Non sussiste il reato di omissione di atti di ufficio se la P.A. non risponde secondo le aspettative del richiedente (Cass. pen. n. 20814/2013)

Redazione 14/05/13
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Ritenuto in fatto

1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palmi impugna la sentenza con la quale, all’esito dell’udienza preliminare, nei confronti di ****, F..P. e C.L.C. è stato dichiarato non luogo a procedere in ordine al delitto di omissione di atti d’ufficio perché il fatto non sussiste.
A N.G., nella sua qualità di sindaco del Comune di (omissis) , a F.P. ed a C.L.C., l’uno dirigente responsabile dell’ufficio tecnico e l’altra dirigente responsabile degli affari generali del medesimo comune, è stato contestato il delitto di omissione di atti di ufficio per avere omesso di rispondere alla diffida presentata all’amministrazione comunale dal difensore di A.S., Gi.Gi. e Gi.Ro.An. con la quale si richiedeva loro un intervento urgente anzitutto per la realizzazione di opere di contenimento e regimentazione di terreni, già previste nel progetto per la realizzazione della strada in località (omissis), idonee a impedire eventi franosi che avrebbero messo in pericolo il terreno di loro proprietà e poi anche per la corresponsione della parte residua dell’indennità di esproprio.
A fronte della richiesta di rinvio a giudizio, il giudice dell’udienza preliminare ha escluso la configurabilità del delitto di omissione di atti d’ufficio mettendo in rilevo che la vicenda relativa all’intervento richiesto con l’ultima diffida si inserisce nell’ambito di un contenzioso incorso tra gli istanti e l’amministrazione comunale per le opere volte a evitare il pericolo di frane e che i tre imputati si erano direttamente interessati a realizzare ogni intervento di consolidamento idrogeologico utile per arginare frane del terreno e anche per attivare la corresponsione dell’indennità richiesta per la quale erano sorti intralci di carattere.
I tre imputati si erano difesi anche eccependo che la diffida non era stata preceduta dall’individuazione di un responsabile del procedimento ed inviata genericamente all’amministrazione comunale e poi che il rustico non abitato era stato costruito in un area molto pericolosa e assentito nell’anno 1990 con la compiacenza del tecnico comunale dell’epoca, tale A..P. , marito di una delle denuncianti.
2. Il Procuratore ricorrente deduce:
– violazione ed erronea applicazione di legge e in particolare degli artt. 328 comma 2, c.p. 4 e 5 legge n. 241 del 1990 nonché 50, 88 e 107 n. 267 del 2000 e dei parametri stabiliti dall’art. 425 c.p.p. per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere.
Ad avviso del ricorrente, il giudice ha acriticamente condiviso le memorie difensive degli imputati senza attenersi a quanto emerso nel corso delle indagini e alle norme che disciplinano le funzioni del sindaco e dei dirigenti comunali e le rispettive responsabilità.
Sintetizzato il contenuto della diffida, il ricorrente pone in rilievo che la stessa era rivolta all’amministrazione comunale e, dopo essere stata regolarmente protocollata, è stata esaminata dagli uffici competenti per le valutazioni degli interventi da compiere rispetto ai quali vi è stata un assoluta inerzia nonostante fossero trascorsi oltre trenta giorni dalla notifica dell’atto.
Per il ricorrente, la diffida è stata regolarmente presentata e non vi stata la individuazione da parte dell’amministrazione del responsabile del procedimento e, in ogni caso, è stata omessa ogni comunicazione agli interessati.
Peraltro, a norma dell’art. 5 legge 241 dei 1990, il responsabile del procedimento è il funzionario preposto all’uffici competente a intervenire, nel caso concreto il responsabile dell’ufficio tecnico e quello del ufficio contenzioso e affari generali.
Del resto, l’art.50 del testo unico degli enti locali individua il sindaco quale soggetto generale cui è attribuito il dovere di controllo e direttiva degli uffici.
Il reato non può essere escluso dal fatto che gli organi tecnici abbiano realizzato gli interventi volti a rimuovere la situazione di pericolo, poiché vi è stata una colpevole inerzia a fronte dell’obbligo di rendere una risposta scritta sulle ragione dei ritardo.
Il giudice, ad avviso del ricorrente, non può surrogarsi all’ente diffidato e condividere le ragioni dell’inerzia rappresentate dagli amministratori. Nella concreta vicenda avrebbe dovuto ravvisarsi, anche secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la colpevole inerzia da parte degli organi ci vi era l’obbligo di intervenire e non può costituire scusabile ignoranza della legge penale la non consapevolezza della necessità di fornire spiegazioni al mancato intervento con una risposta scritta.
3. La parte civile e i difensori degli imputati hanno presentato memorie volte a sostenere le rispettive posizioni.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.
La sentenza impugnata ha descritto gli elementi acquisiti nel corso delle indagini e su di essi ha sviluppato un coerente ragionamento probatorio volto a ricostruire la vicenda, nei sui profili di rilievo penale ed entro limiti stabiliti per il giudice chiamato a pronunciarsi sul merito dell’accusa e, in particolare, sulla sussistenza di elementi per sostenerla in giudizio, come prescritto dall’art. 425 c.p.p..
Come noto, il controllo di legittimità della sentenza di non luogo a procedere, per il parametro del vizio di motivazione non può comunque avere ad oggetto gli elementi acquisiti dal pubblico ministero nel corso delle indagini e non può risolversi netta verifica del puntuale rispetto dei criteri di valutazione della prova di cui all’art. 192 c.p.p., perché la sentenza di non luogo a procedere esprime una valutazione prognostica negativa circa l’eventuale condanna in giudizio.
Il giudice dell’udienza preliminare ha formulato un motivazione coerente con gli elementi acquisiti e descritti in sentenza e dei quali, in questa sede di legittimità, non è consentita alcuna verifica mediante incursione negli atti del procedimento ed esprimere una diversa conclusione rispetto a quella cui è pervenuto il giudice chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di rinvio a giudizio.
Si è in presenza di una valutazione di merito, censurabile solo là dove errata nei profili giuridici e manifestamente illogica nelle argomentazioni poste a fondamento della decisione.
Come già posto in rilevo in narrativa, la sentenza impugnata esclude che gli atti assunti presentino rilievo penale, tenuto conto che non può soltanto aversi riguardo a un’asserita illegittimità degli atti adottati e per quelli che l’organo competente avrebbe dovuto programmare e attuare nell’esercizio delle proprie funzioni. I fatti – non collegati, come precisato in sentenza, a elementi che facciano ritenere sussistenti la intenzione e la determinazione di realizzare illecite gestioni della pubblica funzione – si inquadrano esclusivamente nell’ambito di responsabilità amministrative e contabili la cui sede di intervento non quella penale.
Il contesto in cui i fatti si sono verificati – descritto con puntuale analisi dal giudice dell’udienza preliminare – rendono logiche e coerenti le argomentazioni poste a fondamento delle conclusioni raggiunte in base ai parametri stabiliti dall’art. 425 c.p.p., essenzialmente funzionali a formulare un valutazione di idoneità degli elementi acquisiti a sostenere l’accusa in giudizio e, come tali, idonei già di per sé soli a escludere che possa essere ipotizzata un’accusa di rilievo penale che, all’esito di una verifica dibattimentale, possa poi giustificare la richiesta di condanna.
In conclusione, il ricorso, per le ragioni esposte, è infondato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Redazione