Notai: nessuna responsabilità se l’immobile venduto è abusivo (Cass. pen. n. 11628/2012)

Redazione 26/03/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

 

Con sentenza emessa il 7.12.2010, ex art. 425 c.p.p., il Gup del tribunale di Firenze ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di P.M.T., C.M. e B.M., in ordine al reato ex artt. 48 e 476 c.p..

La procura presso il tribunale di Firenze ha presentato ricorso per violazione di legge: alle indagate era stato contestato di avere, in due successivi atti di compravendita dello stesso immobile, omesso di rappresentare al notaio come l’immobile fosse già gravato da abusi edilizi, quali l’esser stato trasformato – in assenza del necessario permesso a costruire o DIA – da magazzino C2 in civile abitazione e che, come tale, fosse locato a terzi; inducendo quindi il notaio a rogare un atto ideologicamente falso, nella parte in cui attestava la conformità dell’immobile agli strumenti urbanistici.

Il giudice ha prosciolto gli imputati,avendo ritenuto che il notaio è soggetto qualificato, tenuto a verificare la regolarità urbanistica dell’immobile e non mero soggetto passivo delle dichiarazioni altrui.

Secondo il ricorrente,il giudice non ha tenuto conto che il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, impone all’alienante di attestare la conformità dell’immobile oggetto della vendita, stabilendo che “Gli atti tra i vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto il trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17.3.1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino,per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria”.

Ricevuta questa dichiarazione, gli obblighi del notaio possono ritenersi assolti,non risultando dalle norme un suo obbligo di attivarsi – personalmente o tramite suoi delegati – ad eseguire ulteriori verifiche, atte ad accertare la corrispondenza al vero della dichiarazione ricevuta e quando ciò non emerga già dagli atti a sua conoscenza o comunque in suo possesso.

Il ricorso merita accoglimento sia pure con specifiche considerazioni.

Secondo un condivisibile orientamento interpretativo (sez. 5^, n. 35999 del 3.6.08, rv. 241585), è corretta l’esclusione di un obbligo giuridico a carico del pubblico ufficiale rogante di verificare la corrispondenza al vero di quanto dichiarato dal venditore, nel caso di specie, della conformità del bene compravenduto agli strumenti urbanistici. Ed infatti, in linea di principio, nessun obbligo riguarda il notaio, tenuto solo a verificare che, per dichiarazione dell’alienante, risultino gli estremi della conformità agli strumenti urbanistici o della concessione rilasciata in sanatoria, come prescritto – all’epoca di riferimento – dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 17, e art. 40, comma 2, nel testo poi sostanzialmente riprodotto dal D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 46, (cfr., sulla non configurabilità di alcuna attività obbligatoria di accertamento da parte del notaio, che non abbia ricevuto specifico incarico, sulla veridicità delle dichiarazioni a lui rese, Cass. civile Sez. 2, 17.6.1999, n. 6018, rv. 527620). La mancanza di tale dichiarazione od indicazione è sanzionata dalla norma con la nullità dell’atto comunque stipulato ed è anzi prevista come ragione ostativa alla stipula dello stesso atto.

Al di fuori della previsione di qualsivoglia onere, a carico del notaio, di verifica della veridicità della dichiarazione di parte, la norma vieta, dunque, la stipula di un atto di trasferimento privo dei requisiti anzidetti e, indirettamente, richiama la responsabilità dello stesso notaio che, nondimeno, vi provveda, in termini affatto coincidenti alla generale previsione di responsabilità disciplinare, di cui alla legge notarile, per le ordinarie ipotesi di stipula di atti affetti da nullità assoluta.

D’altronde, la L. n. 47 del 1985, art. 21, richiamato dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 4, stabilisce l’applicabilità alle ipotesi di stipula di atti nulli – perchè in contrasto con le previsioni della stessa normativa – della L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 28, comma 1, n. 1, che vieta al notaio di ricevere atti espressamente proibiti dalla legge. Divieto, questo, la cui violazione costituisce, dunque, illecito disciplinare a carico del notaio, espressamente sanzionata con la sospensione a norma dell’art. 138, comma 2, della cit. legge di settore. Ed allora, recepita la dichiarazione del privato in ordine all’esistenza ed agli estremi della concessione, l’atto notarile, redatto con le prescntte formalitàe perfettamente valido e corrispondente al canone formale dell’atto pubblico, ai sensi dell’art. 2699 c.c., come tale dotato della forza probante privilegiata e dell’efficacia previste dall’art. 2700 c.c..

Nel caso in esame, secondo il condivisibile orientamento interpretativo sopra indicato, è ravvisabile il reato di cui all’art. 483 c.p., che prevede l’ipotesi in cui il pubblico ufficiale si limiti a trasfondere nell’atto la dichiarazione ricevuta, della cui verità risponde solo il dichiarante in relazione a un preesistente obbligo giuridico di affermare il vero, mentre lo stesso pubblico ufficiale risponde soltanto della conformità dell’atto alla dichiarazione ricevuta. L’esistenza di un obbligo giuridico di dire la verità a carico del privato emerge, in maniera certa, dal sistema positivo. Al di la dell’esigenza di tutela dell’affidamento e dei principi generali della certezza dei rapporti giuridici, affidati alla lealtà e buona fede dei privati ed al rispetto della funzione fidefacente dei funzionar incaricati del relativo esercizio, la stessa sanzione di nullità degli atti di trasferimento, privi dell’indicazione degli estremi della conformità alle norme urbanistiche, ed anzi il tassativo divieto di stipula dell’arto che ne sia privo depongono, univocamente, per la soluzione anzidetto. Si trattaci prescrizioni dettate in funzione di preminenti interessi pubblici, connessi all’ordinata trasformazione del territorio, ritenuti prevalenti rispetto agli interessi della proprietà, con conseguente limitazione della sfera di autonomia privata. E’, infatti, primaria l’esigenza di reprimere e scoraggiare gli abusi edilizi indirettamente perseguita proprio mediante la limitazione alla libera commerciabilità di opere abusive. Tale esigenza resterebbe elusa ove non fosse configurabile un obbligo diventa a carico del privato in ordine alla condizione giuridica dell’immobile oggetto di alienazione ed alla sua corrispondenza agli estremi della conformità alla normativa urbanistica. Pertanto, al di là del merito che sarà oggetto dell’accertamento dell’istruttoria dibattimentale, a carico delle imputate deve procedersi in ordine al reato ex art. 483 c.p..

La sentenza impugnata va annullata con rinvio al tribunale di Firenze per il nuovo esame.

 

P.Q.M.

 

annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Firenze per nuovo esame.

Redazione