Non scatta il reato di concussione per la tangente chiesta ad una società privata (Cass. pen. n. 33549/2013)

Redazione 02/08/13
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. A conclusione di indagini preliminari culminate nell’arresto in flagranza di reato dell’imputato T.C.A. lo stesso era tratto a giudizio immediato per rispondere, con congiunta contestazione c.d. alternativa, dei reati previsti dagli “artt. 81, 317 e 629 c.p.” per avere, abusando della sua qualità di presidente del C.S.I. – Centro di Sviluppo Industriale di (omissis) gestore di un impianto locale di depurazione di rifiuti, “costretto e in ogni caso indotto” l’imprenditore A.M., legale rappresentante della società Recycling s.r.l. (esercente attività di trasporto, smaltimento e recupero di rifiuti) trattante lo smaltimento dei reflui aziendali derivanti dalla bonifica della centrale del gas di Crotone (stabilimento Eni Centrale Gas), a versargli dapprima (nel periodo dicembre 2005/gennaio 3006) la somma di Euro 1.500,00 con un assegno bancario e in un secondo momento (25.4.2006, data dell’arresto in flagranza del prevenuto) la somma di Euro 1.000,00 in contanti. Somme richieste e ottenute dall’ A. quali “tangenti” nella misura dello 0,50 per ogni tonnellata di reflui smaltiti attraverso la struttura del C.S.I. dalla Recycling s.r.l., cui il T. accordava (su richiesta dell’ A. dolutosi del minor prezzo praticato ad altre imprese per lo smaltimento di rifiuti rispetto a quello a lui applicato pari ad Euro 20,00 per ogni tonnellata da smaltire) uno “sconto” contrattuale, fissando anche per la Recycling s.r.l. il prezzo di Euro 19.00 per ogni tonnellata di residui confluita nell’impianto C.S.I. E somme che l’ A. si determinava corrispondere nel timore di vedersi interdire l’accesso al depuratore del C.S.I. e di patirne così un rilevante danno economico per la propria azienda (“al solo fine di continuare a lavorare servendosi degli impianti del Consorzio”, come precisa la sentenza di primo grado).

2. All’esito del richiesto e ammesso di giudizio abbreviato (art. 458 c.p.p.), non subordinato ad integrazioni probatorie, il G.I.P. del Tribunale di Crotone con sentenza pronunciata il 9.2.2009 ha dichiarato il T. colpevole dell’ipotizzato reato di concussione continuata, condannandolo alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione ed al risarcimento del danno (da liquidarsi in separata sede) in favore delle costituite parti civili A. e C.S.I..

Con la stessa sentenza il G.I.P. ha assolto il T. dal collaterale reato di estorsione per insussistenza del fatto.

Affrontate e risolta le questioni preliminari sollevate dalla difesa dell’imputato, tra cui in particolare quelle relative alla legittima assunzione da parte della p.g. delle informazioni testimoniali rese (3.4.2006 e 25.4.2006) dall’ A. (non elusive del disposto dell’art. 63 c.p.p., comma 2) ed alla ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche e ambientali ritualmente autorizzate nei confronti del T. e dell’ A., il decidente G.I.P. ha valutato sorretta da univoche prove la responsabilità del T. per il fatto reato ascrittogli, come qualificato ai sensi dell’art. 317 c.p., attraverso un percorso decisorio di cui possono sintetizzarsi i passaggi salienti.

A. Avuto riguardo alla indiscussa natura pubblicistica dell’ente presieduto dal T. (il C.S.I. essendo, come da statuto, un ente pubblico economico) diventa irrilevante per gli effetti di cui all’art. 317 c.p. la qualificazione (privatistica o pubblicistica) del rapporto contrattuale intercorrente tra l’ A. e il C.S.I., perchè l’imputato rivestiva certamente la qualifica di incaricato di un pubblico servizio, in nome del quale ha agito con palese abuso di tale sua qualità.

B. Il T. ha palesemente abusato del suo ruolo, scandito da ampia discrezionalità nei rapporti economici dell’ente (tratta direttamente con gli utenti, stabilisce i prezzi ed opera sconti), giovandosi della sua posizione di preminenza nei confronti dell’ A. (metus publicae potestatis), convintosi di poter subire danni economici ove non avesse aderito alle richieste di tangente del T., in guisa che la “condotta di induzione (che comporta convincimento o suggestione (induzione per persuasione)” espletata nei suoi confronti dall’imputato ha spinto l’ A. a versare le due tangenti per evitare un “male peggiore”.

C. L’affidabile prova delle due indebite dazioni pecuniarie e delle causali concussive delle stesse è offerta senza incertezze dalle emergenze processuali, rendendo inverosimile l’assunto difensivo dell’imputato, che – non negando la percezione delle due somme – le ascrive a volontari contribuiti dell’imprenditore per la campagna elettorale vista delle imminenti elezioni amministrative. Quanto alla prima somma di Euro 1.500,00, la sua dazione è avvalorata – oltre, ovviamente, all’individuato assegno di pari importo emesso da A. all’ordine del T. da due intercettazioni: una del 12.12.2005, in cui A. conversando con il direttore del C.S.I. R.S., gli riferisce della richiesta tangentizia ricevuta da T., spiegandogli che si tratta di una “mazzetta del 50% dei lavori” (meglio della metà dello sconto di un euro praticatogli da T. per ogni tonnellata di scorie conferite al C.S.I.) che lui paga per continuare a lavorare; l’altra del 23.12.2005 (ambientale presso gli uffici del Consorzio) svoltasi tra A. e T. con cui si concorda la somma di Euro 1.500,00 rapportandola al volume di reflui versati al C.S.I. dalla società dell’ A. nell’ultimo torno di tempo. Quanto alla seconda somma di euro 1.000,00 del 25.4.2006, la dazione è comprovata (oltre che dai vari messaggi telefonici di sollecito del T. inviati ad A.) dalla osservazione a cura della p.g. dell’incontro tra A. e T. e dell’oggettiva consegna della busta con il denaro dal primo al secondo (l’intera sequenza è stata filmata). Busta che, reperita in possesso del T. (tratto in arresto), risulta contenere insieme al denaro contante alcuni fogli con i prospetti contabili delle quantità di “acque di falda” conferite dalla Recycling s.r.l. al C.S.I. nel marzo 2006 con il calcolo dello 0,50 per il numero di tonnellate del conferimento (corrispondente ad Euro 81,00, che lo stesso A. nel manoscritto indirizzato al T. precisa di aver “arrotondato” a 1.000,00 Euro). A ciò aggiungendosi che A., immediatamente assunto a sommarie informazioni, “dopo alcune reticenze” (l’operazione di p.g. è stata predisposta a sua insaputa) ha confermato di aver versato la somma per non compromettere la propria attività lavorativa.

3. Avverso la sentenza del G.I.P. T.C.A. ha proposto appello, contestando la natura tangentizia delle due dazioni di denaro, che sarebbero avvenute non per effetto di una costrizione o induzione subite dall’ A., ma a seguito di un “accordo” avente per oggetto lo “sconto” praticato dal T., come era in sua specifica facoltà, all’ A. sul prezzo di tariffa addebitatogli per il servizio di distruzione dei reflui stoccati dalla sua) ditta.

Accordo ricercato dallo stesso A., che ha inteso remunerare il T. nel quadro di un rapporto di esclusiva natura privatistica.

Rapporto che – quand’anche lo si volesse inscrivere in una relazione corruttiva – non integrerebbe il reato di corruzione impropria susseguente ex art. 318 c.p., essendosi attribuita al T. la qualifica di incaricato di un pubblico servizio e non già di pubblico ufficiale. Per altro, si afferma con l’appello, neppure è configurabile in capo al T. la veste di incaricato di pubblico servizio nel rapporto contrattuale intessuto con l’ A. e la sua società. Il servizio reso alla società Recycling dal Consorzio crotonese, infatti, concerne soltanto l’attività di esclusivo diritto privato dell’ente. Come ha riferito (in sede di indagini difensive) il dirigente del C.S.I. V.A., il Consorzio svolge per la Recycling soltanto il servizio per lo smaltimento delle “acque di falda”, servizio che la stessa Recycling non ha alcun obbligo od onere di richiedere al Consorzio (le acque di falda sono classificabili come rifiuti industriali generici), diversamente da quanto è previsto per altri tipici servizi consortili (forniture idriche, illuminazione e manutenzione delle strade consortili e – in special modo – depurazione di rifiuti urbani). Servizi, questi, che il C.S.I. è obbligato a rendere e che gli utenti sono obbligati a ricevere dal solo Consorzio in ragione del loro inserimento nell’agglomerato industriale (“il servizio di smaltimento delle acque di falda, che siamo autorizzati a fare solo dal 2004, è svolto dal C.S.I. in virtù di rapporti privatistici con le ditte che scelgono di farne richiesta”).

4. Giudicando sull’impugnazione, la Corte di Appello di Catanzaro con la suindicata sentenza in data 8.3.2012 ha confermato il giudizio di colpevolezza dell’imputato per il reato di concussione continuata.

Come da imputazione, il T. non ha abusato dei suoi poteri funzionali (connessi alla sua specifica carica di presidente del C.S.I.), ma della sua “qualità”, cioè ha strumentalizzato la propria posizione di preminenza rispetto al privato utente e tale abuso si è manifestato come causa efficiente della induzione concussiva, determinando il privato a tenere un comportamento che liberamente non avrebbe assunto. Egli ha speso la sua qualità pubblica per intimidire la persona offesa a versare l’utilità richiestale.

La decisione di secondo grado, disattendendo le censure dell’appellante imputato, è pervenuta alla conferma della sentenza del G.I.P. del Tribunale di Crotone attraverso alcune puntualizzazioni considerate emergenti dagli atti processuali.

A. Utilizzando per tornaconto personale il proprio ruolo in seno all’assetto amministrativo, con “distorsione del suo scopo di servizio”, il T. ha condizionato la volontà del privato utente A.. La natura privatistica del rapporto economico instaurato con la società Recycling dell’ A., in quanto non riconducibile ai servizi consortili erogati dal C.S.I. in regime pubblicistico (vale di dire di servizio pubblico), evocata dalla difesa dell’imputato non ha rilievo rispetto alla contestata accusa di “concussione con abuso”. Il T., infatti, ha preteso e ottenuto indebitamente dall’ A. le somme poi trovate in suo possesso “sotto la minaccia esplicita di non poter usufruire dell’impianto di smaltimento del consorzio, con il pericolo di ingenti danni economici sull’attività lavorativa di una piccola impresa per i maggiori costi imposti dalla gestione del servizio prezzo impianti ubicati in aree più distanti dalla sede aziendale, tali da porre la stessa ditta fuori mercato”, trovandosi il C.S.I. ad operare in una situazione di sostanziale “monopolio” per quanto attiene al trattamento e allo smaltimento dei rifiuti liquidi.

B. Palese deve considerarsi per la Corte di Appello il metus subito dalla persona offesa, ben conscia del preminente ruolo dell’imputato in seno al Consorzio (per l’ampia discrezionalità gestoria dei rapporti economici con l’utenza). E che l’ A. abbia dovuto assentire al sollecitato esborso pecuniario per evitare un pregiudizio economico è evenienza agevolmente ricavabile dalle intercettazioni foniche (involgenti o non direttamente la persona del T.).

C. Le emergenze di causa evidenziano, dunque, inequivoci “atti di induzione” da parte dell’imputato, nella sua veste pubblicistica, aventi la finalità di limitare la capacità di autodeterminazione del privato interlocutore, la cui scelta di accedere all’esborso tangentizio è chiaro frutto della sofferta “coazione psicologica” esercitata dell’imputato, ravvisabile – secondo la giurisprudenza di legittimità – anche quando la volontà del privato sia compressa dalla posizione di preminenza del “soggetto pubblico”, il quale “attraverso semplici allusioni o maliziose prospettazioni” agisca in modo da provocare nella vittima la convinzione di dover soggiacere alle sue decisioni “per evitare il pericolo di subire un pregiudizio”.

D. Sgombrato il campo dalla tesi del contributo elettorale che con le due dazioni pecuniarie l’ A. avrebbe voluto offrire al partito del T. in vista delle prossime consultazioni, alcun pregio può annettersi – per la Corte territoriale – alla ulteriore subordinata prospettazione difensiva di un rapporto corruttivo intessuto dall’ A. nei riguardi dell’imputato alla luce della “evidente mancanza di iniziativa del privato che si è trovato a subire le pressioni del T.”.

5. Per mezzo dei difensori T.C.A. ha impugnato per cassazione l’illustrata sentenza di secondo grado, deducendo i vizi di legittimità di seguito riassunti ex art. 173 disp. att. c.p.p.. comma 1.

5.1. Difetto e/o illogicità della motivazione sulla dedotta insussistenza della qualifica soggettiva dell’imputato ai fini del reato di concussione.

La Corte di Appello ha omesso di motivare sul corrispondente motivo di gravame, cui ha offerto una risposta elusiva o soltanto apparente.

Con il valorizzare il profilo dell’abuso della dualità (e non dei poteri) della condotta del T., i giudici di appello hanno incongruamente ritenuto risolta la questione della esatta individuazione della qualifica soggettiva ricoperta dal presidente del C.S.I. di (OMISSIS) nei suoi rapporti con l’ A..

Così ragionando, la Corte di Appello non solo ha confuso la questione pregiudiziale della qualifica del soggetto agente con la natura della presunta condotta concussiva (temi che attengono a due diversi, per quanto complementari, piani della regiudicanda), ma ha disapplicato le indicazioni interpretative della giurisprudenza di legittimità sulle categorie soggettive indicate dagli artt. 357 e 358 c.p. (come novellati nel 1990), che impongono di privilegiare, ai fini dell’attribuzione della qualifica di pubblico ufficiale ovvero (e in maggior misura) di incaricato di un pubblico servizio, alla attività in concreto svolta dal soggetto agente. L’applicazione del criterio funzionale oggettivo non può che far escludere qualsiasi qualifica pubblicistica in capo al T. in riferimento al rapporto intessuto dal C.S.I. con la società Recycling, trattandosi di un rapporto commerciale tipicamente privatistico, estraneo alle finalità di ordine generale perseguite dall’ente consortile.

5.2. Erronea applicazione dell’art. 317 c.p. in relazione agli artt. 357 e 358 c.p.. L’analisi del ridetto rapporto commerciale tra C.S.I. e società Recycling avvalora senza perplessità alcuna che il T. non ha “speso la sua qualità” di presidente del Consorzio nè di essa ha fatto un uso strumentale, avendo agito, sì in rappresentanza dell’ente consortile, ma iure privatorum. In tale contesto di formale e sostanziale parità dei contraenti il T. non ha esplicato nessun esercizio di supremazia nei confronti della persona offesa. Ciò impedisce di configurare l’ipotizzato reato di concussione.

Anche in relaziona a questa problematica la Corte territoriale ha omesso di dare effettiva risposta ai rilievi difensivi enunciati con l’appello. La tipologia del rapporto tra il C.S.I. e il cliente Recyclyng s.r.l. è incontroversa (la stessa sentenza impugnata definisce “imprenditoriale” il rapporto commerciale instaurato tra le parti) ed ha riguardato lo smaltimento dei rifiuti industriali provenienti dalla bonifica della Centrale del Gas di Crotone, conferiti dal produttore (stabilimento Erri) alla Recycling, abilitata al trasporto e al conferimento allo smaltimento presso impianti autorizzati. Tale ultimo segmento dell’attività della società dell’ A. si inscrive in un rapporto (per l’appunto commerciale) con il C.S.I. di (OMISSIS), cui deve attribuirsi indiscussa natura privatistica. Natura che trova puntuale riscontro giuridico in più decisioni delle Sezioni Unite Civili della S.C e del Consiglio di Stato, che con pronunce anche recenti hanno precisato che la natura di servizio pubblico locale può essere riservata soltanto al servizio di smaltimento dei rifiuti urbani e non anche alle altre tipologie di rifiuti destinati allo smaltimento (c.d. rifiuti speciali di vario genere), quali quelli trattati dalla società della parte civile.

5.3. Travisamento del fatto risultante ex actis.

La Corte territoriale nel porre l’accento sulla “minaccia esplicita” rivolta dal T. all’ A. di non potersi servire dell’impianto di smaltimento del C.S.I., ove non avesse accettato di pagare la richiesta tangente, minaccia di cui le evenienze processuali non propongono convincenti prove (come sembrano ignorare i giudici di appello), ha finito per valorizzare un dato, quale quello di un supposto monopolio di fatto nella gestione del servizio di smaltimento da parte del Consorzio mutuato alla lettera da una informativa dei Carabinieri del 30.3.2006. Si tratta però di un vistoso travisamento della realtà della provincia di Crotone. In primo luogo perchè la stessa informativa avverte che il C.S.I. “sembrerebbe operare” in regime di monopolio (del che, quindi, non vi è alcuna dimostrazione) e, in secondo e principale luogo, perchè nella provincia di Crotone vi sono (oltre al C.S.I.) ben tre altre ditte che provvedono allo smaltimento di rifiuti di diversa specie e che operano in condizioni di totale concorrenza. Donde il disagio per l’ A. costretto a rivolgersi al d altri gestori di servizi di smaltimento, paventato dalla sentenza impugnata, non ha alcuna ragion d’essere.

5.4. Erronea applicazione dell’art. 317 c.p. con riguardo all’instaurato rapporto tra C.S.I. e Recycling s.r.l..

La sentenza impegnata oblitera la rilevante circostanza che è l’ A. e non il T. a prendere contatti con l’ente consortile, in persona del suo presidente, per farsi concedere uno “sconto” sul prezzo di tariffa per lo smaltimento dei rifiuti conferiti dalla società. In tale ambito la trattativa si svolge e si conclude in modo pienamente paritario tra le due parti. Vero è che T. ha mostrato insistenza nel richiedere la “controprestazione” concordata con l’ A., ma – come ha chiarito la S.C. – l’abuso integrante l’art. 317 c.p. non può essere uguagliato alla pur indebita richiesta di denaro, ancorchè insistita, atteso che la richiesta -per essere indebita – deve essere il risultato di un abuso dei poteri o della qualità del pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio agente. Ma la natura squisitamente “imprenditoriale” del servizio erogato (venduto) alla società di A. esclude la fondatezza di qualsiasi ipotesi di “soggezione” della persona offesa.

Ora, posto che l’atto contrattuale da parte del venditore o erogatore del servizio (C.S.I.) laddove ha applicato all’ A. uno sconto sulla tariffa del servizio di smaltimento è perfettamente legittimo, lo sviluppo del rapporto contrattuale potrebbe condurre – a tutto voler concedere, ivi inclusa la qualifica pubblicistica dell’imputato – alla configurazione di una ipotesi di corruzione impropria ex art. 318 c.p. Ipotesi tuttavia non punibile per il disposto dell’art. 320 c.p., che sanziona per il reato di cui all’art. 318 c.p. l’incaricato di pubblico servizio, soltanto ove rivesta (anche) la qualità di pubblico impiegato. Qualità che deve certamente escludersi per il T., come indirettamente riconoscono le stesse due conformi decisioni di merito.

5.5. Violazione dell’art. 62 bis c.p. e illogicità della motivazione.

In via meramente subordinata appare censurabile il diniego delle circostanze attenuanti generiche all’imputato. Questi è incensurato e, benchè enfaticamente la Corte territoriale ne definisca la condotta illecita come “cinica e astuta e non episodica”, T. risulta essere stato per molti mesi sottoposto ad intercettazioni telefoniche e ambientali, senza che siano emersi episodi o contegni illeciti di qualsiasi natura, all’infuori di quelli oggetto del presente procedimento.

5.6. Con motivi nuovi depositati il 5.2.2013 la difesa del ricorrente ha sollevato il problema della successione di norme incriminatrici posto dall’entrata in vigore della L. 6 novembre 2012, n. 190, che ha escluso la penale rilevanza ex art. 317 c.p. della concussione per costrizione posta in essere da un incaricato di pubblico servizio. Si invoca, per tanto, oltre alle subordinate possibili alternative discendenti dalla novellata disciplina codicistica, l’annullamento della sentenza di appello perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato, dal momento che il T. è stato condannato in qualità di incaricato di pubblico servizio (qualità non posseduta, come da ricorso principale) per il reato di concussione “asseritamente commesso per mezzo di un comportamento costrittivo”.

6. Il ricorso proposto nell’interesse di T.C.A. è fondato e la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perchè il fatto reato attribuito al ricorrente non sussiste.

6.1. Assistiti da fondamento vanno considerati, in particolare, i primi due motivi di ricorso (in realtà un unitario motivo di censura) sulla insussistenza della qualifica di incaricato di pubblico servizio del T. in riferimento al rapporto di natura commerciale posto in essere con l’imprenditore A.. Di guisa che, ove pur voglia assegnarsi alle dazioni idi denaro richieste dall’imputato ed esaudite da A. una natura tipicamente tangentizia, non potrebbe configurarsi il reato proprio di concussione. Il fatto potrebbe astrattamente realizzare la diversa fattispecie dell’estorsione ex art. 629 c.p.. Ma per tale fattispecie, che pure è stata oggetto di congiunta (recte alternativa) contestazione mossa all’imputato formalizzata con la translatio judicii (dato che, al di là delle certezze palesate dalle due conformi sentenze di merito, denuncia la problematicità, avvertita dal p.m., del nomen iuris della posizione soggettiva del giudicabile), il giudice di primo grado ha correttamente (nell’alternativa opzione decisoria imposta, ex art. 521 c.p.p., dall’accusa contestata a prevenuto) assolto il T. per insussistenza del fatto reato. Decisione che per tal verso è passata in giudicato e preclude (art. 649 c.p.p.) una eventuale nuova e diversa (ri)definizione giuridica del fatto illecito attribuito al ricorrente.

6.2. L’accusa di concussione ex art. 317 c.p. per cui è stato condannato il T. in primo e in secondo grado rende centrale la tematica della qualifica soggettiva dell’agente in seguito alla recente novella normativa di riforma dei reati contro la pubblica amministrazione introdotta dalla L. 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. legge anticorruzione), come ha rilevato la difesa del ricorrente con i depositati motivi nuovi di ricorso. ******* entrata in vigore il 28.11.2012 dopo la decisione dei giudici di secondo grado.

In vero la rimodulazione, anche sul piano della risposta sanzionatoria, del reato di concussione contestato al ricorrente, con lo “scorporo” dalla generale azione coercitiva del pubblico ufficiale agente realizzata mediante costrizione di quella realizzata mediante induzione, trasfusa nella nuova residuale fattispecie (“salvo che il fatto costituisca più grave reato) della induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all’art. 319 quater c.p., introduce tematiche di diritto intertemporale collegate alla verifica di continuità precettiva o non – per gli eventuali effetti di cui all’art. 2 c.p., comma 4 – tra previgenti e nuove fattispecie incriminatrici.

Questa Corte regolatrice ha già riconosciuto la sussistenza di sicura continuità normativa tra la previgente fattispecie di cui all’art. 317 c.p. e le nuove fattispecie di cui allo stesso art. 317 c.p. (concussione per costrizione commessa dal solo pubblico ufficiale e non più anche da un incaricato di pubblico servizio con pena inasprita nel minimo edittale) e al nuovo art. 319-quater c.p. (concussione per induzione o, recte, induzione indebita commessa dal pubblico ufficiale e/o incaricato di pubblico servizio) in ragione della indiscutibile omologia della condotta concussiva del pubblico ufficiale (ma non più, come detto, dell’incaricato di pubblico servizio) descritta dalla anteriore e dall’attuale norma incriminatrice (Cass. Sez. 6, 3.12.2012 n. 3251/13, ******, rv. 253935; Cass. Sez. 6, 11.2.2013 n. 12388, Sanpo, rv. 254441). E’ evidente, allora, che il primo passaggio dell’analisi non può che essere integrato dalla corretta catalogazione della condotta di concussione che è stata contestata al T., cioè della sua riconducibilità alla fattispecie di cui all’art. 317 c.p. ovvero a quella di cui all’art. 319 quater c.p. Pur nel quadro di talune aporie ricostruttive risalenti alla piena equiparazione tra concussione per costrizione o per induzione (la previgente fattispecie ex art. 317 c.p. equiparando le due modalità di consumazione del reato e finendo per considerare le due categorie della costrizione e della induzione alla stregua di una endiadi descrittiva), questa S.C. ha chiarito come l’unico criterio differenziale tra le due ipotesi, oggi disaggregate dalla novella legislativa, in grado di offrire ragionevole giuridica spiegazione della punibilità, altrimenti illogica, del soggetto privato “indotto” a dare o promettere una utilità al pubblico ufficiale infedele rispetto ai suoi poteri o alla sua qualità, riposi nella natura del danno minacciato al soggetto privato concusso (o costretto o indotto). Ove questo rivesta, a prescindere da modi e forme che ne esteriorizzino la serietà, connotazioni di ingiustizia (produttive di un danno emergente o di un lucro cessante), tipiche della minaccia nel senso suo proprio fatto palese dalle ripetute accezioni offerte dal legislatore codicistico, cioè caratteri di contrarietà alla legge e all’ordinamento generale o settoriale della pubblica amministrazione interessata dalla condotta di abuso del pubblico ufficiale, si realizza la violenza morale integratrice della concussione costrittiva ex art. 317 c.p. (nei testi previgente e attuale). Laddove, invece, la minaccia del pubblico ufficiale (o, in questo caso, anche dell’incaricato di pubblico servizio) prospetti al privato un danno “giusto”, cioè tale da essere conforme alla legge e alla disciplina del peculiare settore amministrativo d’interesse, di guisa che il privato finisca – con l’aderire alla pretesa intimidatoria del soggetto agente – per conseguire, in tutto o in parte ovvero in forma diretta o indiretta, anche un suo personale beneficio o vantaggio, diviene configurabile la meno grave ipotesi sanzionata, pure per il soggetto privato “beneficiario” dell’abuso, dall’art. 319 quater c.p. (cfr.: Cass. Sez. 6, 3.12.2012 n. 3251/13, ******, rv. 253936, 253938; Cass. Sez. 6,3.12.2012 n. 7495/13, ****, rv. 254020).

6.3. Calando queste osservazioni nella disamina della regiudicanda oggetto del ricorso dell’imputato, è facile rilevare che il T. oggi non potrebbe essere riconosciuto responsabile del reato di concussione costrittiva, atteso che questa è limitata alla condotta del solo pubblico ufficiale. Il T. è stato tratto a giudizio con la contestazione di aver abusato della sua qualità di incaricato di pubblico servizio. Posizione soggettiva sulla quale, come visto, entrambe le sentenze di merito non nutrono dubbi. Va da sè allora che, nel rispetto della regola di diritto intertemporale dettata dall’art. 2 c.p., comma 4 (in favorem rei), l’illecita condotta dell’imputato andrebbe sussunta o riqualificata ai sensi del novellato art. 319 quater c.p., come da conclusiva richiesta del P.G. di udienza. E ciò non tanto perchè la sentenza di appello qualifica esplicitamente l’agire illecito del T. in termini di induzione, espressa da contegni di minaccia improntati a blandizie o a maliziose allusioni, dal momento che il criterio differenziale tra concussione per costrizione e (concussione per) induzione indebita non riposa su elementi nominalistici (costrizione/induzione) collegati al tasso percentuale di pressione psicologica esercitata nei confronti della persona offesa, quanto piuttosto e soltanto sui connotati di ingiustizia o giustizia del male prefigurato e minacciato in qualunque forma alla persona offesa. Indagine, questa, che nel caso concernente l’odierno ricorrente è stata affatto trascurata dalla Corte di Appello o, meglio, sommariamente sussunta in un generico contesto di ingiustizia, creduto palese e connesso alla supposta operatività monopolistica del C.S.I. e al disagio dell’ A. di cui doversi rivolgere ad altre non vicine strutture di smaltimento di rifiuti non urbani. L’esito che ne deriverebbe non andrebbe esente da un rilievo di contraddittorietà palese, pur se l’ipotetica riqualificazione del fatto reato nel caso in esame dispiegherebbe effetti ai soli del più favorevole trattamento sanzionatorio. Ciò che non impedisce di cogliere la discrasia tra una accusa di concussione costrittiva quale delineata anche dalla Corte di Appello di Catanzaro (a prescindere dai richiami a non dirimenti formule di stile) e la sua definizione a mente di una fattispecie (quella di nuovo conio ex art. 319 quater c.p.), che presuppone il prodursi di un evento solo parzialmente lesivo per la persona offesa che, cedendo alla richiesta di remunerazione “indotta” dal soggetto pubblico, si propone di raggiungere anche un suo personale vantaggio.

D’altra parte il comportamento realizzato dal T. non potrebbe neppure essere ricondotto alla fattispecie dell’estorsione comune eventualmente aggravata ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 9, stante il divieto del ne bis in idem (art. 649 c.p.p.) riveniente dal ricordato proscioglimento dibattimentale dell’imputato da siffatta accusa alternativa.

Nè ex adverso il principio del favor rei consentirebbe di ascrivere, secondo una subordinata prospettazione liberatoria del ricorrente, la sua condotta alla fattispecie della corruzione impropria (vuolsi susseguente) ex art. 318 c.p. nel testo previgente (reato meno grave, che la riforma ha rimodulato anche tale disposizione, ampliandone lo spettro operativo e gli esiti sanzionatori: corruzione per l’esercizio della funzione) alla stregua del riformato art. 320 c.p., che oggi rende punibile per corruzione (propria o impropria) anche l’incaricato di pubblico servizio che non sia legato alla pubblica amministrazione da un rapporto di impiego.

6.4. Nondimeno le diverse problematiche suscitate dalla legge riformatrice n. 190/2012 appaiono tutte superate o assorbite da succitato elemento pregiudiziale riguardante l’inesistente qualità pubblicistica dell’imputato, erroneamente ritenuta dalla Corte di Appello di Catanzaro, che ha omesso di soffermarsi sui pertinenti rilievi critici sviluppati con l’atto di appello dalla difesa del T..

La Corte territoriale ha conferito alla nozione di incaricato di pubblico servizio una valenza onnicomprensiva, reputandone investito ogni segmento della complessiva azione dell’imputato nella sua qualità di presidente e rappresentante legale dell’ente pubblico economico consortile di Crotone. Qualità spendibile e (secondo l’ipotesi di accusa condivisa dalla Corte di Appello) spesa arbitrariamente dall’imputato anche nei confronti dell’ A..

Tesi, questa, che è però smentita a chiare note dalla natura esclusivamente privatistica del rapporto commerciale di diritto privato (natura singolarmente ammessa dagli stessi giudici di merito) intrattenuto dal C.S.I. e per esso dal T. con la società dell’ A.. Rapporto che, come documentato in atti dalla difesa dell’imputato, si è formato in un regime di piena libera concorrenza per l’esistenza nella limitata area territoriale di riferimento (provincia crotonese) di ben quattro strutture (compreso il C.S.I.) svolgenti attività di smaltimento di rifiuti costituiti da acque di falda (come tali la sentenza di appello individua univocamente i rifiuti trattati-trasportati dalla Recycling s.r.l.), alle quali l’ A. aveva opportunità di rivolgersi, non essendo obbligato ad avvalersi del Consorzio (nè il Consorzio essendo obbligato ad erogare alla società di A. il richiesto smaltimento di rifiuti di origine non urbana).

*****è – a prescindere dall’assertivo assunto della sentenza di appello (alimentato dagli scarni contenuti di non più di tre dialoghi captati e di alcuni s.m.s. inviati da T. ad A.) accreditante come connotata da “minaccia esplicita” di nocumento economico la richiesta di “mazzetta” dell’imputato- i giudici di secondo grado non spendano troppe parole per puntualizzare tempi e modi delle effettive minacce rivolte dal T. alla persona offesa, non può sottacersi che sono stati negletti non solo gli elementi censori articolati dall’appellante sulla corretta nozione di incaricato di pubblico servizio (e di pubblico ufficiale, che non rileva nel caso di specie) postulata dall’art. 358 c.p., ma pure i pertinenti e opportuni richiami alla giurisprudenza civile di legittimità sulla natura dell’oggetto del rapporto contrattuale tra C.S.I. e Recycling s.r.l..

Non è casuale, invero, che le Sezioni Unite civili di questa S.C. abbiano rimarcato la natura eminentemente privatistica dell’attività di smaltimento di tutti i rifiuti diversi da quelli urbani. Cioè del genere di rifiuti trattati per l’esattezza, come ammettono – si ripete – le sentenze di merito di primo e di secondo grado, dalla società della p.o. A. (cfr.: Cass. S.U. Civ., 27.11.2002 n. 16831, Comune di Forlì contro ******** s.r.l., rv. 558790: “In tema di smaltimento dei rifiuti ai sensi del D.P.R. 10 settembre 1992, n. 915 soltanto lo smaltimento di quelli urbani, in quanto obbligatoriamente riservato ai comuni in privativa, è espressamente definito servizio pubblico, mentre tale natura non può riconoscersi – stante la concezione c.d. soggettiva di servizio pubblico seguita da detto D.P.R. – all’attività di smaltimento dei rifiuti speciali nell’ipotesi in cui essi siano dai produttori conferiti ai soggetti esercenti il servizio pubblico relativo ai rifiuti urbani, sicchè la convenzione al riguardo stipulata, ad onta della denominazione di concessione attribuita dalle parti, deve essere riguardata come un contratto di diritto privato nel quale le parti stesse sono poste su un piano paritetico, con la conseguenza che le controversie da essa originanti, attenendo a diritti soggettivi, sono devolute alla cognizione del giudice ordinario”; Cass. S.U. Civ., 18.11.2008 n. 27346, Comune di Sarcedo contro Consorzio) Rifiuti Speciali, rv. 605833; Cass. S.U. Civ., 29.4.2009 n. 9956, Comune di Castellammare di Stabia contro Milano, rv. 606738). A conclusioni analoghe è pervenuto anche il Consiglio di Stato, come pure precisa il ricorrente (v. Cons. Stato, Sez. 5,1.4.2011 n. 2012).

6.5. Le enunciate deduzioni, assorbendo ogni ulteriore profilo di apprezzabilità della vicenda in esame e del comportamento dell’imputato, indurrebbero a considerare chiusa l’analisi. Tuttavia ragioni di completezza impongono, tanto più che trattasi di tema reso oggetto del ricorso dell’imputato, di rilevare che alla posizione di soggetto agente iure privatorum da attribuirsi al T. si giustappongono anche emergenze che paiono avvalorare il connesso assunto difensivo della natura paritaria del rapporto commerciale stretto tra la Recycling e il C.S.I. per iniziativa dello stesso A. (è accertato, secondo i giudici di merito, che è stato A. a contattare il presidente del Consorzio Turino per chiedergli uno “sconto” sulla tariffa). E, oltre ai dati segnalati dal ricorrente come indicativi delle caratteristiche “paritarie” della vicenda contrattuale, non può disconoscersi che le due sentenze di merito per più versi descrivono situazioni che paiono rappresentative di una posizione o condizione dell’ A., più che di soggetto vittima delle indebite pretese remunerazione del presidente dell’unità consortile, di persona che ha raggiunto un soddisfacente accordo che tende almeno inizialmente a dissimulare, a prescindere dalle sue lamentele con terze persone (dalle sentenze di merito si evince che A. ha contezza delle indagini in corso nei confronti T. e forse anche nei suoi confronti), salvo assumere poi – ad avvenuto arresto dell’imputato – la veste della vittima delle indebite pretese pecuniarie dello stesso imputato.

Nella sentenza del G.I.P. del Tribunale di Crotone si legge (pag. 5) che A., dopo aver negato di aver corrisposto al T. alcuna “controprestazione” pecuniaria, ammette la circostanza soltanto quando la p.g. gli chiede conto dell’emissione dell’assegno di euro 1.500,00 in favore di T., aggiungendo di essere stato costretto a pagare per paura di subire un danno aziendale. Ancora dalla sentenza di primo grado si evince che A., pur a fronte dell’avvenuto arresto dell’imputato (di cui è stato testimone diretto), mostra tentennamenti (iniziali reticenze) nel chiarire il rapporto costrittivo-induttivo subito ad opera del T..

Da entrambe le sentenze di merito, infine, si desume che A. mantiene rapporti di cordialità quasi amicale con il T., come dimostra il biglietto manoscritto con cui accompagna la somma di 1.000,00 Euro posta nella busta consegnatagli e poi sequestrata dalla p.g. il 25.4.2006.

Sulla base del delineato quadro degli elementi di prova individuati nella sentenza della Corte di Appello di Catanzaro (conforme alla prima decisione di merito) deve concludersi, dunque, che la condotta dell’imputato non integrava e non integra, nella successione normativa della norma incriminatrice, il reato di concussione o altra procedibile ipotesi di reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2013.

Redazione