Notifica dell’atto di appello al difensore: sanata se la parte viene comunque a conoscenza dell’atto ed esercita il suo diritto di difesa (Cass. pen. n. 28971/2013)

Redazione 08/07/13
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Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 15 maggio 2012 la Corte d’appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale di Trani – sezione distaccata di Ruvo di Puglia del 12 aprile 2002, che condannava F.G. alla pena di anno uno e mesi sei di reclusione e al risarcimento dei danni morali in favore della costituita parte civile, L.T. , per avere, nel corso dell’interrogatorio reso dinanzi ai Carabinieri di (omissis) in data 18 marzo 1999, incolpato B.S., M.F., S.G. e L.T., ufficiali e sottufficiali dei Vigili urbani della predetta città, dei reati di lesioni e abuso d’ufficio commessi in suo danno, pur sapendoli innocenti.
2. Avverso la predetta sentenza della Corte d’appello di Bari ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia di F.G., deducendo due motivi di doglianza, il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato.
2.1. Violazione ex art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, in quanto il decreto di citazione a giudizio nel grado di appello, per l’udienza del 7 febbraio 2012, sarebbe stato notificato solo al difensore, risultando invece omessa la notifica all’imputato. Inoltre, la notifica del decreto di citazione a giudizio per la successiva udienza del 15 maggio 2012, stante il rinvio disposto nella precedente udienza per legittimo impedimento del difensore, sarebbe stata effettuato all’imputato domiciliato presso lo studio legale dei suo difensore, sebbene tale elezione di domicilio non fosse avvenuta neanche nell’atto di appello. Ne consegue la nullità del decreto di citazione in grado di appello per violazione dell’art. 179, in relazione all’art. 178, lett. c), c.p.p..
2.2. Violazione ex art. 606, lett. e), c.p.p., per contraddittorietà della motivazione della sentenza, che si sarebbe limitata a riproporre le argomentazioni svolte dal Giudice di primo grado, senza considerare le censure mosse nell’atto di gravame.

Considerato in diritto

3. Inammissibile deve ritenersi il primo motivo di doglianza, in quanto fondato su una censura non dedotta nei motivi d’appello, né in sede di udienza, nell’ambito del relativo giudizio.
Sotto altro, ma connesso profilo, la doglianza è inammissibile anche per difetto di specificità, avendo il ricorrente omesso di indicare il concreto pregiudizio che ne sarebbe derivato in ordine alla conoscenza dell’atto stesso e all’effettivo esercizio del diritto di difesa (arg. ex Sez. 6, n. 34558 del 10/05/2012, dep. 11/09/2012, Rv. 253276).
Né deve tralasciarsi di considerare, in ogni caso, che la nullità, derivante dalla esecuzione della notificazione del decreto di citazione per il giudizio di appello presso il difensore di fiducia, anziché nel domicilio dichiarato o eletto dall’imputato, deve ritenersi sanata quando, come nel caso di specie, risulti provato che non ha impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa, ed è, comunque, priva di effetti se non dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184, comma primo, alle sanatorie generali di cui all’art. 183, alle regole di deducibilità di cui all’art. 182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180 cod. proc. pen. (da ultimo, Sez. 4, n. 15081 del 08/04/2010, dep. 19/04/2010, Rv. 247033, in relazione ad una fattispecie in cui questa Suprema Corte ha ritenuto sanata la nullità, in quanto, tenuto conto del rapporto fiduciario tra il difensore e l’imputato, la notificazione non era stata inidonea a determinare la effettiva conoscenza dell’atto da parte di quest’ultimo ed il difensore comparso all’udienza dibattimentale nulla aveva eccepito al riguardo).
4. Parimenti inammissibile, inoltre, deve ritenersi il secondo motivo di doglianza, in ragione della aspecificità delle censure ivi prospettate, che richiamano del tutto genericamente quelle formulate in appello, omettendo di correlare criticamente ed in modo puntuale le ragioni argomentative della decisione impugnata con quelle poste a fondamento dell’impugnazione.
Nel caso di specie ci si trova dinanzi a due pronunce, di primo e di secondo grado, che concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle conformi rispettive decisioni, con una struttura motivazionale della sentenza di appello che viene a saldarsi perfettamente con quella precedente, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, avuto riguardo al fatto che l’impugnata pronunzia ha comunque offerto una congrua ed esaustiva giustificazione del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti del ricorrente, esponendo linearmente le conclusioni tratte dalla valutazione delle emergenze probatorie e puntualmente replicando alle deduzioni ed ai rilievi svolti dalla difesa. È orientamento costante di questa Suprema Corte quello secondo cui deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendo gli stessi considerarsi non specifici, ma solo apparenti, in quanto omettono, in modo del tutto disancorato dal correlativo apparato motivazionale, di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza fatta oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, dep. 14/05/2009, Rv. 243838; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, dep. 28/05/2009, Rv. 244181).
5. Conclusivamente, alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in relazione alle questioni dedotte, si stima equo determinare nella misura di Euro mille.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Redazione