Non serve la forma scritta per i singoli ordini di titoli (Cass. n. 2185/2013)

Redazione 30/01/13
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 15 marzo 2006 il Tribunale di Milano, in parziale accoglimento delle domande proposte da **** nei confronti del Credito Bergamasco s.p.a., dichiarava la risoluzione del contratto con cui l’attrice aveva acquistato obbligazioni “Argentina Buenos Aires Eur 10,25” e condannava la Banca alla restituzione dell’importo corrispondente al costo di acquisto dei predetti titoli.
Con sentenza dell’11 febbraio 2009 la Corte di appello di Milano accoglieva l’appello proposto dal Credito Bergamasco s.p.a., osservando, per quanto ancora interessa, che:
1) l’eccezione di inammissibilità dell’appello per asserita acquiescenza era infondata; dalla corrispondenza intercorsa tra i legali delle parti dopo la sentenza di primo grado risultava che il pagamento da parte della banca era avvenuto solo al fine di evitare una procedura esecutiva e con esplicita riserva di ripetizione all’esito dell’appello; inoltre, la restituzione dei titoli, richiesta alla attrice, quale conseguenza della risoluzione, era stata attuata mediante un mandato irrevocabile – nei confronti della Banca Fideuram, depositarla dei titoli – eseguibile solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza;
2) nessun profilo di negligenza poteva attribuirsi alla banca che aveva operato adeguando il proprio comportamento sul profilo della cliente quale emergeva non solo dai documenti dalla stessa sottoscritti, ma anche dalla mancata rivelazione delle fonti di reddito e della sua complessiva capacità patrimoniale e da non equivoci segni di ampie disponibilità patrimoniali come testimoniato dai versamenti di assegni di rilevante importo (sino a L. 300.000.000) tratti su altri conti dei quali era titolare; in particolare, la Corte di appello sottolineava che l’attrice: a) in data 11 novembre 2000, aveva sottoscritto un contratto di negoziazione previa dichiarazione di possedere una esperienza approfondita in materia di investimenti; di non volere rilasciare informazioni sulla sua situazione finanziaria; di prefiggersi, quale obiettivo di investimento, la “prevalenza di rivalutabilità rapportata al rischio di oscillazione dei corsi e dei cambi”; di avere una propensione al rischio medio – alta; b) in data 15 febbraio 2001, in occasione di un aggiornamento delle condizioni contrattuali, nonchè in data 8 maggio 2002, aveva ribadito le suddette dichiarazioni; c) in data 14 novembre 2000 aveva acquistato, per un importo di Euro 51.750,58=, obbligazioni argentine del Banco Hipotecario classificate dalle agenzie di rating come speculative- grade, malgrado il previo specifico avvertimento di inadeguatezza dell’operazione per oggetto e dimensione; d) in data 12 dicembre 2000, sempre previo avvertimento dell’inadeguatezza dell’operazione, aveva acquistato ulteriori obbligazioni del Banco Hipotecario per un importo di Euro 15.342,80. Pertanto, la Banca non aveva motivo, al momento dell’acquisto per cui era causa (19 febbraio 2001), di dubitare della adeguatezza dell’operazione rispetto all’investiment profile della cliente, tanto più che soltanto nel marzo 2001 erano intervenuti significativi declassamenti del titolo sino al default maturato nei mesi successivi;
3) il motivo di appello incidentale, secondo cui l’operazione in questione era avvenuta in assenza di ordine, era inammissibile in quanto la questione era stata prospettata per la prima volta nella memoria conclusionale di primo grado;
4) non sussisteva la dedotta inosservanza dell’obbligo di forma dell’ordine di borsa, non riconducibile nell’ambito di applicazione degli artt. 23 e 30 del TUF, come motivatamente ritenuto dal primo giudice, senza che sul punto l’appello recasse una benchè minima argomentata critica;
5) la notificazione a mezzo fax della comparsa di risposta della Banca doveva ritenersi legittima ai sensi del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 17, e, comunque, in nessun caso inesistente;
6) la negoziazione per conto proprio è attività legittima e regolamentata dall’ordinamento art. 5, comma 5, lett. a) TUF e art. 32, comma 5, Reg. Consob 11522/98 e non integra di per sè un conflitto di interessi, che è da escludere quando, come nella specie, l’intermediario si limita a ricevere un ordine di acquisto conferito spontaneamente dall’investitore;
7) era insussistente un dovere a carico della Banca di aggiornare la cliente sulle possibili variazioni e/o fluttuazioni del suo investimento in quanto il contratto quadro stipulato dalle parti non prevedeva un onere di questo genere, inquadrabile in compiti di vera e propria gestione patrimoniale i cui contenuti non ricorrevano nel caso in esame.
P.O. propone ricorso per cassazione, deducendo sette motivi illustrati anche con memoria. Il Credito Bergamasco s.p.a. resiste con controricorso.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 329 c.p.c., lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello per acquiescenza alla sentenza di primo grado poichè il Tribunale, pur avendo dichiarato la risoluzione del contratto di investimento, non aveva disposto la restituzione dei titoli, che invece era stata richiesta dalla Banca quale conseguenza della dichiarata risoluzione, con una condotta che doveva ritenersi incompatibile con la volontà di impugnare tale risoluzione. Con il secondo motivo, in relazione alla stessa questione, la ricorrente deduce il vizio di motivazione.
I primi due motivi – che possono esaminarsi congiuntamente in quanto, al di là della rubrica del primo motivo, deducono entrambi un vizio di motivazione – sono infondati. La Corte di appello con motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici ha escluso l’acquiescenza alla sentenza di primo grado poichè la richiesta di restituzione dei titoli si poneva come meramente conseguenziale rispetto alla risoluzione del contratto di investimento ed alla richiesta di restituzione delle somme spese per l’acquisto dei titoli, formulata dall’odierna ricorrente con l’avvertenza che in difetto avrebbe proceduto ad esecuzione forzata; del resto la Banca ha accettato che la restituzione avvenisse mediante un mandato destinato ad operare solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza.
2. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 137 c.p.c., e art. 156 c.p.c., comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 17, lamentando che la sentenza impugnata aveva erroneamente ritenuto legittima la notificazione della comparsa di costituzione in primo grado, effettuata a mezzo fax spedito non dall’ufficiale giudiziario, ma direttamente dal procuratore del Credito Bergamasco, benchè non autorizzato ad eseguire notificazioni ai sensi della L. n. 53 del 1994. Nella specie, poi, anche a ritenere la nullità e non l’inesistenza della notificazione, doveva escludersi che l’atto avesse raggiunto il suo scopo in quanto l’attrice aveva contestato la validità della notificazione a mezzo fax e su tale presupposto aveva notificato l’istanza di fissazione dell’udienza direttamente e personalmente alla controparte anzichè al suo procuratore, come risultante dalla comparsa di risposta.
Il motivo è infondato. Il D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 17, comma 1, stabilisce espressamente che tutte le notificazioni e comunicazioni alle parti costituite possono essere fatte, oltre che a norma dell’art. 136 c.p.c. e segg., anche con trasmissione dell’atto a mezzo fax o per posta elettronica, oppure con scambio diretto fra difensori attestato da sottoscrizione per ricevuta sull’originale, apposta anche da parte di collaboratore o addetto allo studio del difensore; la norma, pertanto, fa riferimento a mezzi di trasmissione che possono anche prescindere dall’operato dell’ufficiale giudiziario; questi, infatti, non solo non è espressamente menzionato dalla disposizione, in coerenza con la possibilità prevista dall’art. 137 c.p.c., comma 1, secondo cui le notificazioni sono eseguite dall’ufficiale giudiziario quando non è disposto altrimenti, ma è anche soggetto del tutto estraneo ad una delle modalità di notificazione previste nello stesso contesto dell’art. 17, e cioè quella attraverso scambio diretto. La notificazione a mezzo fax avviene, inoltre, secondo quanto prevedono il D.Lgs. n. 5 del 2003, artt. 2 e 4, al numero di fax presso il quale l’attore ed il convenuto hanno rispettivamente dichiarato “di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni nel corso del procedimento”; pertanto, indipendentemente dagli altri requisiti della notificazione, sussiste un collegamento certo tra il luogo di consegna (rectius l’utenza di ricezione) ed il destinatario. Infine, il difensore non è privo in assoluto del potere di notificazione dal momento che la L. n. 53 del 1994, disciplina espressamente tale possibilità; quindi, la notificazione a mezzo fax da lui eseguita non è compiuta da soggetto del tutto privo del relativo potere. Si deve, pertanto, ritenere che anche in mancanza della normativa di attuazione, prevista dallo stesso art. 17, comma 2, in tema di sottoscrizione e trasmissione dei documenti non sia, comunque, configurabile una ipotesi di inesistenza che ricorre, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, solo quando la notificazione manchi del tutto, oppure sia stata effettuata in modo assolutamente non previsto dalla legge (Cass. nn. 2000/12717; 2001/10278; 2005/16141), esorbitando completamente dallo schema legale degli atti di notificazione (Cass. n. 1999/1195), di modo che il fenomeno, a causa della sua difformità dal modulo legale, risulti inidoneo a inserirsi nello sviluppo del processo (Cass. 2000/4753; 2004/18291). In conclusione, la notificazione effettuata dal difensore a mezzo fax, direttamente e cioè senza l’ausilio dell’ufficiale giudiziario, nell’ambito di un procedimento soggetto al rito previsto dal D.Lgs. n. 5 del 2003, rappresenta una forma di notificazione non esorbitante dallo schema legale e quindi suscettibile di essere sanata, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, se raggiunge comunque lo scopo (conf. Cass. n. 6142/2012). Il raggiungimento dello scopo, come hanno ritenuto entrambi i giudici del merito, deve essere valutato con riferimento al ricevimento dell’atto da parte del destinatario ed alla obiettivamente conseguenziale successiva attività processuale da esso svolta, indipendentemente dalle cautele adottate allo scopo di sostenere l’inesistenza della notificazione (sull’effetto sanante della costituzione anche se effettuata al solo fine di eccepire la nullità v. e plurlmis Cass. nn. 16578/2008; 15190/2005; 15530/2004).
3. Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, commi 1 e 6, e degli artt. 1352 e 2727 c.c., lamentando che la Corte di appello aveva erroneamente escluso, malgrado l’espressa previsione dell’art. 23 citato e dello stesso contratto di intermediazione, che l’ordine di borsa in questione fosse soggetto, a pena di nullità, ad obbligo di forma scritta o telefonica registrata ed aveva altresì erroneamente ritenuto che la contestazione, da parte dell’attrice, del mancato conferimento dell’ordine di borsa nelle forme prescritte implicasse la prova o il riconoscimento che l’ordine fosse stato conferito in forma diversa.
Il ricorso è infondato laddove deduce l’invalidità dell’ordine per difetto del requisito legale di forma. L’art. 23 del TUF dispone espressamente, a pena di nullità deducibile solo dal cliente, che i contratti relativi alla prestazione di servizi d’investimento debbono essere redatti per iscritto, fatta salva la possibilità che, per particolari tipi contrattuali, la Consob (sentita la Banca d’Italia) individui con regolamento una forma diversa. Tale disposizione, tuttavia, come già affermato da questa Corte (Cass. 22 dicembre 2011, n. 28432) si riferisce unicamente al contratto-quadro e non anche ai successivi atti negoziali aventi ad oggetto i singoli ordini del cliente che l’intermediario è tenuto ad eseguire. In questo senso, secondo la citata sentenza, rileva anzitutto la formulazione dell’art. 30, comma 1, del regolamento Consob n. 11522/1998, “il quale, impostando il tema dal punto di vista degli obblighi comportamentali gravanti sugli intermediari autorizzati, chiarisce che costoro non possono prestare i propri servizi se non sulla base di un apposito contratto scritto: espressione da cui agevolmente si ricava come il requisito della forma scritta riguardi il c.d. contratto-quadro, che è appunto quello sulla base del quale l’intermediario esegue gli ordini impartiti dal cliente, e non anche il modo di formulazione degli ordini medesimi. La modalità di tali ordini ed istruzioni, viceversa, è previsto sia indicata nel medesimo contratto-quadro (art. 30, cit., comma 2, lett. e), e quindi, lungi dall’essere soggetta ad una qualche forma legalmente predeterminata, è rimessa alla libera determinazione negoziale delle parti”. Nello stesso senso, secondo la citata decisione, rileva il disposto dell’art. 60 del citato regolamento Consob che, prevedendo l’obbligo degli intermediari di registrare su nastro magnetico o su altro supporto equivalente gli ordini impartiti telefonicamente dagli investitori, da un lato, ribadisce la piena legittimità di ordini telefonici e, d’altro canto, si limita a dettare una regola che opera soltanto sul piano della prova per garantire ex post la ricostruibilità del contenuto di tali ordini. Ulteriore conferma dell’assenza di un requisito di forma può essere tratta dall’art. 39 della sopravvenuta direttiva n. 2006/73/CE che fa obbligo agli Stati membri di subordinare la prestazione dei servizi d’investimento (diversi dalla consulenza) alla conclusione, tra l’intermediario ed un “nuovo” cliente al dettaglio, di “un accordo di base scritto su carta o altro supporto durevole”, dal quale risultino i diritti e gli obblighi essenziali dei contraenti. Infatti, “nell’adeguarsi a queste disposizioni, il legislatore italiano non ha avvertito alcun bisogno di porre mano al testo previgente dell’art. 23 del TUF, ed anche la Consob, nell’emanare il nuovo regolamento n. 16190 del 2007, vi ha introdotto disposizioni (art. 37) sotto questo profilo del tutto analoghe a quelle contenute nel già citato art. 30 del regolamento anteriore: a riprova del fatto che già nel vigore di tali precedenti disposizioni il requisito della forma scritta doveva ritenersi necessario unicamente per il c.d. contratto-quadro”.
Il ricorso è, invece, inammissibile per difetto del requisito di autosufficienza nella parte in cui lamenta che l’obbligo di forma scritta per gli ordini d’investimento di cui si discute non sia stato fatto comunque discendere dalle prescrizioni contenute nel contratto- quadro e dalla essenzialità della forma ivi prevista, ai sensi dell’art. 1352 c.c.. Invero, sebbene al riguardo la Corte di appello avesse rilevato che la questione era stata dedotta senza sollevare “la benchè minima argomentata critica a passo alcuno della motivazione”, l’odierna ricorrente si è limitata a citare le pagine della comparsa di costituzione e dell’appello incidentale nelle quali assume di avere sostenuto “l’obbligo di forma anche per gli ordini”, senza tuttavia effettuare alcuno specifico riferimento alle previsioni del contratto-quadro. In questa sede, inoltre, tale contratto non è neppure indicato tra gli atti sui quali è fondato il ricorso ed il contenuto della clausola è riportato parzialmente senza indicare nè la partizione del documento (articolo, punto o altro) nè la sua collocazione tra gli atti prodotti. In ogni caso, il tenore della clausola come parzialmente riportata non rappresenta un elemento decisivo per affermare la previsione di una forma scritta convenzionale, essendo anche previsto l’ordine telefonico, dandosi atto che in tal caso gli “ordini saranno registrati su nastro magnetico”; al riguardo è il caso di precisare che la registrazione rappresenta un obbligo dell’intermediario, ma è estranea alla dichiarazione dell’investitore che resta una dichiarazione in forma orale, attraverso il telefono.
4. Con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. a) e b), e dell’art. 28, comma 2, e art. 29 del regolamento Consob n. 11522/1998, lamentando che la sentenza impugnata aveva erroneamente escluso l’inosservanza da parte della banca degli obblighi informativi su di essa gravanti ed aveva escluso l’inadeguatezza dell’operazione per oggetto, tipologia e dimensioni; a conferma dell’assunto la ricorrente argomenta che l’esperienza vera o presunta del cliente ovvero qualsiasi propensione al rischio dello stesso non fanno dell’investitore un operatore qualificato, ai sensi dell’art. 31 del regolamento Consob n. 11522/1998 e non esimono l’intermediario dal fornire informazioni sulla natura, i rischi e le implicazioni dello specifico investimento e dall’astenersi in caso di inadeguatezza dell’operazione.
Il motivo è inammissibile nella parte in cui non coglie la ratio decidendi. La Corte di appello, invero, non ha affatto ritenuto che l’odierna ricorrente fosse un operatore qualificato nè che fosse insussistente un obbligo di informazione a carico dell’intermediario, ma ha invece ritenuto, come riferito in narrativa, che l’intermediario ha adempiuto gli obblighi di informazione e che l’operazione, sulla base delle informazioni disponibili, poteva ritenersi adeguata alle caratteristiche dell’investitore quanto a tipologia, oggetto, frequenza e dimensione con conseguente inapplicabilità della disciplina prevista dall’art. 29 del regolamento Consob n. 11522/1998 per i casi di operazioni inadeguate.
D’altro canto, la valutazione circa l’individuazione degli obblighi di informazione appropriati rispetto alla fattispecie concreta e circa l’adeguatezza dell’operazione integra una valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità se sorretta da una motivazione immune da vizi logici e giuridici. Da ciò consegue che il motivo in esame è inammissibile anche nella parte in cui, al di là della rubrica come violazione di legge, censura la motivazione perchè non ne deduce un vizio di omissione, insufficienza o contraddittorietà e si limita a chiedere a questa Corte una diversa, e inammissibile, valutazione di merito.
5. Con il sesto motivo la ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. c), e dell’art. 27 del regolamento Consob n. 11522/98, nonchè del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, comma 6, e dell’art. 2727, lamentando che la Corte di appello, malgrado i titoli per cui è causa risultassero venduti dalla banca “in contropartita diretta” e malgrado la banca non avesse fornito la prova di avere agito con la diligenza richiesta dalla situazione, aveva erroneamente escluso la sussistenza di un conflitto di interessi ed anche, come dedotto dall’attrice subordinatamente, la violazione del divieto di eseguire con i terzi operazioni “in nome proprio per conto del cliente”, in assenza di preventiva autorizzazione scritta di quest’ultimo.
Il motivo è infondato. La negoziazione in contropartita diretta costituisce uno dei servizi d’investimento al cui esercizio l’intermediario è autorizzato, al pari della negoziazione per conto terzi, come risulta dalle definizioni contenute nell’art. 1 del TUF. Essa perciò rientra tra le modalità con le quali l’intermediario può dar corso ad un ordine di acquisto o vendita di strumenti finanziari impartitogli dal cliente, e tanto basta ad escludere che l’esecuzione di un siffatto ordine in conto proprio da parte dell’intermediario configuri, di per sè sola, un’ipotesi di annullabilità dell’atto in forza degli artt. 1394 o 1395 c.c. (v.
Cass. 28432/2011 cit.). La Corte di appello ha, inoltre, escluso l’esistenza di ulteriori circostanze idonee ad evidenziare, o a determinare, una qualche situazione di conflitto d’interessi, precisando che la relativa prova è sottratta al regime probatorio previsto dall’art. 23, u.c. TUF. Al riguardo, tale ultima affermazione non può condividersi, ed in tal senso va corretta la motivazione, poichè l’odierna ricorrente, come risulta dalla sentenza impugnata, ha dedotto il preteso conflitto di interessi non solo ai fini di una pronunzia di annullamento, ma anche ai fini del risarcimento dei danni, con la conseguenza che rispetto alla relativa azione sussiste il presupposto del regime probatorio previsto dall’art. 23, u.c., TUF, per cui grava sull’intermediario la prova di avere agito con la specifica diligenza richiesta. Tuttavia, ciò non può esimere l’investitore dall’allegare quali specifiche obbligazioni siano rimaste inadempiute, anche perchè resta a suo carico l’onere di provare il nesso di causalità tra il danno e l’inadempimento di dette specifiche obbligazioni (Cass. 17 febbraio 2009, n. 3773). Sotto tale profilo, pertanto, la censura è inammissibile poichè si limita ad affermare un astratto onere probatorio senza specificare quali specifiche obbligazioni – diverse da quella, non configurabile, di non eseguire un ordine in conto proprio – siano rimaste inadempiute e siano state dedotte come tali nel giudizio di merito.
6. Con il settimo motivo la ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. a) e b), e art. 28, comma 2, del regolamento Consob n. 11522/1998 nonchè degli artt. 1337, 1338, 1374, 1375 e 1175 c.c., lamentando che la Corte di appello aveva escluso la sussistenza di un obbligo di informazione che in realtà non riguardava, come erroneamente ritenuto, il monitoraggio dell’andamento dei tìtoli ma la comunicazione di accadimenti eccezionali e gravissimi, occorsi nel 2001, dai quali emergeva la possibilità, come poi era accaduto, di un grave default.
Inoltre, secondo la ricorrente, l’intermediario, nella prestazione dei servizi di investimento e accessori è sempre tenuto, ai sensi degli artt. 21 e 28 citati, ad una adeguata informazione, anche ai fini del disinvestimento. Infine, anche prescindendo dalla normativa di settore, un obbligo di informazione, protezione e collaborazione discendeva dai doveri di correttezza, buona fede e di diligenza nei contratti a prestazioni corrispettive.
Il motivo è infondato. E’ vero che gli obblighi di informazione previsti dall’art. 21 del TUF non riguardano soltanto la fase anteriore alla stipula del contratto di negoziazione, ma anche la fase successiva, come questa Corte ha affermato con le sentenze s.u. 19 dicembre 2007, n. 26724 e 17 febbraio 2009, n. 3773. Tuttavia, gli obblighi relativi alla fase di esecuzione attengono certamente allo svolgimento successivo del rapporto quale è predeterminato dallo stesso contratto di negoziazione, o contratto – quadro, che disciplina le modalità con cui devono essere impartiti dal cliente ed eseguiti dall’intermediario i singoli ordini d’investimento (o disinvestimento). Sì deve escludere, invece, che, alla stregua del regolamento Consob 11522/1998 applicabile ratione temporis, possano configurarsi obblighi di informazione successivi alla concreta erogazione del servizio e relativi, quindi, all’investimento effettuato, quando non sia previsto dal contratto un servizio di gestione del portafoglio o un servizio di consulenza art. 1 commi 5 lett. d), e art. 6, lett. f) del TUF. Invero, il regolamento 11522/1998 prevede ad operazione avvenuta soltanto una informazione sull’operazione eseguita (art. 61), salvo che in alternativa, nel contratto relativo alla prestazione dei servizi di negoziazione e di ricezione e trasmissione di ordini, non sia previsto un rendiconto mensile. Una diversa disciplina è prevista, a determinati livelli di perdite effettive o potenziali, solo per “operazioni in strumenti derivati e warrant” e per le gestioni patrimoniali (art. 28, commi 3 e 4). Nè, ad avviso del Collegio, si può ritenere che un obbligo di informazione sia comunque riconducibile, nella materia in esame, ai generali doveri di correttezza, buona fede e diligenza; ciò non solo perchè la disciplina di dettaglio contenuta nel regolamento riduce naturalmente il campo di applicazione delle clausole generali, ma soprattutto perchè, al di fuori di un servizio di consulenza o di gestione patrimoniale, dopo l’erogazione del servizio si è esaurita l’attività dell’intermediario con riferimento all’ordine eseguito.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese di lite liquidate in Euro 10.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre IVA e CP. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 dicembre 2012.

Redazione