Non serve la visita ginecologica per la prova della violenza sessuale (Cass. pen. n. 41697/2012)

Redazione 25/10/12
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Svolgimento del processo

M.S. ha proposto ricorso per Cassazione, per il tramite del difensore, avverso la sentenza in data 26.10.2011 della Corte di Appello di Napoli emessa a conferma della sentenza del 22.5.09 con la quale il Tribunale di Napoli dichiarava la penale responsabilità del M. per i reati di cui all’art. 605 c.p., (capo A), art. 609 bis c.p., (capo B), artt. 582 e 585 in relazione all’art. 577 c.p., u.c., (capo D), artt. 582 e 585 in relazione all’art. 577 c.p., u.c., art. 585 c.p., comma 2, n. 2, (capo E), art. 81 cpv., art. 612, comma 2, art. 594 c.p., (capo F), tutti commessi in danno della moglie I. M.R., costituitasi parte civile, in (omissis), all’infuori del reato di lesioni personali di cui al capo E), commesso in (omissis), nonchè per il delitto di cui all’art. 570 c.p., in danno delle figlie minori, e lo condannava alla pena di anni sei mesi dieci di reclusione, oltre pene accessorie, nonchè al risarcimento delle parti civile costituite, I.M. R. e B.M.R., quest’ultima quale curatrice speciale dei figli minori della coppia, da liquidarsi in separata sede assegnando alla I., in proprio, la provvisionale di Euro 10.000,00 e alla predetta nella qualità di esercente la potestà sui figli minori, la provvisionale di Euro 1.000. Assolveva il M. dai reati di cui ai capi C (maltrattamenti) e G /violenza privata) perchè il fatto non sussiste e dichiarava n.d.p. in ordine al reati di cui al capo B1 (altro episodio di violenza sessuale commesso il (omissis)) per difetto di querela.

Il procedimento a carico del M. trae origine dalla denuncia- querela sporta dalla moglie I.R. a seguito di un episodio di maltrattamenti e violenza sessuale verificatosi il (omissis).

La I. stava rientrando a casa quando, alla fermata dell’autobus, è passato il marito, da cui era legalmente separata, alla guida della sua auto offrendosi di accompagnarla. Appena la donna è entrata nell’autovettura, lui le ha sferrato due schiaffi.

La I., impaurita, accortasi peraltro che l’uomo stava dirigendosi in direzione opposta a quella dell’abitazione, gli ha chiesto di fermarsi e di farla scendere, ottenendo per tutta risposta un secco rifiuto accompagnato da altre percosse. Il M. si è poi diretto in una zona isolata di (omissis); durante il tragitto, alle implorazioni della moglie di farla scendere, reagiva sferrandole calci e pugni al volto e nelle altre parti del corpo, minacciandola e ad offenderla con epiteti ingiuriosi. Ha fermato l’auto in una piazzola di sosta, l’ha costretta con la forza ad uscire dall’abitacolo e l’ha sospinta contro il cofano della vettura; mentre lei si dimenava cercando di liberarsi dalla sua presa, l’uomo è riuscito, esercitando violenza fisica, a toglierle i pantaloni costringendola ad avere un rapporto sessuale. La I., al termine è scivolata per terra esausta e il M. l’ha lasciata lì, senza i pantaloni e gli slip, denudata dalla vita in giù, allontanandosi con l’auto. La donna ha chiesto soccorso al conducente un veicolo arrivato sul posto proprio in quel frangente, spiegandogli l’accaduto. In quel momento è ritornato il M., il quale ha ripreso in auto la moglie, continuando a percuoterla e ad apostrofarla con epiteti ingiuriosi; dopo averla condotta in altro posto isolato minacciando di spingerla giù dal dirupo, l’ha Infine riaccompagnata a casa. Qualche ora dopo ha fatto ritorno anche lui ed ha preteso dalla moglie, che versava in condizioni di estrema prostazione fisica e di agitazione, un rapporto orale al quale la I., terrorizzata, non si è potuta sottrarre. La mattina successiva, la predetta, impedita persino nella deambulazione per tutte le contusioni riportate, è stata portata dalla sorella al pronto soccorso. Deduce il ricorrente i seguenti motivi:

1 – inosservanza o erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), segnatamente inosservanza dell’art. 605, in relazione all’art. 609 bis c.p., difetto assoluto o manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p., comma 1, lett. e).

Osserva in proposito il ricorrente che il giudice di appello ha ritenuto sussistente il reato di sequestro di persona mentre lo stesso è assorbito da quello di violenza sessuale. Difatti, tenuto conto che, secondo pacifica giurisprudenza di legittimità, il reato di sequestro di persona rimane assorbito in quello di violenza sessuale quando si protrae per il tempo strettamente necessario a commettere l’abuso sessuale, rileva la difesa del M. che non vi è stata protrazione della privazione della libertà nel tempo antecedente e successivo al compimento dell’abuso.

A sostegno di ciò evidenzia che non è stata esercitata da parte dell’imputato alcuna pressione per costringere la I. ad entrare e a rimanere nell’autovettura; la predetta sarebbe entrata e si sarebbe trattenuta spontaneamente acconsentendo a farsi trasportare dal M. nel luogo ove si sarebbe consumata la violenza sessuale.

La donna, sostiene il ricorrente, non avrebbe manifestato alcun dissenso in ordine alla sua permanenza a bordo dell’auto condotta dal marito e la privazione della sua libertà di movimento sarebbe temporalmente coincisa con la costrizione ai presunti atti sessuali.

Di questo la sentenza impugnata non nè da conto ritenendo integrato il reato di sequestro di persona in virtù del solo dato della coercizione esercitata dall’imputato sulla donna per compiere l’abuso sessuale.

2 violazione di legge, difetto assoluto o manifesta illogicità della motivazione sulla configurabilità dell’abuso sessuale (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. C ed E) in relazione alla credibilità della po.

A parere del ricorrente, la Corte di merito avrebbe acriticamente condiviso le argomentazioni del giudice di prime cure sulla attendibilità della parte offesa, recependole in toto, e avrebbe omesso qualsiasi vantazione delle argomentazioni difensive di segno contrario articolate con i motivi di appello sia in merito alla mancata sottoposizione della vittima a visita ginecologica il giorno successivo al primo episodio di violenza sessuale avvenuto il (omissis), sia in merito alla smentita della credibilità dell’assunto accusatorio della vittima derivante dalla deposizione della teste C. relativa al secondo episodio di violenza sessuale in data (omissis), contestato all’udienza del 5.1.07.

Quanto al primo rilievo, evidenziato dalla difesa per contestare la credibilità della persona offesa, la Corte di Appello non avrebbe fornito alcuna spiegazione delle ragioni per le quali la vittima, pur essendosi recata la mattina successiva al primo episodio di asserita violenza sessuale, al pronto soccorso per farsi visitare, trattenendosi svariate ore e sottoponendosi ad accurati accertamenti, non abbia avvertito l’esigenza di sottoporsi anche a visita ginecologica, pur in presenza della brutale aggressione sessuale denunciata.

Quanto al secondo profilo di inattendibilità della parte offesa I., posto in evidenza nei motivi di appello e sul quale la Corte non si è assolutamente pronunciata, esso riguarda la deposizione della teste C., persona con la quale all’epoca dei fatti l’imputato intratteneva una relazione sentimentale. Tale deposizione smentisce, ad avviso della difesa del ricorrente, la credibilità della I.. Essa riguarda il secondo episodio di violenza sessuale avvenuto la notte del (omissis) di cui al capo B1) dell’imputazione, contestato all’udienza del 5.1.07, dopo che era emerso dalle dichiarazioni testimoniali rese a quell’udienza dalla parte offesa. Sebbene per detto episodio sia stata emessa pronuncia di NDP per difetto di querela, cionondimeno la deposizione della suddetta teste, la quale riferisce che il M. si trattenne a casa sua l’intera notte fra il (omissis) arrivando poco prima della mezzanotte ed uscendo alle ore 7.30, così smentendo l’assunto accusatorio della I. secondo cui il marito, tornato a casa la sera del primo episodio, la costrinse ad avere un rapporto orale la notte verso le ore 1.30, avrebbe dovuto essere presa in debita considerazione al fine di valutare la tenuta complessiva dell’assunto accusatorio della parte offesa, anche con riguardo al primo episodio. Invece la Corte territoriale non prende in considerazione tale deposizione argomentando al riguardo la sua superfluità stante la non procedibilità per il secondo fatto in assenza della querela della p.o..

3 – mancanza o manifesta illogicità della motivazione – violazione di legge, con riguardo alla sussistenza del reato di omesso versamento dei mezzi di sostentamento di cui all’art. 570 c.p., stante l’incolpevole indisponibilità economica da parte dell’imputato dei mezzi di sussistenza delle figlie minori.

La Corte territoriale, ad avviso della difesa, avrebbe erroneamente condiviso (senza peraltro addurre alcun elemento nuovo sul piano della motivazione) le argomentazioni addotte dal primo giudice sul piano della responsabilità dell’imputato, senza tenere conto dei mutamenti intervenuti nella capacità contributiva dell’obbligato, a causa di vari eventi fra cui il trasferimento in Svizzera e un serio intervento chirurgico subito, tali da determinare “un’incolpevole e persistente incapacità economica dell’imputato”. Ricorda in proposito il ricorrente i vaglia postali depositati nel giudizio di primo grado a dimostrazione della volontà dell’imputato di ottemperare all’obbligo giuridico impostogli, mai fatti mancare neppure durante il periodo in cui si è dovuto sottoporre all’intervento chirurgico.

4 – inosservanza o erronea applicazione dell’art. 133 c.p., in relazione all’art. 609 bis c.p.; sproporzione ed eccessività del trattamento sanzionatorio.

Il ricorrente osserva che, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di appello, secondo cui si è trattata di condotta brutale, reiterata e lungamente protratta, i fatti per i quali è intervenuta pronuncia di condanna (per l’altro episodio asseritamente accaduto il giorno successivo è intervenuta sentenza di NDP per difetto di querela), si sono svolti in un solo giorno, il (omissis), e in un unico contesto temporale. Inoltre non sono stati valutati gli elementi riguardanti la complessiva condotta dell’imputato, quali l’incensuratezza e la buona condotta tenuta durante la misura cautelare e il comportamento processuale, elementi che avrebbero potuto consentire il riconoscimento dell’attenuante ex art. 609 bis, comma 3.
Motivi della decisione

Prima di procedere all’esame dei singoli motivi, giova rammentare l’orientamento della giurisprudenza di legittimità con riguardo al rapporto fra le sentenza di merito di primo e secondo grado. Si è costantemente affermato che, allorchè dette sentenze concordino nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, esse si integrano vicendevolmente e la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente formando un unico complesso corpo argomentativo (Cass. sez. 1^ 26.6.2000 n. 8868, sez. 2^ 13.1.97 n. 11220).

Sempre in tema di integrazione fra le conformi sentenze di primo e secondo grado, se l’appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto già esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni generiche e superflue, palesemente inconsistenti, è consentita la motivazione per relationem da parte del giudice dell’impugnazione; quando invece le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano state specificamente censurate dall’appellante con motivi nuovi non riproposti, sussiste il vizio di motivazione sindacabile ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E), se il giudice del gravame si limita a respingere tali censure richiamando la censurata motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi senza farsi carico di argomentare sulla inadeguatezza o inconsistenza dei motivi di appello (Cass. sez 4^ 14.2.08 n. 15227).

Fatta questa premessa, deve ritenersi pienamente ammissibile il richiamo contenuto nella sentenza di appello alla sentenza di primo grado in relazione a quelle censure aventi ad oggetto deduzioni già sottoposte al giudice di primo grado, non senza rilevare che, a parte il rinvio, la sentenza di secondo grado contiene una sua adeguata motivazione in ordine ai motivi di appello.

1 – Il primo motivo è inammissibile. Esso, pur riguardando la problematica dell’autonoma configurabilità del reato di sequestro di persona, se concorrente nel reato di violenza sessuale o in esso assorbito, presuppone la valutazione di circostanza di fatto, relative alla privazione della libertà di movimento della parte offesa, con particolare riferimento al momento di insorgenza, alla durata di tale stato e alla concomitanza temporale con la perpetrazione della violenza sessuale, circostanze che esulano dal sindacato di legittimità della S.C. A tale proposito si richiama la giurisprudenza della Cassazione sui limiti del sindacato di legittimità.

Le Sezioni Unite hanno affermato che l’indagini di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Cassazione essere limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura egli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui vantazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (Cass. S.U. 5.5.97 n.6402).

Di conseguenza il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E, al solo accertamento della congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o nella autonoma scelta di nuovi e diversi criteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti. Ne consegue che, laddove le censure del ricorrente non siano tali da scalfire la logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, queste devono ritenersi inammissibili perchè proposte per motivi diversi da quelli consentiti, in quanto non riconducibili alla categoria di cui al richiamato art. 606, comma 1, lett. E. Preso atto dell’ambito dell’apprezzamento di legittimità, deve rilevarsi che la sentenza impugnata fornisce una congrua convincente e logica motivazione sulla autonoma configurabilità del sequestro di persona concorrente col reato di violenza sessuale argomentando al riguardo sul protrarsi della restrizione della libertà di movimento della vittima per un tempo non coincidente con quello strettamente necessario per compiere la violenza sessuale ma più esteso, essendo la privazione della libertà della I. iniziata ben prima, nel momento in cui, accettato il passaggio in auto, la donna si avvide del comportamento violento del marito e chiese di farla scendere ottenendo un netto rifiuto, ed essendosi protratta per un periodo successivo all’abuso sessuale quando, portata la moglie in altro luogo e sceso dall’auto per intrattenersi con un conoscente occasionalmente incontrato, la I. chiedeva incessantemente di farla scendere e il marito per tutta risposta spinse la portiera semiaperta proprio per impedirle ogni via di fuga.

2 – inammissibile è anche il secondo motivo attinente la valutazione della attendibilità della parte offesa.

Si richiama innanzitutto il principio costantemente affermato dalla Corte Suprema, in tema di valutazione della deposizione della parte offesa secondo cui detta deposizione può costituire da sola fonte di prova ed essere assunta dal giudice a fondamento del proprio convincimento, al pari di qualunque altra deposizione, senza necessità che sussistano riscontri esterni, non essendo ad essa applicabile il canone di valutazione della prova previsto dagli art. 192 c.p.p., commi 2 e 3.

Sotto tale profilo dunque le dichiarazioni accusatorie della persona offesa vengono considerate dal legislatore come un mezzo di prova contenente una presunzione di attendibilità maggiore della chiamata in correità o reità, la quale, pur costituendo un elemento di prova, esige la concomitanza di altri elementi di uguale valenza che la corroborino.

Tuttavia, atteso l’interesse accusatorio connaturato alla testimonianza della persona offesa, portatrice di interessi configgenti con quelli dell’imputato, ulteriormente accentuato dalla possibile costituzione della stessa come parte civile, la testimonianza della persona offesa deve essere valutata con estremo rigore, specie in presenza di elementi di contrasto, al fine di apprezzarne la portata probatoria, e dunque deve essere sottoposta ad un vaglio di attendibilità soggettiva ed oggettiva sicuramente più attento e rigoroso rispetto alla generica valutazione cui vengono sottoposte le dichiarazioni di un qualunque testimone (Cass. Pen. Sez. 1^ 24.9.97 n. 8606, Bello, sez. 6^ 28.5.97 n. 4946, ******, 14.6.00 sez. 1^ n. 7027, Di Telia).

La sentenza impugnata, lungi dal limitarsi ad un acritico richiamo della sentenza di primo grado, contiene una sua autonoma coerente valutazione dell’attendibilità della persona offesa, fondata sul rilievo della credibilità intrinseca e sulla illustrazione dei “molteplici, convergenti e persuasivi momenti di verifica esterna” costituiti dalla dichiarazioni dei testi che, nell’immediatezza dei fatti, videro la I. seminuda, con evidenti segni di tumefazione al volto e ad un occhio, in stato di forte agitazione dirigersi verso di loro e chiedere aiuto, del teste G.R., che senti le urla minacciose ed ingiuriose provenienti dall’auto del M., da lui conosciuto, nei confronti della moglie, lo vide picchiarla dall’interno della vettura e sentì le sue implorazioni di riaccompagnarla a casa; dai certificati medici dai quali emergono lesioni del tutto compatibili, per natura e dislocazione, con la descrizione delle violenze subite fatta dalla parte offesa.

Quanto al motivo dell’omessa pronuncia da parte del Giudice di seconde cure sulla circostanza, dedotta in appello, della mancata sottoposizione della I. a visita ginecologica, ritiene questo Collegio che la essa sia irrilevante sia in considerazione della esaustività del compedio motivazionale del Giudice del gravame sulla attendibilità della parte offesa, sia se si considerano le ragioni per le quali la I. si era recata al pronto soccorso, quelle di curare le numerose escoriazioni e contusioni riportate, mentre la visita in questione non presentava particolare necessità, stante le modalità non violente con cui si era compiuto l’atto sessuale, subito dalla donna senza opporre resistenza in quanto stremata dalle continue aggressioni e timorosa di altre.

Si richiama ad ogni buon conto la giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui il dovere di motivazione della sentenza è adempiuto, ad opera del giudice di merito, attraverso la valutazione globale delle deduzioni delle parti e delle risultanze processuali, non essendo necessaria l’analisi approfondita e l’esame dettagliato delle predette ed è sufficiente che si spieghino le ragioni che hanno determinato il convincimento, dimostrando di avere tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che,anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. sez. 6^ 4.5.2011 n. 20092, sez. 4^ 4.6.04 n. 36757).

Le stesse considerazioni valgono per la deposizione della teste C. dedotta dall’odierno ricorrente per smentire la credibilità dell’assunto accusatorio della parte offesa I., non senza rilevare che tale censura non risulta essere stata dedotta fra i motivi di appello.

3 – altrettanto inammissibile, per le considerazioni suesposte, è terzo motivo riguardante la valutazione della Corte Territoriale sulla sussistenza dei presupposti per la configurabilità del reato di cui all’art. 570 c.p..

Una volta accertata la coerenza logica delle argomentazioni seguite dal giudice di merito, non è consentito alla Corte di Cassazione prendere in considerazione, con la surrettizia configurazione del vizio di motivazione, una diversa valutazione delle risultanze processuali prospettata dal ricorrente, rispetto a quella contenuta nella sentenza impugnata. Richiamati i principi dianzi illustrati in tema di integrazione delle motivazioni delle sentenza conformi di primo e secondo grado, e della motivazione per relationem, si rileva che le due sentenze (la sentenza di appello, peraltro, dopo aver confutato direttamente il motivo, richiama per relationem le argomentazioni esposte in quella di primo grado, facendole proprie) sono sorrette da congrua e coerente motivazione in ordine alla sussistenza del reato in esame, sia con riferimento alla insussistenza della condizione di incolpevole indisponibilità economica dell’obbligato, richiesta per l’esclusione del reato, posto che il M. non ha mai provato lo stato di indigenza che la norma richiede per essere esonerato dagli obblighi di assistenza, anzi, pur avendolo potuto fare, non ha mai chiesto la modifica delle condizioni della separazione ex art. 710 c.c., in punto di riduzione dell’assegno di mantenimento a favore delle figlie minori, il che lascia presumere che sono rimaste immutate le sue condizioni economiche, sia quanto alla inidoneità delle somme sporadicamente versate, assolutamente inferiori a quanto stabilito in sede di separazione personale dei coniugi, ad integrare quanto meno l’assolvimento dell’obbligo relativo ai soli mezzi di sussistenza delle figlie, che è l’elemento cui si avere riguardo per la configurabilità dell’art. 570 c.p..

4 – quanto alla censura riguardante il trattamento sanzionatorio, si richiamano i principi affermati in materia dalla Suprema Corte secondo cui le statuizioni in ordine all’entità della pena, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità, qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione. Si è inoltre sostenuto che, proprio perchè la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, questi ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125 c.p., comma 3, anche se abbia valutato globalmente gli elementi di cui all’art. 133 c.p., e, qualora la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, anche con l’impiego di espressioni tipo “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, ovvero attraverso il richiamo alla gravità del reato ed alla personalità del reo. (Cass. sez 3^ 29.5.07 rv 237402, sez 4^, 20.9.04, n. 41702, rv. 230278).

Premesso tale consolidato orientamento, la motivazione dell’impugnata sentenza è del tutto esauriente, circostanziata e congrua in quanto, a giustificazione della severità della pena irrogata dai giudici di primo grado, che ha confermato, ha posto in evidenza l’intensità dell’episodio accaduto il (omissis), sotto il profilo della gravità della condotta, connotata da brutalità ed articolatasi in molteplici fatti lesivi, e dalla reiterazione degli atti di aggressione da parte dell’imputato in un lasso di tempo prolungato, anche se esauritosi in un unico giorno. Inammissibile è anche il profilo attinente la mancata considerazione della personalità dell’imputato e della sua complessiva condotta ai fini del riconoscimento della attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3, posto che essa si fonda su altri criteri riguardanti la gravità della condotta sessuale, il grado di compromissione della libertà sessuale della vittima e le conseguenza psicologiche derivate.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Segue all’inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della cassa delle ammende che si determina in Euro 1.000,00. Consegue anche la refusione delle spese della p.c..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della cassa delle ammende, oltre alle spese sostenute in grado dalla p.c. e liquidate in complessive Euro 2.500,00, oltre IVA e accessori di legge.

Redazione