Omessa comunicazione di avvio del procedimento: illegittimità del provvedimento espropriativo (Cons. Stato n. 3048/2013)

Redazione 04/06/13
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FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto avanti al T.A.R. Campania, sezione staccata di Salerno, i coniugi ******** e ***********, proprietari di un terreno sito nel Comune di Scafati, distinto nel catasto terreni al foglio di mappa n. 26, part. 1494 e 1495, impugnavano il decreto del Prefetto della Provincia di Salerno, prot. n. 447 U.D./Sez. I del 28.6.2000, con il quale era stata autorizzata, sulla base di una perizia di variante, l’occupazione di ulteriori mq 560 del terreno di loro proprietà, dopo che questo era già stato interessato per mq 846 da una precedente procedura espropriativa, per la realizzazione del progetto “rete collettori al servizio dei Comuni di Pompei, S. ************* e *******”.
2. I ricorrenti domandavano l’annullamento di tale atto per violazione di legge ed eccesso di potere sotto concorrenti e plurimi profili, unitamente a tutti gli atti connessi.
3. Si costituivano nel giudizio di prime cure, resistendo al ricorso, sia il Prefetto di Napoli, delegato ex O.P.C.M. 14.4.1995, sia il Prefetto della Provincia di Salerno nonché la Cooperativa Costruttori soc. coop. a r.l.
4. Con ordinanza n. 1794 del 20.9.2000 il T.A.R. respingeva l’istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.
5. I ricorrenti impugnavano quindi successivamente, con motivi aggiunti, ulteriori provvedimenti della procedura espropriativa, deducendo violazione di legge ed eccesso di potere.
Anche tali motivi venivano avversati dalle parti costituite in resistenza.
6. Il T.A.R. Campania, sezione staccata di Salerno, con la sentenza n. 671 del 29.4.2005, respingeva il ricorso proposto in prime cure, compensando le spese del giudizio tra le parti.
7. Avverso tale sentenza hanno proposto appello i ricorrenti in prime cure, deducendone l’erroneità per i seguenti dedotti motivi:
a) la violazione dell’art. 7 della l. 241/20, il difetto di motivazione e la violazione degli artt. 24 e 97 Cost. per avere il T.A.R. ritenuto, erroneamente e, comunque, contraddittoriamente, che non fosse applicabile alla fattispecie, oggetto di causa, l’obbligo da parte dell’autorità espropriante di comunicare l’avvio del procedimento ablatorio, anche in spregio delle formalità garantistiche contemplate dall’art. 10 e ss. della l. 865/71;
b) la violazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (14.4.1995, 29.12.1995, 30.12.1996, 23.12.1997, 23.12.1998 e 3.12.1999), la violazione delle ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri (14.4.1995, 28.6.1995, 25.1.1996 e 26.4.1996), la violazione delle ordinanze del Ministero dell’Interno (n. 2635 del 5.8.1997, n. 2275 del 31.3.1998, n. 2469 del 1.4.1999, n. 3038 del 9.2.2000), la carenza assoluta di potere, per essere stato l’atto impugnato emanato dal Prefetto di Napoli quando i poteri eccezionali, conferitigli dal Presidente del Consiglio dei Ministri per fronteggiare lo stato di emergenza per l’area del bacino idrografico del fiume Sarno, erano già venuti a cessare in data 30.6.2008;
c) violazione dell’art. 1, comma 5, della l. 1/78, in combinato disposto con la legge n. 167/62, violazione degli artt. 42 e 97 Cost., per aver omesso il T.A.R. di pronunciarsi su aspetti di tipo edilizio-urbanistico che impedivano l’esecuzione dell’opera.
8. Tanto premesso, quindi, gli appellanti domandavano l’annullamento e la riforma della sentenza impugnata e, conseguentemente, l’annullamento degli atti impugnati con l’originario ricorso e i motivi aggiunti, con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese del doppio grado di giudizio e alla domanda risarcitoria.
9. Non si costituiva nel presente grado di giudizio alcuna delle parti appellate, ad eccezione del Ministero dell’Interno.
Alla pubblica udienza del 24.5.2013 il Collegio, udita la discussione, ha trattenuto la causa in decisione.
10. L’appello deve essere accolto in relazione al primo e assorbente vizio di omessa comunicazione di avvio del procedimento espropriativo.
11. Il T.A.R. Campania ha inteso negare l’applicazione dell’art. 7 della l. 241/90 e dell’art. 10 della l. 865/71 sulla base di un iter argomentativo, alquanto complesso e articolato, che si fonda essenzialmente sulle seguenti ragioni:
a) ricorrerebbe, nella fattispecie in questione, l’urgenza qualificata, trattandosi di opere da realizzare nell’ambito degli “immediati interventi per fronteggiare lo stato di emergenza socio-economico-ambientale determinatosi nel bacino idrografico del fiume Sarno” di cui all’O.P.C.M.
1.4.4.1995 e delle delibera del 25.8.1992 e del 5.8.1992, con le quali il Consiglio dei Ministri ha dichiarato area ad elevato rischio ambientale il bacino idrografico del fiume Sarno;
b) ricorrerebbe inoltre, nel caso di cui trattasi (variante ad un progetto già approvato e conosciuto dagli interessati) l’ipotesi in cui il procedimento consegue, con un nesso di derivazione necessaria, da una precedente attività amministrativa già conosciuta dall’interessato, atteso che il progetto di variante risulta redatto per “adeguare la fascia di esproprio per una larghezza di metri 20 al fine di comprendere in essa la sede stradale come prevista in progetto, il sistema delle acque superficiali nonché la fascia a verde alberato”, incidendo sulle stesse particelle (1494 e 1495) e, in particolare, su quella che appare essere la fascia di rispetto della strada progettata;
c) la soluzione progettuale contenuta nella variante al progetto autorizzerebbe anche ad escludere qualsiasi utilità alla invocata partecipazione in applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui l’omissione della comunicazione, ai sensi dell’art. 7 della l. 241/90, comporta l’illegittimità dell’atto conclusivo del procedimento solo nel caso in cui il soggetto non avvisato possa poi provare che, se avesse potuto tempestivamente partecipare al procedimento stesso, avrebbe potuto presentare osservazioni e opposizioni che avrebbero avuto la ragionevole possibilità di avere un’incidenza causale nel provvedimento conclusivo.
12. Gli appellanti lamentano che il giudice di prime cure avrebbe erroneamente negato l’applicazione dell’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, in quanto la comunicazione di cui all’art. 7 della l. 241/90 dovrebbe considerarsi indefettibile nell’ipotesi, qui ricorrente, di una nuova procedura ablatoria.
13. Le ragioni espresse dal primo giudice, riguardate nel loro complesso, non resistono alle doglianze sollevate dagli appellanti.
13.1. Non va esente da censura il primo argomento, con il quale il T.A.R. ha sostenuto, in sintesi, che l’urgenza qualificata sarebbe in re ipsa, poiché esso è tautologico.
Non può infatti ritenersi sussistente l’urgenza qualificata in tutte le procedure espropriative avviate dal Prefetto, quale Commissario Delegato exO.P.C.M. del 14.4.1995, per il solo fatto che, appunto, egli opera in e per una situazione di emergenza, dovuta al dissesto del bacino idrografico del Comune Sarno.
Un simile ragionamento condurrebbe, infatti, all’inammissibile conclusione che qualsiasi procedura espropriativa posta in essere da tale organo extra ordinem, nominato per fronteggiare una situazione di emergenza, sia per ciò stesso svincolata dalle garanzie partecipative a tutela degli interessati, con un vulnus al principio di legalità dell’azione amministrativa e del giusto procedimento che può trovare la sua ragion d’essere solo nell’oggettiva natura del singolo procedimento e non nella natura soggettiva dell’organo espropriante.
È evidente, infatti, che l’urgenza qualificata che, ai sensi dell’art. 7 della l. 241/90, consente all’Amministrazione di derogare all’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento non può che attenere al singolo procedimento e trovare giustificazione nelle esigenze proprie e peculiari del singolo procedimento, come è reso palese dallo stesso tenore testuale della disposizione, che contempla l’eccezione dovuta a “ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento”.
13.2. Non convince, perché fondata su una erronea visione dei fatti, nemmeno la seconda argomentazione del T.A.R., secondo cui vi sarebbe un nesso di derivazione necessaria tra la prima e la seconda procedura espropriativa.
Tale conclusione è smentita dall’incontestabile rilievo che la nuova procedura di cui alla variante n. 1/2000 contempla, come correttamente ha dedotto la difesa degli appellanti, l’approvazione di un nuovo piano particellare di esproprio, con conseguente riapprovazione del progetto esecutivo e fissazione dei termini per l’inizio e l’ultimazione della nuova procedura espropriativa e di quelli dei lavori.
Appare dunque decisiva, in senso contrario a quanto ha ritenuto il primo giudice, la considerazione che vi sia stata un’autonoma dichiarazione di pubblica utilità, nuova e non dipendente, in base ad un affermato nesso di consecuzione necessaria, dalla precedente vicenda espropriativa, che si era conclusa invece con l’adozione di un modulo consensuale caratterizzato dalla cessione volontaria, sicché i soggetti incisi, dopo essere addivenuti ad un accordo con la p.a., mai avrebbero potuto e dovuto presagire da questa, quasi ne fosse il logico e prevedibile corollario, l’avvio di una nuova procedura espropriativa.
13.3. È infine apodittica, oltre che erronea, anche la terza argomentazione del T.A.R., secondo cui la partecipazione degli interessati mai avrebbe potuto apportare un contributo in grado di modificare le sorti del procedimento.
13.4. Prescindendo infatti da ogni riserva circa l’applicabilità dell’art. 21-octies, comma 2,della l. 241/90 introdotto dalla l. 15/2005 – ove inteso, naturalmente, come norma di diritto sostanziale e non processuale – ad una fattispecie che, ratione temporis, non poteva essere assoggettata alla sua disciplina, perché venuta in essere in data anteriore alla sua entrata in vigore, il principio giurisprudenziale invocato dal T.A.R., già affermatosi prima di tale norma e in tale norma poi cristallizzato, non avrebbe potuto trovare applicazione al caso di specie.
La giurisprudenza ha infatti avuto modo di affermare, anche in subiecta materia, che la partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo, prevista dagli artt. 7 e ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241, costituisce un principio generale dell’ordinamento giuridico (Cons. St., sez. V, 22.5.2001 n. 2823), concludendone che ogni disposizione che limiti od escluda tale diritto debba essere interpretata in modo rigoroso, al fine di evitare di vanificare od eludere il principio stesso.
13.5. Nel procedimento amministrativo si bilanciano, infatti, esigenze di legalità ed esigenze di efficienza e spesso il loro equilibrio è oggetto di sindacato giurisdizionale, teso a verificare, da una parte, la sussistenza dell’obbligo di legge ed il suo puntuale rispetto da parte della p.a. e, dall’altra, l’esistenza di ragioni che consentano di non ritenere viziante, sul piano della legittimità dei provvedimento finale, l’omessa comunicazione di avvio, con prevalenza, nel caso concreto, di considerazioni teleologiche e finalistiche relative al raggiungimento effettivo e sostanziale dello scopo della norma tesa ad assicurare la partecipazione.
“Ciò comporta – ha affermato in diversi arresti la giurisprudenza di questo Consiglio –che le norme sulla partecipazione del privato al procedimento amministrativo non vanno applicate meccanicamente e formalmente, nel senso che occorra annullare ogni procedimento in cui sia mancata la fase partecipativa, dovendosi piuttosto interpretare nel senso che la comunicazione è superflua – con prevalenza dei principi di economicità e speditezza dell’azione amministrativo – quando l’interessato sia venuto comunque a conoscenza di vicende che conducono comunque all’apertura di un procedimento con effetti lesivi nei suoi confronti (in tal senso, CdS, Sez. VI, 8 aprile 2002, n. 1922; Sez. V, 22 maggio 2001, n. 2823; Sez. IV, 18 maggio 1998, n. 836)” (Cons. St., sez. IV, 30.9.2002, n. 5003).
13.6. In materia di comunicazione di avvio sono quindi prevalsi, già prima dell’entrata in vigore dell’art. 21-octies della l. 241/90 in seguito alla riforma della l. 15/2005, canoni interpretativi di tipo non formalistico, ma sostanzialistico e teleologico.
13.7. Poiché l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo, ai sensi dell’art. 7 della legge 241/90, è strumentale ad esigenze di conoscenza effettiva e, conseguentemente, di partecipazione all’azione amministrativa da parte del cittadino nella cui sfera giuridica l’atto conclusivo è destinato ad incidere, in modo che egli sia in grado d’influire sul contenuto del provvedimento, la giurisprudenza di questo Consiglio ha così più volte ribadito che l’omissione di tale formalità non viziava il procedimento solo nelle ipotesi in cui il contenuto di quest’ultimo sia interamente vincolato, pure con riferimento ai presupposti di fatto, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, sì da ritenere già raggiunto in concreto lo scopo cui tende siffatta comunicazione (v., ex plurimis, Cons. St., sez. V, 22.5.2001, n. 2823; Cons. St., sez. IV, 30.9.2002, n. 5003).
13.8. Ciò posto e dato, quindi, come per consolidato l’orientamento della giurisprudenza amministrativa in favore di un’interpretazione evolutiva dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 anche prima della l. 15/2005, la stessa giurisprudenza ha però affermato, altrettanto costantemente, che il corretto provvedimento espropriativo postula un contraddittorio al quale la comunicazione di avvio del relativo procedimento è indefettibilmente funzionale, sicché, in mancanza di comunicazione al privato potenzialmente leso dal provvedimento finale, quest’ultimo si rivela illegittimo e dev’essere annullato (v., inter alias, Cons. St., sez. IV, 19.12.2003, n. 8373).
Non può che discenderne, pertanto, l’illegittimità della nuova procedura espropriativa, non preceduta da alcuna forma di comunicazione ai sensi del richiamato art. 7 della l. 241/90 e/o dell’art. 10 della l. 865/71.
13.9. E del resto, quand’anche si volesse ritenere l’art. 21-octies, comma 2, della l. 241/90 norma di carattere processuale e pertanto, in quanto tale, applicabile anche ai procedimenti in corso o già definiti alla data di entrata in vigore della l. n. 15 del 2005, aderendo a quell’orientamento che privilegia la ratio della disposizione, volta a far prevalere gli aspetti sostanziali su quelli formali nelle ipotesi in cui le garanzie procedimentali non produrrebbero comunque alcun vantaggio a causa della mancanza di un potere concreto di scelta da parte dell’amministrazione (v., per tale orientamento, Cons. St., sez. IV, 17.9.2012, n. 4925), la conclusione non muterebbe.
Deve infatti rilevarsi che la disposizione in parola non avrebbe potuto essere applicata d’ufficio dal giudice, come erroneamente fatto dal T.A.R., ma solo ope exceptionis da parte dell’amministrazione, alla quale incombeva l’onere, invero non assolto, di dimostrare che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso.
14. Ne discende, anche in difetto di tale prova, che tutti gli atti della procedura espropriativa, impugnati in prime cure, debbano essere annullati per l’omessa comunicazione di avvio del procedimento espropriativo, con conseguente assorbimento delle altre censure riproposte dagli appellanti.
15. Quanto alla domanda risarcitoria, da questi riproposta, ritiene il Collegio che anche essa debba essere accolta.
16. Dell’illegittimità degli atti espropriativi, per le ragioni sopra esposte, si è diffusamente detto.
17. Sussiste ed appare evidente, inoltre, la colpa dell’amministrazione espropriante nell’aver dato corso ad una nuova procedura ablatoria in danno degli appellanti senza avere osservato le minime garanzie partecipative che a questi sarebbero spettate ai sensi dell’art. 7 della l. 241/90
18. Ritiene il Collegio che, al fine di determinare i danni etiologicamente riconducibili all’illegittima attività di esproprio, occorra far riferimento ai criteri di stima espressi nella perizia del geom. Palomba prodotta nel giudizio di primo grado.
19. Nel liquidare la somma risarcitoria dovuta agli appellanti l’Amministrazione, infatti, dovrà considerare le seguenti voci:
1) il coefficiente di deprezzamento del fabbricato, rappresentato dal reale pregiudizio alla proprietà degli appellanti dovuto all’esproprio e all’esecuzione dei lavori e pari al 30% del più probabile valore di mercato, considerando che la strada di progetto dovrebbe trovarsi ad una distanza dal fabbricato di almeno ml. 5,00;
2) i danni strutturali provocati al fabbricato, per la presenza di un quadro fessurativo generalizzato e in continua evoluzione causalmente ascrivibile alla costruzione dell’impianto di depurazione a breve distanza, in relazione ai quali occorre quantificare le spese occorrenti alla realizzazione dei lavori edili necessari all’ampliamento del piano di posa delle fondazioni, alla realizzazione di una serie di micropali perimetrali e alla realizzazione delle opere necessarie alla bonifica delle murature di compagno e di tramezzo;
3) il danno arrecato al terreno, relitto dal nuovo esproprio, in forza della limitazione dell’edificazione su di esso, e quantificabile in una misura pari al 20% del suo deprezzamento.
20. Ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a. l’autorità espropriante dovrà, nel termine di centoventi giorni dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notifica, se anteriore, della presente sentenza, proporre in favore degli odierni appellanti il pagamento di una somma risarcitoria, comprensiva anche della rivalutazione e degli interessi legali nei limiti fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 1712/95, alla stregua dei criteri sopra stabiliti.
21. Le spese di entrambi i gradi di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza dell’amministrazione appellata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, annulla gli atti impugnati in prime cure.
Dispone che il Prefetto di Napoli, quale Commissario Delegato ex O.P.C.M. del 14.4.1995, nel termine di centoventi giorni dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notifica, se anteriore, della presente sentenza, proponga in favore di ******** e *********** il pagamento di una somma risarcitoria, comprensiva anche di rivalutazione e interessi legali, alla stregua dei criteri indicati in parte motiva.
Condanna il Prefetto di Napoli, quale Commissario Delegato ex O.P.C.M. del 14.4.1995, a rifondere in favore di ******** e *********** le spese di entrambi i gradi di giudizio, che liquida nel complessivo importo di € 6.000,00, oltre gli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 maggio 2013

Redazione