Notai: la deroga alla tariffa con la pattuizione di un compenso più basso non equivale a prestazione scadente (Cass. n. 10042/2013)

Redazione 24/04/13
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Svolgimento del processo

Con decreto 3 giugno 2011 la Corte di appello di Cagliari rigettava il reclamo proposto dal Consiglio Notarile Cagliari contro la decisione della Co.Re.Di. del 24 settembre 2009, che aveva assolto il notaio M.D. dalla incolpazione di aver violato l’art. 147 lett. b e c) L.N. mediante ricorrente riduzione e discostamento della tariffa professionale.
In secondo luogo la Corte, in riforma della decisione di primo grado, assolveva il notaio da altra incolpazione, relativa a concentrazione di numerosi atti, in giorni e luoghi tali da far ritenere che la redazione di essi fosse stata eseguita in modo frettoloso e trascurato.
La decisione di primo grado aveva rilevato la mancata emissione, ammessa, di 47 fatture, la redazione di sei atti di rettifica e un numero rilevante di errori materiali rilevati nei primi sei mesi del 2008.
2) La Corte rilevava che la fattura era dovuta solo all’atto del pagamento; che sei errori catastali in dieci anni non erano sintomo di trascuratezza.
Quanto al numero di atti concentrati, la Corte riteneva valida la giustificazione fondata sul metodo di lavoro, basato su incontri progressivi.
Rilevava che non era stata contestata la violazione dell’art. 147 lett. A) (dignità e decoro); che non era stato evidenziato l’uso di procacciatori o altri mezzi pubblicitari non confacenti al decoro e che neppure era stato spiegato in sentenza il nesso tra pretesa negligenza e l’addebito di illecita concorrenza.
Il Collegio Notarile Cagliari ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 17 gennaio 2012, resistito con controricorso e illustrato da memoria.

Motivi della decisione

3) Dalla sentenza impugnata non risulta né l’intervento del Procuratore della Repubblica nel giudizio disciplinare innanzi alla CoReDi, né che il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Bari sia stato parte nel giudizio a quo, sicché è rituale la notifica del ricorso al professionista incolpato da parte del Consiglio notarile locale, ad istanza del quale il procedimento disciplinare è stato avviato nel giugno 2010, prima quindi dell’entrata in vigore dell’art. 26 d.lgs. 150/11.
4) Con i primi quattro motivi di ricorso il Consiglio notarile torna a sostenere la rilevanza deontologica della violazione dei minimi tariffari, a suo avviso cogenti.
Secondo l’orientamento tradizionale, di recente riassunto da Cass. 26961/07, “La riduzione degli onorari e dei diritti notarili, effettuata dal notaio in modo ripetuto e continuato, costituisce di per sé una forma di illecita concorrenza, a norma del comma secondo dell’art. 147 legge notarile n. 89 del 1913, rappresentando un mezzo di pubblicità e di richiamo idoneo a porre in essere un comportamento disdicevole, con la conseguenza che per integrare l’illecito non è necessario uno specifico comportamento doloso, ma è sufficiente la volontarietà del fatto in sé, ossia una volontà, considerata in rapporto alla condotta, in contrasto con la legge, mentre è irrilevante che da tale comportamento non derivi un danno per il prestigio della classe notarile o dei colleghi o la – circostanza che i clienti del notaio non si siano resi conto del trattamento di favore usato nei loro confronti”.
Con riferimento a fatti compiuti anteriormente all’entrata in vigore del citato art. 2 del decreto-legge n. 223 del 2006, si è ritenuto (Cass., 15 aprile 2008, n. 9878) che sia “da escludere che, in relazione all’attività notarile – concretantesi nello svolgimento di una pubblica funzione, per l’esercizio della quale l’ordinamento prevede l’istituzione di pubblici ufficiali, in possesso di particolari requisiti soggettivi, nominati a seguito di un esame d’idoneità, soggetti a vigilanza e periodici controlli ispettivi, sottoposti a rigorose regole disciplinari – sia ipotizzabile la possibilità di una libera prestazione di servizi, in regime di concorrenza, da parte di altri professionisti dello stesso paese o di altri paesi della Comunità, la quale renda incompatibile l’inderogabilità delle tariffe con le menzionate disposizioni CE”.
4.1) Questo orientamento è considerato non più attuale dal Collegio, alla luce della sopravvenuta evoluzione normativa costituita dall’art. 2 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, nella cui vigenza è stata posta in essere la condotta addebitata all’odierna ricorrente.
Conviene riprendere testualmente la sentenza resa sul ricorso 5998/12, trattato e deciso nella odierna camera di consiglio.
Si è ivi osservato che la norma citata, “nel testo risultante dalle modifiche apportata dalla legge di conversione, prevede:
– l’abrogazione, a partire dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali… l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime (comma 1, lettera a);
– l’adeguamento, entro il 1 gennaio 2007, delle disposizioni deontologiche e dei codici di disciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1, anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, e, in caso di mancato adeguamento, la nullità, a decorrere dalla medesima data, delle norme in contrasto con quanto previsto dal comma 1 (comma 3).
Il legislatore del 2006 disvela anche la finalità del superamento del previgente assetto regolamentare della materia tariffaria.
L’abrogazione dell’obbligatorietà delle tariffe fisse, con la conseguente conformazione delle norme deontologiche e dei codici di autodisciplina, mira a rafforzare la libertà di scelta del cittadino consumatore e la promozione di assetti di mercato maggiormente concorrenziali, anche al fine di favorire il rilancio dell’economia e dell’occupazione (art. 1), rendendo possibile la libera concorrenza nel settore dei servizi professionali e garantendo agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato (art. 2, comma 1).
4.2) Ad avviso del Collegio, l’abrogazione della obbligatorietà di tariffe fisse o minime riguarda la generalità delle professioni, senza eccezione alcuna; né la portata riformatrice del precedente assetto – orientata alla tutela della concorrenza e ad offrire all’utente una più ampia possibilità di scelta tra le diverse offerte, maggiormente differenziate tra loro, sia per i costi che per le modalità di determinazione dei compensi (Corte cost., sentenza n. 443 del 2007) – può essere ridimensionata dall’interprete in ragione delle specificità dell’attività notarile.
In particolare, non può convenirsi con il giudice a quo quando afferma che, per l’attività notarile, la riduzione tariffaria costituirebbe un vulnus dell’ordine pubblico economico in quanto riguarderebbe prestazioni effettuate nell’esercizio di una funzione pubblica, in relazione alla quale non sarebbe ipotizzabile il regime di libera concorrenza.
Invero, l’attività del notaio si inquadra a pieno titolo nel genus del lavoro autonomo e, precisamente, nell’esercizio delle professioni intellettuali (Cass., Sez. II, 10 novembre 1998, n. 11284; Cass., Sez. II, 11 maggio 2012, n. 7404; Cass., Sez. III, 28 settembre 2012, n. 16549).
4.3) Come ha chiarito la giurisprudenza della Corte di giustizia (con sentenze della Grande Sezione in data 24 maggio 2011, emesse nella causa C-50/08 ed in altre cause, le quali hanno dichiarato che il requisito di cittadinanza previsto dalla normativa francese e da altre normative nazionali per l’accesso alla professione di notaio costituisce una discriminazione fondata sulla cittadinanza vietata dall’art. 43 CE), i notai, nei limiti delle loro rispettive competenze territoriali, esercitano la loro professione in condizioni di concorrenza; e la circostanza che le attività notarili perseguano obiettivi di interesse generale, miranti in particolare a garantire la legalità e la certezza del diritto degli atti conclusi tra privati, non è sufficiente a far considerare quelle attività come una forma di partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri.
Del resto, l’inserimento dell’attività notarile nel quadro dei servizi professionali ai quali si applica la disciplina della concorrenza è confermato dalla successiva evoluzione normativa, in particolare dal decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Esso, nel completare il quadro avviato con il decreto-legge n. 223 del 2006, non solo non eccettua, ancora una volta, i notai dalla prevista abrogazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico e delle disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano a dette tariffe (art. 9); ma anche introduce, accanto all’incremento del numero dei notai, ulteriori forme di concorrenza nei distretti, modificando la norma sull’assistenza personale allo studio e stabilendo, a modifica delle originarie disposizioni contenute nella legge notarile del 1913, che Il notaro può recarsi, per ragione delle sue funzioni, in tutto il territorio del distretto della Corte d’appello in cui trovasi la sua sede notarile, ed aprire un ufficio secondario nel territorio del distretto notarile in cui trovasi la sede stessa (art. 12).
4.4) D’altra parte, la sopravvivenza della inderogabilità della tariffa notarile neppure potrebbe desumersi dal fatto che gli onorari dovuti al notaio secondo la tariffa per gli atti originali (e non genericamente i compensi spettanti al notaio) costituiscono, in virtù di specifiche disposizioni di legge, il parametro sulla cui base sono calcolati, oltre a tributi, contribuzioni relative anche al funzionamento dei consigli notarili distrettuali e del consiglio nazionale del notariato (v., ad esempio, l’art. 39 della legge 22 novembre 1954, n. 1158, concernente la tassa d’archivio, che le parti devono corrispondere all’amministrazione degli archivi notarili tramite il notaio sulla base dell’onorario della tariffa notarile per l’originale di ogni atto tra vivi soggetto a registrazione e di ogni atto di ultima volontà). Un conto, infatti, è il compenso spettante al notaio, in relazione al quale, essendo venuta meno l’obbligatorietà della tariffa fissa, le parti possono legittimamente, secondo la disciplina liberalizzatrice a tutela della concorrenza, stabilirne di comune accordo una misura inferiore a quella derivante dalla tariffa ministeriale; altro è che, ad altri fini, la tariffa costituisca ancora una base di riferimento per l’esatto versamento della tassa d’archivio e dei contributi agli organi istituzionali di categoria.
4.5) Infine, non è condivisibile l’assunto secondo cui l’inderogabilità della tariffa dei notai sarebbe stata ripristinata ad opera dell’art. 30 del d.lgs. n. 249 del 2006, il quale, nel riformulare l’art. 147 della legge notarile con l’espressa previsione della punibilità del notaio che fa illecita concorrenza ad altro notaio, con riduzioni di onorari, diritti o compensi, è contenuto in un atto avente forza di legge entrato in vigore successivamente tanto al decreto-legge n. 223 del 2006, quanto alla legge di conversione n. 248 del 2006.
Deve infatti escludersi che l’art. 30 del d.lgs. 1 agosto 2006, n. 249 (pubblicato nel supplemento ordinario n. 184 della Gazzetta Ufficiale dell’11 agosto 2006 e destinato ad entrare in vigore il quindicesimo giorno successivo alla predetta data di pubblicazione) sia posteriore alla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248 (le cui modificazioni al decreto-legge n. 223 sono entrate in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta nel supplemento ordinario n. 183 dell’11 agosto 2006). È infatti in base alla promulgazione che va stabilita l’anteriorità o posteriorità di una legge rispetto alle altre ai fini dell’abrogazione attiva o passiva, mentre la pubblicazione ed il decorso del termine di vacatio valgono a segnare l’entrata in vigore, e quindi l’applicabilità della legge.
In questo senso è la giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo cui per stabilire l’anteriorità o la posteriorità di una legge rispetto ad un’altra deve farsi riferimento alla data della promulgazione e non a quella della pubblicazione, sicché la legge promulgata successivamente abroga quella promulgata prima anche se pubblicata dopo (sentenza n. 321 del 1983).
Ne consegue che l’art. 30 del d.lgs. n. 249 del 2006, essendo stato emanato il 1 agosto 2006, è anteriore alla legge n. 248 del 2006, promulgata il 4 agosto 2006; e quest’ultima, avendo una valenza di sistema e di riforma economico-sociale, con l’esplicito obiettivo di assoggettare tutte le professioni ai principi di tutela della concorrenza, prevale sulle anteriori discipline professionali di settore.
Il venir meno, dopo l’abrogazione della obbligatorietà delle tariffe fisse o minime, della rilevanza disciplinare della percezione, da parte del notaio, di compensi più contenuti rispetto a quelli stabiliti dalla tariffa, è del resto confermata dall’adeguamento alla nuova disciplina legislativa, da parte del Consiglio nazionale del notariato, dei principi di deontologia professionale dei notai.
Mentre, infatti, il testo di quei principi approvato del 26 gennaio 2007 faceva ancora rientrare tra le fattispecie di illecita concorrenza l’annotazione a repertorio di onorari minori o ridotti rispetto a quelli che devono essere indicati in base alla natura dell’atto (art. 17, lettera a, terzo alinea); il nuovo testo, approvato con deliberazione n. 2/56 del 5 aprile 2008, per un verso ha eliminato detta previsione e, per l’altro verso, ha omesso il richiamo deontologico alla disposizione dell’art. 147 della legge notarile nel nuovo art. 24, secondo comma, lettera c), relativo ai rapporti del notaio con il Consiglio nazionale del notariato e con la Cassa nazionale del notariato.
4.6) Conclusivamente, per effetto della disciplina introdotta dalla legge di conversione n. 248 del 2006, di conversione del decreto-legge n. 223 del 2006, il notaio che, quand’anche sistematicamente, offra la propria prestazione ad onorari e compensi più contenuti rispetto a quelli derivanti dall’applicazione della tariffa notarile, non pone in essere, per ciò solo, un comportamento di illecita concorrenza, essendone venuta meno la rilevanza sul piano disciplinare della relativa condotta.
– Detta rilevanza neppure potrebbe fondarsi assegnando alla tariffa o ai criteri di massima determinati dai consigli notarili distrettuali il ruolo di parametro di valutazione della congruità del compenso stesso sul versante del rapporto tra il notaio e la categoria di appartenenza ai fini della tutela del decoro e del prestigio della professione notarile.
Tale ragionamento sostituisce all’apprezzamento del singolo notaio circa l’importanza dell’opera ed il suo coefficiente di difficoltà una valutazione ex ante di natura generalizzata affidata alla tariffa, con la sostanziale reviviscenza dell’obbligatorietà della stessa; e, con un non consentito rovesciamento di prospettiva, finisce con il collidere con la ratio dell’intervento legislativo del 2006, la quale, al fine di rendere effettiva la libertà del cliente di orientarsi consapevolmente, di preferire e di decidere, ha inteso perseguire la tutela dell’interesse generale proprio mediante l’introduzione della concorrenza su uno degli elementi più qualificanti, il prezzo, dell’attività economica del professionista.
Si consideri, d’altra parte, che l’art. 2233, secondo comma, cod. civ., nel prevedere che In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione, è norma destinata ad assumere rilievo solo in mancanza di un’intesa fra gli interessati circa la misura del corrispettivo dovuto per la prestazione professionale (Cass., Sez. II, 22 gennaio 2000, n. 694; Cass., Sez. Lav., 20 luglio 2007, n. 16134), sicché qualora il compenso del professionista sia stato liberamente pattuito con il cliente, il giudice non ha il potere di modificarlo al fine di adeguarlo all’importanza dell’opera prestata e al decoro della professione (Cass., Sez. II, 22 novembre 1995, n. 12095). La citata disposizione, inoltre, esplicando la propria rilevanza esclusivamente nell’ambito dei rapporti tra il professionista ed il cliente, non si rivolge (agli ordini professionali né) ai consigli notarili, i quali non hanno il potere di pretendere, sul piano deontologico, che il compenso della prestazione professionale, liberamente pattuito, sia in ogni caso adeguato a parametri che, di fatto, reintrodurrebbero l’obbligatorietà della tariffa notarile.
Diversamente ragionando, e lasciandosi ai consigli notarili il compito di attivare i propri poteri di monitoraggio, di vigilanza e di indagine sul notaio che richieda compensi più bassi rispetto a quelli medi della categoria, si giungerebbe ad un condizionamento del comportamento economico del professionista sul mercato, incentivandolo, al fine di sottrarsi ad un procedimento disciplinare dall’esito incerto, a continuare ad applicare tariffe imposte, in aperto contrasto, ancora un volta, con la ratio legis.
4.7) Ferma l’irrilevanza disciplinare della mera adozione, da parte del notaio, di comportamenti di prezzo indipendenti sul mercato, l’estensione dell’autonomia privata, con la conseguente possibilità di pattuire compensi inferiori rispetto a quelli discendenti dalla applicazione della tariffa, non deve in ogni caso tradursi in un pregiudizio per il cliente in termini di qualità della prestazione (come è reso palese dalla norma che affida alle disposizioni deontologiche delle diverse categorie professionali ed ai codici di autodisciplina il compito di prevedere misure a garanzia delle qualità delle prestazioni professionali: art. 1, comma 3, del decreto-legge n. 223 del 2006), né può realizzarsi attraverso pratiche professionali scorrette e con strumenti di acquisizione della clientela non conformi all’etica della comunità professionale alla quale il notaio appartiene e del più vasto gruppo sociale entro il quale svolge la sua professione e anche la sua vita di relazione (cfr., con riferimento agli avvocati, Cass., Sez. Un., 18 novembre 2010, n. 23287; Cass., Sez. Un., 10 agosto 2012, n. 14368).
Di qui l’importanza, per un verso, della previsione di regole deontologiche che quella qualità consentano sempre di assicurare, in conformità delle speciali e peculiari caratteristiche tecniche della professione notarile. Il notaio, infatti, giurista di alta qualificazione che accede alla professione a seguito di una rigorosa selezione e sottoposto a vigilanza e controlli ispettivi anche a fini disciplinari, è un pubblico ufficiale con il compito di attribuire agli atti di cui è autore il carattere di autenticità, assicurandone al contempo la conservazione, l’efficacia probatoria e la forza esecutiva; ed il suo intervento, tanto per la consulenza che fornisce in modo imparziale ma attivo alle parti, come per la redazione del documento autentico che ne è il risultato, conferisce all’utente del diritto la sicurezza giuridica e, prevenendo possibili liti, costituisce un elemento indispensabile per la stessa amministrazione della giustizia. Ma come la tariffa non è di per sé garanzia della qualità della prestazione, cosi la deroga alla tariffa con la pattuizione di un compenso più basso rispetto alla stessa non equivale in alcun modo a prestazione scadente.
Di qui, ancora, la sanzionabilità, sotto il profilo disciplinare, dell’illecita concorrenza realizzata attraverso comportamenti del notaio contrari ai doveri di correttezza professionale o servendosi di altri mezzi non confacenti al decoro ed al prestigio della classe notarile, come il citato art. 147, comma 1, lettera c, continua a prevedere, una volta venuto meno, per abrogazione, il riferimento alla condotta di riduzioni di onorari, diritti o compensi. Il che avviene, a titolo esemplificativo, quando il notaio esegua la propria prestazione in modo sistematicamente frettoloso o compiacente o violi il principio di personalità della prestazione, ovvero provveda a documentare irregolarmente, anche dal punto di vista fiscale, la prestazione resa, o ponga in essere comportamenti di impronta prettamente commerciale non confacenti all’etica professionale (si pensi all’acquisizione di rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi alla correttezza o decoro, o, ancora, all’offerta di servizi, come finanziamenti e anticipazioni di somme, che non rientrano nell’esercizio dell’attività notarile) o non adeguati alla diligenza del professionista avveduto e scrupoloso, o che possano comunque nuocere alla sua indipendenza, alla sua imparzialità e alla sua qualità di pubblico ufficiale”.
Consegue da questo esposto il rigetto del primo gruppo di doglianze.
5) Il quinto motivo, che concerne la trascuratezza dell’incolpato, lamenta che la Corte di appello abbia ritenuto irrilevante la mancata emissione di fatture a fronte di numerose prestazioni rese, comportamento giustificato con la circostanza che non era ancora avvenuto il pagamento.
La censura non merita accoglimento. Dalla sentenza emerge che il rimprovero mosso al notaio era di aver omesso la fatturazione.
Rispetto a questo specifico comportamento, è congrua la giustificazione esposta dal professionista e accolta dalla Corte territoriale.
Il ricorso sposta l’attenzione sulla circostanza che vi sia stato ritardo nella richiesta di pagamento dei relativi compensi, “anomalo vantaggio concesso dal notaio alla clientela”.
Tale questione, che implicava uno specifico accertamento di fatto circa il comportamento inerte del notaio nel sollecitare i pagamenti dovutigli, non è ammissibile in sede di legittimità, perché nuova.
Non risultando essa dalla sentenza, il ricorso doveva farsi carico di indicare in quale atto e in quali esatti termini fosse stata sollevata prima nell’azione disciplinare e poi nel corso del giudizio di merito. Inoltre la censura è formulata del tutto genericamente, senza neppure alludere a una puntuale ricerca circa il comportamento inerte del notaio, ditalchè non offrirebbe comunque all’esame una risultanza decisiva per far emergere un vizio di motivazione e tanto meno la pur denunciata violazione dell’art,. 147 L.N..
6) Con il sesto motivo è denunciata la medesima violazione sotto il
profilo della ritenuta rilevanza degli errori contenuti negli atti notarili.
La Corte di appello non solo ha ritenuto che sei errori – oggetto di rettifica – in dieci anni non siano sintomo di cattivo esercizio della professione, ma ha precisato che: “l’affermazione difensiva riguardo al lasso di tempo nel cui ambito sarebbero stati compiuti gli errori in questione non è stata contestata e il dato può quindi ritenersi pacifico”.
A fronte di questa affermazione, il ricorso si limita genericamente a dedurre: che vi furono numerosi errori – oltre 80 -; che non era stato dimostrato che le uniche rettifiche eseguite fossero state solo quelle rilevate nel periodo oggetto di controllo; che il numero di rettifiche rilevato era abnorme e sintomo di frettolosità.
In tal modo il ricorso appare inaccettabilmente generico, perché enuncia un dato numerico, circa gli errori rimproverati al notaio, che è contraddetto dalla sentenza e non è sorretto dalla specifica indicazione della risultanza dalla quale possa emergere un dato diverso.
Inoltre la censura non spiega quale sia stato l’ambito temporale del controllo e la precisa accusa disciplinare svolta e quindi non confuta la decisiva affermazione circa la non contestazione in ordine al lasso di tempo entro il quale si sarebbero verificati gli errori rilevati.
Il motivo è quindi infondato.
7) il settimo motivo attacca quella parte della motivazione in cui la corte ha disatteso i rilievi relativi alla trascuratezza dell’incolpato, osservando che nel corso delle ispezioni biennali del conservatore dell’archivio notarile non erano emersi rilievi negativi a carico del notaio e che ciò faceva dubitare della stessa configurabilità dell’addebito disciplinare da parte dell’ordine professionale.
Il ricorso osserva che in tal modo si rimette al Consiglio dell’ordine l’onere della responsabilità della regolare tenuta dei registri del notaio.
La censura non coglie nel segno. La considerazione della corte territoriale aveva portata argomentativa, relativa a uno dei possibili indici di trascuratezza; aldilà dell’allusione, errata, alla impossibilità di far emergere addebiti disciplinare anche in relazione ad atti soggetti a controllo del Conservatore, la motivazione della corte territoriale è però congrua e logica nel trarre dall’assenza di rilievi in sede di ispezione ordinaria argomenti a sostegno della correttezza dell’operato del professionista.
8) Ottavo e nono motivo, che denunciano, come i precedenti, sia di motivazione che violazione e falsa applicazione dell’articolo 147 primo comma L.N., sono parimenti infondati.
Con essi parte ricorrente, senza la necessaria specificità e senza l’indispensabile richiamo puntuale delle risultanze asseritamente trascurate o mal valutate, si duole del fatto che la concentrazione di atti nel medesimo giorno non sia stata ritenuta indice di trascuratezza o di superficialità del professionista. In proposito la Corte territoriale ha fornito adeguata motivazione, spiegando che il tutto rispondeva a un metodo di lavoro organizzato in fasi successive, cioè mediante: a) distinti incontri con singoli clienti per la raccolta dei dati e delle intenzioni dei contraenti; la predisposizione degli atti; c) la concentrazione in un’unica giornata di numerose riunioni per la mera conferma dei dati della stipula definitiva degli atti in precedenza elaborati.
A fronte di una così dettagliata e logica motivazione, non è sufficiente il richiamo al numero di atti – 10 o 15 al giorno – per dimostrare la negligenza del professionista.
Era necessaria un’analisi penetrante e dettagliata, ovviamente ancorata a precise risultanze istruttorie, dello svolgimento della sua attività, per poter confutare le valutazioni dei giudici di merito.
In mancanza di tale specifica confutazione, la motivazione resa resta insindacabile in sede di legittimità.
Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso.
Le spese di lite vanno compensate, in ragione della eccezionale novità dell’orientamento giurisprudenziale che è prevalso sulla questione più rilevante posta con i primi motivi di ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Spese compensate.

Redazione