 671 del 1997, art. 13, e quella, penalmente rilevante, sanzionata dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis. Entrambe, infatti, riguarderebbero l’omesso versamento delle medesime somme, indipendentemente dalle differenze dell’ammontare e dei termini di riferimento, non potendosi ravvisare una sostanziale differenza di condotta fra l’omesso versamento del tutto e la somma degli omessi versamenti delle porzioni del tutto, e non potendo la diversità dei termini di adempimento influire sulla fisionomia di una fattispecie illecita e sul suo disvalore.

Il comportamento illecito tenuto dal soggetto sarebbe, quindi, il medesimo, avendo ad oggetto, tanto le sanzioni amministrative quanto la sanzione penale, la stessa condotta omissiva (il mancato versamento all’Erario) rivolta sul medesimo oggetto materiale (le ritenute). La nuova norma penale, senza introdurre un nuovo obbligo di fare, si sarebbe limitata a posticipare il termine per il versamento delle ritenute certificate al momento della presentazione della dichiarazione annuale del sostituto d’imposta, rinvigorendo così la sanzione per una condotta già in precedenza punita in via amministrativa. Fino al gennaio 2005, i termini di versamento cui era sottoposto il sostituto d’imposta coincidevano con il giorno 15 (rectius 16) del mese successivo a quello in cui erano state operate le ritenute, e la loro violazione era soggetta alla sanzione amministrativa. Ciò significava che le ritenute del 2004 (tranne quelle operate in dicembre) dovevano essere versate dal sostituto nello stesso anno 2004, e quindi prima dell’entrata in vigore della nuova norma penale. Pertanto, lo spostamento del termine per procedere al versamento e l’introduzione della sanzione penale per la relativa omissione, effettuati dalla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 414, non potrebbero incidere sulle violazioni in questione, già perfezionatesi all’atto dell’entrata in vigore della nuova legge, e insuscettibili di ricadere sotto la relativa disciplina, necessariamente rivolta al futuro. Se si seguisse una interpretazione di segno contrario, l’effetto sarebbe quello di applicare una seconda sanzione (questa volta di tipo penale) a una violazione già perfettamente consumata e potenzialmente (se l’illecito fosse stato accertato nel corso del 2004) già punita con sanzione amministrativa.

Anche a voler ritenere l’astratta non coincidenza fra la (nuova) fattispecie penale, avente ad oggetto l’omissione unitariamente considerata, e la (precedente) fattispecie di illecito amministrativo, avente ad oggetto le omissioni mensili parcellizzate del tutto, si verterebbe comunque, stante la sostanziale sovrapponibilità delle condotte addebitabili all’agente, in una ipotesi di successione fra illecito amministrativo ed illecito penale, da risolvere secondo gli ordinari parametri di cui all’art. 2 c.p..

Sul punto la sentenza richiama il principio secondo il quale “allorchè un fatto, già sanzionato amministrativamente, non abbia perduto il carattere di illiceità, ma lo abbia visto aggravarsi, assurgendo al rango di illecito penale, mentre non può tenersi conto del più grave regime sanzionatorio (penale) introdotto successivamente alla sua realizzazione, va applicata a tale violazione la sanzione amministrativa” (Sez. 3, n. 6490 del 19/4/2000, ********, Rv. 217014). Tale principio, si specifica, non potrebbe essere derogato, in quanto nella specie non si tratta di fatti e azioni diverse ma dello stesso comportamento, inteso quale condotta omissiva dell’agente.

Andrebbe, inoltre, adeguatamente considerato che, pur trattandosi di reato omissivo proprio, istantaneo e di mera condotta (omissione), la fattispecie contemplerebbe anche una componente attiva, rappresentata dalla certificazione delle ritenute e dal suo rilascio ai sostituiti; e queste due porzioni della condotta si sarebbero realizzate, con riferimento alle ritenute dell’anno 2004, in un momento antecedente all’entrata in vigore della nuova norma penale, ossia in un momento in cui l’agente non poteva ancora essere a conoscenza del rischio che avrebbe corso certificando le ritenute e poi non versandole all’Erario.

A questo proposito non sarebbe rilevante la considerazione che l’effettuazione delle ritenute ed il rilascio della loro certificazione non rientrano nella fattispecie penale ma ne costituiscono un presupposto. Sulla base dei principi affermati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 1988, in uno Stato di diritto il cittadino deve infatti sempre poter sapere, prima di agire, se dal suo comportamento possa derivare una sua responsabilità penale e quali siano le eventuali sanzioni, perchè solo a queste condizioni egli può compiere libere scelte di azione (o di omissione), assumendosi la responsabilità del suo comportamento. Poichè, secondo la giurisprudenza costituzionale, il principio di consapevolezza, ricavabile dall’art. 27 Cost., richiede che il cittadino sia effettivamente libero di agire con la cognizione delle conseguenze della propria condotta, non ci si potrebbe limitare a prendere in considerazione il momento della pura omissione, quando l’obbligo di agire non sia assoluto o dipendente da fattori estranei alla volontà dell’agente, ma derivante piuttosto da una precisa condotta, volontariamente posta in essere da quest’ultimo.

4. Per quanto concerne la dottrina, se, da un lato, si è osservato che non sussistono dubbi sulla inapplicabilità della fattispecie incriminatrice per le ritenute operate fino all’anno 2003, è controversa la questione avente ad oggetto le ritenute effettuate nel periodo di imposta 2004.

Un primo indirizzo ritiene che la fattispecie incriminatrice di omesso versamento delle ritenute certificate è immediatamente applicabile e, quindi, è riferibile anche agli omessi versamenti avvenuti prima dell’entrata in vigore della legge finanziaria per il 2005, e cioè durante il 2004. Si è in proposito rilevato che tale posizione, quantunque ad una prima lettura possa apparire incompatibile con il rispetto del principio di irretroattività della norma penale, in realtà risulta conforme non solo ai principi dell’ordinamento giuridico, ma anche ai pilastri fondamentali dell’impianto penale-tributario sui quali è stata disegnata la riforma del 2000. Infatti il momento consumativo del reato sarebbe individuabile nel termine per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta (fino alla cui scadenza l’inadempienza può, agli effetti penali, essere sanata), mentre l’inadempimento dei singoli obblighi mensili di versamento rileverebbe soltanto sul piano sanzionatorio amministrativo. Tali conclusioni sarebbero perfettamente in linea con la filosofia sottesa al D.Lgs. n. 74 del 2000, poichè con l’art. 10 bis, non viene colpito il mancato pagamento dell’imposta nei termini previsti dalla normativa tributaria ma esclusivamente la condotta omissiva che, a giudizio del legislatore, comporta, per entità e durata, un danno di rilevante gravità per l’Erario.

Un secondo indirizzo ritiene invece inapplicabile la nuova norma penale all’omesso versamento delle ritenute operate nel periodo di imposta 2004. In tale anno i sostituti di imposta che non avevano provveduto al versamento delle ritenute alle scadenze mensili avevano già consumato la condotta omissiva comportante l’illecito amministrativo, senza poter immaginare che una norma successiva (del 30 dicembre 2004 ed in vigore dal 2005) avrebbe previsto un ulteriore termine per il pagamento delle ritenute stesse, stabilendo, in caso di mancato rispetto di tale ulteriore termine, l’applicazione di una sanzione penale. In ossequio al principio costituzionalmente garantito dell’irretroattività della legge penale, la norma di nuova introduzione non potrebbe che essere rivolta al futuro e, cioè, alle omissioni di versamento consumate (anche in via amministrativa) successivamente alla sua entrata in vigore.

5. La corretta soluzione della questione sottoposta al Collegio richiede un’approfondita analisi del rapporto fra l’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1, e l’illecito penale di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, (introdotto con la L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 414).

5.1. L’indirizzo che nega l’applicabilità della norma penale all’omesso versamento delle ritenute relative al 2004 inquadra in effetti il rapporto fra le norme in questione in termini di successione di norme sanzionatorie e si richiama specificamente alle argomentazioni e conclusioni espresse dalla sentenza Di Grisostomo in ordine al rapporto fra l’originario testo del D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 2, (convertito dalla L. 7 agosto 1982, n. 516), e quello introdotto con il D.L. 16 marzo 1991, n. 83, art. 3, convertito dalla L. 15 maggio 1991, n. 154.

Ora, è evidente che la questione esaminata e risolta dalla sentenza Di Grisostomo riguardava sicuramente una ipotesi di successione di norme sanzionatorie e, in particolare, una ipotesi di successione di norme penali. In quel caso, infatti, un determinato fenomeno della realtà, costituito dall’inadempienza ad obblighi di natura fiscale, già preso in considerazione, a fini di repressione penale, per il solo fatto del mancato rispetto dei termini (mensili) fissati dalla normativa tributaria, veniva fatto oggetto, sempre a fini di repressione penale, di una diversa disciplina, formalmente sostitutiva della precedente, che definiva in modo nuovo e autonomo i presupposti della condotta punibile (dando rilievo in particolare alla inutile scadenza del termine fissato per la dichiarazione annuale, da presentare nell’anno successivo a quello di riferimento) e le relative sanzioni. Era chiaro, quindi, sotto un profilo anche formale, che le due discipline non potevano coesistere, e si poneva di conseguenza il problema di come trattare le fattispecie astrattamente assoggettabili ad entrambe. La soluzione trovata, ispirata ai principi di irretroattività e non duplicabilità della sanzione penale e fortemente influenzata – va ricordato – dal principio di ultra attività delle norme penali finanziarie di cui alla L. 7 gennaio 1929, n. 29, art. 20, (poi abrogato dal D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, art. 24, comma 1) e dalla presenza, nel D.L. 16 marzo 1991, n. 83, convertito dalla L. 15 maggio 1991, n. 154, di disposizioni transitorie, fu nel senso che i fatti consumati e sanzionati nel regime anteriore alla novellazione restassero assoggettati solo a questo e non potessero in alcun modo costituire oggetto della nuova incriminazione (anche se più favorevole).

Con l’introduzione del D.Lgs. 74 del 2000, art. 10 bis, non si è, invece, formalmente determinata la sostituzione di un regime sanzionatorio ad un altro, ma si è aggiunta, alla generale previsione delle fattispecie di illecito amministrativo di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1, (rimasto in vigore), comprendenti l’omesso versamento, alle previste scadenze mensili, delle ritenute alla fonte, la previsione di una specifica fattispecie penale, ruotante sì nell’ambito dello stesso fenomeno omissivo ma ancorata a presupposti fattuali e temporali nuovi e diversi.

In questo caso, quindi, non si pone un problema di successione di norme sanzionatorie, bensì una questione di eventuale concorso apparente di norme (penale ed amministrativa), ed è una questione che, evidentemente, non riguarda solo l’anno 2004 ma anche gli anni successivi (e che, in effetti, si poneva in termini del tutto analoghi in relazione alla coesistenza, nel periodo di comune vigenza, fra la norma di cui al D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 2, convertito dalla L. 7 agosto 1982, n. 516, come sostituito dal D.L. 16 marzo 1991, n. 83, art. 3, convertito dalla L. 15 maggio 1991, n. 154, e quella di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1).

Detto concorso è regolato dal principio di specialità, quale previsto in generale nella L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 9, comma 1, (cfr. Sez. 6, n. 11395 del 01/10/1993, *******, Rv. 196065) – secondo il quale “Quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale” -, e che trova specifica espressione, nella materia in esame, nel D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 19, comma 1, secondo il quale “Quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II precisamente dedicato ai “delitti” e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale”.

Per stabilire se nel caso in esame si è in presenza di un concorso apparente o effettivo di norme, si tratta, dunque, di verificare se le norme sanzionatorie in questione riguardino o meno lo “stesso fatto”.

La risposta a tale quesito è negativa. Entrambi gli illeciti in esame, invero, sono illeciti omissivi propri, integrati dal mero mancato compimento di un’azione dovuta.

Com’è noto, gli elementi costitutivi dell’illecito omissivo (di mera condotta) sono: a) i presupposti, cioè la situazione tipica da cui sorge l’obbligo di agire; b) la condotta omissiva (non facere quod debetur); c) il termine, esplicito o implicito, alla cui scadenza l’inadempimento dell’obbligo assume rilevanza e si consuma l’illecito.

Nell’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1, il presupposto è costituito dalla erogazione di somme comportanti l’obbligo di effettuazione della ritenuta alla fonte (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 23 e ss.) e di versamento della stessa all’Erario con le modalità stabilite (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 3), la condotta omissiva si concretizza nel mancato versamento della ritenuta mensile e il termine per l’adempimento è fissato al giorno quindici (poi passato al sedici) del mese successivo a quello di effettuazione della ritenuta (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 8).

Nell’illecito penale di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, il presupposto è costituito sia dalla erogazione di somme comportanti l’obbligo di effettuazione delle ritenute alla fonte (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 23 e ss.) e di versamento delle stesse all’Erario con le modalità stabilite (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 3), sia dal rilascio al soggetto sostituito di una certificazione attestante l’ammontare complessivo delle somme corrisposte e delle ritenute operate nell’anno precedente (v. D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 4, commi 6 ter e 6 quater); la condotta omissiva si concretizza nel mancato versamento, per un ammontare superiore a Euro cinquantamila, delle ritenute complessivamente operate nell’anno di imposta e risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti;

il termine per l’adempimento è individuato in quello previsto (in riferimento all’epoca dei fatti, 30 settembre ovvero 31 ottobre, a seconda dell’utilizzo del Modello 770 semplificato o – come avvenuto nel caso di specie – del Modello 770 ordinario: D.P.R. n. 332 del 1998, art. 4) per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta relativa all’anno precedente.

Come si vede, pur nella comunanza di una parte dei presupposti (erogazione di somme comportanti l’obbligo di effettuazione delle ritenute alla fonte e di versamento delle stesse all’Erario con le modalità stabilite) e della condotta (omissione di uno o più dei versamenti mensili dovuti), gli elementi costitutivi dei due illeciti divergono in alcune componenti essenziali, rappresentate in particolare: dal requisito della “certificazione” delle ritenute, richiesto per il solo illecito penale; dalla soglia minima dell’omissione, richiesta per il solo illecito penale; dal termine di riferimento per l’assunzione di rilevanza dell’omissione, fissato, per l’illecito amministrativo, al giorno quindici (poi passato al sedici) del mese successivo a quello di effettuazione delle ritenute, e coincidente, per l’illecito penale, con quello previsto per la presentazione (entro le date del 30 settembre ovvero del 31 ottobre) della dichiarazione annuale di sostituto di imposta relativa al precedente periodo d’imposta.

Le illustrate divergenze inducono a ricostruire il rapporto fra i due illeciti in termini, non di specialità, ma piuttosto di “progressione”: la fattispecie penale – secondo l’indirizzo di politica criminale adottato in generale dal D.Lgs. 74 del 2000 (su cui v. in particolare Corte cost., sent. n. 49 del 2002) – costituisce in sostanza una violazione molto più grave di quella amministrativa e, pur contenendo necessariamente quest’ultima (senza almeno una violazione del termine mensile non si possono evidentemente determinare i presupposti del reato), la arricchisce di elementi essenziali (certificazione, soglia, termine allungato) che non sono complessivamente riconducibili al paradigma della specialità (che, ove operante, comporterebbe ovviamente l’applicazione del solo illecito penale), in quanto recano decisivi segmenti comportamentali (in riferimento al rilascio della certificazione – che erroneamente la sentenza ******* colloca nell’anno di effettuazione delle ritenute – e al protrarsi della condotta omissiva), che si collocano temporalmente in un momento successivo al compimento dell’illecito amministrativo (v., per un analogo precedente di esclusione della specialità – in tema di rapporto tra la fattispecie penale prevista dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 quater, relativa all’omesso versamento, in misura superiore a Euro cinquantamila, per ciascun periodo di imposta, di somme dovute, derivante dall’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, e la sanzione amministrativa prevista dal D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 27, comma 18, convertito dalla L. n. 2 del 2009, dell’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute – Sez. 3, n. 42462 del 11/11/2010, *******, Rv. 248753).

Da quanto sopra discende che la presenza della previsione dell’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1, e la consumazione in concreto di esso, non sono di ostacolo all’applicazione, in riferimento allo stesso periodo d’imposta e nella ricorrenza di tutti gli specifici presupposti, della statuizione relativa all’illecito penale di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis. La circostanza che in tal modo un fatto integrante uno o più illeciti minori (omissione di uno o più versamenti di ritenute nel termine mensile per un ammontare complessivamente superiore a Euro cinquantamila) assurga, in punto di fatto, a presupposto dell’illecito maggiore, richiedente a sua volta ulteriori requisiti e caratterizzato da un diverso tempo di realizzazione, non appare motivo sufficiente per escludere la concorrente applicazione di entrambi gli illeciti.

La conclusione così assunta in ordine al rapporto sussistente, in via generale, fra le disposizioni in discorso non si pone in contrasto nè con l’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, nè con l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che sanciscono il principio del ne bis in idem in materia penale.

Anzitutto, invero, nella specie, come si è visto, non si può parlare di identità del fatto; in ogni caso, poi, il principio suddetto si riferisce solo ai procedimenti penali e non può, quindi, riguardare l’ipotesi dell’applicazione congiunta di sanzione penale e sanzione amministrativa tributaria (in tal senso, espressamente, Corte di giustizia U.E., 26/02/2013, ********* c. **********************).

5.2. Quanto finora esposto non risolve tutti i problemi posti dalla questione sottoposta al Collegio, riguardante in particolare l’applicabilità della nuova norma penale, entrata in vigore il 1 gennaio 2005, anche a omissioni verificatesi, in riferimento alla scadenza del termine mensile, nel corso del 2004. Tale applicabilità, infatti, sarebbe contraria, secondo l’orientamento che la esclude, anche al principio di irretroattività della norma penale.

La tesi non è condivisibile.

Se è vero, infatti, che, al momento della scadenza del “termine fiscale” per il versamento delle ritenute relative all’anno 2004, il reato in discussione non era ancora stato introdotto – essendo l’entrata in vigore del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, posteriore a detta scadenza -, è altrettanto vero, però, che la condotta penalmente rilevante non è l’omesso versamento delle ritenute nel termine previsto dalla normativa tributaria, ma il mancato versamento delle ritenute certificate nel maggiore termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale relativa al periodo di imposta dell’anno precedente.

Pertanto, il soggetto che aveva omesso il versamento delle ritenute per il 2004 nel termine previsto dalla normativa tributaria avrebbe avuto ancora, fino al 30 settembre o 31 ottobre 2005 (nel caso di specie: 31 ottobre, come acclarato in sede di merito), la possibilità di assumere le proprie determinazioni in ordine all’effettuazione di un versamento che, in relazione alle ritenute da lui stesso certificate dopo l’entrata in vigore della norma penale, mantenesse l’omissione non oltre la soglia dei cinquantamila Euro. La risoluzione di non provvedere a tanto, che da luogo alla commissione del reato, si colloca, dunque, in un’epoca ampiamente successiva alla introduzione della nuova fattispecie incriminatrice, alla quale non può, pertanto, attribuirsi un effetto retroattivo.

Consegue da tanto la manifesta infondatezza della questione (prospettata nel ricorso) di legittimità costituzionale dell’art. 10 bis, in riferimento all’art. 25 Cost., comma 2.

Un argomento a conforto di tale conclusione sembra potersi implicitamente trarre dalla ordinanza n. 25 del 2012, con cui la Corte costituzionale (reiterando in sostanza quanto già affermato con ordinanza n. 224 del 2011) ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., della similare norma di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 ter, limitatamente alle omissioni relative all’anno 2005, rilevando che la circostanza che il debitore di IVA per l’anno 2005 venga a disporre, al fine di eseguire il versamento – o, meglio, per decidere se effettuarlo o meno con la consapevolezza che la sua omissione avrà conseguenze penali (essendo il pagamento doveroso, in base alla normativa tributaria, già prima e indipendentemente dall’introduzione della nuova incriminazione) -, di un termine minore di quello accordato ai contribuenti per gli anni successivi, non può ritenersi, di per sè, lesiva del parametro costituzionale evocato, in quanto il termine di oltre cinque mesi e mezzo riconosciuto al soggetto in questione non può ritenersi intrinsecamente incongruo, ossia talmente breve da pregiudicare o da rappresentare, di per sè, un serio ostacolo all’adempimento.

L’orientamento qui confutato richiama a proprio favore anche il principio di colpevolezza di cui all’art. 27 Cost., in forza del quale, com’è noto, tutte le volte in cui entra in gioco il dovere d’osservare le leggi penali, la sua violazione, implicita nella commissione del fatto di reato, non può certamente divenire rilevante, e dar luogo alla pena, in caso di impossibilità di conoscenza del precetto (e, pertanto, dell’illiceità del fatto) non ascrivibile alla volontà dell’interessato (Corte cost., sent. n. 364 del 1988).

Quanto detto in ordine allo spazio di condotta virtuosa consentito al soggetto dall’entrata in vigore dell’art. 10 bis fino alla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione annuale relativa al periodo d’imposta dell’anno 2004 porta senz’altro a escludere che dal principio di colpevolezza possa discendere un rilievo ostativo assoluto all’applicabilità della nuova norma penale alle omissioni di versamento relative a ritenute del detto anno.

Piuttosto, in relazione alle singole fattispecie concrete, possono venire in rilievo elementi tali da condurre, anche per questioni collegate al divario temporale fra il momento di effettuazione delle ritenute e l’introduzione della norma penale, all’esclusione dell’elemento soggettivo del reato. Ciò in particolare potrebbe verificarsi nel caso in cui l’omissione del versamento nella misura prevista al momento della scadenza del termine annuale rinviene la sua ragione esclusiva e non più ovviabile in un comportamento colpevole interamente posto in essere “prima” dell’introduzione della norma penale, quando le conoscibili e prevedibili conseguenze di esso consistevano solo in una sanzione amministrativa.

La relativa problematica sarà, quindi, affrontata in sede di esame della sussistenza, nella fattispecie concreta, dell’elemento soggettivo del reato.

5.3. Dalle considerazioni che precedono possono dunque enuclearsi i seguenti principi di diritto:

– “Fra il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, inserito dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 414, ed entrato in vigore in data 1 gennaio 2005 (il quale punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo di imposta), e il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, comma 1, (che assoggetta alla sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato chiunque non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze mensili, i versamenti delle ritenute alla fonte), intercorre un rapporto non di specialità ma di progressione illecita, che comporta l’applicabilità congiunta delle due sanzioni”;

– “Il D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis, inserito dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 414, ed entrato in vigore in data 1 gennaio 2005, il quale punisce con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d’imposta, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo di imposta, è applicabile anche alle omissioni dei versamenti delle ritenute alla fonte relative all’anno 2004, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale”.

6. Venendo ora al tema dell’elemento soggettivo, si osserva che il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico. Mentre, invero, molte delle condotte penalmente sanzionate dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, questa specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis. Per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato. Tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia dei cinquantamila Euro, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore.

La prova del dolo è insita in genere nella duplice circostanza del rilascio della certificazione al sostituito e della presentazione della dichiarazione annuale del sostituto (Mod. 770), che riporta le trattenute effettuate, la loro data ed ammontare, nonchè i versamenti relativi.

Il debito verso il fisco relativo al versamento delle ritenute è collegato con quello della erogazione degli emolumenti ai collaboratori. Ogni qualvolta il sostituto d’imposta effettua tali erogazioni, insorge, quindi, a suo carico l’obbligo di accantonare le somme dovute all’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria.

L’introduzione della norma penale, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta (protrattasi, in sede di prima applicazione della norma, nel 2005) di non far debitamente fronte alla esigenza predetta (per l’esclusione del rilievo scriminante di impreviste difficoltà economiche in sè considerate v., in riferimento alla norma in esame, Sez. 3, n. 10120 del 01/12/2010, dep. 2011, **********).

Ciò chiarito, si osserva che nel ricorso del F., oltre a invocarsi infondatamente (alla stregua di quanto sopra illustrato) l’esigenza del dolo specifico e la sua mancata dimostrazione, nonchè l’esclusione dell’elemento soggettivo in forza della mera sopravvenienza della norma penale rispetto al verificarsi della violazione dei termini mensili di cui al D.P.R. 602 del 1973, art. 8, si allegano altresì, da un lato, l’impossibilità di adempiere in conseguenza del mancato incasso di crediti vantati nei confronti della P.A. e, dall’altro, l’illeggibilità del nuovo precetto penale, inserito ex abrupto in una legge c.d. omnibus, con conseguente applicabilità della regola della c.d. ignoranza inevitabile, scaturita dall’intervento della Corte costituzionale (sent. 364 del 1988) sull’art. 5 c.p..

Per quanto concerne la prima delle due ultime allegazioni, rilevasi che la stessa è generica e in fatto e non reca, in particolare, indicazioni specifiche nè concrete atte a ravvisare una reale impossibilità incolpevole all’adempimento ovvero a ricondurre la causa esclusiva dell’inadempimento a condotte tenute prima del 2005.

Relativamente alla invocata regola della c.d. ignoranza inevitabile, è noto che essa può applicarsi al cittadino comune, sfornito di specifiche competenze, allorchè egli abbia assolto il dovere di conoscenza con l’ordinaria diligenza attraverso la corretta utilizzazione dei mezzi di informazione, di indagine e di ricerca dei quali disponga (Sez. 1, n. 25912 del 18/12/2003, dep. 2004, ********, Rv. 228235), mentre non può validamente essere invocata da chi svolge una attività rispetto alla quale ha il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente (Sez. 5, n. 22205 del 26/02/2008, *******, Rv. 240440) – ed è certamente questo il caso, ricorrente nella specie, del legale rappresentante di una società di capitali, tenuto alla puntuale conoscenza e osservanza (anche attraverso la scelta e l’ausilio di collaboratori competenti) delle normative correlate allo svolgimento della attività imprenditoriale -, nè in caso di mero dubbio interpretativo, che comporta comunque l’obbligo di evitare la condotta a rischio di sanzione (Sez. 6, n. 6991 del 25/01/2011, Sirignano, Rv. 249451; Sez. 3, n. 28397 del 16/04/2004, ********, Rv. 229060).

7. Il ricorso del F. deve, pertanto, essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 28 marzo 2013.

 

Redazione